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Autore: didi93    03/12/2012    2 recensioni
Bella si è appena trasferita a Seattle per allontanarsi da un passato che le condiziona la vita quando incontra Edward, l’unico con il quale sente di potersi aprire. Per un attimo crede di aver trovato nell’amore la sua salvezza, ma anche lui nasconde qualcosa…
Dal cap. 4
Tutto intorno a me era buio. Attesi che i miei occhi si abituassero all’oscurità, scostai piano le coperte e scesi dal letto, evitando accuratamente ogni rumore. Faceva freddo e il pavimento era gelato. Riuscivo a capire dove mi trovassi, era la mia vecchia camera, le pareti ancora dipinte di rosa come quando ero bambina, gli oggetti perfettamente in ordine sugli scaffali. Ogni cosa era uguale a se stessa, tutto esattamente al proprio posto…tranne me.
Dal cap. 7
Mi guardò per un po’ senza parlare, poi, tenendomi le mani sui i fianchi, mi si avvicinò. Credetti che stesse per baciarmi. In realtà volevo che lo facesse, ma non accadde, si fermò a pochi centimetri dal mio viso, accostò la guancia alla mia e mi sussurrò all’orecchio. -Ho una voglia terribile di baciarti.-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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CAP 6
Aprii gli occhi nella stanza buia e tesi le braccia nell’oscurità, nel tentativo di afferrare qualcosa di impercettibile dinanzi a me, qualcosa di inconsistente, non ero in grado di spiegarmi quella sensazione…ad un tratto individuai il problema e mi portai freneticamente le mani al collo senza riuscire ad attenuare quel senso di soffocamento così terribile che mi impediva di respirare. Saltai a sedere sul letto ma non migliorava, era come se due mani invisibili mi stringessero la gola. Cominciai a contorcermi per il dolore che provavo. D’un tratto guardai in basso, constatai con orrore che la stoffa bianca del cuscino era chiazzata di macchie scure…sangue. Un terribile senso di nausea mi attanagliò lo stomaco e persi l’equilibrio, caddi, un dolore acuto alla testa, la mia vista si appannava, mentre le forze venivano a mancare.

Quando mi svegliai la luce del sole inondava la stanza ma non ero nel mio letto, non riuscii subito a comprendere dove mi trovassi, provavo un forte dolore alla testa e alla schiena ed ero distesa su una superficie dura e fredda. –Sei sveglia?- la voce preoccupata di Rose mi riscosse. Era inginocchiata di fianco a me e, con fare terrorizzato, mi scuoteva la spalla. Pensai di dover dire qualcosa, avrei voluto dire che stavo bene, che non era nulla di grave e poteva tranquillizzarsi ma riuscii solo a farfugliare un miscuglio di suoni incomprensibili. Prendendo atto del fatto che, quantomeno, mi ero svegliata, mia zia sembrò riacquistare un po’ di calma, mi aiutò ad alzarmi e a rimettermi a letto poi mi guardò e la sua espressione mutò ancora, impallidì.
-Jasper! Porta disinfettante e ovatta, per favore fa presto!- la sentii esclamare in direzione della porta.
Il fastidio alla schiena si era attenuato, ma la testa continuava a farmi male, sollevai una mano a sfiorare il punto in cui il dolore era più forte e la ritirai sporca di sangue, solo in quel momento presi coscienza di quello che era accaduto, dovevo essermi agitata a causa di quel sogno così nitido e, probabilmente, mi ero procurata quella ferita urtando contro lo spigolo del comodino, cadendo dal letto. Rose, seduta accanto a me, provò di nuovo a parlarmi-Come ti senti?-
-Io…sto…ho solo mal di testa…- riuscii a dire. Dopo qualche istante Jasper comparve sulla porta. -Che cosa è successo?- chiese, senza ottenere risposta, mentre mia zia tamponava il taglio che avevo sulla fronte con ovatta e disinfettante.
-Non è grave.- disse, dopo un attimo, sospirando di sollievo. -Vado a prepararti un’aspirina.- mi porse il batuffolo d’ovatta imbevuto e, insieme a Jasper, uscì dalla stanza.
