3)Le lacrime del buffone.
Ci
sono verità con cui devi
scontrarti prima o poi nella vita: una di queste è che non
puoi sempre cacciare
una persona dalla tua vita perché, a volte, è
come se si sia destinati a stare
insieme.
Io avrei voluto tenere Tom
fuori dalla mia vita e Mark dentro, ma mi accorgo che son due cose
impossibili.
Per quanto riguarda Mark
ogni volta che lo vedo una voce mi ripete beffarda le parole di Josie,
quindi
cerco di evitarli. Sembro una ridicola profuga – pronta a scattare al
minimo rumore – quando
passano in corridoio, perché me la batto sempre.
Sono ridicola perché non
sempre mi riesce di nascondermi e diventa plateale che io stia fuggendo
per la
coppietta, Josie sembra felice, Mark non lo so.
Non mi ha più parlato,
come ho già detto per lui sono tornata a essere invisibile,
parte della
tappezzeria della scuola.
In quanto a Tom me lo
ritrovo ovunque e ho finito per accettare il fatto che non posso far
finta che
non esista, così ho cominciato a chiacchierare con lui.
Dalle chiacchiere passiamo
alle confidenze e finisce per conoscere troppe cose su di me.
Sa che mi piace
fotografare e che vorrei fare la designer d’interni per
rendere più
confortevole la vita delle persone, che amo alla follia la saga de
“Il signore
degli anelli” e le cose macabre.
Sa che Halloween e i dias
de los muertos sono le mie feste preferite e che ogni tanto me ne vado
a
Tijuana, che ho una sorella più grande di nome Amanda che
non sopporto, ma che
per fortuna va al college a San Diego.
Sa che mia madre
è un’infermiera e che mio padre è
medico e che non ho stima di lui perché so che tradisce mia
madre, sa che una
volta l’ho persino beccato con l’altra: una
dottoressa bella e ricca di
famiglia.
Intuisce che è per questo
che mi fido poco delle persone e sa che Mark è stato
l’unico a mostrarsi umano
con me e per questo ho finito per amarlo.
Lui non parla molto di sé
invece, o meglio parla di cose poco importanti.
Mi ha raccontato delle sue
evoluzioni sullo skate, del fatto che crede negli alieni e mi ha
illustrato un
sacco di teorie complottiste di cui ignoravo l’esistenza.
Mi parla per ore dei
blink, del suo sogno di essere musicista e di vivere facendo il lavoro
che ama,
mi mostra i suoi disegni e devo ammettere che è piuttosto
bravo.
Parla poco della sua
famiglia, mi ha solo detto di avere un fratello più grande
di nome Shon e una
sorella più piccola di nome Kari e che ha iniziato suonando
la tromba e
svegliando tutta la famiglia alle tre più di una volta.
Dice anche che se dovesse
andare male con la musica vorrebbe fare il pompiere, perché
gli piace l’idea di
salvare vite.
Per il resto non parla
molto, come se in lui ci fosse una zona oscura di cui non si sente
ancora
pronto a parlare.
Ok, rispetto i suoi tempi
anche se è leggermente imbarazzante parlare con uno di cui
sai poco delle cose
più personali.
In ogni caso circa tre
settimane dopo io e lui siamo allo stesso tavolo a Biologia in attesa
che il
prof decreti i trii che dovranno eseguire una ricerca: una delle cose
che odio
di più al mondo.
“Bene, i prossimi sono:
DeLonge, Jenkins e Perry.”
Perry? Ha detto davvero
Perry?
La mia mano scatta in
automatico verso l’alto.
“Scusi, professor Dalton è
possibile cambiare i gruppi?”
“No, Jenkins.
Altre domande?”
“No, grazie.”
Scuoto mestamente la testa
pensando che mi aspettano tempi cupi con quella oca tra i piedi.
Merda!
“Ti è andata male,
Jenkins. Sarà dura per una come te sopportare la perfezione
e capire sempre di
più perché Mark ha
scelto me.”
