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Da
piccola le piaceva tantissimo giocare nelle grotte sul mare che aveva vicino
casa. Si sentiva un’esploratrice come i protagonisti dei suoi libri preferiti e
si avventurava al buio fin quando non iniziava a sentir fame. A quel punto
rientrava in casa e sua madre al sgridava sempre perché era tutta sporca e si
faceva male. “Prima o poi rischi di incappare in qualche guaio. Come faremmo,
poi, io e tuo padre?” le diceva, ma a lei non importava. Le bastava potersi
immedesimare in quegli eroi solo per qualche ora. E poi, che problemi avrebbe
mai potuto trovare? Le grotte erano in piano e piuttosto luminose. Escludendo
qualche graffio sulle ginocchia, non c’era possibilità che succedesse altro. O
almeno, così credeva.
Quando
era più grande, a quindici anni, ogni tanto continuava ad andare a fare qualche
escursione con suo fratello maggiore. Anche a lui erano sempre piaciute quelle
caverne e gli faceva piacere accompagnarla. Certo, non cercavano più l’avventura
come quando avevano otto anni, però si divertivano lo
stesso.
Quella
sera avevano deciso di fare un picnic sotto le stelle per poi rientrare nella
grotta dopo cena.
“Sicura
di non avere troppa paura, sorellina?” l’aveva presa in giro
lui.
“Mpf,
figurati. Sei tu ad essere terrorizzato dal buio, Logan” aveva risposto lei,
facendogli la linguaccia.
“Ehi, lo
senti anche tu?” aveva poi chiesto suo fratello, facendole segno di stare
zitta.
“Cosa?”
dalla caverna venivano dei suoni strani, quasi come dei canti messali. Erano
inquietanti e alquanto lugubri.
“Andiamo
a vedere!” aveva sussurrato Lisa, emozionata. Si era alzata ed era corsa
all’interno prima che lui potesse fermarla, e l’unica cosa che aveva potuto fare
fu seguirla.
“Non
accendere la torcia. Se fossero dei malintenzionati e ci vedessero, finiremmo in
un bel guaio” le aveva consigliato.
“Giusto,
hai ragione” aveva annuito, riponendo la lampada nello zaino.
Con
calma avevano seguito i suoni fino ad arrivare nella cavità più ampia della
grotta, una stanza circolare con le pareti levigate dal mare. L’alta marea aveva
lavorato per secoli sulla roccia, rendendola liscia e splendente, di colore blu,
come il cielo illuminato dalla luna. Era un colore piuttosto stravagante per
l’interno di una grotta, tutto sommato, e Lisa sapeva anche che c’erano delle
leggende su quel luogo, ma non se ne era mai curata. In fin dei conti, lei
faceva solo l’esploratrice, mica l’archeologa.
“Vedo
delle luci là in fondo” aveva sussurrato, avvicinandosi con
cautela…
“Eccoti qua” disse una voce sopra di lei. Sobbalzò e alzò gli occhi: Layton la guardava con un sorriso gentile e affettuoso.
“Tutto a posto? Sei fuggita via come un fulmine e ci siamo preoccupati” le chiese, inginocchiandosi alla sua altezza. Si asciugò la faccia e cercò di sembrare decente, anche se non le riuscì molto bene.
“Sì, è tutto a posto. Non volevo creare disturbo a nessuno” rispose mesta.
“Come mai te ne sei andata così bruscamente? Abbiamo detto per caso qualcosa che non andava?” si preoccupò l’uomo. Perché doveva essere così tremendamente gentile con lei? Perché non poteva essere come tutti gli altri, freddo e indifferente? Perché di mostrava tanto dolce? Stava compromettendo tutto, stava facendo un disastro per colpa sua!
“N-no, voi non avete fatto niente… siete stati fin troppo carini con me” disse tristemente.
“Non capisco il problema, quindi. Cosa c’è che non va? Posso aiutarti in qualche modo?” le chiese. Lisa perse le staffe e lo guardò arrabbiata.
“Perché deve fare il gentile? Perché non mi ignora semplicemente?” gli gridò contro. Si mise le mani sul viso e si mise a singhiozzare.
“Perché non mi odiate tutti, come faccio io?” sussurrò disperata.
“Lisa…” la chiamò Layton. Lei non disse nulla, rimase ferma in quella posizione, con le ginocchia strette al petto e la faccia nascosta dalle mani.
“La prego, mi lasci sola. Non voglio che vi avviciniate di nuovo a me, nessuno di voi” disse.
