Ciao Amantha,
innanzitutto volevo ringraziarti per la recensione al cap.17. Apprezzo la tua critica e la tengo in considerazione. La descizione un po' ossessiva dei movimenti e della mimica dei personaggi nel finale è un modo per evidenziare il conflitto tra ciò che sentono e ciò che dicono. Forse ho esagerato, è possibile, ma mi è sembrato un modo per evidenziare una tensione che dalle sole parole non si sarebbe capita appieno. Ah, ho visto che c'è stata una recensione anonima scortese nei tuoi confronti, forse da parte di qualche bambino. Ho provveduto subito a farla togliere. Anche quando hanno una falsa firma, le recensioni anomale si riconoscono subito. Ciao Melisanna, grazie anche a te per il tuo costante incoraggiamento. Spero proprio di poter leggere presto la fine della tua Terra Magica. Vediamo se verranno ancora pubblicate puntate nuove di 3 fictions diverse in due giorni, dopo tre settimane di stasi... Ciao Fruittella 110, anche la tua recensione è benvenuta. Spero proprio che il lavoro continui a piacerti. Ringrazio anche kb_master per i suoi suggerimenti. Questo capitolo è dedicato soprattutto a delineare i caratteri
delle gocce attraverso le loro riflessioni. Spero che questi personaggi
vi piacciano.
|
PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Di nascosto dalle WITCH, Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima . Poco dopo, Elyon e Vera si presentano alle ragazze, rintracciate a Midgale. Assomigliano ancora alle originali, ma appaiono più belle e cresciute, sui vent'anni. Nel povero appartamento, raccontano di essere state mantenute dalla Fondazione Astro Nascente fino a pochi mesi prima, quando sono state improvvisamente scaricate. Da allora hanno vissuto alla giornata, anche perchè sprovviste di documenti validi. La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda. Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian. Vera dimostra subito di essere in grado di materializzare documenti e denaro falsi, ma perfetti. Le gocce sono entusiaste di lei, tranne Carol, che ne è gelosa e vorrebbe riprendere i contatti direttamente con Elyon. Il gruppo si prepara a trasferirsi in una nuova sede. Più tardi, Elyon confida a Vera la sua inquietudine sulla profezia che la vede come prossimo tiranno di Meridian. Vera le consiglia di ignorare la previsione, portando ad esempio casi in cui le stesse azioni fatte per scongiurare una profezia nefasta la facevano avverare. Elyon presenta Vera alle WITCH, ma tra di loro si crea un'antipatia immediata. Per saperne di più, Will e Hay Lin si recano alla fondazione Astro Nascente, a Fadden Hills, per incontrare la ex guardiana Kadma che ne è alla guida. Questa racconta che le gocce astrali, affidatele da Yan Lin, sono state scaricate in quanto hanno tenuto una condotta sconveniente durante tutto il periodo in cui sono state mantenute agli studi. Un tentativo di chiarimento tra Will ed Elyon si conclude con un niente di fatto, e le due preferiscono metterci una pezza sopra per non guastare i loro rapporti. |
cap.18
A pagina nuova
Midgale
Jefferson Street, recita il cartello di lamiera, mentre sembra
indicare, come un braccio teso, una via tranquilla e contornata da platani.
Poche automobili lente e pochi pedoni sembrano godersi un’isola di
quiete; un giovanotto elegante con gli occhiali da sole ed una signora
anziana conversano amabilmente davanti al cancelletto di un piccolo
condominio seminascosto da un filare di alberi.
L’impiegato distoglie gli occhi dalla signora Priest, vedendo arrivare
due taxi gialli che accostano a pochi metri da lui.
Quando ne escono le passeggere, lo sguardo gli brilla dietro gli occhiali
scuri.
La titolare dell’agenzia, signora Rose, non aveva esagerato: due belle
bionde, di cui una altissima che avrebbe ben figurato in qualunque sfilata.
Ma anche le altre appena scese non passano inosservate.
“Secondo lei, che lavoro fanno quelle lì?”, gli sussurra la
donna con diffidenza.
“Tutta gente selezionata, non si preoccupi. Mi scusi, signora, il dovere
mi chiama”, mente con noncuranza l’impiegato mentre si fa incontro al gruppo.
“La signorina Portland?”, chiede porgendo la mano alla Venere altissima,
che lo ricambia con un sorriso incantevole. “Io sono James Harper, dell’agenzia”.
