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Autore: Mary P_Stark    03/12/2012    11 recensioni
Un incubo. O una premonizione. La giovane Brianna, studentessa modello di Glasgow, si sveglia di soprassalto, nel sangue un obbligo insopprimibile. E, nel modo più impensabile, si scontra con una realtà che non avrebbe mai pensato di scoprire. Né di vivere sulla propria pelle. Per Duncan, fiero licantropo e Alfa del suo branco, avviene la stessa cosa e, dal loro incontro, si scateneranno forze che neppure loro immaginano. Il mito di Fenrir, di ancestrale memoria, tornerà per avvolgere nelle sue spire Brianna, facendole comprendere che neppure lei, contrariamente a quanto pensa, è una comune umana. PRIMA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Epilogo.




 


 

La luna piena era alta in cielo, brillante come un diamante sfaccettato. Il freddo pungente e l’umidità della notte, più che marcati.
La neve copiosa, caduta in quei giorni, rilasciava nuvole di vapore gelido, creando sul Vigrond una nebbiolina fluttuante.
Il Consiglio era stato smantellato definitivamente, lasciando che il potere tornasse nelle mani di Fenrir, come era stato fin dall’inizio dei tempi e come sarebbe stato da quel momento in avanti, nel clan di Matlock.
Il branco, vista la recente scoperta delle menzogne perpetrate dai membri Anziani dell’ormai deposto Consiglio, non aveva mosso obiezioni di alcun genere, e la mozione era passata senza colpo ferire.
Restava solo una cosa da fare.
Il potere della Luna Blu mi avrebbe permesso di sigillare le anime dei rei confessi, impedendo loro di tornare alla Madre Terra, come Fenrir aveva sentenziato.
Questo, le avrebbe intrappolate tra i viventi fino alla fine dei loro giorni.
I corpi mortali di Connor e gli altri non avrebbero avuto sorte migliore.
Le loro anime dannate avrebbero fatto perdere loro il lume della ragione, divorando la loro sanità mentale come spregio per ciò a cui erano state condannate.
Avrebbero camminato tra i mortali fino al loro ultimo respiro senza avere più padronanza di sé, più simili a vegetali che altro e, nell’intimo delle loro menti perdute, avrebbero urlato inutilmente di essere liberati dai tormenti.
Il solo pensarci mi fece rabbrividire, e non per il freddo.
Era la punizione più brutale e tremenda che un Fenrir potesse comminare, ma era infinitamente giusta, secondo la legge del branco.
Il fatto di dover essere io a metterla in pratica, però, mi fece venire le lacrime agli occhi.
Volgendo lo sguardo verso la mia Triade di Potere, i miei amici, il mio compagno, chiusi il cerchio che avevamo creato innanzi all’enorme quercia sacra del Vigrond, e decretai: “In questa notte di luna piena, tutto avrà un termine.”
“E un inizio” aggiunse Duncan, sorridendomi incoraggiante.
Annuii e, penetrando all’interno delle menti della Triade, raccolsi il loro potere per amplificarlo e unirlo a quello della quercia.
Per diretta conseguenza, la mia pelle iniziò a irradiare bagliori argentati tutt’intorno a me, tingendo la neve che ci circondava.
Gli alfa più potenti del branco – chiamati per sostenere e incrementare ulteriormente il mio potere –  sospirarono di stupore nel ritrovarsi davanti a quello spettacolo davvero singolare e, in ginocchio intorno a noi, offrirono anch’essi la loro energia per ampliarne la banda.
Quando la percepii dentro di me, pura, forte e devastante come una tempesta, eseguii quanto mi ero ripromessa di fare e cercai, nei meandri dell’inconscio, le menti di coloro che dovevano essere puniti.
Non fu difficile.
Conoscevo quegli spettri mentali e, trovarli nel mare di luci multicolori di cui era composto l’inconscio collettivo, non richiese molto tempo.
Mi spiacque scoprire che Sheoban ancora non avesse compreso di aver commesso un errore, come mi spiacque scoprire quanto ritenesse sciocca e puerile la mia scelta di lasciar vivere Marjorie.
Lei l’avrebbe sgozzata di fronte a tutti, divorandola.
Ma io non ero lei, e non mi sarei mai comportata come una folle senza senno, spinta dall’unico desiderio di dimostrare l’ampiezza del mio potere.
Ne avevo fin troppo, che mi scorreva nelle vene come fuoco, senza doverlo mostrare a chicchessia.
E forse era quello ad averla inaridita dentro. La mancanza totale di potere personale.
Una Prima Lupa non aveva doti speciali, a parte quelli già insiti in qualsiasi licantropo. Non possedeva la Voce come Fenrir, né i doni delle wiccan.
Era solo la compagna del capo, e una madre spirituale per il branco. Né più, né meno. Forse era la femmina più forte fisicamente, ma niente di più.
Questo aveva sempre ferito i sentimenti di Sheoban, fino a far inacidire la sua anima ormai perduta, al punto di desiderare ciò che non avrebbe mai dovuto essere suo.
Bloccai senza indugio la sua anima tra le mie mani metapsichiche, avvolte attorno alla luminosità fioca che si trovava all'interno della sua mente turbata, e ammisi con candore: “Mi spiace tu non sia stata capace di capire i tuoi errori.”
“Tieni per te la tua pietà, sciocca. Non avrai il tempo di goderti il tuo titolo, Prima Lupa, perché siete troppo deboli per mantenere saldo il branco, e vi divoreranno subito, distruggendo quel che io ho costruito con tanta fatica.”
