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Autore: Bloody_Rose3    03/12/2012    2 recensioni
E se il sorteggio di Prim non fosse stato un caso? Se a tutto questo ci fosse dietro un piano, cominciato sin dall'inizio? Una sorta di vendetta tardiva da parte di Capitol City. Perché Capitol City non perdona, le colpe e i debiti di una persona pesano perfino sui figli. Verity Ember, Distretto 4, si rifiuta di sottostare alla politica dispotica di Capitol City. Durante una rivolta, viene portata via da Logan, qualcuno che perderà la vita per tante altre, per portare giustizia. E Verity odia sentirsi in debito, ma con Logan ormai morto, come può sdebitarsi? Non resta che provare a sconfiggere il presidente.
Ecco a voi i Giorni Bui.
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Il percorso"

Le onde si infrangevano sugli scogli, meno impetuose di stamattina. Avrei dato qualsiasi cosa per essere perseverante quanto un'onda. Stringevo le ginocchia al petto, a godermi il tenue calore del crepuscolo, un arancione rosato sull'orizzonte. Sedevo sullo scoglio più lontano rispetto alla terraferma, ma abbastanza vicino da poter vedere i pescatori o i bagnanti sulla spiaggia. Volsi il capo oltre la spalla, imprecando contro il vento che mi scompigliava i capelli: vidi una sagoma familiare, il corpo scolpito e dorato di Chuck si preparava a tuffarsi in acqua. Anche da quella distanza, riuscii a udire le esclamazioni di ammirazione dei suoi amici. Era il migliore nel nuoto, in verità lo era in tutto, avrebbe potuto superarmi in qualsiasi cosa, se avesse voluto. Invece si limitò ad eccellere solamente in matematica. Era anche il più bello del Distretto o, perlomeno, non vidi mai nessuno più avvenente di Chuck. Per molto tempo mi restò indifferente, all'inizio lo odiavo pure, quando avevo circa sei anni; a dodici si fece più sopportabile, quando perdemmo entrambi i nostri genitori durante l'attacco. Ma almeno lui aveva ancora la sua sorella maggiore, Sue, una ragazza dal volto mezzo ustionato. Era una dea, prima che le fiamme le rovinassero la vita. Capitol City avrebbe potuto restituirle il suo viso, ma ormai la guerra civile era cominciata e Capitol City ci voltò le spalle. Trovò comunque un uomo da amare e che a sua volta l'amava con il medesimo zelo. A quindici anni rischiai di annegare. Mi si era incastrato il piede tra due massi durante la mia solita caccia alle conchiglie. Pensai che non ci fosse morte peggiore, vedevo il sole risplendere al di sopra dello specchio d'acqua che separava me ed il cielo. Cominciarono a bruciarmi i polmoni, la gola, ebbi la sensazione che potessi scoppiare. Dimenandomi, mi slegai la caviglia e decisi di abbandonarmi al mare. Perlomeno, sarei morta nel luogo che più amavo. Quando ripresi conoscenza, era tutto di un rosso infuocato. Ero in uno stato semi-incosciente, non riuscivo ad aprire le palpebre. Sentivo soltanto una voce, delle mani mi scrollavano le spalle, e ad un certo punto premettero sul mio petto. Rianimazione, l'unica parola che mi venne in mente. Le mani smisero di spingere e percepii le mie labbra aprirsi al loro comando, le narici mi furono serrate. L'aria spense l'incendio che avevo in gola e nei polmoni. «Verity! Torna da me!» è Chuck. «Ti scongiuro non... non mi abbandonare». Sapevo che non era un bacio, ma il contatto fu tale che, dopo aver riaperto gli occhi e incontrato i suoi, capii di essere... fottuta.

E a sedici anni me ne stavo lì, sulla scogliera ad aspettarlo. Si arrampicò e mi raggiunse, scuotendo i capelli inzuppati.

«Ehi, non mi bagnare!» esclamai, tornando a guardare il tramonto. Sarebbe stata un'occasione molto romantica, se lui l'avesse voluto. I suoi genitori venivano dal 12: Chuck possedeva i caratteristici occhi grigi da Giacimento ed i capelli scuri come la pece. Aveva quell'aria enigmatica e brillante che lo rendeva irresistibile agli occhi di chiunque. Perché ero stata così cieca fino a quell'incidente?

«Stai sempre qui... non mi cerchi mai» borbottò, sedendosi accanto a me. Smisi di far dondolare le gambe, talmente me le sentivo molli. La sua vicinanza mi procurava sempre una serie di reazioni, tra cui: farfalle allo stomaco, battito accelerato, vertigini...

