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Autore: MaxT    21/06/2007    4 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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18-A pagina nuova  
Ciao Amantha, 
innanzitutto volevo ringraziarti per la recensione al cap.17. Apprezzo la tua critica e la tengo in considerazione. 
La descizione un po' ossessiva dei movimenti e della mimica dei personaggi nel finale è un modo per evidenziare il conflitto tra ciò che sentono e ciò che dicono. Forse ho esagerato, è possibile, ma mi è sembrato un modo per evidenziare una tensione che dalle sole parole non si sarebbe capita appieno. 
Ah, ho visto che c'è stata una recensione anonima scortese nei tuoi confronti, forse da parte di qualche bambino. Ho provveduto subito a farla togliere. Anche quando hanno una falsa firma, le recensioni anomale si riconoscono subito. 
Ciao Melisanna, 
grazie anche a te per il tuo costante incoraggiamento. Spero proprio di poter leggere presto la fine della tua Terra Magica. Vediamo se verranno ancora pubblicate puntate nuove di 3 fictions diverse in due giorni, dopo tre settimane di stasi...
Ciao Fruittella 110, 
anche la tua recensione è benvenuta. Spero proprio che il lavoro continui a piacerti.
Ringrazio anche kb_master per i suoi suggerimenti.

Questo capitolo è dedicato soprattutto a delineare i caratteri delle gocce attraverso le loro riflessioni. Spero che questi personaggi vi piacciano.
Io ne sono affascinato, anche perchè mi danno molta più libertà di interpretazione delle WITCH originali.
Mi sono preso la libertà di inserire un po' di disegnini formato fototessera dei personaggi. Lo stile di disegno, soprattutto del naso, è diverso da quello del fumetto. Spero che piaccia lo stesso.
So che sarebbero stati bene dei disegni dell'appartamento, ma abbiate pazienza, sono impegnativi, vedrò di farli per le prossime puntate.
Come al solito, c' è la possibilità di discutere più in dettaglio al  http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=8397&p=3

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Di nascosto dalle WITCH, Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima .
Poco dopo, Elyon e Vera si presentano alle ragazze, rintracciate a Midgale. Assomigliano ancora alle originali, ma appaiono più belle e cresciute, sui vent'anni.
Nel povero appartamento, raccontano di essere state mantenute dalla Fondazione Astro Nascente fino a pochi mesi prima, quando sono state improvvisamente scaricate. Da allora hanno vissuto alla giornata, anche perchè sprovviste di documenti validi.
La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda.
Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian.
Vera dimostra subito di essere in grado di materializzare documenti e denaro falsi, ma perfetti. Le gocce sono entusiaste di lei, tranne Carol, che ne è gelosa e vorrebbe riprendere i contatti direttamente con Elyon. Il gruppo si prepara a trasferirsi in una nuova sede.
Più tardi, Elyon confida a Vera la sua inquietudine sulla profezia che la vede come prossimo tiranno di Meridian. Vera le consiglia di ignorare la previsione, portando ad esempio casi in cui le stesse azioni fatte per scongiurare una profezia nefasta la facevano avverare.
Elyon presenta Vera alle WITCH, ma tra di loro si crea un'antipatia immediata.
Per saperne di più, Will e Hay Lin si recano alla fondazione Astro Nascente, a Fadden Hills, per incontrare la ex guardiana Kadma che ne è alla guida.
Questa racconta che le gocce astrali, affidatele da Yan Lin, sono state scaricate in quanto hanno tenuto una condotta sconveniente durante tutto il periodo in cui sono state mantenute agli studi. 
Un tentativo di chiarimento tra Will ed Elyon si conclude con un niente di fatto, e le due preferiscono metterci una pezza sopra per non guastare i loro rapporti.

cap.18

A pagina nuova






Midgale

Jefferson Street, recita il cartello di lamiera, mentre sembra indicare, come un braccio teso, una via tranquilla e contornata da platani.
Poche automobili lente e pochi pedoni sembrano godersi un’isola di quiete; un giovanotto elegante con gli occhiali da sole ed una signora anziana conversano amabilmente davanti al cancelletto  di un piccolo condominio seminascosto da un filare di alberi.