Lo disse con un disprezzo tale che, istintivamente, digrignai i denti e ringhiai.
La stretta della mano di Duncan si fece più salda e io mi calmai immediatamente, tornando con la mente al mio compito, e tacitando il lupo dentro di me.
Non le avrei più permesso di interferire.
“Pensala come vuoi, e muori in solitudine e disperazione.”
Non mi rispose, sprezzante fino all’ultimo. Non potendo far altro per lei, cinsi la sua anima con il mio potere e la bloccai all’interno del suo corpo umano, sentendola gridare impazzita sotto le mie dita inconsistenti mentre le impedivo, di fatto, qualsiasi fuga da quella gabbia di carne, sangue e ossa.
La vidi perdere di intensità luminosa, quasi che le catene psichiche che le avevo imposto le impedissero di risplendere e, nell’andarmene, la sentii piangere.
Fu come se il cuore mi si spezzasse in due.
Singhiozzai, riaprendo un momento gli occhi per scrutare ansiosa Duncan ma lui, serio, mormorò: “Dobbiamo essere inflessibili, Brie. Non possiamo mostrare debolezza, in questi momenti. La punizione è stata impartita, e va eseguita.”
Annuii, trovando il sostegno della mia Triade e degli alfa presenti nel Vigrond. Nei loro occhi c’era fiducia, non timore.
Riprendendo, così, da dove avevo terminato, scivolai lentamente nell’anima di Connor, trovando odio e disperazione, ma interamente diretti verso la moglie.
Sfiorai quell’anima con dita gentili, e mormorai: “Mi sarebbe piaciuto non arrivare a questo.”
“Mi sarebbe piaciuto capire prima mia moglie e fermarla. Ma l’amore, a volte, ti rende più che cieco, ti rende sciocco.”
“Devo agire, Connor. Mi spiace.”
“Fai quel che devi, wicca. E’ tuo dovere. Sarai una buona Prima Lupa per il branco. Sai essere generosa quanto implacabile, se l’occasione lo richiede. E sono doti che un capo deve avere. Io ho cercato di sopire queste doti in Duncan, ma il tuo amore per lui le ha fatte riemergere. Sono sicuro che non fallirete.”
“Grazie” sussurrai stancamente, prima di imprigionare anche lui.
La sua anima fu più remissiva, e il suo bagliore si affievolì con lentezza, quasi che quella punizione non la cogliesse impreparata.
Nell’andarmene, lasciai che una lacrima si abbandonasse leggera sulle mie gote.
Punire i vecchi Hati, Sköll, Freki e Geri non fece che provocare in me ulteriori ferite nello spirito e, quando infine tornai in me, le lacrime che mi colavano dagli occhi erano copiose quanto le stelle alte in cielo.
Mi addossai a Duncan continuando a piangere, mentre la mia Triade di Potere si stringeva intorno a me per consolarmi, racchiudendomi in un bozzolo caldo e protettivo.
Sei Prima Lupa, Figlia della Luna, e questo era il tuo compito. L’hai solo portato a termine.
La voce della quercia mi inondò con il suo coro di arpeggi e di flauti dolci, chetando un poco le mie ansie.
Con l’animo in pezzi, singhiozzai: “E’ stato tremendo, però.”
Il tuo spirito è forte. E non è un caso che sia giunto qui, e in questo momento.
Naturalmente, la quercia non disse nulla di più esauriente – amava fare l’evasiva, a volte – così, accontentandomi di quell’appunto, mi sciolsi da quell’abbraccio collettivo gracchiando con voce roca: “Andiamo a casa.”
Duncan annuì, baciandomi sul naso mentre Jerome, controllando l’orologio, ci informò sull’approssimarsi della mezzanotte. “Siamo in tempo per il brindisi.”
“Come?” esalai confusa, sbattendo le palpebre con aria intontita.
Mi mostrò il suo orologio, sogghignando, e aggiunse: “Le undici e mezza. Se ci sbrighiamo, saremo a casa in tempo per festeggiare con i miei, Mary B e Gordon.”
Sorrisi all’idea di svagarmi un po’ – se avessi concesso a me stessa del tempo per pensare a quello che avevo appena fatto, sarei impazzita di sicuro – e annuii.
“Sì, andiamo pure” assentii con foga dopodiché, lanciando un’occhiata ai sei alfa che ci avevano aiutati in quella tragica sera, aggiunsi: “Venite con noi. Penso proprio che Sarah abbia fatto pasticcini e tortine in abbondanza per tutti.”
“Con vero piacere. Mangiare i manicaretti di Sarah è sempre un piacere” asserì Anthony –  l’alfa che mi aveva difeso prima dell’ordalia – ammiccando.
Gli altri cinque licantropi si mostrarono d’accordo con lui e Duncan, prendendomi per mano, mi propose: “A chi arriva prima?”
“Mangerai la mia polvere” gli promisi, lasciando la sua mano dopo avergliela baciata e, con un balzo, mi gettai in avanti, cominciando a correre per il bosco.
La corsa si fece sempre più frenetica, al ritmo con i nostri cuori che pompavano sangue ed energia nei muscoli tesi in quella gara improvvisata e, sotto le nostre falcate leggere, il sottobosco quasi non si accorse del nostro passaggio.
In questo, nessuna creatura da pelliccia o da piuma, poteva batterci.
Nel sorvolare letteralmente un torrentello ricoperto di candida neve, sorrisi a Duncan, che non aveva abbandonato il mio fianco fin da quando avevamo cominciato a correre.
Divertita, gli chiesi: “L’avresti detto, quando mi vedesti la prima volta in quella cantina?”
Lui rise, prima di ammettere candidamente: “Tutto avrei pensato, tranne questo. Ma di certo, ringrazio la Madre da quel giorno. Sei stata davvero un dono del Cielo, per me.”

