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Autore: past_zonk    04/12/2012    1 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic...Ed ecco qui l'ultimo capitolo! AW!
Mi scuso per l'eterno ritardo, sono stata iperimpegnata. Immaginate che questo capitolo è stato scritto durante un'occupazione, ecco, ho detto tutto. Da qui in poi vorrei che la storia decollasse un po' di più, ecco, quindi...nada. Ghgh, ho idee diaboliche in mente! :'3
Arigatou, Michela-chan! <3
eveyzonk.

 









Jumpin' in a dream - capitolo sesto.
Il ciondolo.

 
 
Il mattino la nostra vita da pellegrini inizia presto, quando il sole sorge ed Auron mi rivolge quanto il più silenzioso possibile la parola; io ancora in piedi, con le occhiaie ed un peso sullo stomaco, che ho finito da un pezzo di modificare le protezioni, e non ho fatto altro che osservare dalla finestra la città sotterranea illuminarsi. Mi manca il cielo.
E a turno usiamo il bagno, ci vestiamo lentamente, recuperiamo tutti i nostri effetti personali, liberiamo la stanza a chissà quale nuovo gruppo di pellegrini.
Sono silenziosa, mentre camminiamo verso il tavolo dove rifiuto la colazione, perché lo stomaco s'è chiuso, e la testa mi fa male. Dopo una notte insonne si è molto più lucidi. Osservi tutto con occhi chiari e calmi; sai che l'inevitabile crollo fisico s'avvicina, ne sei cosciente, e proprio da questa coscienza scaturisce altra lucidità.
Braska osserva me ed Auron e credo capisca che c'è qualcosa che non va. Non ci sono battibecchi, né rimproveri: è tutto molto surreale.
"Rikku, come stai?"
"Bene" rispondo, calma.
"Secondo me no, invece" s'intromette Jecht.
Auron è silenzioso. Credo che in qualche modo si senta responsabile di questo mio stato d'animo. Ma in effetti è vero, sono così silenziosa perché sto ancora riflettendo sulle sue parole...
(...) "...Braska non capisce. Non capisce davvero quale rischio correrebbe, ad avere un'albhed per guardiana. Non ti sto discriminando, qualcosa ho imparato sugli albhed, ed ho ammesso di aver sbagliato a giudicarli, però non puoi negare che c'è, ed esiste, una discriminazione. E che il raggio di essa coprirebbe e infangherebbe anche Braska, se tu proseguissi con noi il pellegrinaggio. Quindi, in conclusione, vorrei invitarti, per il bene di Braska, a rinunciare, quando ti chiederà di rimanere."
"Sono solo un po' stanca, ho dormito poco per modificare le protezioni"  rispondo, anche abbastanza acida.
"Rikku, non eri tenuta a farlo, se non ne avevi la possibilità. Sono mortificato" dice Braska con tono apologetico, un'espressione colpevole gli si dipinge sul volto.
"Fa nulla" chiudo la conversazione.
Mentre mi alzo dal tavolo, sento Braska chiedere qualcosa ad Auron, poi lo sento alzarsi e camminare nella mia direzione.
"Rikku"
Continuo a camminare, seguita da lui, fino al corridoio della locanda, dove - lontano dagli sguardi di Jecht e Braska - posso voltarmi e parlare tranquillamente con Auron.
"Vuoi già una risposta?" gli chiedo, sprezzante.
"No"
"E allora?"
"Non devi far sospettare nulla a Braska"
Sbuffo, falsa ironia nelle mie corde vocali "Certo che sei proprio divertente, Auron, eh. Stanotte m'hai detto di dover andarmene, sola, ed ora mi dici di dover anche fingere fino a quel momento. Ti ascolti quando parli?"
"..."
"...Me ne vado adesso"
"Cosa?" l'espressione di Auron è confusa.
"Me ne vado. Vi lascio. Ora."
"...Ma..."
"Ma?"
"Non puoi" risponde deciso, irritato dal mio tono di sicurezza.
"Scusa?"
"Braska ne sarebbe ferito" risponde, osservando il pavimento con sguardo cinico.
"Ah, e più avanti quando rifiuterò l'incarico di guardiana non ne resterà ferito?"
"..."
"Auron! Rispondi!" alzo la voce, colpendolo con un pugno sul torace.