L’impiegato distoglie gli occhi dalla signora Priest, vedendo arrivare due taxi gialli che accostano a pochi metri da lui.
Quando ne escono le passeggere, lo sguardo gli brilla dietro gli occhiali scuri.
La titolare dell’agenzia, signora Rose, non aveva esagerato: due belle bionde, di cui una altissima che avrebbe ben figurato in qualunque sfilata.
Ma anche le altre appena scese non passano inosservate.
“Secondo lei, che lavoro fanno quelle lì?”, gli sussurra la donna con diffidenza.

“Tutta gente selezionata, non si preoccupi. Mi scusi, signora, il dovere mi chiama”, mente con noncuranza l’impiegato mentre si fa incontro al gruppo.
“La signorina Portland?”, chiede porgendo la mano alla Venere altissima, che lo ricambia con un sorriso incantevole. “Io sono James Harper, dell’agenzia”.
“Carol Hair. Felice di conoscerla, James”, risponde con una lunga, calda stretta di mano.
“Ah… Allora deve essere lei la signorina Portland”. Stringe la mano all’altra. Bella figura…La signora Rose gli ha detto che è questa che tiene i cordoni della borsa.
“Piacere. Vera Portland. E queste sono…”.
Le altre ragazze si fanno avanti sorridendo.
“Irene! Come va?”.
“Benissimo. E lei?” Che tette!
“Wanda Vanderbilt”.
“Incantato”. Questa sembra Lara Croft senza la treccia.
“Therese Canteen”.
“Ciao”. Sembra minorenne. Meglio non provarci.
“Pao Chai, onorata”, dice l’asiatica abbozzando un inchino.
L’impiegato ricambia l’inchino: “L’onore è mio”. Questa sembra la Musa dei cartoni animati.
“Benvenute, ragazze. Sono James Harper. Chiamatemi pure James”.
“Grazie, signor Harper”, risponde formale Vera.
“Certo, James”, gli risponde sorridendo Irene, ma con un po’ di disappunto deve constatare che, dopo una breve permanenza all’altezza giusta, le occhiate dell’uomo vanno più in alto.
“Prego, signorine”. Apre il cancelletto, e lo tiene educatamente aperto mentre il gruppo passa e si incammina sul vialetto in mezzo al prato.
Dopo pochi passi, superato il filare di alberi, il gruppo ha la vista completa della elegante palazzina color panna.
“Cosa ve ne pare?”, chiede l’impiegato, studiandole con attenzione.
“Bella. Come nel depliant”, risponde soddisfatta quella con i soldi.
“Complimenti!”, risponde la dea, contenta ma anche lei non impressionata. Sembra avere visto di meglio.
Le altre sembrano molto più colpite. La cinese e quella di colore sembrano sul punto di abbracciarsi. La tettona dà una pacca affettuosa sulle spalle di quell’altra, che ha gli occhi umidi.
Ma da dove vengono? Sembra che abbiano raggiunto la terra promessa…
“Prego, signorine”. Riprende a camminare verso l’edificio. “Questa zona è molto … tranquilla. Tutti i vostri vicini sono persone…  selezionate e rispettabili…”.
Vera lo interrompe. “Non siamo squillo, se è questo che sta pensando, signor Harper. Siamo studentesse universitarie. Lo dica pure ai vicini rispettabili, se sono preoccupati”.
L’impiegato resta gelato.
La dea gli fa una piccola scrollata di spalle, che sembra dire: non badarci, è fatta così.

Il momento di imbarazzo è rotto da un vicino anziano che apre il portoncino dell’atrio, e saluta un po’ stupito con un cortese “Buongiorno” pieno di curiosità.
“Ecco l’atrio”. L’impiegato tiene aperto il portoncino di legno, mentre il gruppetto passa dentro il locale rivestito di marmo beige chiaro. Gli sguardi corrono sul tappetino verde, sulle cassette della posta color rame e sulle scale sulla destra che scendono verso dei locali seminterrati.
L’ascensore è già aperto. “Prego, tre di voi con i bagagli. Tornerò subito a prendere le altre”.
Appena premuto il bottone del terzo piano, le porte si richiudono dietro di lui.
Quella Portland lo guarda con espressione indefinibile. Chissà come ha fatto a capire cosa stavo pensando… questa strega! E chissà perché ora gli occhi le hanno lampeggiato di nuovo! Dev’essere un tic.

