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Autore: Ato    05/12/2012    3 recensioni
«Sasuke-kun», rise, incapace di trattenersi. «Che ce ne facciamo di tutta questa roba?»
Sasuke arrivò in cucina chiedendosi come potesse non essere chiara la ragione di quella riserva. «Secondo te io posso mai uscire di notte per soddisfare tutte le voglie che ti verranno?»
«E ci volevano tre marche diverse di salsa di soia?»
Sasuke le si avvicinò, guardingo, anche un po’ pensieroso. «Di più?»
Sakura si dichiarò offesa, lo riprese esclamando un paio di volte il suo nome con un’enfasi tutta da lei. Gli diede anche un pizzicotto sul fianco. Lui le bloccò la mano prima che gli lasciasse un livido senza nemmeno accorgersene. L’interno del suo polso era liscio, la pelle finissima. Si sentiva il sangue che scorreva veloce. Sasuke la sentiva sotto le dita, quella vita, eppure sembrava che stesse esplodendo ovunque. Bellissima.
[...]
Sasuke voleva diventare papà (?) e io mi sono sentita moralmente obbligata a scrivere una raccolta di momenti in cui pian piano lo diventa. Sì, più o meno.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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Secondo me non si capisce niente XD E se si capisce ispira curiose prestazioni di sopracciglia e quant’altro suggerisca perplessità. Insomma! Più tento di farla uscire decente la storia del pargolo, più finisco impantanata.

Il prossimo è l’ultimo capitolo, almeno non rischio più di affogare XD

Buona lettura J

 

 

Esplosioni

 

 

 

 

 

 

 

Il cuore del mondo.

 

L’acqua si avventava sulla scogliera in maniera tanto violenta da sembrare l’estensione degli artigli di un mostro. Assorbiva gli ultimi raggi del sole, si tingeva  di riflessi aranciati e ricordi dalle sfumature più oscure.

Sasuke deglutì a fatica osservando il mare di fronte a sé. Da qualche parte, lì in basso, c’erano finite anche le sue lacrime e le ceneri di Itachi, molto tempo prima. Come allora, il sole basso gli feriva gli occhi ed altre ferite erano troppo intime e remote per capire chi gliele avesse inferte.

«Papà!»

Itachisuo figlio – rotolava velocemente verso di lui senza nemmeno pensare che poco lontano dai suoi piedi ci fosse il nulla. Sasuke allungò un braccio per non farlo sporgere oltre ed evitare che capisse quanto fossero in alto. Continuò a dargli le spalle, e in un istante si ritrovò le braccia minuscole di Itachi strette al collo. «Papà» ripeté il bambino, quasi grave. Aveva le mani sudate, sulla pelle e nella voce il segno che non riusciva a nascondere bene la paura.

Fino a qualche giorno prima Itachi era stato una vera lagna, persuaso da Naruto che avevano tutti bisogno di una vacanza a Suna. Lo sapevano tutti che a solo un giorno di distanza c’era quella scogliera e c’era quel mare – profondo, infinito, eterno, come l’amore di un fratello. Sasuke non voleva tornarci e non voleva nemmeno spiegarsi. Sakura aveva raccontato cose assurde al bambino; per esempio che in quel mare batteva il cuore del mondo. Itachi non aveva capito ma non era una novità. Facevano sempre quel gioco: uno di loro gli diceva qualcosa di strano, lui si impegnava a capire e quando chiedeva lumi loro si impegnavano a farlo sentire abbastanza intelligente da ricevere una spiegazione completa.

Quella volta però aveva fatto tutto Sakura. C’era qualcosa nel comportamento del bambino che faceva capire la misura in cui aveva intuito cos’era successo in quel posto anni prima.

C’era la morte, la carcassa di un amore che era sopravvissuto a tutto tranne al suo personale senso di giustizia.

«Ha detto mamma» cominciò Itachi, stringendo sempre più forte le mani intorno al collo del padre «ha detto che in quest’acqua batte il cuore del mondo e quindi se il mare è agitato vuol dire che il cuore batte forte».

Batte il cuore del mondo – del tuo mondo, Sasuke.

Per quanto tempo Itachiniisanera stato il suo mondo?

«Ti ha detto anche…» cominciò Sasuke, senza sapere bene quali fossero le parole adatte per un bambino.

«Mi ha raccontato che qui hai detto addio al tuo nii-san».

