VITA E PIOGGIA
È quando ti senti così che speri che le cose
cambieranno. Non vuota, non stanca o trascinata.
Semplicemente piena di speranze, o di voglia di esprimerti.
Di urlare al mondo che ci sei semplicemente facendo un profondo
respiro, per sentire l’odore della notte fresca
d’estate che ti passa per le narici, che con la sua
brezza,sfiorandoti i capelli, sembra fatta apposta per dire
“ehi, tutto passa, tutto cambia, e tu ci sei”.
Sperava sempre che le cose cambiassero.
Non perché la sua vita le sembrasse sfortunata, ma
semplicemente per quel desiderio di libertà che non sentiva
mai suo, che la spaventava e la trasportava lontano con i sogni.
Ci pensava soprattutto la notte, sul suo piccolo balcone dove si
aggrappava alla poca frescura che si palesava appunto solo molto dopo
il tramonto.
Sentiva una strana musica invaderle l’anima, e allora
chiudeva gli occhi e si cullava con una strana nota malinconica che le
saliva al cuore, e a cui non sapeva dare una spiegazione. Aveva tanto
da dire, e così poche parole per dirlo. Per questo si
sentiva chiusa, in gabbia. Non poteva realmente spiegare la sua
tristezza, la sua voglia, i suoi occhi lontani. Nessuno poteva sapere
quindi chi lei realmente fosse. Cosa davvero cercasse o cosa
desiderasse. Spesso non lo sapeva neanche lei. E si sentiva lontana
dalla vita dei suoi amici, così caotica e piena di problemi
che, se guardati per quello che erano, sarebbero diventati
ricordi su cui ridere arrivati ai trent’anni, che non erano
poi così distanti come si potesse pensare. La
verità è che sentiva il tempo scorrerle addosso
come un rivolo d’acqua fredda, inspiegabilmente veloce, ma
così lento ad andarsene. Viveva e non viveva nel medesimo
istante. Era adolescente, ma già adulta. Depressa e
felicemente protesa al futuro, che sembrava non arrivare mai, o
piombare addosso all’improvviso. Si sentiva maledetta dalle
sue contraddizioni.
Ad un certo punto, quella notte, desiderò che
piovesse.
Che il cielo fosse squassato dai lampi e l’aria dai tuoni.
Che il vento ululasse e la distraesse da sé stessa. Quella
sé stessa che tanto faticava a capire. Volse lo sguardo alla
luna. Era piena, bianca e luminosa in tutta la sua fulgida bellezza.
Chiuse gli occhi. E la sua anima nuovamente cominciò a
cantare, e le lacrime a scorrere sul viso.
Quando mai si sarebbe sentita libera? Quando mai avrebbe
trovato davvero la forza di cercare dentro sé stessa la
ragione del suo cuore greve e pesante, così gonfio di un
sentimento indefinito?
Questi erano solo pensieri. Continuava a ripeterselo. Eppure
si sentiva come se tutto dipendesse da lei, nonostante non ci fosse
realmente qualcosa da fare. Nessuno poteva soccorrerla dal pozzo nero
dei suoi occhi, che, pur essendo così chiari
all’apparenza altrui, a lei parevano infinitamente oscuri.
D’istinto
si era diretta per la prima volta al balcone. Nessuno l’aveva
mandata, niente l’aveva spinta là. Forse la sua
maledizione se l’era cercata. E allora sarebbe
stata quella l’ultima volta che avrebbe sofferto. Non sarebbe
mai andata nuovamente su quel balcone. Prese la sua decisione.
Guardò ancora gli occhi della notte, poi si
lasciò andare. Nessun pensiero ora, nessun rimorso, nessuna
contraddizione. Sapeva che quella non era la libertà. Ma la
pace così forse l’avrebbe raggiunta. Un piccolo
sorriso le increspò le labbra bagnate dalle lacrime.
Perché prima di finire il suo volo, una goccia le cadde
sulla fronte.
Ora
pioveva.