Pochi minuti dopo, tutte le ragazze sono sul pianerottolo, e si vedono occhi grandi d’attesa.
L’impiegato apre il suo borsellino. “Ecco, signorine. Sei mazzetti di chiavi, come richiesto. Ulteriori due mazzi sono disponibili in agenzia, per ogni evenienza”.
“Grazie, signor Harper”, dice quella Portland, “Credo che potremo cavarcela da sole. Sappiamo riconoscere le serrature, i rubinetti e perfino gli interruttori generali. Se avremo problemi, telefonerò all’agenzia”.
“Non c’è di che”. Fa un sorrisino rigido alle altre. “Signorine, è stato un piacere”.
Risponde con la mano ai loro salutini, mentre le porte dell’ascensore si richiudono silenziose.
STREGA!

“Abbiamo scelto bene, ragazze?”. Vera sorride alle amiche, godendosi gli sguardi di attesa, mentre gira la chiave della porta. La serratura si apre senza sforzo, e il battente, quasi obbediente, si apre silenziosamente con la spinta di un dito.
Il corridoio che si apre davanti ai loro occhi è luminoso, con le pareti candide e il pavimento di marmo beige che continua quello del pianerottolo.
“Da sogno!”. Irene si guarda in giro. Un soggiorno sulla destra, una bella cucina sulla sinistra, un corridoio con altre sei porte… “Pao, Terry, andiamo a vedere il nostro!”.

Carol fa un sorriso di assenso, ma, mentre guarda le compagne che vanno a grandi passi verso l’altro ingresso, si accorge di non provare la loro stessa emozione. Questa ragazza senza età è passata dagli ambienti più lussuosi a quelli più squallidi, e ormai niente la impressiona più.
Ha la sensazione che neanche questa sistemazione durerà a lungo.
Guarda Vera che avanza a passo deciso nel corridoio, passando in rassegna le stanze con espressione soddisfatta.
Chissà perché ha trattato così quell’Harper? Non le sembrava male, ed inoltre potrebbero avere ancora bisogno di lui.
Vera sa creare denaro e documenti, ma ha gettato alle ortiche un’occasione di rendersi facile la vita. Bastava rispondere con gentilezza, non serviva di più. In quel caso.
Guarda lontano, fuori dalla finestra, verso i palazzi alti del centro città che svettano oltre gli alberi del giardino, persa in un suo pensiero.
La seduzione è un potere da coltivare. Non solo per i doni, l’accesso ad ambienti raffinati o un buon matrimonio. Chissà quante nomine di ministri o quante alleanze sono state influenzate da un velato suggerimento notturno. Chissà quanti massacri di innocenti sono stati scongiurati dalla supplica di una regina o di una cortigiana pietosa nel letto del suo re.

Le parole di Vera interrompono i suoi pensieri. “L’agenzia ha fatto un ottimo lavoro. Tutto è esattamente come lo avevo chiesto. Io prendo la prima camera”.
“Io la seconda”, risponde Carol quasi automaticamente, sollevando la prima delle sue valigie. Dovrà svuotarla in fretta, e fare almeno un altro viaggio in taxi per riprendere il resto dei suoi vestiti prima di riconsegnare le chiavi del vecchio appartamento. Non chiederà aiuto alle sue compagne: in questo momento, si sente imbarazzata per il suo guardaroba più ricco.
Osserva Wanda, che solleva con un dito una borsa sportiva con tutti i suoi averi, si dirige verso la terza camera e si volta come per dire “Mi lasciate l’imbarazzo della scelta”.

E’ magnifico, pensa Wanda osservando la sua camera luminosa, ancora profumata di tempera bianca. Neanche nei tempi migliori…
Si siede sul letto. Il materasso è rigido al punto giusto. Chissà se le peserà dormire da sola, in un letto tutto suo?
Si inginocchia, le sue dita sfiorano il pavimento di legno. Sì, questo non va male per riprendere gli allenamenti. Negli ultimi mesi è stata molto discontinua.
Si guarda attorno, seduta per terra. Volendo, c’è spazio per qualche attrezzo ginnico… No, non esageriamo, basterà un tappetino di gommapiuma, una corda e qualche pesetto. Questa camera spaziosa non deve diventare una palestra.
Anzi, si iscriverà nuovamente a qualche vera palestra, ma non certo quella di prima. Certe cose devono cambiare.
Pensa a Vera. Certo, ha sistemato ben bene quel tipo, ma ha esagerato. Per quei quattro pensierini…  Non sa cos’è la vera mancanza di rispetto.
Però è in gamba, le piace. Ha polso, ha autorità, ed al tempo stesso dolcezza.
Vorrebbe capire di più su di lei. Non sembra uguale ad Elyon. La piccoletta è buona, simpatica… ma si intravede ancora la ragazzina insicura ed iperemotiva che ricorda dall’inizio della sua esistenza.
Vera sembra avere molto più la stoffa per fare la regina.
Apre il suo bagaglio: una semplice borsa sportiva. Pochi semplici vestiti, pochi libri che non ha mai finito di leggere.
E poi c’è quella. Bisogna trovarle un posto adatto.