“Carol Hair. Felice di conoscerla, James”, risponde con una lunga,
calda stretta di mano.
“Ah… Allora deve essere lei la signorina Portland”. Stringe la mano
all’altra. Bella figura…La signora Rose gli ha detto che è
questa che tiene i cordoni della borsa.
“Piacere. Vera Portland. E queste sono…”.
Le altre ragazze si fanno avanti sorridendo.
“Irene! Come va?”.
“Benissimo. E lei?” Che tette!
“Wanda Vanderbilt”.
“Incantato”. Questa sembra Lara Croft senza la treccia.
“Therese Canteen”.
“Ciao”. Sembra minorenne. Meglio non provarci.
“Pao Chai, onorata”, dice l’asiatica abbozzando un inchino.
L’impiegato ricambia l’inchino: “L’onore è mio”. Questa sembra
la Musa dei cartoni animati.
“Benvenute, ragazze. Sono James Harper. Chiamatemi pure James”.
“Grazie, signor Harper”, risponde formale Vera.
“Certo, James”, gli risponde sorridendo Irene, ma con un po’ di disappunto
deve constatare che, dopo una breve permanenza all’altezza giusta, le occhiate
dell’uomo vanno più in alto.
“Prego, signorine”. Apre il cancelletto, e lo tiene educatamente aperto
mentre il gruppo passa e si incammina sul vialetto in mezzo al prato.
Dopo pochi passi, superato il filare di alberi, il gruppo ha la vista
completa della elegante palazzina color panna.
“Cosa ve ne pare?”, chiede l’impiegato, studiandole con attenzione.
“Bella. Come nel depliant”, risponde soddisfatta quella con i soldi.
“Complimenti!”, risponde la dea, contenta ma anche lei non impressionata.
Sembra avere visto di meglio.
Le altre sembrano molto più colpite. La cinese e quella di colore
sembrano sul punto di abbracciarsi. La tettona dà una pacca affettuosa
sulle spalle di quell’altra, che ha gli occhi umidi.
Ma da dove vengono? Sembra che abbiano raggiunto la terra promessa…
“Prego, signorine”. Riprende a camminare verso l’edificio. “Questa
zona è molto … tranquilla. Tutti i vostri vicini sono persone…
selezionate e rispettabili…”.
Vera lo interrompe. “Non siamo squillo, se è questo che sta
pensando, signor Harper. Siamo studentesse universitarie. Lo dica pure
ai vicini rispettabili, se sono preoccupati”.
L’impiegato resta gelato.
La dea gli fa una piccola scrollata di spalle, che sembra dire: non
badarci, è fatta così.
Il momento di imbarazzo è rotto da un vicino anziano che apre
il portoncino dell’atrio, e saluta un po’ stupito con un cortese “Buongiorno”
pieno di curiosità.
“Ecco l’atrio”. L’impiegato tiene aperto il portoncino di legno, mentre
il gruppetto passa dentro il locale rivestito di marmo beige chiaro. Gli
sguardi corrono sul tappetino verde, sulle cassette della posta color rame
e sulle scale sulla destra che scendono verso dei locali seminterrati.
L’ascensore è già aperto. “Prego, tre di voi con i bagagli.
Tornerò subito a prendere le altre”.
Appena premuto il bottone del terzo piano, le porte si richiudono dietro
di lui.
Quella Portland lo guarda con espressione indefinibile. Chissà
come ha fatto a capire cosa stavo pensando… questa strega! E chissà
perché ora gli occhi le hanno lampeggiato di nuovo! Dev’essere un
tic.
Pochi minuti dopo, tutte le ragazze sono sul pianerottolo, e si vedono
occhi grandi d’attesa.
L’impiegato apre il suo borsellino. “Ecco, signorine. Sei mazzetti
di chiavi, come richiesto. Ulteriori due mazzi sono disponibili in agenzia,
per ogni evenienza”.
“Grazie, signor Harper”, dice quella Portland, “Credo che potremo cavarcela
da sole. Sappiamo riconoscere le serrature, i rubinetti e perfino gli interruttori
generali. Se avremo problemi, telefonerò all’agenzia”.
“Non c’è di che”. Fa un sorrisino rigido alle altre. “Signorine,
è stato un piacere”.
Risponde con la mano ai loro salutini, mentre le porte dell’ascensore
si richiudono silenziose.