Questo ammasso non pensante d'uomo, o quello che è, non risponde. NON RISPONDE, CAPITE?! Sbuffa, come suo solito, stizzato, dà un pugno contro il muro bianco, stringendo le labbra fino a sbiancarle, e mi volta le spalle come sempre, camminando prima lungo il corridoio, poi verso la porta d'uscita.
"Stronzo" bofonchio sotto voce, prima di camminare scazzata verso l'uscita, insieme a Braska e i suoi sguardi confusi.


 
"Ok, spiego io com'è andata. La prima notte a Guadosalam, quando Mr.Rosso s'è issato La Biondina Utile sulle spalle e l'ha trascinata rude nella stanza della locanda, è successo il fattaccio. E anche abbastanza violentemente! Conosciamo tutti l'indole di Capelli Corvini, qui! E Miss Albhed 2000 non è certo da meno! Come ti spieghi la macchia rossa sul collo di lui, eh? EHEH. Se hai fatto caso, Braska, il giorno dopo Auron era tutto calma e sorrisi, con la ragazzina, prima di indiavolarsi per le protezioni! Lei stessa m'ha detto che aveva riso ad una sua domanda. Riso, capisci? Proprio quando iniziavo a pensare che questa parola non esistesse nel particolare vocabolario Auron-Spira, Spira-Auron!!!"
Lo sguardo di Braska era sconvolto. Scioccato. La bocca spalancata, le orecchie tese a sentire i pettegolezzi accesi dell'uomo abbronzato.
Erano nell'Oltremondo; il giorno prima non avevano avuto molto tempo per visitarlo, e Jecht era molto curioso di vederlo, così come Braska, che desiderava salutare vecchi amici e affetti.
Auron era rimasto fuori, non è giornata, aveva risposto, e così anche Rikku, seduta sui gradini scuri, silenziosa e lontana dal monaco.
"Uniamo tutti i tasselli: Auron è cupo, lei tutta feste e scondinzolii; lui è silenzioso, lei sembra progettata per la logorrea, lui moro lei bionda, lui arguto, forse, lei stupida-"
"Rikku non è stupida"
"Beh, lo è Auron allora! Vedi, i tasselli, i tasselli! Gli opposti si attraggono!" esclamò l'uomo di Zanarkand lanciando le mani al cielo.
Braska rise, con quella sua risata calibrata e calda.
"Non è finita qui: ti so spiegare anche perché poco fa erano silenziosi. Il fatto è racchiudibile nell'affermazione:Auron dà problemi. E' così! Lui ha messo in dubbio il rapporto, e lei è super-incazzata, così s'è rifiutata di farlo, e lui è irritato! Poi s'aggiunge l'ansia di nascondere tutto questo a noi...Pensa!"
"Jecht..." rispose Braska dopo una lunga risata "Jecht...non credo affatto che le cose siano andate così"
"Non hai visione d'insieme, tu, vecchio mio!"
"Auron è troppo...troppo...se stesso, per farsi trascinare così" rispose seriamente Braska.
"Mhh. Hai visto lei come lo guarda certe volte? Come viene ferita solamente dalle sue affermazioni?"
"Ma lui è l'unico che le ha detto certe cose, diciamo...offensive."
"Beh, l'altro giorno ho chiaramente sentito bofonchiare "sporca albhed" da un passante, ed una risatina di Rikku in risposta. Braskaaaa! Qui gatta ci cova, ascoltami"
"Mhh...non lo so" lo sguardo dell'invocatore era fisso verso il pavimento, in un'espressione riflessiva.
"Mh, Braska, dimmi una cosa..." iniziò l'esuberante uomo, con tono più rispettoso "Non è che...avevi messo, per così dire, gli occhi addosso alla Biondina?"
"Jecht! Come puoi solo pensare una cosa del genere!" Braska arrossì copiosamente.
"Beh..." Jecht abbassò la voce, indeciso su che parole scegliere "Ho sentito qualcosa del tuo passato, e lei potrebbe...potrebbe-"
"Ricordarmi mia moglie?" completò la frase l'altro.
"Beh, non è una colpa, sai, voler...andare avanti" rispose, malinconico (e più saggio del solito), Jecht.
"Nessuno potrebbe sostituire mia moglie, anche se ammetto che Rikku le somiglia davvero, davvero tanto"
"...Capisco"
"Ora va, lasciami un po' solo, l'Oltremondo non è luogo per questi discorsi" disse l'invocatore, voltando le spalle all'uomo, con negli occhi una ritrovata malinconia, che in realtà non aveva mai pensato d'abbandonare.