Irene accarezza il piano di granito bianco e nero. Questa cucina è stupenda. Le antine in massello, il piano cottura in vetroceramica… elegante, funzionale, una cucina con i controfiocchi.
Apre le antine: dentro ci sono già pile di piatti e una batteria di pentole.
Questo sarà il mio regno.
Si vede già a sfornare una torta dorata, mentre il profumo appetitoso si diffonde nell’aria. Nella sua fantasia, sente sé stessa chiamare le amiche, che fanno immediatamente capolino alla porta  profondendo sguardi e parole di ammirazione per l’ultimo capolavoro.
“Ehi, Irene, ti sei incantata?”, la risveglia la voce di Therese.
“Eh? Ah… no, stavo pensando che io farò la cuoca per tutto il gruppo”. Si volta verso la stanza da pranzo sull’altro lato del corridoio. “Alle ore dei pasti, ci potremmo trovare tutte attorno a quel tavolone tondo, così il soggiorno dell’altro appartamento sarà libero come sala delle riunioni”.
“Buona idea”, assente Terry. Poi la sua attenzione viene attratta dalla terrazza oltre la porta-finestra che dà luce alla cucina.
Mentre l’amica esce all’aperto, Irene continua a riguardare la cucina ed a sognare.
Quanti ricordi… Ricordi di sua madre Anna che cucinava serena, sapendo che tutta la famiglia si sarebbe riunita ogni sera attorno al tavolo, avrebbe detto una preghierina a mani giunte e fatto onore al suo lavoro di casalinga. Mentre passava attorno alla tavolata per raccogliere i piatti, Anna faceva spesso una fuggevole carezza a ciascuno: stringeva la spalla del suo uomo, accarezzava la testa del suo bambino, sfiorava la guancia di Irma…
Irene si scuote con una smorfia. Che fantasie. Ci ricasco sempre. Eppure dovrei sapere che Anna non è veramente mia madre, in nessun senso.

Visto dalla terrazza, il giardino mostra una geometria che Therese non aveva notato mentre lo attraversava. Il vialetto che taglia il verde  si incrocia con un altro, curvilineo, che contorna due piazzole ovali simmetriche con al loro centro delle fontane circolari che sembrano vasche per pesci.
La sottile striscia bianca di lavato si incurva e sparisce dietro l’angolo della casa, attorno alla quale sembra girare.
Quegli edifici alti sulla destra, poco distanti, fanno parte dell’università di Midgale.
E’ un caso? Vera, poco prima, le ha presentate come studentesse universitarie…
Il loro curriculum scolastico si è arenato all’inizio delle superiori, ricorda con rimpianto. A lei sarebbe piaciuto continuare, in qualche anno sarebbe stata in grado di entrare in quell’edificio che ora le ammicca, e di farlo a testa alta.

Pao Chai arriva, estasiata, dalla porta della cucina. “Terry, vieni a vedere che camere”.
Si ferma un attimo ad osservare dalla terrazza. “Che bella vista da qui!”. Trattiene per un braccio l’amica che sta rientrando in casa. “Guarda, Terry, quelle piazzole, quelle vasche… non sembrano due grandi occhi spalancati verso il cielo?”.
Terry torna a guardare giù. “Ora che me lo fai notare, sì. Il bianco… gli iridi verdi…”.
Pao, eccitata, le indica a braccio teso: “E quei filari di alberi, se visti dall’alto, devono sembrare a folte sopracciglia verdi. Il vialetto centrale sembra la linea di un naso”.
Terry segue le indicazioni di Pao. Non ha mai capito fino a che punto la sua migliore amica sia una visionaria, o una che riesce a vedere delle verità che giacciono inosservate sotto il naso della gente.
Due ombre veloci le fanno alzare gli occhi. Quasi controsole, vede le sagome di due gabbiani che sorvolano l’edificio. “Chissà se quei due uccelli si sentono osservati dal nostro giardino?”. Conclude con un occhiolino scherzoso all’amica.
Pao riprende, ispirata: “Gli uccelli hanno una visione di una città che la maggior parte delle persone non immagina neppure. La geometria delle strade, le simmetrie degli edifici, i geroglifici dei vialetti interni, gli intarsi delle aiuole…”.
“Hai rimpianti?”, chiede Terry indulgente. “Una di noi ha chiesto all’Oracolo di diventare una super velina, un’altra una casalinga sexy, un’altra una guerriera, con bei risultati …”. Si guarda alle spalle, nessun’altra in vista. Meglio così. “E ora tu avresti voluto diventare un uccello?”.
“No, Terry. Su quelle cose avevi ragione tu. Però non esistono solo ali fatte di carne, ossa e piume. Anche il pensiero può avere le ali”.
“E’ bello a dirsi, Pao. Ma se ci siamo messe in una certa situazione, è perché certi pensieri hanno volato troppo”.
 