STREGA!
“Abbiamo scelto bene, ragazze?”. Vera sorride alle amiche, godendosi
gli sguardi di attesa, mentre gira la chiave della porta. La serratura
si apre senza sforzo, e il battente, quasi obbediente, si apre silenziosamente
con la spinta di un dito.
Il corridoio che si apre davanti ai loro occhi è luminoso, con
le pareti candide e il pavimento di marmo beige che continua quello del
pianerottolo.
“Da sogno!”. Irene si guarda in giro. Un soggiorno sulla destra, una
bella cucina sulla sinistra, un corridoio con altre sei porte… “Pao, Terry,
andiamo a vedere il nostro!”.
Carol fa un sorriso di assenso, ma, mentre guarda le compagne che vanno
a grandi passi verso l’altro ingresso, si accorge di non provare la loro
stessa emozione. Questa ragazza senza età è passata dagli
ambienti più lussuosi a quelli più squallidi, e ormai niente
la impressiona più.
Ha la sensazione che neanche questa sistemazione durerà a lungo.
Guarda Vera che avanza a passo deciso nel corridoio, passando in rassegna
le stanze con espressione soddisfatta.
Chissà perché ha trattato così quell’Harper? Non
le sembrava male, ed inoltre potrebbero avere ancora bisogno di lui.
Vera sa creare denaro e documenti, ma ha gettato alle ortiche un’occasione
di rendersi facile la vita. Bastava rispondere con gentilezza, non serviva
di più. In quel caso.
Guarda lontano, fuori dalla finestra, verso i palazzi alti del centro
città che svettano oltre gli alberi del giardino, persa in un suo
pensiero.
La seduzione è un potere da coltivare. Non solo per i doni,
l’accesso ad ambienti raffinati o un buon matrimonio. Chissà quante
nomine di ministri o quante alleanze sono state influenzate da un velato
suggerimento notturno. Chissà quanti massacri di innocenti sono
stati scongiurati dalla supplica di una regina o di una cortigiana pietosa
nel letto del suo re.
Le parole di Vera interrompono i suoi pensieri. “L’agenzia ha fatto
un ottimo lavoro. Tutto è esattamente come lo avevo chiesto. Io
prendo la prima camera”.
“Io la seconda”, risponde Carol quasi automaticamente, sollevando la
prima delle sue valigie. Dovrà svuotarla in fretta, e fare almeno
un altro viaggio in taxi per riprendere il resto dei suoi vestiti prima
di riconsegnare le chiavi del vecchio appartamento. Non chiederà
aiuto alle sue compagne: in questo momento, si sente imbarazzata per il
suo guardaroba più ricco.
Osserva Wanda, che solleva con un dito una borsa sportiva con tutti
i suoi averi, si dirige verso la terza camera e si volta come per dire
“Mi lasciate l’imbarazzo della scelta”.
E’ magnifico, pensa Wanda osservando la sua camera luminosa,
ancora profumata di tempera bianca. Neanche nei tempi migliori…
Si siede sul letto. Il materasso è rigido al punto giusto. Chissà
se le peserà dormire da sola, in un letto tutto suo?
Si inginocchia, le sue dita sfiorano il pavimento di legno. Sì,
questo non va male per riprendere gli allenamenti. Negli ultimi mesi
è stata molto discontinua.
Si guarda attorno, seduta per terra. Volendo, c’è spazio per
qualche attrezzo ginnico… No, non esageriamo, basterà un tappetino
di gommapiuma, una corda e qualche pesetto. Questa camera spaziosa non
deve diventare una palestra.
Anzi, si iscriverà nuovamente a qualche vera palestra, ma non
certo quella di prima. Certe cose devono cambiare.
Pensa a Vera. Certo, ha sistemato ben bene quel tipo, ma ha esagerato.
Per
quei quattro pensierini… Non sa cos’è la vera mancanza di
rispetto.
Però è in gamba, le piace. Ha polso, ha autorità,
ed al tempo stesso dolcezza.
Vorrebbe capire di più su di lei. Non sembra uguale ad Elyon.
La piccoletta è buona, simpatica… ma si intravede ancora la ragazzina
insicura ed iperemotiva che ricorda dall’inizio della sua esistenza.
Vera sembra avere molto più la stoffa per fare la regina.
Apre il suo bagaglio: una semplice borsa sportiva. Pochi semplici vestiti,
pochi libri che non ha mai finito di leggere.