“Se non fosse illegale ti
lancerei dell’acido su quella faccia da culo che ti ritrovi,
Perry.”
“Non mi fai paura,
sfigata.”
Detto questo si alza e se
ritorna al suo posto ondeggiando su quei dannati sandali troppo alti
che si
ostina a portare anche a scuola. Tom mi trattiene all’ultimo
secondo, sto per
lanciarle addosso una
delle bottigliette
delle sostanze di chimica.
“Ma sei matta? Vuoi farle
del male?”
“No, voglio solo
scioglierla nell’acido!”
Lui scuote la testa.
“Oggi, Mark mi ha chiesto
di mangiare con lui.”
“Vai a mangiare con lui,
non è un obbligo quello di mangiare con me.”
“Non ti mancherò nemmeno
un po’?”
La sua faccia è fintamente
offesa, ma non sono sicura al cento per cento che sia solo una finzione.
“No, vai tranquillo.”
Lui se ne va, tranquillo
non lo so, ho l’impressione di avere detto qualcosa di
profondamente sbagliato.
Mangiare da sola è un
ritorno ai vecchi tempi e lui mi manca più di quello che
avrei potuto pensare,
è brutto sentirsi da soli in una mensa affollata.
Alla fine delle lezioni mi
aspetta accanto alla macchina, ha un’aria un po’
abbattuta.
“Ehi, tutto bene?”
“Uhm? Sì, mi ha solo
consegnato il compito di matematica, una F di merda.
Lavoriamo a casa mia,
Josie ci raggiungerà lì.”
Io storco la labbra al nome
della vacca.
“Mi dispiace, DeLonge. Se
solo fossi un po’ più brava in mate ti darei una
mano.”
“La chiederò a Scott. Quel
piccolo bastardo, nonostante abbia tre anni in meno di noi,
è un genio con
questa roba.”
“Perfetto.”
Entriamo in macchina e lui
alza a palla la radio in cui ha messo una cassetta dei Sex Pistols: la
radici
del punk.
Deve essere il suo modo
per dire che non vuole parlare, oggi è stranissimo e sono
sicura che non c’entri
la F che si è preso in matematica: uno come lui deve esserci
abituato e non mi
sembra nemmeno uno che ci tenga ad avere una media alta.
Arrivati a casa sua – una
villetta modesta alla periferia della cittadina – mettiamo
qualcosa sotto i
denti e ci mettiamo a lavorare.
Solo dopo un’ora mi
accorgo che la regina non si è presentata, dove cazzo
è finita quella stronza?
Bigia già la prima volta?
Non crederà che io e Tom
faremo anche la sua parte di lavoro?
“Tom, mi daresti il numero
di telefono della puttana, per favore?”
Lui annuisce e me lo detta
mentre lo compongo con furia crescente.
Il telefono squilla a
vuoto per un po’,poi una voce infantile risponde: deve essere
un maschietto
sugli otto anni.
“Casa Perry. Chi è?”
“Mi chiamo Jen, sono una
compagna di scuola di tua sorella Josie, posso parlare con
lei?”
“Veramente non c’è. Ha
telefonato dopo la scuola dicendo che andava a fare shopping con delle
amiche,
per me è uscita con il suo ragazzo.”
Brutta. Pallara. Del.
Cazzo.
Domani a scuola mi sente.
“Grazie… Come ti chiami?”
“Jhonny.”
“Grazie Jhonny, sei
sveglio e sincero a differenza di tua sorella, spero che tu non le
assomiglierai mai.”
Dopo avermi salutato
piuttosto imbarazzato mette giù il telefono e io posso
urlare la mia rabbia.
“CI HA BIDONATI, TOM. CI
HA BIDONATI, TI RENDI CONTO?
ED è SOLO LA PRIMA VOLTA
IN CUI DOBBIAMO TROVARCI.”
Lui non mi risponde, mi
guardo in giro e non lo vedo, dove è?
Alla fine lo individuo, è
sdraiato sul divano del salotto e non sembra troppo felice.
È un divano ad angolo e io
mi sdraio dal lato opposto, i nostri piedi si scontrano.