***

Entrammo in casa senza badare troppo agli abiti gocciolanti, sporchi di fanghiglia e neve schiacciata e Sarah, storcendo il naso nel vederci così conciati, poggiò spazientita le mani sui fianchi ed esalò: “Siete diabolici, ragazzi!”
Gordon rise nello sbucare dal salotto e, vedendoci, commentò ironico: “Bel regalo di Capodanno che ti hanno lasciato, Sarah!”
“Ah, ma la pagheranno cara, credimi Gordon, la pagheranno molto cara” replicò la donna, sogghignando all’indirizzo di mio fratello.
“Prometto che puliremo tutto dopo, Sarah, ma non volevamo perderci il brindisi” le promisi ossequiosa, intrecciando le mani dinanzi al viso con espressione penitente.
Sarah mi fissò scettica, ma assentì. Sorridendole grata, le domandai curiosa: “Erika dov’è? Non la vedo”
Gordon, per assurdo, arrossì copiosamente e tornò di filata in salotto – dove una sdolcinata musica natalizia giungeva dalla televisione accesa – e Sarah, ridacchiando, indicò il piano superiore. “E’ di sopra. Valla a chiamare, prima che si perda il meglio della serata.”
“D’accordo. Corro” annuii, fiondandomi al piano superiore, facendo gli scalini a due a due.
Dopo aver bussato e aver ricevuto una risposta affermativa da parte di Erika, entrai salutandola con un ampio gesto della mano ma, nel notare quel che stava facendo, le chiesi confusa: “Beh, come mai questa mise tutta elegante?”
Erika ridacchiò allegra, non badando minimamente al mio aspetto trasandato e ben poco adatto a quella serata di festeggiamenti. “Dopo il brindisi, io e Gordon usciamo.”
Sollevai un sopracciglio con evidente sorpresa, ed esalai: “Tu… e Gordon? E… beh, e Lance? Scusa, non capisco.”
Scrollò le spalle, dicendomi con imbarazzata ironia: “Mi sono resa conto che si trattava solo di una stupida cotta. Fin da piccola, lui è sempre stato qui con noi, sempre presente a casa nostra, una presenza fissa nella mia vita, e così ho finito per credere che il mio affetto per lui fosse qualcosa di più.”
“Ma…” Ero sempre più stordita, lo ammetto.
“Beh, ho capito che stavo ingannando me stessa nel momento stesso in cui mi sono ritrovata addosso a Lance. Sai, quella volta che lo hai fatto inciampare in camera tua?” mi fece rammentare, sorridendo divertita.
“Sì, lo ricordo” annuii ridacchiando. “Ebbene?”
“Insomma, mi è piaciuto, lo ammetto” ridacchiò a sua volta prima di aggiungere: “Ma è stata una cosa così passeggera e fuggevole che ho cominciato a capire. Non mi è rimasta impressa come a te era rimasto impresso il bacio di Duncan. Non mi sentivo… ossessionata all’idea di toccarlo di nuovo, per capirci. Da lì, ho cominciato ad aprire gli occhi. Ho iniziato a guardarmi dentro con più attenzione e a guardare Lance con occhi più obiettivi, e non più velati dal mio affetto incondizionato. Quando, poi, te ne sei andata e io e Lance ci siamo coalizzati contro Duncan, ho capito ogni cosa. Gli voglio bene, e gliene vorrò sempre, ma come a mio fratello. Mi ci è voluto  un po’ per capirlo,  ma ho compreso.”
