Secondo me non si capisce niente XD E se si
capisce ispira curiose prestazioni di sopracciglia e quant’altro suggerisca
perplessità. Insomma! Più tento di farla uscire decente la storia del pargolo,
più finisco impantanata.
Il prossimo è l’ultimo capitolo, almeno non
rischio più di affogare XD
Buona lettura J
Esplosioni
Il
cuore del mondo.
L’acqua si avventava sulla scogliera in maniera
tanto violenta da sembrare l’estensione degli artigli di un mostro. Assorbiva
gli ultimi raggi del sole, si tingeva di
riflessi aranciati e ricordi dalle sfumature più oscure.
Sasuke
deglutì a fatica osservando il mare di fronte a sé. Da qualche parte, lì in
basso, c’erano finite anche le sue lacrime e le ceneri di Itachi,
molto tempo prima. Come allora, il sole basso gli feriva gli occhi ed altre
ferite erano troppo intime e remote per capire chi gliele avesse inferte.
«Papà!»
Itachi – suo figlio – rotolava velocemente verso
di lui senza nemmeno pensare che poco lontano dai suoi piedi ci fosse il nulla.
Sasuke allungò un braccio per non farlo sporgere
oltre ed evitare che capisse quanto fossero in alto. Continuò a dargli le
spalle, e in un istante si ritrovò le braccia minuscole di Itachi
strette al collo. «Papà» ripeté il bambino, quasi grave. Aveva le mani sudate,
sulla pelle e nella voce il segno che non riusciva a nascondere bene la paura.
Fino a qualche giorno prima Itachi
era stato una vera lagna, persuaso da Naruto che
avevano tutti bisogno di una vacanza a Suna. Lo
sapevano tutti che a solo un giorno di distanza c’era quella scogliera e c’era
quel mare – profondo, infinito, eterno,
come l’amore di un fratello. Sasuke non voleva
tornarci e non voleva nemmeno spiegarsi. Sakura aveva raccontato cose assurde
al bambino; per esempio che in quel mare batteva il cuore del mondo. Itachi non aveva capito ma non era una novità. Facevano
sempre quel gioco: uno di loro gli diceva qualcosa di strano, lui si impegnava
a capire e quando chiedeva lumi loro si impegnavano a farlo sentire abbastanza
intelligente da ricevere una spiegazione completa.
Quella volta però aveva fatto tutto Sakura.
C’era qualcosa nel comportamento del bambino che faceva capire la misura in cui
aveva intuito cos’era successo in quel posto anni prima.
C’era
la morte, la carcassa di un amore che era sopravvissuto a tutto tranne al suo
personale senso di giustizia.
«Ha detto mamma» cominciò Itachi,
stringendo sempre più forte le mani intorno al collo del padre «ha detto che in
quest’acqua batte il cuore del mondo e quindi se il mare è agitato vuol dire
che il cuore batte forte».
Batte
il cuore del mondo – del tuo mondo, Sasuke.
Per
quanto tempo Itachi – niisan – era stato il suo mondo?
«Ti ha detto anche…»
cominciò Sasuke, senza sapere bene quali fossero le
parole adatte per un bambino.
«Mi ha raccontato che qui hai detto addio al tuo
nii-san».
«Sì», confermò lui, muovendosi un po’ quando
sentì le mani di Itachi sotto la maglietta. «Che
fai?»
«Anche tu sei agitato» rispose lui, poggiandogli
la mano sul petto. «Mamma mi ha insegnato a sentire dove batte il cuore»,
precisò, a uno sguardo accigliato del padre. «Perché non piangi?»
Sasuke si
voltò di nuovo verso il mare, chiuse gli occhi per un momento. «Ridi un po’».
Itachi non se
lo fece nemmeno ripetere, divertito dal fatto stesso che suo padre gli avesse
chiesto di ridere invece di darsi una calmata. «E rispondimi però!»
«Io non sono una lagna come te, certo che non
piango».
«Ma come fai?»
Sasuke si
alzò, dando un buffetto sulla fronte del figlio. «Tu continua a ridere», disse,
avviandosi verso il basso dove Sakura lo stava aspettando insieme a Naruto e alla sua famiglia.