  Tre ore dopo…

Lo spioncino dell’appartamento ha visto migliaia di volte l’arrivo dell’ascensore: il pulsante sul muro si accende, poi un fascio di luce si allarga sul pavimento e la parete di fronte, quindi le ombre degli occupanti si allungano preannunciando la loro uscita.
Oggi è la prima volta che, dietro le borse della spesa sollevate a fatica, compare il profilo delle nuove inquiline.
“Irene”, sbuffa Vera voltandosi indietro. “Ci sei?”.
“Sì, aspetta, mi districo”. Anche lei esce con due grosse borse di plastica.
Tutte e due sono ormai alla porta dell’appartamento a sinistra, quando una delle due sporte di Irene si lacera, lasciando cadere una valanga di pacchetti, lattine e scatole che mostrano orsetti ghiotti di crostatine e folletti che rimirano estasiati un albero di mele. Un cartone di latte si schianta sul pavimento del pianerottolo, formando una pozza bianca i cui tentacoli si allargano verso tutto il resto del mondo.
Una mucca disegnata sul cartone guarda costernata il disastro.
“Noooooo!”, si dispera Irene. “Ancora pochi passi, e la avrei appoggiata!”.
“Non ci voleva!”, aggiunge Vera guardandosi le lucide scarpe nere bagnate dagli schizzi. “Ci siamo ricordate di prendere qualcosa per pulire?”.
“No, miseria... Speriamo che in casa…”. Suona il campanello.
Pao Chai viene ad aprire. “Ciao…”. Guarda stupita il pianerottolo. Per un attimo, un sorrisino si disegna sul suo viso.
Non sapranno mai la battuta che stava per fare: un’occhiata alla faccia di Irene le fa capire che sarebbe presa male.
La grande cuoca è ormai entrata nel ruolo di padrona di casa: “Pao, tu e Terry potreste andare a prendere qualcosa per pulire, invece di…”.
“Aspetta, vedo se per caso c’è qualcosa già in casa”.
“Cerco qualcosa anch’io”. Vera apre la porta del suo appartamento.
Lasciati i sacchetti nell’ingresso, si dirige svelta in lavanderia.

No, lì non trova né stracci né altro di utile.
Mentre torna nel corridoio, sente rumori dall’ultima camera.
Bussa alla porta. “Wanda, ci sei?”.
“Si………. Ci sono. Entra……..pure”.
Vera apre la porta. C’è odore di sudore.
Wanda, in canottiera, sta facendo flessioni su un solo braccio.
“Diciassette… ciao. Diciotto….”.
Vera resta per un attimo incantata a guardarla mentre si allena.  Non è impressionata tanto dalla massa muscolare, quanto dai tendini che sembrano leve d’acciaio.
“…. E venti…. Tutto bene?”. Si alza senza alcun segno visibile di affaticamento.
“Sì. Venti flessioni per braccio? Ti stai allenando per entrare nei marines?”.
L’altra la guarda in un modo strano. “Al giorno d’oggi, una ragazza deve sapersi difendere, non trovi?”.
Vera rinuncia a vedere dietro quello sguardo. Intuisce che ciò che potrebbe captarvi la lascerebbe turbata. “Certo. Beh, avrei i miei metodi. Però, complimenti! Io non riuscirei neanche ad iniziare questo esercizio”.
“Non dire così. C’è stata una prima volta anche per me. E comunque, sono fuori allenamento”.
“Davvero?”.Vera guarda le stille di sudore che corrono giù lungo la fronte e il torace dell’altra. “Immagino che adesso farai una doccia”.
“Tra un quarto d’ora”, risponde Wanda, tornando a distendersi sul pavimento in legno. “Ho ancora qualche esercizio in programma”. Bloccati i piedi sotto il tavolino,  inizia a fare esercizi di addominali con facilità che sembra innaturale. “Uno… due…”.
Vera la osserva con una punta di invidia. “Farai la Terminator come secondo lavoro?”.
L’altra risponde senza rallentare l’esercizio. “Intanto… sono ancora curiosa… di conoscere… in cosa consisterà… il primo”.
“Domattina ne parleremo, tutte assieme. Ma perché sei così impaziente?”.
Wanda si ferma. Il suo sguardo intenso mette a disagio l’altra. “Vuoi saperlo davvero? Da quando esisto, non sono quasi mai riuscita a fare quello che voglio veramente. Negli ultimi mesi, a causa dei miei… problemi di salute, non ho neppure potuto dare il contributo che avrei voluto per tirare avanti la baracca. Mi annoio. Mi sento inutile”.
Si  interrompe, pentita dello sfogo. “Scusami”. Riprende il suo esercizio di addominali.
Vera non sa che dire. “Non preoccuparti, Wanda. Vedrai. Le cose cambieranno”. E’ troppo banale?