 
 
Dal portale dell'Oltremondo spira un vento caldo che dissona coi colori autunnali di cui è composta Guadosalam. Ricordo d'essere seduta nella stessa posizione di quando anni prima io ed Auron rimanemmo qui fuori mentre Yuna e il gruppo entrarono a pregare. Non è una coincidenza. Cioè, a dirla tutta, non ho voluto che fosse una coincidenza, quindi mi sono fatta riassalire dai ricordi e mi sono seduta lì, dandogli le spalle, e ridacchiando quando lui ha poggiato la schiena contro il corrimano insolito, proprio come fece la sua versione più vecchia. Il tempo non pesa su di me. Anni e anni fa sono come vicini, adesso. La mia vita è proprio incasinata, eh.
Rimaniamo in silenzio, tutti e due, e immagino che lui sia ancora troppo irritato per rivolgermi la parola, quindi mi metto a frugare nel mio zainetto, nella speranza di trovare qualcosa che mi intrattenga.
Ehi, trovato!
E' una telecamera che funziona a filmosfere. Ridacchio pensando a come potrei utilizzarla, in questo viaggio. Poi, quando il pensiero che probabilmente non ci sarà nessun viaggio, visto che rifiuterò l'offerta di Braska e rimarrò intrappolata in un'epoca totalmente astratta alla mia, mi colpisce, la mia espressione cambia e ritorna quella mogia che da ieri sera domina i miei tratti.
Tutta la stanchezza per aver passato una notte insonne ritorna.  Che stress.
“Cos’hai in mano?” chiede lui. La consapevolezza che ha iniziato per primo una discussione, o che ha comunque rotto il silenzio mi colpisce. Mi irrigidisco, rischiando di farmi cadere dalle mani la telecamera, e poi sento i suoi passi lenti sussegursi.
Auron poggia la schiena accanto al muretto dove sono seduta, osservandomi ma pur sempre porgendomi le spalle. Arrossisco copiosamente mentre balbetto (terrorizzata) qualcosa come “è…è…è, un, un, una telecamera…”. Auron ridacchia (già, DI NUOVO) e mi chiede, curiosità negli occhi neri: “Mi mostri come si usa?”
Arrossisco ancora di più “Mh, Auron?” (COSA NE HAI FATTO DI AURON IMPOSTORE?!)
“Sì?”
“Non sei arrabbiato?”
“…” rimane in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo “No, dovrei?”
“No, no, è che…non so, di solito sei contrario a questo genere di cose”
“È pericoloso?”
“Cosa?” cosa, Auron, cosa è pericoloso? Non essermi contrario? Cosa? Essere gentile con me è pericoloso? COSA BLATERI?!?
“Quell’oggetto, è pericoloso?”
AH, ECCO COSA INTENDEVI.
“…No, non lo è…” dico perplessa.
“E allora perché dovrei esserne contrario?”
“Niente, curiosità”                        
“Hm”
Si alza dal muretto dov’era poggiato. Mi da le spalle, cammina un paio di passi.
“Auron!” lo chiamo, girandomi e porgendo una mano quasi a fermarlo. Il ragazzo si gira a guardarmi, un espressione seria e interrogativa sulle sopracciglia.
Quasi cado all’indietro nel tentativo di fermarlo. Mi sbilancio e sto per cadere rovinosamente giù dal muretto, verso il vuoto.
La mano di Auron mi afferra il polso, e mi riporta in posizione seduta, facendo praticamente arrossire la povera me fino alla punta dei piedi. Poi stacca il contatto (aveva le dita fredde) e mi osserva ancora.
“Mi sa che questa volta sei tu ad avere dei pregiudizi verso me”, dice, poi, con un mezzo sorrisetto, mentre si volta ancora e cammina.
“EHI! EHI DOVE CREDI DI ANDARE, TU?!” urlo, giocosa, mentre lui ridacchia roco.
Tutti i problemi di poco prima spariti, quasi mi dimentico della sua richiesta, mentre lo prendo a parole e mi irrito del suo mutismo.
Poi Braska e Jecht escono dall’Oltremondo, e insieme a loro usciamo dalla galleria, mentre riprendo la faccia buffa di Jecht mostrarmi una stupenda imitazione di Lord Jyscal.