Itachi fece
per seguirlo, poi tornò indietro all’improvviso – Sasuke
riusciva solo a immaginare il terrore che il figlio stava tentando di ignorare
pur di dire qualcosa sul limite della scogliera. «Ero un po’ agitato anche io.
Mi ha fatto piacere conoscerti… zio».
***
Ridi un
po’.
«Papà, ho capito cosa volevi dire!» Itachi esordiva sempre così. Se non capiva qualcosa, ci
ragionava un paio di giorni, se la faceva spiegare da Sakura, e poi arrivava da
lui come una furia.
Ho capito
cosa volevi dire!
«Cosa?»
L’abitudine per Itachi,
comunque, era sempre una vittoria deliziosa. «Che mi vuoi bene» sghignazzava,
soddisfatto. Anche se non c’entrava niente. Rispondeva sempre così e si beava
ogni volta perché Sasuke non si scomodava a negare.
Al massimo chiedeva: «e poi?»
Itachi si
guardò intorno, circospetto. Abbassò un po’ la voce, forse era anche un filo
insicuro. «Ha detto mamma che non è vero che tu non puoi piangere. Puoi piangere. Ma non piangi mai perché
altrimenti io sarei triste e a te piace sentirmi ridere invece di metterti a
piangere». Itachi gli lanciò uno sguardo obliquo,
indagatore. Voleva vedere se era stato in grado di capire e spiegare tutto per
bene.
Sasuke lo
fissò con attenzione, inginocchiandosi davanti a lui. Itachi
era una vera lagna, piangeva in continuazione per qualsiasi assurdità, anche se
ogni tanto gli veniva in mente di ostinarsi a fare il duro. Aveva la lacrima
facile, oppure nessun motivo per governarsi. «Pensi di poter fare lo stesso per
me?»
Il bambino valutò la situazione per qualche
istante, pensieroso. Probabilmente non aveva voglia di impegnarsi in qualcosa
di troppo impegnativo.
«Itachi».
«Ridi un po’!» gli rispose lui, tentando di
fargli il solletico.
Sasuke ne
sorrise, col viso nascosto tra i suoi capelli.
***
Eccezioni.
Itachi se ne
stava disteso sul tappeto come se non esistesse posto più comodo al mondo. Il camino
lo riscaldava e gli illuminava il disegno a cui stava lavorando. Non era
proprio soddisfacente, c’erano troppe linee storte. Itachi
osservò di nuovo il viso di sua madre, intenta a leggere sul divano. Aveva gli
zigomi più alti, gli occhi non somigliavano per niente ai cerchi che aveva disegnato
lui. Si accigliò per un istante, poi decise che dopotutto poteva andare così. Aggiunse
un ombrello, e finì di scrivere il suo nome in fretta e furia quando sentì la
porta di casa che si apriva. Non stentò a notare che quando il papà entrò in
soggiorno tutto fradicio per la pioggia la mamma gli dedicò solo un cenno e
tornò a leggere il librone che stringeva tra le braccia.
Itachi sospirò,
a notare che il cenno di suo padre era stato ancora più tirato e teso. Si affrettò
a seguirlo in bagno e a piazzargli il disegno tra le dita, sostituendolo all’asciugamano
che Sasuke aveva recuperato da un mobiletto vicino. Itachi cominciò a strofinargli i capelli con energia al
punto da fargli male, ma lo lasciò lamentare in silenzio – si sapeva che il
papà sopportava le cose fastidiose anche peggio di lui, se possibile, e si
lamentava con molta più fantasia.
«E questo cos’è?»
Itachi
arrossì un po’ quando si accorse che lui stava scrutando con attenzione il suo
disegno. C’erano la mamma, e il papà – con
le facce che avevano quando non litigavano - e poi c’era un ombrello, e dentro l’ombrello
il suo nome. Era suo compito tenerli vicini se tentavano di allontanarsi.
