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Autore: Padmini    04/12/2012    6 recensioni
Sherlock è un bambino timido che, nonostante la sua buona volontà, non riesce a farsi nessun amico. Forse per il suo carattere introverso, forse perché si annoia con i giochi dei suoi compagni di classe, forse perché è troppo intelligente e saccente, perfino con le maestre. Forse tutte queste cose insieme.
Eppure, da qualche parte, c'è un amico che aspetta solo lui.
AU Child!Sherlock; Teen!John; Child!Moriarty
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fughe e nuovi incontri

 

 

 

 

 

 

Quella sera non aveva mangiato.

Quando sua madre era entrata discretamente in camera sua la per la cena, lui aveva fatto finta di dormire.

Non aveva voglia di affrontare i suoi genitori e suo fratello. Voleva solo dormire e dimenticare quella brutta giornata.

Fu Mycroft, l'ultima persona che voleva incontrare, a riportarlo alla realtà. Entrò in camera silenzioso e si sedette in fianco al fratellino. Il peso robusto del giovane fece inclinare il materasso e Sherlock scivolò suo malgrado verso di lui.

“Vai via, Mycroft” gli sussurrò, con il viso ancora nascosto sotto il cuscino “Lasciami in pace!”

Il ragazzo sorrise e lo cinse con un braccio.

“Sherlock … capisco come ti senti ...”

“No!” obiettò il bambino, rigirandosi come una serpe e guardandolo con gli occhi assottigliati dall'astio “Non capisci! Tu hai degli amici! Io … non ne ho” concluse poi, immergendo nuovamente il viso nel cuscino.

“Forse potresti provare ad essere più … più … gentile?” propose Mycroft, carezzandogli la schiena con ampi gesti.

“Non è colpa mia se sono tutti stupidi!” esclamò Sherlock, stringendo i pugni.

“Non dovresti farglielo pesare, però” suggerì il maggiore, sussurrandogli nell'orecchio.

“Sono solo invidiosi di me” continuò Sherlock, facendo finta di non aver sentito “Sono invidiosi perché io sono più intelligente di loro”

“Ti piacerebbe tanto giocare con loro?” gli chiese Mycroft, prendendolo per una spalla per farlo girare verso di lui.

“Sì … no ...” rispose Sherlock, confuso “Fanno sempre giochi stupidi e io mi annoio con loro” spiegò, premendo il dito sul cuscino “Ma vorrei tanto avere un amico”

Mycroft sospirò e gli prese la mano.

“Sherlock … guardami”

Il bambino fece uno sforzo e guardò gli occhi del fratello, così simili ai suoi.

“Troverai un amico” gli disse Mycroft, come se fosse una promessa “Di questo sono più che sicuro”

Sherlock sbuffò, impaziente.

“Come fai ad esserne sicuro?” gli domandò acido “Tu ...”

“Io ho degli amici e non so cosa stai provando” recitò lui, volgendo gli occhi al cielo “Me lo dici sempre. Cambia musica, per favore. Non è così che cambierai le cose. Devi impegnarti e ...” esitò, in cerca delle parole giuste “ … diventare un po' più umile”

Sherlock sussultò a quella parola. Era una parola che per lui sapeva di …

“Falso” disse ad alta voce “Falso! Falso e ancora falso! Non sarò mai umile. L'umiltà è una cosa stupida. È come mentire. Io voglio dire sempre la verità. Dire che sono come loro sarebbe come mentire e io … io non voglio mentire!” [1]

Mycroft lo prese in braccio e lo fece sedere sulle sue gambe.

“Ascolta bene” gli disse stringendolo forte, ma non troppo per non fargli male “Adesso io e te andiamo in cucina. Mamma e papà ci aspettano per mangiare la torta e aprire i regali. Che ne dici, andiamo?” gli chiese poi, facendogli l'occhiolino.

Sherlock rimase qualche istante meditabondo poi, finalmente, un accenno di sorriso apparve sul suo visino stanco dal pianto.

“Va bene” disse “Sai che la torta l'abbiamo fatta io e la mamma insieme?” chiese poi, riempiendosi di orgoglio e dimenticando, almeno apparentemente, la festa andata male.

“Davvero?” gli chiese Mycroft, alzandosi senza lasciarlo andare “Non vedo l'ora di assaggiarla. Certo, dovrò fare un bel po' di ginnastica per smaltire la ciccia, ma sono sicuro che ne varrà la pena”

Quell'ultima battuta fu decisiva.

Sherlock cinguettò di gioia e strinse forte il collo massiccio del fratello in un abbraccio pieno di gratitudine.