«Non so mai quando farlo. Sembri sempre così... impegnato» ripensai alle ragazze con cui stava a braccetto, a scuola. Ogni giorno ne aveva sempre di nuove tra le braccia. Eppure, pur conoscendomi da tanto tempo, non osò mai sfiorarmi come faceva con le altre. Mi rivolse un sorriso sghembo, poi giocherellò con la conchiglia che pendeva sul suo collo e si fece serio. Mi trafisse col suo sguardo di ghiaccio. «Verity... me ne vado». Inutile farneticare per prendere tempo, non intendeva tornarsene nella nostra baracca, quel che voleva dire era... abbandonarmi.

«Perché?! Dove? E Sue! Non puoi lasciarla».

Le sue labbra si piegarono in una smorfia amara, i suoi occhi seguirono la danza frenetica dei gabbiani in controluce. «Mi odierai, V.»

«No, sai che non lo farei m...» la mia voce si spezzò quando mi resi conto di quel che stavo dicendo. Avvampai di imbarazzo e Chuck si alzò in piedi, pronto a dirmi addio una volta per tutte. La sua ombra mi riparò dalla fioca luce rimasta, i suoi capelli riflettevano il rosso del tramonto pur essendo neri onice.

«Verity... Vado nel 2» ci fu una lunga pausa dove lui cercò in tutto e per tutto di evitare il mio sguardo tradito. «Sarò un Pacificatore».

* * *

Lo odiai a prima vista da bambina, lo amai, e lo odio. Di nuovo. Forse avrei dovuto capirlo che non c'era posto per l'amore tra noi due. Chuck è lì, di fronte a me, statuario più di prima. Un Adone. Ma non mi incanta, non più. Avverto una fitta al cuore ed il mio stomaco brontola a causa dell'ansia che la sua vista mi procura. Ha dei compagni con sé? Probabile. Ma oltre il buio c'è solo silenzio, una quiete che grava sui nostri animi dapprima stanchi eppure vivaci. Ora c'è solo uno stato di allerta, chiunque possiede un'arma ha deciso di usarla contro Chuck. Una parte di me vorrebbe difenderlo, ma la razionalità prevale. Al cuore non si comanda, è vero, ma col tempo si impara a sopportare i capricci del cuore e ad assecondare l'unica cosa che può servire alla propria sopravvivenza: la ragione.

«Sono da solo, giuro» esordisce, scrutando la folla, tranne me. Il suo sguardo ricade sui suoi stivali prima che possa incrociare il mio.

«Sì, come no» sibila Chace, il grilletto in tensione. «Perfetto», sbotta, allo spuntare improvviso di quattro o cinque torce dall'altra parte della caverna, ma non capisco se sia sollevato o sarcastico. Cerco di capire se sono Pacificatori o meno: in tal caso, ognuno di loro avrebbe una fonte di luce e si sentirebbero i passi pesanti degli stivali, parlerebbero con meno vivacità, oppure non fiaterebbero nemmeno, ma conoscendo la mentalità di Capitol City, potrebbero anche fingere di essere gli altri due nuclei per poi ucciderci tutti. Kara cinge le spalle a Donna e la porta via con sé, indietro, lontano da tutto ciò che potrebbe turbare la sua ormai instabile mente. Nate posa una mano sulla canna del fucile di Chace e scuote la testa. «Andrew! Nick!»

«Ehilà, Nate!» la voce di un uomo rimbomba da lontano. «Non mi fido finché non li identificate. Col sangue» mormoro a Chace, il quale annuisce in segno di assenso: «Sì, abbiamo un campione del loro DNA e viceversa, abbiamo previsto tutto, visto?» dice, fiero di essersi portato dietro una valigetta che contiene tutti i nostri dati. Nate punta la torcia all'interno mentre Chace preleva uno strumento che dice di aver rubato direttamente da Capitol City, lo stesso che Nate ha utilizzato con noi. Sterilizza il corto e sottilissimo ago e si fa avanti. Ormai i due gruppi ci hanno raggiunti.

«Andrew, dammi la mano» brontola Chace bruscamente.

«Perché?!», i suoi occhi corrono verso il Pacificatore e riflettono il mio stesso sguardo tradito, quello di due anni fa, quando Chuck decise di andare nel 2, e quello che credo di avere adesso.

«Fallo e basta» sbotta, rivolgendo un'occhiata torva a Chuck che se ne sta immobile. Tanto non ha via di scampo, è circondato.

«Andiamo! Pensate che noi... ?»

«Mi dispiace, ma è per sentirci più sicuri».

«Potrei pensare la stessa cosa di voi». Ribatte Andrew in tono accusatorio.

«Allora io e Nate ci faremo esaminare, contenti?»

«Sì, ma prima voi».