“Sai che non posso farlo. Un gentiluomo non abbandona mai qualcuno in difficoltà”
“Ma io non sono qualcuno in difficoltà. Io sono solo… io. E voi, se ci tenete alla vostra salvezza, dovete starmi lontani” gli suggerì. Si scoprì lentamente gli occhi.
“Lisa, c’entra qualcosa con quel ragazzo che l’altro giorno ti aspettava davanti casa?” indagò il professore. Lei si mise a tremare, poi si rese conto che era sabato.
“Oh mio Dio, che ore sono?” domandò impaurita.
“Sono le due. Perché?”
“No! No, no, no!” esclamò. Si alzò e se ne andò di nuovo, salendo sul primo autobus che passava, per tornare a casa.
Layton la guardò scomparire e strinse le labbra in segno di frustrazione: stava succedendo qualcosa che nemmeno lui riusciva ancora a capire. Chi era veramente Lisa Simon?
“Eccomi… s-sono qui” rispose al telefono. Aveva il fiatone e le gambe che tremavano, ma era riuscita ad arrivare nel tempo limite che le avevano dato per rispondere.
“Ormai quasi non ci speravo più. Credevo che avremmo dovuto cercarti come l’altra volta” disse l’uomo all’altro capo del telefono.
“Scusami, io ero… a pranzo fuori con il professore e i suoi amici. Ho pensato che, magari, inserendomi nel loro giro…”
“Tu non devi pensare! Devi solo agire ed eseguire il compito che ti è stato assegnato. Hai trovato ciò che cerchiamo?” quella domanda la faceva sempre stare male, ma stavolta il peso dell’appunto trovato nello studio di Layton pesò sul suo stomaco, facendole venire la nausea.
“Ho… ho un indizio sulla spilla” rispose a malincuore.
“Non ci
serve un indizio, noi abbiamo bisogno della spilla vera e propria! Trovala! Hai
solo un mese di tempo, oltre lo scadere di quel termine tuo fratello farà una
brutta fine”
“NO! Aspetta!” gridò alla cornetta, ma in risposta ebbe solo il suono della linea chiusa. “Tuo fratello farà una brutta fine”… Logan…
Prese il foglio con sopra l’appunto e lo lesse.
“La
leggenda dice che questo cimelio, la Spilla di Venere, sia un dono del padre
Nettuno. Quando nacque la Dea Venere dalla spuma di mare, Nettuno decise di
regalarle questa spilla in segno di bellezza e prosperità. All’interno della
spilla si narra siano conservate le gocce di spuma di mare rimaste sul corpo
della giovane Dea appena nata. Da esse può essere ricreata la vita e anche la
ferita più profonda può essere rimarginata. Alcune fonti dicono che all’epoca
della caccia alle streghe una setta, chiama L’occhio di Venere, recuperò il
gioiello per nasconderlo in un posto segreto lontano da tutti, ma esso fu perso
durante una perquisizione della Curia, alla ricerca di eretici. L’occhio di
Venere si sciolse: i suoi membri furono giustiziati per crimini contro la chiesa
e culto di dei pagani, e la spilla non fu mai
ritrovata.
Un paio
di secoli dopo, alcune notizie del cimelio riappaiono in tavolette di pietra
ritrovate nel mar Caspio. Comunque, la leggenda della Spilla di Venere narra che
chiunque ne venga in possesso possa manovrare sia la vita che la morte, potendo
restituire l’una e potendo infliggere l’altra”
“Dannazione, non dice niente sulla sua ubicazione!” gridò Lisa, gettando il foglio a terra, frustrata.
“Non ho in mano nulla che possa aiutarmi con questa stupida spilla! Cosa posso fare?!” si chiese. Stava urlando, ma non se ne curava più di tanto.
“Accidenti a me, a quella maledetta grotta, a tutti loro e anche a questa spilla!” disse. Sentì la testa girarle in maniera vorticosa e si sdraiò sul divano con un braccio sugli occhi a piangere. Sarebbe dovuta tornare all’Università, il lunedì mattina, e avrebbe dovuto vederlo di nuovo, parlarci, conviverci… e dopo la figura fatta poco prima quell’idea non faceva che farla stare peggio. Perché doveva essere sempre così imbranata? Perché doveva sempre combinare dei pasticci? “Prima o poi rischi di incappare in qualche guaio. Come faremmo, poi, io e tuo padre?” le parole di sua madre le risuonarono in testa.
“Mamma, papà… scusatemi” sussurrò. Non avrebbe mai voluto che per colpa sua tutti finissero in quella situazione assurda.