Scesero in cucina e mangiarono insieme la torta. Sherlock aprì con entusiasmo i regali dei genitori.

Mamma e papà gli avevano regalato un microscopio e Mycroft un archetto nuovo per il suo violino. Regali stupendi che lo resero felicissimo. Violet e Siger lo guardarono sollevati mentre giocava con il fratello e cominciava ad usare il suo nuovo microscopio.

Sapevano che la vita del loro figlio minore non era tutta rose e fiori e gli dispiaceva. Soffrivano pensando che Sherlock non avesse nessun amico, a parte Mycroft. Si guardarono negli occhi e si intesero subito. Avrebbero risolto loro quella situazione. La solitudine non avrebbe più fatto parte della vita di Sherlock.

 

 

 

Il primo giorno di scuola dopo le vacanze era arrivato. Sherlock non sapeva ancora come affrontare i suoi compagni di classe. In fin dei conti lui li aveva invitati e nessuno di loro si era presentato …

Decise di far finta di niente. Entrò in classe mentre suonava la campanella e andò a sedersi al suo posto, senza salutare nessuno.

Mise a posto la cartella piena di libri e quaderni e tirò fuori l'astuccio.

Proprio in quel momento entrò la maestra.

“Bentrovati, bambini!” esclamò, con un sorriso enorme “Andate tutti a sedervi, forza!”

I bambini, ubbidienti, andarono ai loro posti.

“Sono felice di rivedervi dopo tutto questo tempo” disse allargando le braccia “Avete fatto i compiti?” aggiunse poi, incrociando i polsi dietro la schiena e sporgendosi in avanti con il busto.

In risposta ottenne un coro di 'sì'.

“Molto bene” disse sorridendo e annuendo “So anche che qualche giorno fa c'è stato il compleanno di Sherlock. Vi siete divertiti alla sua festa?”

Sherlock arrossì vistosamente e chiuse gli occhi. Attorno a lui, gli altri bambini avevano cominciato a guardarsi gli uni con gli altri e a sussurrare.

“Allora?” domandò di nuovo la maestra, guardandosi in giro “Nessuno di voi c'è stato? Sherlock?” chiese poi, rivolgendosi al bambino “Quanti di loro c'erano alla tua festa?”

Sherlock chinò il capo, triste.

“Nessuno” sussurrò, ma la maestra non lo sentì.

“Puoi ripetere?” disse “Non ho sentito bene”

Sherlock aprì bocca per rispondere ma Sally parlò per lui.

“Nessuno di noi è andato alla sua festa” disse, alzandosi in piedi e guardandolo altezzosa “Lui è sempre antipatico con noi perché pensa di essere più intelligente, ma non è vero”

“Io sono più intelligente!” disse lui, a denti stretti.

“Ecco!” esclamò Sally, indicandolo “Ha sentito, signora maestra?”

“Calmatevi, bambini” disse la donna, cercando di mediare “Non è stato carino da parte vostra non presentarvi alla sua festa, soprattutto perché vi ha consegnato l'invito più di un mese fa. D'altra parte” disse poi, rivolta a Sherlock, aggrottando leggermente le sopracciglia “Tu non sei molto gentile nei loro confronti. Dovresti essere un po' più modesto e imparare a collaborare e giocare con gli altri. Che ne dite, bambini? Gli diamo un'altra possibilità?”

Sorrise e chiuse gli occhi soddisfatta, ma il classico coro di 'sì' non arrivò.

“No, signora maestra” disse Sally “Lui è cattivo e noi lo odiamo” disse poi, guardando Sherlock con un sorrisetto maligno stampato in viso.

Sherlock avvampò. Lui non voleva essere cattivo. Si guardava attorno e vedeva solo persone stupide, idioti che a suo parere non sapevano come stare al mondo. Sapeva benissimo valutare la gente ed era consapevole di essere più intelligente dei suoi compagni di classe e non aveva nessuna intenzione di comportarsi da stupido solo per farsi degli amici.

Un amico però lo avrebbe voluto tanto.

Sentiva gli sguardi dei bambini su di lui e cercò con tutte le sue forze di non piangere. Non voleva che gli altri lo vedessero debole.

Guardò la maestra. Il mondo era leggermente sfocato dalle lacrime, così si passò un bracco sul viso. La donna era a disagio. Nessuno si era azzardato a smentire le parole di Sally, anzi. Tutti annuivano e guardavano Sherlock con occhi carichi di amarezza. Nessuno di loro aveva avuto il coraggio di dirlo, ma tutti concordavano con le parole appena pronunciate.