“Josie non viene, vero?
Beh, pazienza, non ho
voglia di fare biologia in realtà.”
“Capisco, cosa c’è?
È tutto il giorno che sei
strano.”
Lui scuote la testa.
“È per oggi?
Ok, lo ammetto è stato
poco carino dirti che non mi saresti mancato ed è stata una
bugia perché mi sei
mancato eccome a pranzo. Scusa.”
Sul suo volto appare un
flebile sorriso.
“Grazie per avermelo detto
e sono contento di esserti mancato, ma non è per quello che
sono di questo
umore di merda.”
“Se ne vuoi parlare io
sono.”
“Ieri mia madre e mio padre
hanno firmato il divorzio.”
Per un attimo rimango
senza fiato immaginandomi i miei divorziare. È vero, odio
mio padre, ma non
vederlo più in giro per casa o sapere che
potrebbe vivere dalla sua amante dimenticandosi di noi mi
causa una
fitta allo stomaco.
Immagino che per Tom sia
lo stesso e che ora stia male perché sente il suo mondo
scosso da qualcosa che
non può controllare.
“Vieni qui.”
“Cosa?”
“Vieni qui.”
Gli indico un po’
imbarazzata il petto, lui si alza dal suo posto.
Si ferma poco prima di sdraiarsi,
sovrastandomi con la sua altezza.
“Sono pesante, ti
schiaccerei.”
“Non-non importa!”
Lui esegue, si sdraia
cauto su di me e appoggia la testa sul mio seno. È
imbarazzante e anche lui è
rigido, sono io quella deve sbloccare la situazione. Con la mano che
trema
leggermente gli accarezzo i capelli, passando piano le dita.
Questo lo fa rilassare e
lo sento pesare di più su di me, ma non mi dà
fastidio.
Continuo ad accarezzarlo
piano, cercando di infondergli calma e affetto, è brutto
vederlo così.
Non so quanto rimaniamo
così, so solo che a un certo punto sento la maglietta
bagnarsi: sta piangendo e
non pensavo mi facesse così male sapere che lo sta facendo.
Continuo ad accarezzarlo e
seppellisco il mio naso tra i suoi capelli corti baciandoli
leggermente, senza
dire nulla.
Non c’è nulla da dire,
bastano i nostri corpi
a parlare.
Spero che questo sia in grado di farlo stare meglio, lo spero con tutto
il
cuore.
Non
so quanto tempo
rimaniamo solo così, so solo che la luce del salotto cala
piano piano e il suo
respiro si calma.
“Andrà tutto bene.”
Gli sussurro all’orecchio.
“Ci credi davvero?”
“Sì, in qualche modo andrà
bene. Non come vogliamo noi, ma andrà bene.”
Lui rimane un attimo in
silenzio, poi si siede sul divano senza guardarmi.
“Scusa per lo spettacolo
pietoso, grazie per avermi consolato.
Sono stato un poppante.”
Gli tiro una pedata non
troppo forte.
“Non fare il macho con me
che non attacca.
Hai pianto, succede a
tutti quando si sta male.
Prego.”
Lui scuote la testa.
“I buffoni non dovrebbero
piangere, fortuna che Josie non c’era.”
Io mi tiro a sedere di
scatto.
“Oh, certo! Fortuna che la
regina non c’era o avresti perso la tua futura
possibilità con lei, vero?”
Lui scuote la testa,
triste.
“No, non hai capito.
Sono stato fortunato a
trovare te invece che lei perché ormai ho capito che quella
che mostra a Mark è
solo una facciata, non è una tizia da poter considerare
amica.”
Io mi rilasso.
“Perché l’hai fatto?
Pensavo mi trovassi odioso
e che non ti importasse poi così tanto di me.”
Io mi irrigidisco di
nuovo. Questa è una domanda scomoda, è una di
quelle che implica lo svelare un
po’ di sé rischiando di rimanere feriti.