«Sì», confermò lui, muovendosi un po’ quando sentì le mani di Itachi sotto la maglietta. «Che fai?»

«Anche tu sei agitato» rispose lui, poggiandogli la mano sul petto. «Mamma mi ha insegnato a sentire dove batte il cuore», precisò, a uno sguardo accigliato del padre. «Perché non piangi?»

Sasuke si voltò di nuovo verso il mare, chiuse gli occhi per un momento. «Ridi un po’».

Itachi non se lo fece nemmeno ripetere, divertito dal fatto stesso che suo padre gli avesse chiesto di ridere invece di darsi una calmata. «E rispondimi però!»

«Io non sono una lagna come te, certo che non piango».

«Ma come fai?»  

Sasuke si alzò, dando un buffetto sulla fronte del figlio. «Tu continua a ridere», disse, avviandosi verso il basso dove Sakura lo stava aspettando insieme a Naruto e alla sua famiglia.

Itachi fece per seguirlo, poi tornò indietro all’improvviso – Sasuke riusciva solo a immaginare il terrore che il figlio stava tentando di ignorare pur di dire qualcosa sul limite della scogliera. «Ero un po’ agitato anche io. Mi ha fatto piacere conoscerti… zio».

 

***

 

Ridi un po’.

 

«Papà, ho capito cosa volevi dire!» Itachi esordiva sempre così. Se non capiva qualcosa, ci ragionava un paio di giorni, se la faceva spiegare da Sakura, e poi arrivava da lui come una furia.

Ho capito cosa volevi dire!

«Cosa?»

L’abitudine per Itachi, comunque, era sempre una vittoria deliziosa. «Che mi vuoi bene» sghignazzava, soddisfatto. Anche se non c’entrava niente. Rispondeva sempre così e si beava ogni volta perché Sasuke non si scomodava a negare. Al massimo chiedeva: «e poi?»

Itachi si guardò intorno, circospetto. Abbassò un po’ la voce, forse era anche un filo insicuro. «Ha detto mamma che non è vero che tu non puoi piangere. Puoi piangere. Ma non piangi mai perché altrimenti io sarei triste e a te piace sentirmi ridere invece di metterti a piangere». Itachi gli lanciò uno sguardo obliquo, indagatore. Voleva vedere se era stato in grado di capire e spiegare tutto per bene.

Sasuke lo fissò con attenzione, inginocchiandosi davanti a lui. Itachi era una vera lagna, piangeva in continuazione per qualsiasi assurdità, anche se ogni tanto gli veniva in mente di ostinarsi a fare il duro. Aveva la lacrima facile, oppure nessun motivo per governarsi. «Pensi di poter fare lo stesso per me?»

Il bambino valutò la situazione per qualche istante, pensieroso. Probabilmente non aveva voglia di impegnarsi in qualcosa di troppo impegnativo.

«Itachi».

«Ridi un po’!» gli rispose lui, tentando di fargli il solletico.

Sasuke ne sorrise, col viso nascosto tra i suoi capelli.

 

***

 

Eccezioni.

 

Itachi se ne stava disteso sul tappeto come se non esistesse posto più comodo al mondo. Il camino lo riscaldava e gli illuminava il disegno a cui stava lavorando. Non era proprio soddisfacente, c’erano troppe linee storte. Itachi osservò di nuovo il viso di sua madre, intenta a leggere sul divano. Aveva gli zigomi più alti, gli occhi non somigliavano per niente ai cerchi che aveva disegnato lui. Si accigliò per un istante, poi decise che dopotutto poteva andare così. Aggiunse un ombrello, e finì di scrivere il suo nome in fretta e furia quando sentì la porta di casa che si apriva. Non stentò a notare che quando il papà entrò in soggiorno tutto fradicio per la pioggia la mamma gli dedicò solo un cenno e tornò a leggere il librone che stringeva tra le braccia.

Itachi sospirò, a notare che il cenno di suo padre era stato ancora più tirato e teso. Si affrettò a seguirlo in bagno e a piazzargli il disegno tra le dita, sostituendolo all’asciugamano che Sasuke aveva recuperato da un mobiletto vicino. Itachi cominciò a strofinargli i capelli con energia al punto da fargli male, ma lo lasciò lamentare in silenzio – si sapeva che il papà sopportava le cose fastidiose anche peggio di lui, se possibile, e si lamentava con molta più fantasia.

«E questo cos’è?»