Il calore sprigionato da quelle occhiate lo fece arrossire ancora di più. Si sentiva al centro di un'attenzione indesiderata. Le lacrime cominciarono a bussare ai suoi occhi prima che potesse rendersene conto, ma non le voleva far sgorgare. Quando capì che non poteva veramente più trattenerle, si alzò in piedi di scatto e corse fuori dall'aula. L'ultima cosa che sentì fu la voce della maestra chiamarlo per nome e le risate dei bambini.

 

Sapeva che quello che stava facendo era male, ma non poté fare a meno di scappare. Corse attraverso il cortile e si insinuò tra due sbarre della ringhiera. Corse lungo il marciapiede, attraversò la strada e finalmente arrivò a Regents Park.

Quello, in tutta Londra, era il suo parco preferito. Abbastanza lontano da casa per poter essere libero da Mycroft e sufficientemente vicino alla scuola per potercisi rifugiare dopo le lezioni, prima che la mamma lo andasse a prendere.

Continuò a correre fino a quando le gambe non cedettero per lo sforzo. Individuato un angolino comodo, ci si avvicinò con calma. Lo spazio tra quei due alberi era perfetto per nascondersi. Lì nessuno sarebbe andato a cercarlo. Si raggomitolò e cercò di escludere tutto il mondo attorno a sé.

Il tentativo fallì in meno di un minuto.

“Hey, tu!”

La voce di un bambino lo raggiunse come lo scoppio di un petardo. Non se l'aspettava.

“Cosa ci fai qui?” gli chiese il ragazzino.

Sherlock sollevò lentamente il viso e guardò il suo interlocutore.

Era un bambino moro, con grandi occhi castani. Lo guardava incuriosito.

“Tu cosa ci fai qui, piuttosto” rispose accigliato.

“Amichevole, eh?” gli chiese, inginocchiandosi vicino a lui “Hai pianto, per caso?”

Sherlock tirò su col naso e guardò altrove.

“Non preoccuparti” gli sussurrò il bambino, sedendosi accanto a lui “Non lo dirò a nessuno. Ti fidi?”

“Cosa ci fai qui?” domandò di nuovo Sherlock.

“Mi annoiavo a lezione” rispose il bambino, stringendosi sulle spalle “Così sono andato via. Tu?”

“Più o meno per lo stesso motivo” rispose Sherlock. Non voleva ammettere di essere scappato per debolezza.

Poi, inaspettatamente, il nuovo arrivato disse una cosa che lo sorprese.

“Vorrei essere tuo amico”

Sherlock lo guardò con gli occhi sgranati, ma si rabbuiò subito.

“Nessuno vuole essere mio amico” disse, stringendosi ancora di più, come un riccio.

“Chi lo ha detto?” domandò l'altro, ridendo.

“Tutti. Tutti i bambini che conosco non vogliono essere miei amici” rispose Sherlock “Nemmeno tu farai eccezione”

“Io sono un'eccezione” annunciò il bambino, gonfiando orgogliosamente il petto “Potremmo essere amici, sai? Perché nessuno vuole fare amicizia con te?”

“Sono troppo stupidi!” gridò Sherlock a denti stretti “Non mi piacciono gli stupidi, ma vorrei avere un amico”

“Nemmeno a me piacciono gli stupidi e nemmeno io ho tanti amici” lo rassicurò “Ne ho uno, ma ci vediamo pochissimo. Si chiama Sebastian e ora è in India con i suoi genitori” Sospirò, invaso da qualche ricordo malinconico” Sai che ti dico?” gli chiese poi, illuminandosi improvvisamente “Saremo amici. Tu, d'ora in poi, sarai il mio migliore amico. Ci stai?” gli chiese, tendendogli la mano.

Sherlock osservò quella manina paffuta con attenzione poi, finalmente si lasciò andare. Rilassò tutti i muscoli del corpo e sorrise.

“Va bene” disse, stringendo la mano al suo nuovo amico “Io mio chiamo Sherlock Holmes, e tu?”

“James Moriarty” rispose il bambino, stringendo più forte la mano e sorridendo.

Anche Sherlock sorrise.

Finalmente aveva un amico.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Questo discorso lo si può ritrovare, con altre parole, ne 'L'avventura dell'interprete greco'. Watson si stupisce quando Holmes afferma che Mycroft è più intelligente di lui e Sherlock gli risponde che la modestia non è una virtù perché sottovalutare le proprie capacità è falso come esagerarle.

   
 
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