Stiamo percorrendo la buia galleria di terra che collega Guadosalam alla Piana dei Lampi.
Dalle pareti si sentono, ovattati, tuoni rombanti e gocce di pioggia che si infrangono sul terreno con forza. Qualche goccia d’acqua sgocciola sulle nostre teste di tanto in tanto.
Jecht non sta un attimo zitto e la sua voce rimbomba per tutta la galleria.
“Sta zitto! Farai crollare tutto, tsk…” dico, irritata.
Fa freddo.
Braska continua a camminare, ignorandoci. Auron è silenzioso (come al solito) e pare non ricordare niente; l’abbraccio della notte scorsa, la richiesta di abbandonare il pellegrinaggio, le risatine di poco fa. Boh. Non so che pensare.
Jecht sbuffa sonoramente “Fra quanto arriviamo?” chiede col tono di un bambino.
“In realtà non dovrebbe stupirti che questa galleria duri un po’, vedi, collega una città come Guadosalam alla Piana dei Lampi; non poteva essere troppo  breve e vicina alla città, o avrebbe reso la città immune a qualsiasi tipo di invasione, non credi?” ragiona Braska.
“Mh” è la risposta menefreghista del moro “Sai quanto mi frega dell’immunità di quel popolo di avidi!”
Ridacchio un po’ all’esclamazione di Jecht, annuendo, d’accordo.
Forse è per l’attacco alla Base, forse è un mio razzismo, ma i guado proprio…non so. Non li adoro, diciamo.
E poi son strani. Hanno queste mani enormi, con queste unghie lunghissime (ed ho precisamente visto una signora guado comprare una boccetta di smalto, oggi – per 18 guil, un furto) per non parlare della faccia cattiva. Il modo di parlare, poi: sembra stiano perennemente recitando un distico elegiaco, con quei nasi sempre all’insù e la voglia di primeggiare. Argh. Sono l’esatta antitesi di noi albhed, che siamo dei veri e proprio camionisti, ci esprimiamo come ruttatori d’elite e vendiamo pezzi di macchine a due soldi solo per fare un piacere al nostro cliente (ECCETTO RIN, LUI È AVIDO). 
Non capirei i guado neanche se volessi. E non voglio, quindi non si pone il problema.
“L’avidità è una conseguenza”, dice, d’un tratto, Auron.
La sua voce bassa e roca riecheggia nel tunnel. Vorrei non smettesse mai di parlare, solo per godere della sua voce amplificata dall’ambiente. Al buio, poi, illuminato solo da un lumino che Braska diligentemente porta con sé, è ancora più ammaliante.
“Una conseguenza di cosa?” chiedo, guardando curiosa il ragazzo.
Gli occhi di Auron vagano sulle ombre che sulle pareti giallastre emergono dalla luce. Mentre vaga con la mente, parla.
“I guado sono una minoranza etnica da sempre tenuta alla larga. Non hanno un credo come noi, non hanno un numero abbastanza ampio da farli diventare un vero e proprio popolo, e non amano stare in compagnia neanche fra di loro. È una conseguenza dell’averli ancora di più ammucchiati via, questa loro avidità. Per fortuna la politica yevonista del loro leader più recente li sta portando ad avere più contatti con noi, e a capire come interagire per un rapporto pacifico. A mio dire, però, resteranno per sempre un popolo con caratteristiche selvagge e schive…” dice, suadente. Lo ascolto ad occhi sgranati.
Lo sguardo di Auron si posa su di me, per un attimo, e poi ritorna a vagare sulle pareti.
“Non sono gli unici…” dico, a bassa voce.
“Cosa?”
Braska e Jecht sono leggermente più avanti, ma ci stanno ascoltando. Braska annuisce qui e lì, mentre Jecht sbuffa a momenti alternati.
“Non sono l’unica minoranza di Spira”
“Non definirei gli albhed una minoranza…” riflette Auron.
“Non parlavo degli albhed”
“Gli hypello sono più di quanto sembrano…” continua il ragazzo.
“Non parlavo neanche di loro”
“E di quale minoranza parlavi?” chiede, tradendo una stilla di interesse nella voce.
“Gli abitanti della foresta” rispondo, arrossendo leggermente. Lancio uno sguardo ad Auron, per scorgere un’espressione perplessa e interrogativa sul suo volto. Rallenta il passo, si gratta la nuca.