Tornò, poco dopo, con un bicchiere pieno di liquido trasparente in una mano e un pacchetto di biscotti nell’altra. Mi porse il bicchiere e lasciò i biscotti sul comodino.
-Cosa è successo? Come hai fatto a cadere dal letto?- mi chiese, mentre bevevo.
- Mi dispiace…davvero…non so cosa mi sia preso stanotte…devo aver avuto un incubo…- risposi, sistemando il bicchiere vuoto accanto ai biscotti.
-A dire la verità non mi sembra che tu stia meglio…credevo che venire qui, cambiare un po’ aria ti avrebbe aiutata e invece…non mi pare che funzioni, anzi forse le cose stanno peggiorando. Vuoi tornare a casa? Se per te sarebbe meglio non hai che da dirlo…insomma è da quando…beh…sono molto preoccupata per te e anche per tua madre, nonostante negli ultimi anni, inutile farne un mistero, il nostro rapporto sia peggiorato siamo comunque sorelle e...ognuna avrà sempre l’altra.- mentre pronunciava queste ultime parole, potei leggere nella sua voce un particolare tipo di commozione, sapevo bene a cosa si riferiva e il pensiero che io non avrei mai più potuto dire la sua stessa frase mi ferì.
Deglutii per ricacciare indietro il nodo che mi si era formato in gola. -Non ancora. Starei peggio se tornassi a casa adesso, ne sono sicura e poi non potrei fare comunque nulla di buono…tornerò ma quando sarà il momento, quando starò meglio…se accadrà, altrimenti…non lo so. -dissi tutto quasi in uno spasmo e, senza riuscire più a contenermi, scoppiai in lacrime. Mia zia mi abbracciò -Non preoccuparti- disse, con tanta, troppa tristezza nella voce- puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi.-
Si scostò dopo qualche istante e mi guardò titubante, poi sembrò prendere coraggio -Bella non è colpa tua se Lucy è morta, devi capirlo, devi reagire altrimenti andrà sempre peggio!- disse d’un fiato.
Quelle parole mi trafissero, neanche a me stessa ero mai riuscita a confessarle, Lucy era morta e, per quanto potessi torturarmi, questo fatto non sarebbe cambiato.
-Ma certo che la colpa è mia, sarebbe stato più giusto se fosse toccato a me! Lei era solo una bambina e io l’ho uccisa!- gridai tra le lacrime.
-Era tua sorella e capisco come ti senti, ma non puoi continuare a pensare di averla uccisa, non è la verità…-
-Lo capisci?- sibilai queste parole accompagnate da una risata isterica -Nessuno può capirlo!-
Rose sospirò tristemente –Hai ragione tu, non posso capirlo, ma posso immaginarlo…Lucy non sarebbe dovuta morire, ma…-
-No basta ti prego…ti prego non posso…non ce la faccio a parlarne adesso, non riesco neanche a pensarci…-
- E va bene, d’accordo…promettimi solo che cercherai di distrarti un po’…per esempio, potresti andare all’università con Jasper qualche volta, magari non oggi certo…ti fa ancora male la ferita?-
- No, sto già meglio, non era nulla di grave, solo un graffio.- risposi, benché la mia stessa voce tremante contraddicesse quelle parole.
-Beh un semplice graffio che ti ha fatto perdere i sensi. Per oggi rimani a letto.-
-Credo di potercela fare ad alzarmi, mi sento bene.- Provai a sollevarmi, come per dare dimostrazione tangibile della mia tesi ma ricaddi subito all’indietro
-Mi dispiace ma non si discute. Tu torni a letto.-
Non potei ribattere, mi accorsi di non averne neppure la forza, così mi sdraiai di nuovo sotto le coperte.
Mia zia guardò l’orologio. -E’ davvero tardi, devo proprio andare a lavoro, in ogni caso Jasper tornerà nel pomeriggio e il tuo cellulare è sul comodino, chiamami se qualcosa non va, ok?-
-Ok-dissi, con un filo di voce, avevo la sensazione che le forze mi avessero abbandonata di nuovo e fui felice di rimanere sola.
Rose uscì, accostando la porta e, subito, senza accorgermene, mi addormentai.