Chace sospira e si punge l'indice. Il minuscolo schermo si illumina di verde e mostra nome, foto e distretto di Chace. Sterilizza nuovamente l'ago e punge Nate, il quale torna subito a ispezionare Chuck. Anche per Nate l'apparecchio dà un segnale positivo. Chace compie lo stesso processo per Andrew e Nick, e quando lo schermo si fa verde anche per loro, ci lasciamo tutti andare in un sospiro di sollievo. Decidiamo di appendere le lanterne sulle pareti e la luce si diffonde immediatamente, a parte il centro che viene rimediato con una lampada elettrica. Potrebbero starci altre duecento persone, ma per ora siamo circa cinquecento. Il gruppo di Chace è davvero microscopico in confronto agli altri due. Andrew, Nick e Chace tirano fuori due sacchi neri che contengono la nostra cena. Non possiamo accendere il fuoco poiché potrebbero esserci dei gas capaci di far esplodere tutto. Nate ne dubita, ma siamo cauti. Chuck è stato legato e giace in una cavità della parete a una decina di metri da me. Io sono sola, come al solito. I ragazzi servono un sandwich ed una bottiglia di acqua poi, per chi vuole, c'è della frutta.

«Te ne stai sempre in disparte» constata Nate, consegnandomi l'ultimo sandwich insieme alla bottiglia. Lascio il cibo sulle mie gambe incrociate e aspetto che se ne vada: non mi piace mangiare in presenza di altre persone. Fisso il tramezzino avvolto nella carta da cucina e attendo, ma lui non se ne va, sento il peso dei suoi occhi su di me. Alla fine cedo e gli chiedo cosa vuole con meno cortesia di quanto desiderassi. Indica il Pacificatore alle sue spalle con il pollice. «Il ragazzo... si chiama Chuck?» vero? Soggiungono i suoi occhi. Lo sa, gliel'ha detto lui. Ma Chuck potrebbe essere anche un bugiardo, ed una mezza verità non è del tutto una menzogna. «Non lo so» rispondo, riuscendo a sostenere il suo sguardo. Com'è possibile che dopo averlo amato riesca addirittura a rinnegarlo? Il senso di colpa comincia ad annidarsi dentro di me, ma è lui ad aver tradito tutti quanti, non io, ripeto a me stessa. Che non si aspetti il mio appoggio.

«Mi è sembrato piuttosto convincente» incalza Nate. Dà un morso al suo sandwich senza staccare gli occhi dai miei. Le sue iridi sono di un profondo cobalto, e aspettano che io dica finalmente la verità. «Non ti accadrà nulla, voglio solo il vero».

«Non lo conosco!» Nate non insiste ulteriormente, si alza e finisce la sua cena girovagando per la caverna e adocchiando qualche giovane donna. Ragazze più o meno della mia età che riescono a trovare il divertimento o la speranza di poter trovare l'amore anche qui, sepolti sotto terra. Come se fossimo già morti. Non oso guardare alla mia destra, perché vi troverei di sicuro gli occhi di Chuck. Non voglio pensare a come si sente adesso, dopo essere stato rinnegato; Nate glielo avrà riferito, sicuro.

Andiamo a letto presto, l'alba ci aspetta, e con sé altre ore di camminata. Rivedremo mai la luce? E anche se uscissimo per un attimo, scommetto che troveremo le tenebre del 13. Ѐ lì che dobbiamo andare.

«Luci!» sbraita qualcuno, forse Chace. Chiunque si trova al di sotto di una lanterna si alza in piedi e la spegne, solo quella al centro resta accesa, ma non è così forte da raggiungermi. Quattro persone attraversano il centro senza il timore di disturbare qualcuno. La mia vista non mi permette di mettere a fuoco i loro volti, ma so per certo chi potrebbero essere, e la conferma viene quando sono ormai al limite del cerchio di luce, e quindi più vicini a me. So già dove sono diretti e perché: «Hai altri compagni?!» sibila Nick. È buio pesto in questo angolo della caverna dove ci troviamo io e la cella improvvisata di Chuck.

«No, ve l'ho detto. Sono solo» risponde lui con vigore. Me lo immagino chino su se stesso mentre li squadra con i suoi occhi freddi e grigi, pur non riuscendo a vederli.

«Bugiardo!» avverto un tonfo, un corpo che sbatte contro il suolo.

«Chace!» riconosco la voce di Andrew, «non ucciderlo. Ci serve». Non so come abbia fatto Chace a beccarlo così alla cieca, ma la cosa che più mi preoccupa è che mi ritrovo in piedi senza neanche rendermene conto. Ho il cuore a mille, un'improvvisa voglia di andare a soccorrere Chuck. Mi faccio guidare dalla parete sfiorandola con la mano destra e mi avvio verso il gruppo di Chace. Conto i passi, lenti e silenziosi.