Continuo.
“Sono una minoranza che abita il Bosco di Macalania. Perlopiù si nascondono dai viandanti, ma se attiri la loro attenzione, e ti ritengono persone abbastanza buone e pacifiche, si fanno vivi da soli. È una meraviglia, sapere che sei abbastanza una buona persona da far comparire uno di loro. La maggior parte degli abitanti del bosco sono suonatori, suonano uno strumento, oppure lavorano nella pozza dei ricordi, quella dalla quale si ottengono le filmosfere, hai presente?”
Auron annuisce, io prendo spunto dal suo silenzio per continuare “Sono gli unici che possono lavorare con l’acqua di quella pozza, che così pura da divenire nociva per chiunque abbia dei rimpianti o dei brutti ricordi. Loro nuotano tranquillamente in quell’acqua e non sono assaliti da nessuna cattiva sensazione. Quando ero piccola, mia madre mi raccontava spesso di averne incontrato uno, e mi diceva che erano la cosa più vicina agli angeli, per la loro saggezza e purezza…”.
Quando concludo la mia spiegazione, mi accorgo di essermi fermata. E che Auron, Jecht e Braska si sono fermati a guardarmi mentre raccontavo.
Arrossisco forte, chiedendo a me stessa perché è da stamattina che non sembra stia facendo altro. Auron pare stia riflettendo profondamente.
“Non lo sapevo…” mormora fra sé.
“Wow, Rikku, hai insegnato qualcosa di nuovo ad Auron” dice Braska, ridacchiando e facendo irrigidire l’uomo chiamato in causa.
Poi l’invocatore comincia a camminare, seguito da Jecht che, con una gomitata amichevole (la stessa che oggi mi ha praticamente fatto venire un livido) mormora all’invocatore qualcosa come: te l’avevo detto.
Scrollo le spalle, continuando a camminare, mentre Auron in silenzio mi segue.
Il pomeriggio trascorre in silenzio, tra lo sgocciolio ipnotico e il basso vociare di Jecht e Braska.


 
Quando arriviamo all’entrata della Piana dei Lampi i tuoni sono forti e concisi. Mi spaventano ancora, ma molto meno rispetto a quando avevo sedici anni. Attraversare la Piana, spronata da Auron, fu un trauma, vero, ma mi ha aiutato a superare la paura insensata dei tuoni rombanti. Ancora tremo, un po’, dentro, quando un tuono scuote l’aria, ma non sono più terrorizzata. È sopportabile.
Forse.
Ci fermiamo sotto il portico naturale che affaccia sulla distesa brulla e umida. L’aria è fredda, così mi stringo nel maglione e mi allontano in un angolo coperto per indossare un pantalone più caldo. È una follia attraversare questo posto in niente più che un paio di shorts o una minigonna, finalmente ci sono arrivata. Jecht – che ho ormai etichettato come un uomo da una temperatura corporea sovrumana – resta invece a petto scoperto, ridacchiando mentre urlo di non sbirciare. Auron lo rimprovera, ma solo perché vuole cominciare presto ad attraversare quest’infausto scenario. Non so perché ci tenga tanto, ma conoscendolo, ha sempre il bisogno di affrontare velocemente e spavaldamente le situazioni più fastidiose; insomma, la sua è la filosofia del ‘prima si tira il dente, meno fa male la carie’. In qualche modo, ora, sono d’accordo.
Braska mormora qualcosa sul quanto è rilassante il rumore della pioggia, io sospiro.
“Ragazzi, fermatevi un attimo”, dico, poi.
I tre mi guardano. Auron alza un sopracciglio infastidito.
“Prima la attraversiamo, prima arriviamo al Bosco, e meno ci saranno problemi” dice, secco, legandosi più ordinatamente la folta chioma corvina in un nastro.
Già, prima attraversiamo, prima finiscono i problemi, e prima lascerò il gruppo.
Storco la bocca.
“Ho qualcosa da darvi, aspettate”
Frugo nel mio zainetto.
“Jecht”chiamo a me il ragazzone di Zanarkand; lui s’avvicina.
“Sì, bellezza?”
Auron sbuffa.
Gli porgo una targa. È azzurra, con sulla superficie incastonati dei frammenti di emmepisfere. Non sembra per niente la vecchia targa semplice che ho acquistato dal mercante, quindi devo definitivamente complimentarmi con me stessa per il mio buon lavoro.