“Io… io, beh, ho
semplicemente provato a immaginare cosa avrei provato se fosse successo
ai miei
ed è stato una vera merda. Cioè, mio padre lo
odio, ma da qui a non vederlo più
girare per casa ce ne passa…
Peggio ancora se andasse a
vivere con la sua baldracca, li ucciderei!
E alla fine mi sono detta
che un abbraccio era la cosa migliore!”
Il tutto balbettato alla
velocità della luce, arrossendo sempre di più.
Mi aspetto che lui mi
prenda in giro, invece rimane serio e mi guarda comprensivo.
“Non sei abituata a
parlare dei tuoi sentimenti, vero?”
“Già, nessuno me
lo chiede e quando chiedono non lo faccio
mai, perché non capiscono.
Non capiscono la mia
rabbia, i miei ragionamenti, la mia passione per le cose macabre. Non
si
capacitano di come io non parli delle cose da ragazze.
Forse sono davvero
un’aliena.”
“Io odio le ragazze che ti
sviscerano le loro emozioni e si aspettano che tu le capisca, nemmeno
fossi uno
psicologo. Preferisco una tizia che mi parla di quello che le piace e
che non
sia make-up, vestiti o altre cazzate.”
“Quello anche io. Non so,
preferisco tenerle per me, farle
uscire
significa farle sparire.
Bah, lascia perdere.
In parole povere, solo se
c’è qualcosa di veramente importante ne parlo con
qualcuno e deve essere
qualcuno di cui mi fido.”
“Vedo che su alcune cose
la pensiamo allo stesso modo.”
“Già.”
“Grazie ancora per tutto.”
“Figurati e non lo dirò a
nessuno.”
“Grazie e… vieni qui!”
Lo guardo interrogativa –
senza sapere dove voglia andare a parare – e lui mi fa cenno
di sedermi accanto
a lui.
Eseguo un po’ titubante –
il che non ha senso, dato che siamo stati abbracciati tutto il
pomeriggio – e
lo guardo senza capire.
Lui si limita a sorridere
– un sorriso vero, da bambino, non uno dei suoi soliti ghigni
– e mi abbraccia.
Strano da dirsi, ma questo
gesto inaspettato mi fa piacere, più piacer di quello che
pensassi.
Mi abbandono senza difese
al suo abbraccio, godendomi il suo calore e la stretta e chiedendomi
come
diavolo abbia solo potuto pensare di far finta che non esista.
“Oh, Jen! Sono quasi lo
sei, continuiamo o ci mangiamo qualcosa?”
Io rido tra le sue braccia
e con gentilezza lo allontano e mi dirigo verso il tavolo dove
c’è sparso il
lavoro che abbiamo fatto in questo pomeriggio inconsueto.
Non è tantissimo, ma
nemmeno poco, diciamo che è un’accettabile via di
mezzo.
“Mangiamo, se quella vacca
di Josie si fosse fatta viva avremmo fatto di più.”
“Se quella vacca di Josie
si fosse fatta viva non ci sarebbe stato questo pomeriggio
fantastico.”
Io abbasso gli occhi e la
testa, lui me la rialza e mi guarda, anche questa volta è
serio. Non c’è
traccia del buffone mentre scandaglia i miei occhi blu con i suoi
– scuri, ma
con delle sfumature più chiare color cioccolato –
alla ricerca di qualcosa.
Respiro a malapena quando
lui appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, dandomi tutto il
tempo per
respingerlo e insultarlo.
La cosa strana è che non
lo faccio, ho i brividi e sono paralizzata, mi risveglio solo quando
lui cerca
dolcemente di forzare le mie labbra con la lingua.
Credo sia il suo modo di
chiedere il permesso e anche questa volta non lo allontano e non lo
insulto, le
socchiudo dandogli libero accesso.
Non è come il bacio del
parco, questa volta è dolce, le nostre lingue si accarezzano
e si scoprono a
vicenda, quasi impacciate – strano per uno come lui.
Mi stringo di più a lui,
cercando di arrivare ai suoi capelli dal basso del mio metro e
sessanta,
facendolo ridacchiare. Mi fa sedere sul tavolo e riprendiamo a
baciarci, io
finalmente posso giocare con i suoi capelli ossigenati, lui mi
accarezza piano
i fianchi.