Si asciugò le lacrime e tirò su col naso: doveva combattere, non poteva tirarsi indietro.
“Professore, che succede? La vedo pensieroso” Luke lo richiamò alla realtà con la sua voce allegra. Lui lo guardò e scosse la testa.
“Mh? Scusami, Luke, stavo solo riflettendo su una cosa” rispose. Il ragazzino sorrise.
“Scommetto che stava pensando a Lisa, vero?” dedusse.
“Indovinato. Ci sono delle cose che non riesco a chiarire, ma non saprei dire cosa di preciso. Tu che impressione hai avuto di lei?” gli chiese. Lui ci pensò un attimo.
“Mi sembra una ragazza simpatica. Magari un po’ timida, ma piuttosto carina. Anche se, ora che ci penso bene…” lasciò la frase a metà e si mise a riflettere. Layton non disse nulla, ma sorrise: in fin dei conti, anche dopo un anno, era sempre lo stesso.
“Forse c’è qualcosa che la disturba. Non saprei spiegarlo, ma il modo in cui è fuggita via prima mi ha messo un po’ in agitazione” disse infine. L’uomo annuì serio.
“Anche io la penso come te. Sono certo che la signorina Simon nasconda qualcosa a tutti noi”
“E lei non ha ancora fatto niente, professore?” s’infiammò subito Luke.
“Che cosa ti ho sempre detto? Un gentiluomo non forza le cose. Non posso parlarle se è lei a non voler parlare con me, la costringerei e questa è una cosa che non si fa” lo riprese. Il ragazzino chinò il capo, mortificato.
“Ha ragione, mi scusi” rispose.
“Comunque sono certo che questa storia celi molto più segreti di quanti possiamo immaginare, Luke. A proposito di segreti, nella tua lettera mi parlavi di qualcosa di importante. Cos’è?” si ricordò.
“Ah, giusto! Guardi cosa ho trovato nell’archivio cittadino poco prima del mio ritorno” disse, passandogli un foglio. C’erano sopra delle lettere alternate a numeri che componeva un codice preciso.
“Cos’è?”
“Non lo so, per questo l’ho portato a lei. Pare che si tratti dell’ubicazione di un qualche manufatto particolare. La conchiglia di Venere… uhm, no, aspetti… forse La spilla di Nettuno, o…”
“La Spilla di Venere?!” domandò Layton, stupito. Il ragazzino si illuminò.
“Sì, esatto! Lo conosce?” si stupì. Il professore s’incupì e annuì.
“Sì. Si tratta di una vecchia storia che pensavo vecchia e sepolta. Come mai ti sei interessato a questo manufatto?” gli chiese. Nel frattempo si era alzato dalla scrivania e aveva iniziato a camminare in su e giù per lo studio, con una mano sul mento, riflettendo.
“Mentre eravamo nella nuova città si sono verificate un paio di sparizioni. Secondo un signore che abitava là, erano ricollegabili a questa spilla, così mi sono documentato un po’ ed ho trovato questo foglio. Purtroppo, però, non sono riuscito a tradurlo” rispose mesto.
Layton studiò per qualche minuto l’appunto, poi sorrise.
“Non era poi così difficile, Luke. Anche se ciò che c’è scritto mi fa pensare molto a una cosa, ma per ora non te ne parlerò. Intanto che ne dici di bere una bella tazza di tè e poi andare a dormire? Si è fatto tardi e tu sarai stanco” gli propose. Il ragazzo scosse la testa.
“Affatto! Sono più sveglio che mai! La prego, mi dica qualcosa!” ribatté. Il professore rise.
“Non aggiungiamo altra carne al fuoco. Su, forza: andiamo a letto” ripeté. Sconsolato, l’altro annuì.
“Va bene, non dirò altro” accettò.
Quando si fu chiuso nella sua stanza, l’uomo perse il suo sorriso e si rabbuiò. Si mise a cercare una vecchia lettera di quando era solo uno studente. Era sicuro di averla tra gli appunti dell’Università, l’aveva vista per caso un paio di giorni prima. “Che strano, qua non c’è” si disse. Eppure era convinto di averla portata a casa con tutto il resto delle lezioni. Poi un pensiero orrendo si affacciò alla sua testa e sbiancò. Non era possibile che fosse stata Lisa… anche se si era occupata proprio lei di rimettere a posto tutta quella montagna di fogli. L’aveva rubato lei? “Se fosse così, allora siamo tutti nei guai” pensò. Chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi, ma l’ansia che lo aveva attanagliato non sembrava voler diminuire.