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Autore: Columbrina    05/12/2012    4 recensioni
Avvertimento OOC per sicurezza. Perdonare qualunque incongruenza con il personaggio.
 Quattro storie nello stesso destino, come non andrebbero mai raccontate.
 
 
Birth.
 Aerith Gainsborough, presto, sarebbe andata all’altare. Se lo promise, o meglio gliel’aveva promesso. Sarebbe stata la sposa più bella del mondo, con quegli occhi brillanti che avrebbero esaltato un colore così tenue come il bianco, al suo fianco solo gioia. Nessuna barricata poteva ferrare la certezza.
 
 
Life
 “Trascorri così il tempo quando non hai rogna in giro?”
 “O faccio questo o prendo a pugni qualche belloccio. La più allettante è sicuramente quest’ultima, ma non posso fare questa carognata al futuro marito della mia migliore amica”
 “Giusta osservazione. Comunque, non dovresti essere con Aerith?”
 “E tu non dovresti essere con Cloud?”
 
 
 Death
 “Tu cosa pensavi di fare, piuttosto. Volevi ucciderti? Perché? Pensavo ormai che fosse tutta acqua sotto i ponti. Mi sbagliavo? Certo, perché sono stata una stupida a credere di poterti dare una chance …”
 “Una passeggiata. Ecco cosa volevo fare”
 “No, un suicidio premeditato. Ecco cos’era.”
 
 
 
 Synthesis
 Questa è una fantasia ancora da scrivere.
 
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Zack Fair
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Contesto generale/vago
Capitoli:
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#23. Addicted
 