Ottimo lavoro, sei la numero uno, oltre che la più sexy e utile delle albhed!
“È una targa. Ti parerà dai fulmini, e aumenterà la tua resistenza magica all’elemento tuono” dico, ridacchiando, pensando alla fine abbrustolita che fece suo figlio quando attraversammo la Piana. Sono sicura che Jecht non sarà da meno; sicuramente non potrà resistere alla tentazione di provare la famosa sfida dei duecento fulmini. “Inoltre, aumenta la tua potenza magica. Così non sarai una pezza dopo tutti quegli haste”. Gli porgo la protezione.
Jecht ridacchia mentre se la allaccia all’avambraccio; poi mi guarda, alza le sopracciglia in stupore.
“Wow, mi sento…più forte”
Ridacchio anche io, contagiata dalla sua allegria.
Quando non è un pervertito, penso, Jecht è davvero una brava persona.
“Grazie biondina!” l’uomo mi prende bruscamente tra le braccia e mi stritola in un abbraccio da orso.
“Ok ok ok ok ok, Jecht puoi lasciarmi adesso, mi stai strangolando” balbetto, dandogli un paio di pugni sulla schiena per farlo staccare. Jecht interrompe l’abbraccio e ritorna al suo posto, giocherellando con la protezione.
“Braska…” chiamo.
L’uomo sorride e s’avvicina, pronto a ricevere la sua vera. È azzurra, molto elegante; lo stile è pensato proprio per l’invocatore; l’ho resa quanto più leggera possibile, e sulla superficie vi sono incisi dei ghirigori. A molti potrebbero sembrare delle mere decorazioni, ma in realtà nelle incisioni (che sono d’un giallo acceso), scorrono dei piccoli lampi, in continuo movimento. È l’energia che sprigionano l’energosfere, a farla brillare.
Un buon blacksmith crea i propri accessori appositamente per la persona a cui saranno destinati, ed io, modestia a parte, sono la migliore blacksmith della mia famiglia (e la mia è la famiglia stipite degli albhed, eheh, fate due più due su, su!). È un dono, ma soprattutto una passione.
Braska prende tra le mani la vera, si stupisce della sua leggerezza.
“Sei un portento, Rikku”
LO SO.
“Le energosfere che fluiscono attraverso la vera aumentano la tua difesa fisica, inoltre dimezzano il danno d’elemento tuono, e semplificano il fluire della tua energia magica, velocizzando i tempi delle tue magie” dico, professionale. Poi lancio uno sguardo ad Auron. La sua faccia, che a molti sembrerebbe statica e apatica, lascia trapelare, per me – che ne ho studiato ogni espressione – un leggero stupore, comunque ben celato.
“Grazie infinitamente per quello che stai facendo”
Braska indossa anche lui la sua protezione, e torna al suo posto.
Al che, Auron, non aspettandosi niente, comincia a camminare.
“Auron”, lo chiamo con voce bassa, mentre Jecht prende in giro Braska sul fatto che la sua vera sia ad intermittenza, ed i due cominciano così una discussione sicuramente divertente, ognuno a difesa del proprio accessorio.
Il ragazzo vestito di rosso si volta a guardarmi, l’espressione di stupore ampliatasi sul suo volto.
“Ho qualcosa anche per te, sai” dico, arrossendo leggermente. Spero che la poca luce della Piana non gli lasci intravedere il rossore. Odio arrossire.
Auron cammina fino ad avvicinarsi, a passo sostenuto.
Frugo nella borsa per quello che ritengo l’accessorio meglio riuscito.
Non è una vera, né una targa, né tantomeno un’armilla, alle quali avevo notato Auron era abituato durante il nostro primo viaggio. È un ciondolo.
Un ciondolo di cristallo azzurro, dalla forma ovale, con tante sfaccettature che riflettono – per un secondo – il riflesso d’un lampo. Il ciondolo riflette luce anche negli occhi scurissimi di Auron, e per un momento anche il suo sguardo si accende.
“In effetti è una novità, per me, lavorare con dei ciondoli. Non l’avevo mai fatto prima, ed è stato un tantino rischioso. Però non ho resistito quando l’ho visto pendere dal vecchio scaffale del mercante, quindi…” arrossisco, non oso alzare gli occhi.
Auron rimane in silenzio per un po’, io non so cosa dire.