Rimasi a letto, in una sorta di dormiveglia, per l’intera giornata, anche quello non fu un sonno privo di agitazione, mi svegliai nel pomeriggio e due volte nel cuore della notte, come in preda ad una febbre. Non riuscivo mai a ricordare ciò che sognavo, potevo conservare solo la sensazione di fastidio e inquietudine che gli incubi erano soliti lasciarmi addosso.
La mattina del giorno dopo mi alzai di buon ora, nonostante tutto, mi sentivo ancora stanca. Feci una doccia, indossai jeans e una maglietta rossa a collo alto ed esaminai la ferita davanti allo specchio del bagno, non era molto evidente, così provai a sistemare i capelli in modo che la nascondessero il più possibile, poi scesi in cucina. Quando Jasper entrò, parecchio tempo dopo, ero ancora seduta di fronte alla mia ciotola di latte e cereali e avevo il cucchiaio in mano. Mi scrutò per un po’, poi sorrise. –Allora come va? Meglio?-
-Si mi sento meglio.-
-Allora vieni con me stamattina? So che non sarà il massimo del divertimento, ma almeno potrebbe rivelarsi una distrazione.-
-Non credo che sia così terribile come vuoi far sembrare…ti lamenti troppo-
-Si certo, come no.-
Mi sentivo stranamente di umore migliore, rispetto ad altri giorni, tuttavia non sapevo quanto quella finta allegria sarebbe durata, avevo la sensazione che fosse molto labile e che, ben presto, avrebbe lasciato il posto alla tristezza. Arrivammo con un po’ di ritardo e seguii Jasper in aula. Eravamo seduti in fondo e mio cugino, come tutti gli altri, era intento a prendere appunti.
- Ti stai annoiando? E’ quasi ora di pranzo, forse potresti andare a mangiare qualcosa…- disse Jasper , ad un tratto, sottovoce.
-Si devo ammetterlo, hai ragione…-
-Appena esci, subito a destra c’è un ristorante, qualche volta ci sono andato anch’io, puoi andare lì se vuoi.-
-Andrò a dare un’occhiata.-
-Ok a dopo. E cerca di mangiare qualcosa stai diventando trasparente.-
-Va bene. Ci vediamo dopo.-
Mi alzai con cautela e uscii dall’aula, cercando di fare il minor rumore possibile. Attraversai il corridoio silenzioso, a quell’ora dovevano essere tutti a lezione. Perfettamente in linea con i miei continui sbalzi d’umore, sentii che il buon umore della mattina era già svanito, per lasciare il posto alla solita apatia. Uscii nel portico e, benché non avessi una reale intenzione di mangiare, seguii inconsapevolmente la strada che mio cugino mi aveva indicato. Una volta fuori, girai a destra. Notai che la solita coltre di nubi scure ricopriva il cielo, nonostante ciò, stranamente, non pioveva. Mi ritrovai di fronte il ristorante di cui mi aveva parlato Jasper e mi fermai a guardare all’interno attraverso l’ampia vetrata. Cominciava ad affollarsi. Decisi di continuare a camminare.
-Pensi di entrare?- la voce, vagamente nota, proveniva da qualcuno accanto a me. A quel punto mi accorsi del riflesso nella vetrina del locale. Riconobbi subito il ragazzo alla mia destra, e, senza sapermene spiegare il perché, la prima cosa che pensai fu che ero felice di vederlo. Portava jeans blu scuro e, sotto la giacca a vento nera, si intravedeva una felpa bianca, non sapevo quanti anni avesse, ma ne dimostrava almeno ventidue.
–Sto ancora decidendo.- risposi voltandomi.
-Sono Edward, ti ricordi? Ci siamo visti due giorni fa, al cinema…-
-Si, mi ricordo.- risposi troppo in fretta.