 
Che pensasse a lei era un concetto relativo, questo perché riconosceva quella morbosa apprensione nei suoi confronti come un plausibile flusso di ironica abitudine che aveva solo bisogno di tempo per essere soffiata via; anche se poteva anche essere un semplice presagio che si traduceva nel suo spiccato sesto senso quando si trattava di lei, ovviamente.
Pensava a lei all’insaputa di Tifa, perché neanche quando dormiva la sua mente transigeva anche solo un sorriso, un’ombra soffusa di lei. E finiva per trasformarsi in un sonno irrequieto e desiderava che fossero gli albori di un nuovo giorno, sulla moto che inghiottiva i suoi pensieri più densi fino a ridurli in cenere fine.
I segni di una frustrata apprensione, però, gli si leggevano in faccia e purtroppo le emotività facevano breccia nel sesto senso della Lockheart, che si fece coraggio per affrontare un nuovo, inevitabile callo, da debellare in poco tempo perché la sua felicità era agli sgoccioli del quinto mese.
Erano a letto.
“A cosa pensi?” gli chiese a bruciapelo, senza che i loro sguardi si incrociassero
Lo vide chiaramente trafficare nervosamente con i lembi delle lenzuola, dando credito per una volta al linguaggio del corpo. Ogni terminazione del suo corpo traspariva un latente disagio.
“Cattivi presagi” confessò lui senza difficoltà
Tifa era certa che anche i suoi presagi erano esatti.
“Zack non viene a trovarci da un po’… Quindi penso che il peggio è passato. E la sua vita matrimoniale può solo giovarne”
Il viso brillante di luce celestina di Cloud s’imbrunì di un nero profondo, senza lasciare spazio per far trasparire le sue reali emozioni – o intenzioni? – ma fatto sta che quel presagio sovrastava tutti i suoi istinti, quindi non poteva sbagliarsi.
“Se ci pensi, però, si sarebbero infiltrati qui per quella cena che programmate da settimane”
Tifa lo guardò, spontaneamente.
“Magari hanno bisogno del loro tempo … Quale modo migliore che rimettere insieme un matrimonio che con un po’ di privacy”
“Quindi stai dicendo che ci stanno riprovando?”
Lei alzò le spalle, senza smettere di scrutare quel profilo rovinato dall’irriverente resistenza che intercorreva entro qualunque terminazione nervosa del suo sguardo bruno.
“Zack me l’avrebbe detto … E’ come se si fosse volatilizzato nel nulla …” continuò Cloud, ancora più assorto
“L’ultima volta che ho sentito Zack è stata una settimana fa, durante la telefonata con Aerith…”
“C’è stata solo quella telefonata con lei?”
“Beh, no. Ma mi è parsa piuttosto tranquilla …” lo disse con un composto scetticismo che venne subito a galla dopo un singulto spontaneo, ma che represse subito e dissimulò con un tossicchiare piuttosto costruito.
Cloud, per natura, non era incline a far valere le proprie insinuazioni, così si infilò ancora più in fondo nella caldana piacevole della trapunta, adagiò la testa sul cuscino e il bagliore celestino non illuminava più Tifa al punto di distrarla.
“Se lo dici tu” bofonchiò, non appena ebbe assaporato l’ultimo istante di lucidità, che si consumò del tutto nella confusione dei sogni.
La mattina, a colazione, non ne parlarono di fronte ai bambini e la giornata proseguì sostenuta nella tensione di rivangare l’argomento, quindi lo gettarono nel dimenticatoio. Ma l’accanimento era forte e di lì a poco sarebbe tornato a farsi sentire. Quindi era come se l’avessero solo appoggiato nel dimenticatoio e questo non si fosse mosso di una virgola, tanto da non venirne risucchiato.
Le conferme arrivarono sul ciglio della tarda serata, quando erano finiti anche gli ultimi convenevoli del dopo – cena e non restava altro che sparecchiare le stoviglie rimaste; Tifa si alzò, ma Cloud la intimò con un cenno di restare dov’era per non metterla sotto sforzo. Lei dal canto suo si limitò solo a sorridere alla timida imperizia di Cloud o meglio alla sua inetta inimicizia con l’economia domestica, e a impartire indicazioni per evitare un rocambolesco frastuono di vetri rotti.
Poi un trillo inconfondibile.
Tifa si voltò subito di scatto in direzione della modica porta e Cloud fu più lesto di lei nell’andare ad aprire, con la sua falcata marziale. Aprì con la solita titubanza e subito avvertirono entrambi una folata di deserto arido che si insidiava sempre più radicalmente nei loro giustificati sospetti.
Cloud era una maschera pestata nello stucco, ma le sue terminazioni  palpitavano sangue nervoso, era come se fosse in bilico tra due reazioni contrastanti dinanzi alla sciupata bozza di sorriso di Zack, come un dejà – vu ricorrente; Tifa, per contro, era scioccata e i suoi occhi alternavano le due figure stagliate l’una di fronte all’altra con strabilianti convulsioni della testa.
E dovette riconoscere che il sesto senso di Cloud non sbagliava mai, ma solo poi se ne sarebbe resa conto.
“Amico …”
E gli batté una pacca fin troppo convinta ed ebbra sulla spalla. A quel punto lo sguardo di Cloud verteva più sul disgustato che su una comprensività attesa fervidamente da Zack, forse.
“Cosa hai fatto?”
“Cosa ho fatto … Fammici pensare … Allora, l’ultima cosa che ricordo è che ho distrutto un serbatoio, no anzi, l’ho rubato perché la moto non mi andava… Poi ho incontrato un paio di tizi che mi hanno invitato in un pub e …”
“Dov’è Aerith?”
Cloud non si esponeva oltre. Tifa, per contro, era ritta ad osservare la gretta scena, tesa per certi versi e non aveva tutti i torti.
Zack manteneva un sorriso triste e sciupato, dissimulato solo dell’inebriante brezza che aleggiava nei suoi sensi.
“Ma sai che non la vedo da settimane?”
A quel punto Cloud iniziò a mostrare i segni di debellamento della sua costrizione, stringendo in due solidali pugni le mani.
“Cosa dici?”
“Quello che dico, amico … Non la vedo da settimane. Me ne sono andato …”
“Fai sul serio?”
“Cloud non fare così, ti prego …” s’interpose Tifa, la voce rotta da tremolii impellenti
Cloud afferrò la collottola, senza neanche pensare che era troppo sfiancato da una situazione recalcitrante per reagire; era un peso senza sostanza e francamente se ne infischiava, proprio come Zack che era venuto a cercare la giusta punizione forse. A quel punto Tifa si materializzò tra loro, stringendo le spalle di Cloud, sul punto di piangere nel notare quando fossero terribilmente in tensione e irose. S’incrociarono e solo allora denotò una forza di spirito brillare nei suoi occhi, ma non come avrebbe voluto perché tutto era fin troppo sbagliato.