«Quando chiedi scusa?» indagò, e quando ricevette in risposta uno sguardo
scandalizzato aggiunse: «se non chiedi scusa non avrai il bacio del buongiorno
nemmeno domani», e così pensava di chiudere l’argomento. Non che gli importasse
molto, dopotutto, potevano sempre fare come quella mattina: la mamma era andata
a svegliarlo cinque minuti prima e gli aveva chiesto di passare a svegliare il
padre con un bacio rumoroso e schioccante. Però qualcosa gli diceva che invece
il papà voleva due baci la mattina.
«Io non devo chiedere scusa, Itachi».
«E perché io devo chiedere sempre scusa?»
«Perché tu combini casini uno dietro l’altro».
«E tu invece che hai fatto?»
Sasuke
sospirò, togliendogli il telo di mano e prendendo a tamponarsi i capelli per
conto suo. «Ai grandi non sempre basta chiedere scusa, Itachi».
«E quindi come si può fare pace da grande?»
«Parlando» rispose lui, arricciando il naso. «E
facendo qualche eccezione».
Itachi ci
mise un po’ ad assorbire la notizia, e prima che il padre lo piantasse nel
bagno per andare a fare razzia della cena in frigo, trovò anche il tempo di
urlare che la prossima volta che mi fai
arrabbiare allora devi fare un’eccezione anche per me.
***
Arte.
«Sei stanco papà?»
Sasuke scrutò
il viso luciferino del figlio: Itachi si sistemava la
sua nuova divisa da caccia addosso e fingeva di tenere in conto la sua
stanchezza. Era appena rientrato da una missione, e il divano era sicuramente
più allettante dell’engawa mentre a un passo da loro
pioveva al punto che sembrava che sarebbe venuto giù pure il cielo.
Ma se avesse detto a Itachi
che non era il caso di cominciare con le lezioni, un’altra volta, sicuramente lui avrebbe messo il broncio per tutta
la sera.
«Tra due minuti tanto sei stanco pure tu e
rientriamo» lo avvertì Sasuke, senza alcun
particolare trasporto.
«Scordatelo, io non mi stanco».
«Tutti si stancano Itachi,
soprattutto quando vogliono usare archi troppo grossi».
Il bambino lo guardò stizzito, tentando di
sollevare l’arma all’altezza del viso. Ci riuscì a stento e con uno sforzo che
non riuscì a dissimulare.
Sasuke lo
guardò un po’ divertito e un po’ perso nei ricordi. Aveva indossato la stessa
divisa, un milione di anni prima, ed era stato altrettanto petulante. Tentò di
riportare alla memoria le parole che gli aveva detto suo fratello alla prima
lezione, e trovò che molte l’avevano accompagnato fino a quel momento
particolare della sua vita senza che se ne fosse nemmeno reso conto.
«Itachi, il braccio
sinistro deve stare teso, così», cominciò, aiutandolo ad assumere la posizione
giusta. «Il braccio destro invece no, deve restare più morbido al livello del
polso. Prova a caricare la freccia».
Lui eseguì compito e con attenzione, lasciandola
schioccare alla volta di un bersaglio che non sfiorò nemmeno di striscio. Guardò
il frutto del suo fallimento con occhi sbarrati.
«Devi fare pratica» constatò Sasuke,
per niente meravigliato e col desiderio che quel disastro non meravigliasse
troppo nemmeno suo figlio. «Prova così» aggiunse, sistemandogli meglio anche il
braccio destro, facendo emergere dalla memoria altre parole, più calme, più
belle, più strane. «Itachi, il movimento del braccio
destro è uguale anche per quelli che suonano e per quelli che dipingono, lo
sai? Significa che questa è un’arte, per gli shinobi».
«E quindi?»
«E quindi ci vuole tempo per impararla e poi…» soggiunse Sasuke,
ricordando un sorriso gentile, una raccomandazione che sarebbe valsa per una
vita intera; «come tutte le arti è usata per fare qualcosa di bello».
«Per esempio?»
«Proteggere le persone a cui vuoi bene».
Itachi ne
sorrise, il volto illuminato dalla voglia di riuscire. Intanto però riusciva
solo a lamentarsi quando Sasuke invece di fargli
tenere la posizione, si premurava di colpirlo sulla fronte, lieve. Persistente.