«Sono...» Chuck tossisce, «sono andato nel 2 per diventare un Pacificatore e sono andato a Capitol City, per essere più vicino al presidente e raccogliere più informazioni possibili sulle loro decisioni, per poi cercare voi. Non è vero che quella del 4 non mi conosce. Lei non ne sa nulla di questo, non... non fatele del male». Trattengo il respiro per dei secondi interminabili. Non posso credere che l'abbia fatto davvero, ma dopotutto, il Chuck che conoscevo sarebbe stato capace di concepire un'idea simile. Lui era folle. Ma chi lo sa, la gente cambia, potrebbe essere davvero dalla parte di Capitol City. Eppure una parte di me vuole dargli un'altra possibilità; ma se le sue affermazioni fossero vere, sarei io a necessitarne una?

«E dovremmo crederti? Quelli della tua fazione sono degli abili manipolatori» ribatte Nick, meno aggressivo di Chace.

«Qualcosa di vero c'è: io lo conosco da che ho iniziato a ricordare» esordisco, ormai di fronte a loro. Non li visualizzo, ma percepisco il loro respiro. «Ma non so quanto sia attendibile il resto» mi affretto a dire.

«Sapevo che mentivi» borbotta Nate, probabilmente alla mia sinistra.

«Non credo che adesso sia il momento migliore per fare un interrogatorio, ci dobbiamo svegliare presto» proseguo, realizzando di essermi portata dietro il tramezzino ancora intatto e l'acqua, e oltretutto, attorno a noi c'è solo silenzio. Le nostri voci si fanno più basse, persino quella di Chace: «Va bene. A te la responsabilità, 4. Tanto non può scappare, dovrai solo assicurarti che ci lasci dormire. Lo conosci da che ricordi, si suppone che tu sappia farlo tacere». Forse avrei dovuto starmene tranquilla nella mia nicchia.

«Chace!» obiettano gli altri tre.

«Che c'è? Non ho voglia di badare a lui».

«Tranquilli, vi dimostrerò che...» inizia a dire Chuck, ma Chace lo liquida immediatamente: «Allora taci e parla quando sei interpellato».

«Be'... Buona notte, allora» dice Andrew, quello che mi è parso meno veemente di tutti. Si soffermano ancora un po', probabilmente poco convinti della sentinella – cioè la sfortunata sottoscritta – ma alla fine levano le tende e, passando al centro, ne approfittano per spegnere la lampada. Ora non c'è che nero davanti a me. Sento il mio stomaco e quello di Chuck gorgogliare all'unisono.

«Vuoi metà del mio sandwich?»

Nessuna risposta.

Decido che, se proprio dovranno torturarlo domani per estorcergli delle informazioni, è meglio tenerlo in forze. Mi dirigo carponi, tastando con cautela il terreno con le mani, finché non rischio di cadere in una buca, quella in cui giace Chuck. «Dove sei?» sussurro, reggendomi sulle ginocchia, le quali soffrono a causa dei sassolini che stanno al di sotto. Allungo una mano, e prima che possa ritrarla, percepisco la sua, salda, calda come ho sempre rammentato; porta il mio palmo sulle sue labbra e lo bacia lentamente, poi mi lascia andare. Ho provato un misto di imbarazzo e terrore, poiché inizialmente ho pensato che mi volesse fare del male ma... Le sue mani non erano forse legate? Turbata da uno stato confusionario, divido il tramezzino a metà e glielo ficco in mano, in seguito mangio con cautela quel che resta della mia cena e bevo qualche sorso d'acqua. Gli lascio la bottiglia e mi dileguo in fretta.

 

Where in the world’s the forgotten?
They’re lost inside your memory
You’re dragging on, your heart’s been broken
As we all go down in history ...

In quale parte del mondo sono i ‘dimenticati’?
Sono dispersi nei tuoi ricordi
Li stai trascinando nel tuo cuore che è stato spezzato
Perché noi tutti passiamo alla storia...

 

Odo una voce maschile, vicina, intonare una canzone del ventunesimo secolo che io conosco benissimo. The Forgotten dei Green Day. Lontano da noi il brusio è ricominciato, solo più sommesso; mi figuro le persone radunate in singoli nuclei, abbracciate fra di loro mentre si rassicurano a vicenda. Posso sentirle mentre bisbigliano gli uni agli altri “Tranquillo, ne usciremo”.

«Sometimes you’re better lost than to be seen » proseguo io, senza neanche volerlo. A volte è meglio perdersi che essere visti. Appoggio il capo alla umida e fredda parete, aspettando la prossima strofa, ma Chuck tace.

   
 
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