“Ti prego …” lo incalzò nuovamente, con voce insicura, fervida di quella colpa di cui si sentiva responsabile, anche perché non se n’era mai fermamente resa conto.
Sembrò ammansire Cloud, perché mise giù un Zack praticamente inerme, senza alcuna curanza del suo eccesso di zelo o di considerazione perché poche volte si era esposto così tanto.
“Parliamone con calma, avanti …”
Tifa arrancò un’indole da mediatore, giusto per fissare una relativa tregua che sarebbe durata almeno fino al termine della serata, o della situazione.
Cloud era impassibile come sempre, Zack ansimava, carezzandosi istintivamente il collo e respirare quella consumata tensione che si era interposta tra di loro e che sarebbe sempre rimasta, a discapito di qualunque cosa.
“Io non ci parlo con lui”
Un tonfo che non avrebbero dimenticato, che andava al di sopra della soglie dei dolori che in quel momento intercorrevano sulle gote da bambino di Zack, ancora fresche della sonora manata che si traduceva come lo sfogo represso della frustrazione di Cloud, che decise di mettere in chiaro la situazione una volta per tutte. Si liberò perfino dalla stretta di una Tifa in preda alle più recessive sensazioni, che non poté far altro che accasciarsi e sorreggere il viso intriso di sangue di Zack, ma non limitò a Cloud una fuga liscia come l’olio.
“Dove caspita vai?”
La scena era grottesca: Cloud sulla soglia della porta, gli occhiali e la maniglia già inforcati e lei, ansimante e scossa che reggeva il peso della sconfitta dormiente, probabilmente svenuta.
“Una notte al fresco mi calmerà”
Un ultimo tonfo deciso seguì alla resa di una situazione che le era stata comoda per troppo tempo e le gocce iniziavano a riempire pericolosamente il vaso di Pandora all’orlo.
Ma Cloud era veramente al fresco.
Non in gattabuia, ma da solo – o forse no – con le redini delle sue inibizioni in mano e finalmente poteva condurre lui la danza, chissà per quanto ancora.
Si presentò nuovamente alla porta di quella casa che aveva i colori spenti di una linfa che aveva smesso di pulsare da tempo, senza i baci di un sole fulgido, ma come al solito ritrovava in quegli occhi che gli vennero ad aprire quella piccola, sospirata, effimera vena d’ottimismo che li screziava al punto da renderli ancora più belli e tristi di quanto non fossero già.
“Credevo fosse… Ma non importa, entra …” esordì lei, concitata e cortese. E Cloud era nel suo solito passo marziale.
La casa era conservata in uno stato in cui vigeva la massima vigilanza riguardo alla compostezza, irradiata da profumi sgargianti e da fiori appassiti, in una versione più demenziale del quadro grottesco che era dipinto sulla soglia della sua porta, giusto qualche istante fa.
Cloud non aveva proferito parola, ma un fardello incredibile gli pesava sullo stomaco e in gola.
Non ebbe bisogno di prendere l’iniziativa perché odiava farlo e questo lei lo sapeva, perciò si gettò letteralmente tra le sue braccia, sfogando e sfigurando ciò che veramente credeva di essere, liberando come uno sbarramento scrosciante le sconfitte incanalate come indigestioni di bile e di profezie nefaste. Lo strinse, come se credesse che fosse solo una distorsione degli eventi, e lui non poté far altro che sentirsi coinvolto e farsi coinvolgere in sé, in una spira di sensazioni represse, ma che poteva mostrare anche solo per una sera perché lei stessa ne era consapevole allo stesso tempo.
“Che imbecille.”
“Non so cosa dire … Per lo meno sta bene o no?”
Cloud la strinse di più.
“Non direi. L’ho praticamente steso”
Aerith prese a singhiozzare senza farsene una colpa, inumidendo il suo petto con quella caldana salata a cui tanto era devoto, e non lasciava che nessuno accarezzasse le sue verginali lacrime fino a che non fossero state corrose dalla corruzione stessa, consumate nella perizia di un istante carico di un’intesa che andava oltre il platonico.
Lei gli prese il viso tra le mani, contemplandolo al punto di non trovarvi più alcun punto di svolta, per quante volte lo aveva rimirato da vicino e quante occasioni c’erano state per scalfire una partita persa in partenza. E per una volta non avevano l’impulso di sentirsi colpevoli.
La lasciava fare perché non era mai stato così bene.
Però lei scorgeva in entrambi l’unico appiglio a cui non avrebbero mai dovuto aggrapparsi, perché se l’avessero fatto sarebbero crollati immancabilmente in uno spiraglio di istinti risvegliati, voraci come un baratro nell’Inferno e quindi sarebbe stata tutta fatica sprecata. Lo abbracciò di nuovo, per poi esortarlo a tornare da Tifa, mentre asciugava le ultime lacrime calde e liberatorie, contemplando la presenza onnipotente di quella bimba non ancora nata che tanto alimentava quel pianto.
“Non esiste. Rimarrò qui fino a quando l’ultimo briciolo di me non si assicurerà che tu stia bene.”
E sul volto di Aerith nacque quello che potremmo definire una grottesca accozzaglia di facce: non si riusciva a capire se la smorfia sghemba, che tagliava trasversalmente le labbra denotasse condiscendenza o intimidazione; non era chiara neanche l’inclinazione della testa, era come se lo stesse pudicamente ammonendo, ma contemporaneamente lo stesse studiando con crescente curiosità; i suoi occhi erano screziati di un punto luce e Cloud si chiedeva se fosse sopraffazione o gratitudine. Un mistero tutto da pregustare.
Ebbe un meritato sintomo quando gli disse, con tono di chi si è rassegnato già da tempo:
“Inutile insistere con te, Strife, presumo”
Annuì, ancora incerto di quali fossero le sensazioni che Aerith sentiva.
Aerith Gainsborough cosa provi in questo momento? Sei triste perché hai ciò che desideri davanti a te e non puoi toccarlo? O sei felice perché non ti sentirai mai privata di un affetto, represso appena Zack oltrepassa quella porta?
Tediose domande che lasciavano vaghe risposte e che in quel momento non avevano alcuna importanza.
E ricominciò tutto dall'inizio, in una spirale di sensazioni disperatissime, con i capelli che giacevano inermi sul guanciale e un mistero nei suoi occhi vividi, che poteva solo carezzare; un sorriso che sapeva di una scaltrezza studiata, come se ogni terminazione del suo corpo esile volesse invogliarlo ad addentrarsi in confini mai scoperti, quando in realtà rideva solo della sua posizione da autostoppista incallito contro la parete.
“Sei fin troppo protettivo con me, Strife”