E poi c’è quella. Bisogna trovarle un posto adatto.
Irene accarezza il piano di granito bianco e nero. Questa cucina
è stupenda. Le antine in massello, il piano cottura in vetroceramica…
elegante, funzionale, una cucina con i controfiocchi.
Apre le antine: dentro ci sono già pile di piatti e una batteria
di pentole.
Questo sarà il mio regno.
Si vede già a sfornare una torta dorata, mentre il profumo appetitoso
si diffonde nell’aria. Nella sua fantasia, sente sé stessa chiamare
le amiche, che fanno immediatamente capolino alla porta profondendo
sguardi e parole di ammirazione per l’ultimo capolavoro.
“Ehi, Irene, ti sei incantata?”, la risveglia la voce di Therese.
“Eh? Ah… no, stavo pensando che io farò la cuoca per tutto il
gruppo”. Si volta verso la stanza da pranzo sull’altro lato del corridoio.
“Alle ore dei pasti, ci potremmo trovare tutte attorno a quel tavolone
tondo, così il soggiorno dell’altro appartamento sarà libero
come sala delle riunioni”.
“Buona idea”, assente Terry. Poi la sua attenzione viene attratta dalla
terrazza oltre la porta-finestra che dà luce alla cucina.
Mentre l’amica esce all’aperto, Irene continua a riguardare la cucina
ed a sognare.
Quanti ricordi… Ricordi di sua madre Anna che cucinava serena, sapendo
che tutta la famiglia si sarebbe riunita ogni sera attorno al tavolo, avrebbe
detto una preghierina a mani giunte e fatto onore al suo lavoro di casalinga.
Mentre passava attorno alla tavolata per raccogliere i piatti, Anna faceva
spesso una fuggevole carezza a ciascuno: stringeva la spalla del suo uomo,
accarezzava la testa del suo bambino, sfiorava la guancia di Irma…
Irene si scuote con una smorfia. Che fantasie. Ci ricasco sempre.
Eppure dovrei sapere che Anna non è veramente mia madre, in nessun
senso.
Visto dalla terrazza, il giardino mostra una geometria che Therese non
aveva notato mentre lo attraversava. Il vialetto che taglia il verde
si incrocia con un altro, curvilineo, che contorna due piazzole ovali simmetriche
con al loro centro delle fontane circolari che sembrano vasche per pesci.
La sottile striscia bianca di lavato si incurva e sparisce dietro l’angolo
della casa, attorno alla quale sembra girare.
Quegli edifici alti sulla destra, poco distanti, fanno parte dell’università
di Midgale.
E’ un caso? Vera, poco prima, le ha presentate come studentesse universitarie…
Il loro curriculum scolastico si è arenato all’inizio delle
superiori, ricorda con rimpianto. A lei sarebbe piaciuto continuare, in
qualche anno sarebbe stata in grado di entrare in quell’edificio che ora
le ammicca, e di farlo a testa alta.
Pao Chai arriva, estasiata, dalla porta della cucina. “Terry, vieni
a vedere che camere”.
Si ferma un attimo ad osservare dalla terrazza. “Che bella vista da
qui!”. Trattiene per un braccio l’amica che sta rientrando in casa. “Guarda,
Terry, quelle piazzole, quelle vasche… non sembrano due grandi occhi spalancati
verso il cielo?”.
Terry torna a guardare giù. “Ora che me lo fai notare, sì.
Il bianco… gli iridi verdi…”.
Pao, eccitata, le indica a braccio teso: “E quei filari di alberi,
se visti dall’alto, devono sembrare a folte sopracciglia verdi. Il vialetto
centrale sembra la linea di un naso”.
Terry segue le indicazioni di Pao. Non ha mai capito fino a che punto
la sua migliore amica sia una visionaria, o una che riesce a vedere delle
verità che giacciono inosservate sotto il naso della gente.
Due ombre veloci le fanno alzare gli occhi. Quasi controsole, vede
le sagome di due gabbiani che sorvolano l’edificio. “Chissà se quei
due uccelli si sentono osservati dal nostro giardino?”. Conclude con un
occhiolino scherzoso all’amica.
Pao riprende, ispirata: “Gli uccelli hanno una visione di una città
che la maggior parte delle persone non immagina neppure. La geometria delle
strade, le simmetrie degli edifici, i geroglifici dei vialetti interni,
gli intarsi delle aiuole…”.