“Mi fa piacere. Ma Gordon?” domandai allora io, sempre più curiosa.
Arrossendo, Erika mormorò: “Oh, con lui sento le farfalle nello stomaco.”
“Mannare?” ironizzai, ricevendo per diretta conseguenza una sberla su un braccio.
“E piantala!” rise imbarazzata, sorridendomi. Le sue gote erano purpuree, ormai. “Davvero! E poi, abbiamo un sacco di cose in comune!”
“Di sicuro, la musica” assentii con un risolino, prima di aggiungere: “Sono contenta che tu ti trovi bene con Gordon.”
“Di sicuro, la mamma è più contenta. Sapeva della mia cotta per Lance, e mi mise in guardia sui miei reali sentimenti ma io, da brava adolescente testarda, non volli darle retta. Ora, è tutto diverso” ammise, scrollando le spalle con noncuranza.
“Credimi, mi sarei comportata alla stessa maniera. Con Leon, pensavo di aver trovato il ragazzo perfetto per me. Mi ci sono voluti un bel po’ di mesi per capire che mi ero illusa bonariamente e che, in realtà, avevo visto cose che non c’erano ma, soprattutto, che non ero pronta per un rapporto serio” le confidai, sorridendole comprensiva. “Gordon mi ha presa in giro per tutto il tempo, mentre stavo con Leon, dicendomi che uscivo con la reincarnazione di un troglodita, anche se poi non era vero. Volevamo cose... diverse.”
Erika ridacchiò nell’infilarsi le belle scarpe di velluto nero e, annuendo, ammise: “Lo so, ci si sente delle stupide, dopo. Ma credo serva, in qualche modo, no?”
“Oh, sì. Tutto serve. E’ sempre esperienza. E poi, con un tipo come Lance, chi non si lascerebbe tentare?” sorrisi divertita. “Andiamo giù? O ci daranno per disperse.”
“Sì, scendiamo. Ma prima, augurami buona fortuna” mi pregò Erika, sorridendomi con occhi scintillanti.
La baciai sulle guance stando ben attenta a non sporcarla, e sussurrai: “Qualsiasi cosa succeda, noi due saremo sempre amiche, Erika, e avrai sempre il mio affetto incondizionato.”
“Grazie. Sei la migliore amica in cui potessi sperare” sussurrò Erika, aprendo la porta. “Pronta per il nuovo anno?”
“Come potrei non esserlo più” annuii, prendendola per mano mentre dabbasso, tra risa e battute di spirito, tutti erano pronti per quel nuovo inizio.
Con un sorriso, scendemmo dalle scale con passo lesto e, una volta raggiunta la sala da pranzo, mi addossai a Duncan per  baciarlo su una guancia.
All’esterno, i fuochi d’artificio cominciarono a esplodere nel cielo terso e luminoso di stelle, mentre le campane suonavano a festa.
Stringendomi maggiormente al mio lupo, dopo aver brindato assieme alla mia famiglia, sussurrai: “Buon anno, Duncan.”
“Buon anno, principessa.”
 
 
 
 
 
 

FINE

 

________________________
N.d.A.: E questa prima avventura si è conclusa. Per il secondo racconto, ci rivedremo a febbraio/marzo, direi.
Nel frattempo, come già preannunciato, posterò l'ultimo capitolo della saga di Occhi di Lupo.
Grazie a tutti/e coloro che mi hanno seguito in questo mio mondo di licantropi e wiccan, sperando vi sia piaciuto leggerne come a me è piaciuto scriverne. ^_^

  
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