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Autore: Shichan    02/12/2012    1 recensioni
[Tre flashfic, tre punti di vista su Totsuka Tatara.]
1. [Mikoto] - Così diverso, dal fuoco che lo animava – dalla fiamma pura e distruttiva che era.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.
La frase in apertura (per questa come per le altre due flashfic che compongono la raccolta), sono della canzone “Sakura Nagashi” (Utada Hikaru).
Note: io so che il mio destino nel fandom di K Project è morire ripetutamente scrivendo di Tatara. ;__;
A Ele, che se lo merita non perché devo farla soffrire, ma per il piccolo Tatara che c’è in lei e che la rende una persona meravigliosa <3

 

Tutti trovano l’amore,
alla fine.

Ricordava che Tatara l’aveva detto con quel modo tutto suo.
Nel modo semplice e ingenuo che solitamente era proprio dei bambini, e che poco si addiceva a quello che era ormai un giovane uomo – divenuto tale forse prima di quanto avrebbe dovuto, con il proprio passato sulle spalle e le sue esperienze, e la capacità di rimanere comunque bambino come pochi altri al suo posto avrebbero saputo fare.
Totsuka lo aveva guardato e aveva sorriso, e anche quell’incurvarsi di labbra che potevi trovare un po’ ovunque per le strade se sapevi cercare, era unico nel suo genere; aveva accorciato la distanza tra loro, quella fisica, muovendo qualche passo in sua direzione. Mai incerto, mai dubbioso: cristallino come l’acqua, imperturbabile come le sponde di un lago privo di una corrente che li agiti.
Così diverso, dal fuoco che lo animava – dalla fiamma pura e distruttiva che era.
Tatara era sempre sembrato immune, in qualche modo: alle parole delle persone, ai loro pregiudizi e sì, anche all’istinto di autoconservazione.
E poi, dal nulla ti guardava dritto negli occhi come pochi facevano, ti guardava davvero come a scrutarti dentro e a vedere molto di più di quello che gli altri notavano solo distrattamente e senza soffermarvisi.
Ti sorrideva perché in quel momento era come se non ci fosse alcun problema al mondo, come se non sapesse che quel potere consumava una cosa che nessuno credeva ne fosse mai toccata – consumava il cuore e l’anima, la logorava e l’avrebbe presto distrutta, ancor prima che lui potesse chiedersi se ne valeva poi la pena, ricordarsi di avercela un’anima, qualcosa che lo rendeva un po’ più umano.
Lui che umano forse non ci si era mai sentito, con quel potere tra le mani.
Totsuka lo guardava come se invece non ci fosse alcun dubbio in proposito.
Era la stessa sensazione di avere davanti qualcuno che, lo sapevi, vedeva un mondo tutto suo, o forse semplicemente percepiva il tuo in modo diverso.
Un contatto, non poi così particolare: un pugno dato con leggerezza, appena poggiato, contro il palmo caldo della mano portata a frapporsi fra loro.
Quasi a dirgli che più di quella vicinanza non era consigliabile.
Quasi a dirgli che era pericoloso.
Quasi a dirgli che avrebbe potuto bruciarlo, e scottarlo e renderlo meno di niente – niente sangue, niente ossa, nemmeno la cenere.
E aveva aspettato che l’altro lo capisse e si allontanasse – e in fondo forse sperava che lo abbandonasse, perché la solitudine era preferibile a distruggere le cose importanti con le tue mani.
«I tuoi poteri non sono fatti per distruggere, ma per proteggere.»
Era suonato come un “vai bene così”.
Anche con quel potere.
Perché quello, dopotutto, lo rendeva ciò che era: non tanto il Re Rosso, non sembrava essere quella la parte importante per Tatara, a dispetto del suo continuo chiamarlo “Re”.
Era quello che lo rendeva Mikoto Suoh.
Era stata una liberazione.

   
 
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