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Autore: _shesbroken    03/12/2012    8 recensioni
"cercavo soltanto la morte.. osa lo so cosa cercavo: la liberazione dal dolore di vivere."
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Danielle.

Era in ritardo, come al solito. Ormai non mi arrabbiavo nemmeno più di tanto, ci ero abituata, era un suo difetto ed anche se fastidioso, dovevo accettarlo. Cosa non si faceva per amore..

Erano tre anni che ero innamorata di lui ed erano tre anni che lui faceva l’indifferente sorvolando ad ogni mio approccio nei suoi confronti. Non glielo volevo dire, volevo che lo capisse da solo e che fosse lui a fare la prima mossa. Ero troppo timida per farmi avanti e forse avevo davvero troppa paura di un suo possibile rifiuto. Preferivo guardarlo da lontano come una sua semplice amica che non vederlo proprio.

Il mio segreto? Mi faceva ridere.

Se un ragazzo era in grado di farmi ridere si poteva già ritenere prenotato.

Non stavo dicendo che contava solo quello, ma riuscivano sempre a conquistarmi in un modo o nell’altro.

 

Lo vidi arrivare correndo.

Appoggiò un mano al muro in marmo e l’altra se la posizionò sul cuore.

Lo lasciai riprendere fiato qualche secondo, non riusciva nemmeno a farfugliare, a parlare, niente.

“non morire, mi servi” l’ultima parola perse di intonazione quasi come se volessi nasconderla tra le pareti della mia bocca e si, era proprio quella la mia intenzione.

“ce ne vorrà di tempo prima che tu ti sbarazzi di me” ammiccò un occhiolino e ponendomi il suo braccio entrammo nel bar stabilito. Non volevo sbarazzarmi di lui, cosa diamine aveva capito.

Idiota.

Ci sedemmo l’uno di fronte all’altro.

Ero imbarazzata, quello che mi tenevo dentro mi stava rubando tutto quello che mi rimaneva.

“Dan, tutto bene?”

“si perché?”

“hai una faccia..” abbassai lo sguardo, pensavo non si notasse e invece..

“mmh no niente..” non sapevo per quanto ancora avrei portato avanti questa farsa dell’amica.

Stavo per scoppiare.

Poco ma sicuro.

 

Il tempo passò con una velocità fulminea.

Avevo pregato che quel momento non finisse mai ma, come al solito, qualche coglione lassù non mi ha ascoltato e ha fatto finire tutto così in fretta, troppo in fretta.

Era ancora lì, vicino a me, con il suo cappotto in camoscio e già sentivo che mi mancava.

Il nostro rapporto era così, ci vedevamo e per mesi smettevamo di sentirci.

Ogni volta che mi abituavo alla sua assenza lui tornava, come a farlo apposta.

Ci salutammo con un schioccò di guance sotto la pioggia ed ognuno di no andò per la sua strada.

Infilai le mani in tasca senza smettere di pensare a lui.

Mi voltai. Si voltò. Sorridemmo e riprendemmo a camminare.

 

Harry.

Stavo perdendo il controllo della mia sete.

Quel bar era pieno di carne umana, pieno di corpi caldi con il sangue scorrente nelle vene.

Sembrava quasi chiamare il mio nome.

Passando osservai il collo di una morettina seduta affianco alla finestra.

L’istinto mi fece scagliare fuori i canini che mi affrettai a nascondere con le mani.

Feci un cenno al barista, era un mio vecchio amico.

Tirai dritto fino al tavolo delle ragazze che mangiandomi con gli occhi mi fecero accomodare tra loro.

Il loro odore era invitante, tanto invitante che strinsi i pugni sul tavolo e trattenni il fiato.

I loro sguardi non capivano, ma io capivo benissimo.

Sapevo che quello non era il momento per andarsene, era il momento in cui avrei fatto conquiste e basta.

Allusi a una bionda accanto a me.

“come ti chiami tu piccola?”

“Charlotte”

“piacere Charlotte, Harry” mostrai  uno dei miei sorrisi migliori aggiungendoci un tocco di malizia che non faceva mai male.

“te l’hanno mai detto che hai un sorriso bellissimo, Charlotte?” avevo lanciato la bomba. Domanda completamente disinteressata che portava a voler dire solo una cosa:  vuoi venire a letto con me? La ragazza arrossì di botto e sorrise imbarazzata. Dovevo concludere e avevo fatto centro anche sta volta.

“dove abiti?”

“Seattle.”

“E’ lontano!”

“Già..”

“merda, piove!” guardai il tempo fantasticando sulle mille stronzate che le stavo chiedendo.

“fantastico, non ho la macchina”

“vuoi che ti porto io?” bingo.

“no, tanto a casa non ci posso andare, non ho le chiavi e dovrei aspettare mia madre e sotto la pioggia sinceramente la voglia cala”

“vieni da me allora” le porsi la mano. Rimasi titubante per un po’ ma poi si lasciò trasportare dai miei occhi rosso fuoco che, con la sola forza del pensiero la stavano trascinando a fare ciò che in realtà non voleva fare. Era squallido e non sapevo manco perché lo stavo facendo ma, nel tragitto a casa riuscii a pensare solo ad un nome:

 Wendy.  Non mi stavo innamorando, anche perché Harry Edward Styles non si innamora mai.