“Hai rimpianti?”, chiede Terry indulgente. “Una di noi ha chiesto all’Oracolo
di diventare una super velina, un’altra una casalinga sexy, un’altra una
guerriera, con bei risultati …”. Si guarda alle spalle, nessun’altra in
vista. Meglio così. “E ora tu avresti voluto diventare un uccello?”.
“No, Terry. Su quelle cose avevi ragione tu. Però non esistono
solo ali fatte di carne, ossa e piume. Anche il pensiero può avere
le ali”.
“E’ bello a dirsi, Pao. Ma se ci siamo messe in una certa situazione,
è perché certi pensieri hanno volato troppo”.
Tre ore dopo…
Lo spioncino dell’appartamento ha visto migliaia di volte l’arrivo dell’ascensore:
il pulsante sul muro si accende, poi un fascio di luce si allarga sul pavimento
e la parete di fronte, quindi le ombre degli occupanti si allungano preannunciando
la loro uscita.
Oggi è la prima volta che, dietro le borse della spesa sollevate
a fatica, compare il profilo delle nuove inquiline.
“Irene”, sbuffa Vera voltandosi indietro. “Ci sei?”.
“Sì, aspetta, mi districo”. Anche lei esce con due grosse borse
di plastica.
Tutte e due sono ormai alla porta dell’appartamento a sinistra, quando
una delle due sporte di Irene si lacera, lasciando cadere una valanga di
pacchetti, lattine e scatole che mostrano orsetti ghiotti di crostatine
e folletti che rimirano estasiati un albero di mele. Un cartone di latte
si schianta sul pavimento del pianerottolo, formando una pozza bianca i
cui tentacoli si allargano verso tutto il resto del mondo.
Una mucca disegnata sul cartone guarda costernata il disastro.
“Noooooo!”, si dispera Irene. “Ancora pochi passi, e la avrei appoggiata!”.
“Non ci voleva!”, aggiunge Vera guardandosi le lucide scarpe nere bagnate
dagli schizzi. “Ci siamo ricordate di prendere qualcosa per pulire?”.
“No, miseria... Speriamo che in casa…”. Suona il campanello.
Pao Chai viene ad aprire. “Ciao…”. Guarda stupita il pianerottolo.
Per un attimo, un sorrisino si disegna sul suo viso.
Non sapranno mai la battuta che stava per fare: un’occhiata alla faccia
di Irene le fa capire che sarebbe presa male.
La grande cuoca è ormai entrata nel ruolo di padrona di casa:
“Pao, tu e Terry potreste andare a prendere qualcosa per pulire, invece
di…”.
“Aspetta, vedo se per caso c’è qualcosa già in casa”.
“Cerco qualcosa anch’io”. Vera apre la porta del suo appartamento.
Lasciati i sacchetti nell’ingresso, si dirige svelta in lavanderia.
No, lì non trova né stracci né altro di utile.
Mentre torna nel corridoio, sente rumori dall’ultima camera.
Bussa alla porta. “Wanda, ci sei?”.
“Si………. Ci sono. Entra……..pure”.
Vera apre la porta. C’è odore di sudore.
Wanda, in canottiera, sta facendo flessioni su un solo braccio.
“Diciassette… ciao. Diciotto….”.
Vera resta per un attimo incantata a guardarla mentre si allena.
Non è impressionata tanto dalla massa muscolare, quanto dai tendini
che sembrano leve d’acciaio.
“…. E venti…. Tutto bene?”. Si alza senza alcun segno visibile di affaticamento.
“Sì. Venti flessioni per braccio? Ti stai allenando per entrare
nei marines?”.
L’altra la guarda in un modo strano. “Al giorno d’oggi, una ragazza
deve sapersi difendere, non trovi?”.
Vera rinuncia a vedere dietro quello sguardo. Intuisce che ciò
che potrebbe captarvi la lascerebbe turbata. “Certo. Beh, avrei i miei
metodi. Però, complimenti! Io non riuscirei neanche ad iniziare
questo esercizio”.
“Non dire così. C’è stata una prima volta anche per me.
E comunque, sono fuori allenamento”.
“Davvero?”.Vera guarda le stille di sudore che corrono giù lungo
la fronte e il torace dell’altra. “Immagino che adesso farai una doccia”.