In questo momento non c’è
nulla del ragazzo stupido, dello sbruffone e del buffone e nemmeno del
ragazzo
irruento.
Ci sono solo Jen e Tom:
due adolescenti un po’ strani in modi diversi che si stanno
baciando come se
non ci fosse domani.
Ci stacchiamo con un po’
di dispiacere, lui mi accarezza la guancia sempre con quel sorriso da
bambino,
che per me è ancora una novità da metabolizzare.
“Come devo considerare
questo bacio?”
“Come la ricompensa della
tua comprensione oggi oppure come una dimostrazione del fatto che le
ragazze
come te mi piacciono, scegli tu.”
“Non sparirai dopo questo,
vero?”
Lui mi guarda un po’
divertito e un po’incredulo e mi molla un pugnetto sulla
testa.
“No, zuccona, non sparirò!
Dovrai sopportarti
talmente tanto a lungo che alla fine sarai tu a sparire. Dalla
disperazione!”
“Ti piacerebbe, eh?
Invece no, rimarrò e sarai
tu a maledire il giorno in cui ti sei voluto intestardire con una
stramboide
come me!”
Ridiamo insieme e mi
sembra bellissimo – strano, ma bellissimo.
Dopo questo meraviglioso
pomeriggio me ne vado da casa DeLonge un po’ più
sollevata e felice, dicendomi
che forse oggi non mi accadrà nulla di brutto.
Mi sbaglio.
Seduto sul muretto fuori
casa mia c’è l’ultima persona che vorrei
vedere e che solo poco tempo fa avrei
desiderato essermi più vicina: Mark.
Tutti i miei campanelli di
allarme si mettono a suonare: cosa vuole?
Perché dopo avermi
ignorata torna a
farsi vivo?
Parcheggio la macchina e
scendo, lui scende dal muretto e si fa avanti con una faccia scura.
“Come mai così felice?”
Mi chiede.
“Non credo siano fatti
tuoi.”
“Sei stata da Tom, vero?”
“Come se la tua dolce metà
non ti avesse già avvisato che Dalton mi ha messo con Tom
nei gruppi di
biologia.
Ah, e ringraziala da parte
nostra per aver saltato oggi!”
“Lascia da parte Josie.
E non mi sto riferendo
solo a oggi, è un po’ che ti vedo girare con
lui.”
Io rido sarcasticamente.
“Cos’è? Hai paura che ti
freghi il tuo miglior amico?”
“No, ma so come è fatto.
A lui non interessano le
storie sere, solo le scopate senza complicazioni.
Se ti sta corteggiando o
sta facendo il carino con te è per quello.”
Inizia a salirmi inesorabilmente
il crimine, cosa diavolo vuole, a parte rompere le palle?
“Sei venuto qui solo per
questo?”
“Sono tuo amico.”
Mi risponde con una
serafica faccia da schiaffi.
“Sì?
Dove sei stato in queste
settimane?
Non è che sei solo geloso
di non avere più una ragazzina adorante ai tuoi
piedi?”
“Sei solo una stupida
ragazzina!”
“E allora vattene, Hoppus!
Vattene e non farti mai
rivedere! Io sarò una ragazzina, ma tu sei uno
stronzo!”
Lui si allontana a grandi
passi, io entro in casa sbattendo la porta e maledicendolo.
Ero felice, avevo avuto
l’impressione di interessare a un ragazzo, perché
è venuto a lui a distruggere
subito le mie illusioni?
Non poteva farsi un’altra
scopata con quella Josie?
Non so se credere o meno
alle sue parole, so solo che mi si sono infilate nella testa e stanno
mangiando
la mia felicità come un tarlo malefico.
Davvero Tom sta facendo
tutto questo solo per un po’ di sesso?
Davvero?
Il dubbio mi distrugge.
Mark ti detesto.
Angolo di Layla
Ringrazio eve182 e MatyOtaku per le recensioni.