 

La feci accomodare sul divano andando a posare entrambe le giacche su in camera mia.

Il mio sguardo. Il suo. Si incrociarono dandosi una scossa di rabbia reciproca.

La ragazza di sotto mugugnava chiamando ripetutamente il mio nome.

“arrivo” brontolai.

Né volevo una da una botta e via, non una appiccicosa.

“chi è?” Wendy sporse la testa dalle scale e scorse una capigliatura bionda. “dai, ti porti a casa le troiette?”

“ho portato a casa pure te” sbottai.

“ma vaffanculo –fece un passo nella direzione inversa- a proposito, il suo odore mette i brividi” sussurrò le ultime parole per dargli un tocco sexy e appetitoso. Sapeva quanto io fossi debole in queste cose e si divertiva a provocare il mio interiore.

 

Wendy.

Mi importava anche se non doveva e la cosa mi dava ancora di più ai nervi di quando non mi desse lui.

Non lo sopportavo.

Non lo sopportavo.

E non lo sopportavo.

Il corpo diceva: vai a vedere cosa stanno facendo.

La mia mente diceva: non farlo è sbagliato.

Ed il mio cuore anche se aveva smesso di battere era stanco..

Eppure qualcosa in lui, i suoi occhi, i suoi ricci sempre morbidi, le sue mani.. tutto di lui mi mandava in estasi.

Li sentii ridere.

Li sentii guardare la televisione insieme.

Li sentii fare sesso in camera di lui.

Non so ancora per quanto sarei riuscita a trattenere quella sorta di rabbia e angoscia che mi stava disidratando l’anima. Gelosa? Si cazzo, ero gelosa. Ammetterlo a me stessa fu la cosa più difficile. La mia mente rinnegava tutto ciò, ma la ragione non può avere mai la meglio sui sentimenti. Stavo diventato una di quelle sdolcinate patetiche e stupide. No cazzo, no. Dovevo distrarmi, dovevo andare a caccia. Passai a passo svelto davanti ai due e sbattendo la porta corsi in mezzo alla foresta. Squartai un cervo senza pietà.

Infossai i miei canini nella sua pelle e con la rabbia di una neonata tale che ero lo squartai senza gustarmelo.

Un po’ come quando avevi dieci anni e ogni volta che dovevi scartare qualcosa nello strappo ti portavi via, bigliettino, carta regalo e fiocco. Con la mani mi pulii dai residui di rosso sulla mia faccia.

Soddisfatta più di prima tornai a casa sazia e assonnata.

 

Allie.

Allie Claire Liri.

19 anni Danver.

Segni particolari: ho una specie di calamita per gli stronzi.

 

Immaginai la mia vita da maggiorenne come una di quelle ragazze che si davano alla pazza gioia mattina e sera. Quelle il quale motto era sesso droga e rock’n roll’ ma, fantasie  tralasciate, la mia vita non era affatto così.

Non ero una ragazza di certo casa e chiesa ma facevo del mio meglio per apparire con sani principi morali, anche se nel profondo ero consapevole di non sapere nemmeno cosa volessero dire.

Ero una ragazza socievole e piena di amici. Simpatica. Solare e non tanto stabile emotivamente.

Vivevo con mia zia visto che i miei genitori mi abbandonarono qualche anno prima sul ciglio di una strada.

Bella fine eh?

Avevo appena finito la scuola e grazie a dio mia zia mi aveva lasciato libera la scelta se proseguire o meno e, ovviamente fu la seconda a prevalere.

Non pensavo al mio futuro, ero una di quelle persone che vivevano la propria vita attimo per attimo e la cosa non mi dispiaceva affatto. Non vivevo quotidianamente con l’angoscia dell’oddiocosamiaccadràdomani  e a mio avviso tutto era molto più semplice.

 

Ragazzi? Fin troppi.

Brutti? Piuttosto lesbica.

Stronza? Diciamo che sarò pane per i tuoi denti.

 

Avevo i capelli lunghi e neri. Migliaia di lentiggini mi ricoprivano il viso.

Le odiavo.

Snella e alta con un “culo da paura” almeno così dicevano i mei compagni di classe.

La classica “bella ma troia” prototipo di definizione della mia migliore amica, senza il quale davvero, non so come avrei fatto. 

Impulsiva ma attenta.

Antipatica ma non troppo.

Socievole ma solo con chi voglio io.

Stronza ma sensibile.

Insomma, ero una ragazza complicata.

 

Spazio autrice!

Cel’ho fatta, dopo tanto sudore ci sono riuscita!

Apparte gli scherzi, questo è un po’ diverso rispetto agli altri anche perché la storia si sta evolvendo.

Grazie mille per le recensioni e per tutto come la solito.

Vi adoro, un bacio.

-An

  
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