La voce di Pao Chai dall’atrio interrompe questo momento di imbarazzo. “Vera, abbiamo già trovato uno straccio”.
“Perfetto, Pao”, rimanda. Poi fa mente locale: Wanda è qui, le altre tre sono di là… chi manca?
“Wanda, sai dov’è Carol?”.
“Sì… E’ andata… al negozio… dove lavorava… per ritirare… la sua paga”.
 

Midgale, Harriett’s Dress Shop
 
 

Mentre Carol si avvicina al negozio, il dubbio ed il rimpianto si fanno più forti di passo in passo.
Guarda l’insegna color rosso e oro, e la vetrina che lei stessa ha contribuito ad allestire.
In questi mesi, questa non è stata solo la vetrina della signora Harriett, e non ha messo in mostra solo camicette, gonne e pantaloni. E’ stata anche la sua vetrina, ed ha messo in mostra anche lei stessa.
Esita davanti alla porta. La sua porta.
E’ stato un lavoro piacevole, anche se mal pagato. Un’isola di soddisfazioni quotidiane tra la situazione disperata delle sue compagne e gli ambienti difficili in cui ha fatto del suo meglio per restare a galla.
Ricorda il piacere che le ha dato l’accorgersi delle occhiate furtive dei clienti che si fermavano a guardare la vetrina, fingendo un improbabile interesse da intenditori per i vestiti esposti.
E’ stato bello vederli entrare impacciati, impazienti che distogliesse gli occhi per rubarle delle occhiate ai raggi X, e poi riuscire a metterli a loro agio con la gentilezza e la professionalità che ha saputo dimostrare. Uomini e donne, uscendo da quel negozio, hanno già capito che lei non è solo un metro e ottantatrè di Barbie dalle lunghe gambe, ma che dietro ai suoi ipnotici occhi azzurri ci sono capacità non comuni.
Si, deve molto a questo negozio. E anche a…

Carol non ha ancora aperto la porta che già vede la proprietaria venirle incontro, lasciando davanti allo specchio una cliente.
La signora Harriett e’ una donna sui cinquant’anni, minuta ma ben proporzionata, con ancora qualche traccia della passata bellezza. Anche lei ha fatto la modella, da giovane.
Afferra la sua bella commessa per le mani, guardandola dal basso in alto. “Carol, cara! E’ vero quello che mi hai detto al telefono?”.
E’ vero?  “Signora Harriett…”.
“Ma Carol, è per i soldi? Ne vuoi di più? Lo sai che senza documenti…”. Abbassa la voce. “…non posso regolarizzare la tua assunzione”.
“Non è per questo, signora… è che alcune cose sono cambiate”. Come si fa a spiegare tutto quello che sta succedendo?
“Carol, ti prego, ripensaci! Sei qui da pochi mesi, ma si stata miracolosa per questo negozio. Tutti i clienti ti hanno apprezzata! Perché vuoi gettare alle ortiche tutto questo?”.
Già, perché?
“Ci penserò, signora”. Forse c’è ancora un appiglio…”Eventualmente, le interesserebbe anche la mia presenza a tempo parziale?”.
 

  
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