Itachi arrossì un po’ quando si accorse che lui stava scrutando con attenzione il suo disegno. C’erano la mamma, e il papà – con le facce che avevano quando non litigavano  - e poi c’era un ombrello, e dentro l’ombrello il suo nome. Era suo compito tenerli vicini se tentavano di allontanarsi. «Quando chiedi scusa?» indagò, e quando ricevette in risposta uno sguardo scandalizzato aggiunse: «se non chiedi scusa non avrai il bacio del buongiorno nemmeno domani», e così pensava di chiudere l’argomento. Non che gli importasse molto, dopotutto, potevano sempre fare come quella mattina: la mamma era andata a svegliarlo cinque minuti prima e gli aveva chiesto di passare a svegliare il padre con un bacio rumoroso e schioccante. Però qualcosa gli diceva che invece il papà voleva due baci la mattina.

«Io non devo chiedere scusa, Itachi».

«E perché io devo chiedere sempre scusa?»

«Perché tu combini casini uno dietro l’altro».

«E tu invece che hai fatto?»

Sasuke sospirò, togliendogli il telo di mano e prendendo a tamponarsi i capelli per conto suo. «Ai grandi non sempre basta chiedere scusa, Itachi».

«E quindi come si può fare pace da grande?»

«Parlando» rispose lui, arricciando il naso. «E facendo qualche eccezione».

Itachi ci mise un po’ ad assorbire la notizia, e prima che il padre lo piantasse nel bagno per andare a fare razzia della cena in frigo, trovò anche il tempo di urlare che la prossima volta che mi fai arrabbiare allora devi fare un’eccezione anche per me.

 

 

***

 

Arte.

 

«Sei stanco papà?»

Sasuke scrutò il viso luciferino del figlio: Itachi si sistemava la sua nuova divisa da caccia addosso e fingeva di tenere in conto la sua stanchezza. Era appena rientrato da una missione, e il divano era sicuramente più allettante dell’engawa mentre a un passo da loro pioveva al punto che sembrava che sarebbe venuto giù pure il cielo.

Ma se avesse detto a Itachi che non era il caso di cominciare con le lezioni, un’altra volta, sicuramente lui avrebbe messo il broncio per tutta la sera.

«Tra due minuti tanto sei stanco pure tu e rientriamo» lo avvertì Sasuke, senza alcun particolare trasporto.

«Scordatelo, io non mi stanco».

«Tutti si stancano Itachi, soprattutto quando vogliono usare archi troppo grossi».

Il bambino lo guardò stizzito, tentando di sollevare l’arma all’altezza del viso. Ci riuscì a stento e con uno sforzo che non riuscì a dissimulare.

Sasuke lo guardò un po’ divertito e un po’ perso nei ricordi. Aveva indossato la stessa divisa, un milione di anni prima, ed era stato altrettanto petulante. Tentò di riportare alla memoria le parole che gli aveva detto suo fratello alla prima lezione, e trovò che molte l’avevano accompagnato fino a quel momento particolare della sua vita senza che se ne fosse nemmeno reso conto.

«Itachi, il braccio sinistro deve stare teso, così», cominciò, aiutandolo ad assumere la posizione giusta. «Il braccio destro invece no, deve restare più morbido al livello del polso. Prova a caricare la freccia».

Lui eseguì compito e con attenzione, lasciandola schioccare alla volta di un bersaglio che non sfiorò nemmeno di striscio. Guardò il frutto del suo fallimento con occhi sbarrati.

«Devi fare pratica» constatò Sasuke, per niente meravigliato e col desiderio che quel disastro non meravigliasse troppo nemmeno suo figlio. «Prova così» aggiunse, sistemandogli meglio anche il braccio destro, facendo emergere dalla memoria altre parole, più calme, più belle, più strane. «Itachi, il movimento del braccio destro è uguale anche per quelli che suonano e per quelli che dipingono, lo sai? Significa che questa è un’arte, per gli shinobi».

«E quindi?»

«E quindi ci vuole tempo per impararla e poi…» soggiunse Sasuke, ricordando un sorriso gentile, una raccomandazione che sarebbe valsa per una vita intera; «come tutte le arti è usata per fare qualcosa di bello».

«Per esempio?»

«Proteggere le persone a cui vuoi bene».

Itachi ne sorrise, il volto illuminato dalla voglia di riuscire. Intanto però riusciva solo a lamentarsi quando Sasuke invece di fargli tenere la posizione, si premurava di colpirlo sulla fronte, lieve. Persistente.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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