 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Addicted: Mi sono arresa alle evidenza già da tempo, ecco perché non riuscivo a essere prolissa come al solito.
Ad ogni modo, questo di Cloud ed Aerith è un morbo che si arrampica sugli specchi e lascia un alone inconfutabile, che rende il tutto così soffuso e confuso.
Capisce subito che qualcosa non va, che sia una mera concessione degli eventi che gli consentono di usufruire del dono specialissimo della paranoia o una tattica spiacevole che sto giostrando da dietro le quinte; in un modo o nell’altro, Cloud riesce a sentire Aerith e la sua anima che piange, lo si deduce anche dal videogioco quando lei gli va in sogno.
Tifa è costretta a piegarsi alle vigorie emotive che nascono non appena Cloud realizza la totale – e fraintesa – noncuranza di Zack (questa ve la spiegherò più avanti); è come se fosse una martire dell’amore e della sottomissione, ma non si stancherà mai di raccogliere i cocci… Indifferentemente da chi ha il cuore più fragile.
 
Questo capitolo è il perno emotivo che sorregge l’intera opera, da qui in poi tutte le azioni sono sottomesse a uno specialissimo arbitrio, che vi sarà più evidente nel corso della lettura di queste battute clou che seguiranno. Se crolla questo, crolla l’intero Cheats.
Questo capitolo è in assoluto il più ipocrita, falso, autocommiserante e traditore, nonché sintesi perfetta del titolo Cheats che significa inganni o, come li chiamo io, giochi di spessore.
Addicted sta per assuefatto; gli inganni ammorbano ogni organo che respira e inghiottisce ogni perdizione, fino a rendere schiavo – assuefatto – la vittima o il carnefice che sta dietro la sbarra, dietro il coltello o una facciata bigotta.
Se non capite questo, non capite Cheats.
 
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Shining Leviathan, inconfutabile perno di saggezza e onniscienza, che non fa altro che alimentare le mie suggestive fantasie sui tornaconti targati Fack. Tesoro, sappi che si divertiranno molto nel prossimo capitolo.
 
Ad _alister, mia fedele compagna di OTP e Clerith feelings. Conosco il tuo rapporto complicato con le long, quindi non posso far altro che ringraziarti ed esternare a parole – seppur con eufemismi che mi costano caro – la mia gratitudine.
 
E, naturalmente, a Manila, interessante e spigliato punto di sfogo delle mie maldicenze nei confronti di quella (buona) donna di Lucrecia e quant’altro. Se non altro, tra le tante Cloti, è tra le poche a vedere di buon occhio – anche se lo fa solo per me – la mia tanto amata Clerith.
Che le disavventure siano con te.
 
 
Alla prossima,
S.
 
   
 
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