“Tra un quarto d’ora”, risponde Wanda, tornando a distendersi sul pavimento
in legno. “Ho ancora qualche esercizio in programma”. Bloccati i piedi
sotto il tavolino, inizia a fare esercizi di addominali con facilità
che sembra innaturale. “Uno… due…”.
Vera la osserva con una punta di invidia. “Farai la Terminator come
secondo lavoro?”.
L’altra risponde senza rallentare l’esercizio. “Intanto… sono ancora
curiosa… di conoscere… in cosa consisterà… il primo”.
“Domattina ne parleremo, tutte assieme. Ma perché sei così
impaziente?”.
Wanda si ferma. Il suo sguardo intenso mette a disagio l’altra. “Vuoi
saperlo davvero? Da quando esisto, non sono quasi mai riuscita a fare quello
che voglio veramente. Negli ultimi mesi, a causa dei miei… problemi di
salute, non ho neppure potuto dare il contributo che avrei voluto per tirare
avanti la baracca. Mi annoio. Mi sento inutile”.
Si interrompe, pentita dello sfogo. “Scusami”. Riprende il suo
esercizio di addominali.
Vera non sa che dire. “Non preoccuparti, Wanda. Vedrai. Le cose cambieranno”.
E’
troppo banale?
La voce di Pao Chai dall’atrio interrompe questo momento di imbarazzo.
“Vera, abbiamo già trovato uno straccio”.
“Perfetto, Pao”, rimanda. Poi fa mente locale: Wanda è qui,
le altre tre sono di là… chi manca?
“Wanda, sai dov’è Carol?”.
“Sì… E’ andata… al negozio… dove lavorava… per ritirare… la
sua paga”.
Midgale, Harriett’s Dress Shop
Mentre Carol si avvicina al negozio, il dubbio ed il rimpianto si fanno
più forti di passo in passo.
Guarda l’insegna color rosso e oro, e la vetrina che lei stessa ha contribuito ad allestire. In questi mesi, questa non è stata solo la vetrina della signora Harriett, e non ha messo in mostra solo camicette, gonne e pantaloni. E’ stata anche la sua vetrina, ed ha messo in mostra anche lei stessa. Esita davanti alla porta. La sua porta. E’ stato un lavoro piacevole, anche se mal pagato. Un’isola di soddisfazioni quotidiane tra la situazione disperata delle sue compagne e gli ambienti difficili in cui ha fatto del suo meglio per restare a galla. Ricorda il piacere che le ha dato l’accorgersi delle occhiate furtive dei clienti che si fermavano a guardare la vetrina, fingendo un improbabile interesse da intenditori per i vestiti esposti. E’ stato bello vederli entrare impacciati, impazienti che distogliesse gli occhi per rubarle delle occhiate ai raggi X, e poi riuscire a metterli a loro agio con la gentilezza e la professionalità che ha saputo dimostrare. Uomini e donne, uscendo da quel negozio, hanno già capito che lei non è solo un metro e ottantatrè di Barbie dalle lunghe gambe, ma che dietro ai suoi ipnotici occhi azzurri ci sono capacità non comuni. Si, deve molto a questo negozio. E anche a… |
Carol non ha ancora aperto la porta che già vede la proprietaria
venirle incontro, lasciando davanti allo specchio una cliente.
La signora Harriett e’ una donna sui cinquant’anni, minuta ma ben proporzionata,
con ancora qualche traccia della passata bellezza. Anche lei ha fatto la
modella, da giovane.
Afferra la sua bella commessa per le mani, guardandola dal basso in
alto. “Carol, cara! E’ vero quello che mi hai detto al telefono?”.
E’ vero? “Signora Harriett…”.
“Ma Carol, è per i soldi? Ne vuoi di più? Lo sai che
senza documenti…”. Abbassa la voce. “…non posso regolarizzare la tua assunzione”.
“Non è per questo, signora… è che alcune cose sono cambiate”.
Come si fa a spiegare tutto quello che sta succedendo?
“Carol, ti prego, ripensaci! Sei qui da pochi mesi, ma si stata miracolosa
per questo negozio. Tutti i clienti ti hanno apprezzata! Perché
vuoi gettare alle ortiche tutto questo?”.
Già, perché?
“Ci penserò, signora”. Forse c’è ancora un appiglio…”Eventualmente,
le interesserebbe anche la mia presenza a tempo parziale?”.