“Spiegami i suoi benefici”, dice, poi, con voce roca e bassa.
È come se una bolla si fosse chiusa attorno a noi. In risonanza sento le risa e le chiacchiere di Jecht e Braska, ma sembrano così lontani da noi, come se fossero già dall’altra parte della Piana.
“Oh, certo, che stupida, quasi dimenticavo” aggiungo, ridacchiando con una nota d’isterismo nella voce.
“Beh, non sapevo davvero cosa potesse servirti, ho pensato…ecco…che le protezioni che indossi fossero già abbastanza forti, per quanto riguarda la difesa fisica, così ho pensato prima di tutto di aggiungere al ciondolo una difesa tetraelementale. Dovrebbe dimezzare gli effetti di tutti e quattro gli elementi…” spiego.
Lo sguardo di Auron si incupisce per un momento.
“No!” aggiungo, veloce “Non pensare niente di male! Se avessi potuto l’avrei fatto anche con le altre protezioni, ma purtroppo le sfere che avevo erano compatibili solo con questo ciondolo, e Braska aveva bisogno di difesa fisica, cosa non applicabile alla collana, ecco perché non ho dato questo a lui” dico, brandendo la pietra azzurra.
Lo sguardo di Auron torna relativamente sereno, se non – ancora una volta, oggi – stupito. Probabilmente si chiede come abbia fatto a capire subito cos’era che lo infastidiva. Beh, ma io ti conosco, caro mister-mi-preoccupo-solo-per-Braska.
“Comunque. Ho aumentato soprattutto la velocità. Ho pensato alle tue armi, che sono tutte alquanto pesanti, e quindi potrebbero rallentare i tuoi movimenti. Con questo sono quasi sicura nessuno riuscirebbe a sfiorarti, mai…”
Mi accorgo del tono basso che ho utilizzato nel dire l’ultima parte della frase, e arrossisco – sì, ancora.
Auron osserva il ciondolo tra le mie mani.
“Girati, ti aiuto ad agganciarlo. Non ti preoccupare se ti senti la testa più leggera per un paio di secondi, il tuo corpo deve abituarsi agli effetti”
Auron si gira di spalle.
Osservo la sua schiena per un minuto, poi mi alzo disperatamente sulle punte per raggiungere la sua nuca; lui se ne accorge (mi stava osservando con la coda dell’occhio), così – grazie a Yevon – s’abbassa di qualche centimetro sulle ginocchia per permettere alle mie braccia di attorniare il suo collo e trafficare con la chiusura del vecchio ciondolo.
Il mio petto preme leggermente contro la sua schiena.
Rabbrividisco. Dopotutto fa freddo, nella Piana dei Lampi, mi dico.
Mentre cerco di agganciarlo, parlo, e m’accorgo d’essere io a sentirmi la testa disperatamente leggera, solo per la sua presenza accanto a me.
“Il materiale è molto particolare. Ti ricordi quando oggi pomeriggio ti parlavo della pozza d’acqua di ricordi a Macalania?”
Auron annuisce impercettibilmente, cercando di non fare movimenti bruschi.
“Questo pendente è ricavato da lì” dico, sorridendo.
 E c’è tutta me stessa in esso.
Finisco finalmente di agganciare la collana.
Auron si stira, ritornando all’altezza di prima. Poi si gira, mostrando un volto molto più rilassato del solito.
Sorrido velocemente, ridacchio, e poi faccio per superarlo e raggiungere gli altri due, ancora presi a parlare.
“Rikku”, la sua voce è bassa, un pozzo senza fine dalle mille sfumature d’oscuro.
Mi giro leggermente.
“Grazie”
Ci guardiamo negli occhi per una frazione di secondo (che mi sembra un’era lenta e ponderata).
“E scusami se t’ho giudicato male”, aggiunge, arrossendo leggermente.
Il mio cuore salta un paio di battiti. La mia bocca tremula un piccolo sorriso.
Questa.
Questa.
Questa.
Questa.
È la cosa più dolce che abbia mai visto in vita mia…
Annuisco solo, in silenzio, preferendo non intaccare il momento con delle parole.
Quando mi giro e corro a passo un po’ troppo veloce verso Jecht e Braska, nel mio stomaco ci sono milioni e milioni e milioni e milioni e milioni di farfalle svolazzanti.







   
 
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