-Tu sei Isabella giusto?-
-Preferisco Bella.-
-Si piace di più anche a me- rispose con il suo solito sorriso sarcastico- allora ti va di entrare?-
-A dire la verità non ho molta fame…-
-Dai su fammi compagnia, in fondo mi devi un favore, io non ti ho lasciata tornare a casa a piedi.- i suoi occhi si fissarono nei miei e, sotto quest’influsso, non avrei potuto dargli una risposta negativa. Lo osservai con più attenzione, mi riscoprii a pensare che era comprensibile che Angela si fosse innamorata di lui al primo sguardo, ma un bel ragazzo era l’ultimo dei miei pensieri in quel periodo, per di più, spesso, il suo atteggiamento mi irritava. –Se la metti così, va bene.- dissi, quasi senza accorgermene. Il suo volto si illuminò, rendendomi stupidamente lieta della mia accondiscendenza. Si avviò all’entrata. –Aspetta ti va se torniamo indietro? C’è una pizzeria.- dissi, trattenendolo per la manica della giacca.
-Ok.-
Ci incamminammo e, poco dopo, vedemmo l’insegna luminosa. Era molto meno affollato del ristorante precedente. Perfetto. Prendemmo due pezzi di margherita e due bibite e ci sedemmo sugli sgabelli, di fianco ad un bancone addossato alla parete. Mi accorsi che aveva preso a osservarmi, come se stesse tendando di ricordare qualcosa. –Che c’è?-
-Mi è appena venuto in mente dove ti avevo già vista. Quando ti ho vista al cinema non riuscivo a ricordare, invece ora credo di aver capito…-
-Anche a me sembrava di averti già visto, a dire la verità…ma non ricordo proprio…-
-Mi hai letteralmente investito, per strada, qualche tempo fa. A cosa pensavi?- disse sorridendo.
-Investito?- chiesi perplessa, poi subito visualizzai la scena. Arrossii. Aveva ragione, mi tornò alla mente il suo comportamento in quell’occasione. Sembrava un’altra persona. Mi guardò e scoppiò a ridere, evidentemente si era accorto dell’improvviso cambio di tonalità del mio viso. La cosa mi innervosì.
-Devo dire che sei stato gentilissimo sin dal primo incontro.- quella frase suonò terribilmente acida. Il volto del mio interlocutore divenne, all’improvviso, serio. Mi pentii subito e cercai il modo di rimediare. –Mi dis…-
-No, scusa…davvero.- ribatté con fare dolce e triste allo stesso tempo. Rimasi in silenzio, il suo comportamento mi spiazzava. –Beh ora devo proprio andare.- continuò e, questa volta, il suo tono fu molto meno accondiscendente, prese i piatti di carta vuoti, li gettò nel cestino sotto ai nostri piedi e, senza guardarmi, si diresse alla porta, infilandosi la giacca. Presi il cappotto e cercai di raggiungerlo rapidamente, con la maggior disinvoltura possibile. Uscii dal locale subito dietro di lui. A quel punto si voltò – Allora ciao.- disse e si avviò nella direzione opposta alla mia, prima ancora che riuscissi a rispondere. Il suo comportamento non aveva nessun senso e ancora più insensato era che la cosa mi ferisse così tanto. Tornai in silenzio verso l’università in cerca di Jasper. Lo trovai, all’ingresso, intento a chiacchierare con i suoi amici, gli stessi che avevo incontrato al pub.
-Ehi! Che hai? tutto bene?- mi chiese, vedendomi arrivare.
-Si certo, tutto bene.-
-Ciao.- fecero eco, in coro, Felix e Dimitri.
-Ciao.- risposi, nel modo più cordiale possibile.
-Hai mangiato qualcosa?- continuò Jasper.
-Si.-
-Anche noi stiamo andando a mangiare, a te va di venire? Dopo abbiamo ancora un paio d’ore di corso.-
-Sai magari vado a casa…-dissi, con ostentata disinvoltura.
-Ne sei sicura?- chiese Felix.-Non devi mangiare per forza se vieni, è solo per stare in compagnia.-
-Beh magari un'altra volta…-
-D’accordo, come vuoi.- concluse Jasper.
-Bene, ciao!- dissi allontanandomi.
-Ciao.- risposero in coro.
Mi avviai alla fermata dell’autobus. Non riuscivo a non pensare a quello che era accaduto, non riuscivo a non chiedermi quali fossero i motivi che spingevano Edward a comportarsi così, a volte mi sembrava lunatico, insopportabile eppure, dovevo ammetterlo, molto spesso, la sua vicinanza mi stregava.
  
  
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