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Autore: Sten__Merry    06/12/2012    2 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E' un capitolo davvero breve, ma allungarlo l'avrebbe reso meno puro.
Ci tengo molto.
Fatemi sapere,
Sten.


___

“Faccio tardi. Abby è tornata a casa prima che potessi uscire. Aspettami.” l'sms di Antony arrivò non appena misi piede in casa, sprofondai sul divano in un irrazionale moto di gelosia.
In un attimo ogni senso di colpa fu spazzato via, le immagini di lui intento a darle un veloce bacio sulle labbra non appena lei rientrava, per poi sedersi al tavolo e farsi fare il resoconto della giornata mi fecero accapponare la pelle.

Era ufficiale: il mostro verde dell'invidia aveva bussato alla mia porta ed io non ero stata capace di lasciarlo fuori ad attendere.

Provai a iniziare a leggere il romanzo di Abby per avvantaggiarmi con il lavoro, ma fui costretta a riprendere la lettura della stessa pagina una decina di volte, troppo distratta dal pensiero delle loro bocche a contatto, dei loro corpi nudi stretti tra loro e del suo sguardo, che avevo visto perdersi in me, sprofondato negli occhi azzurri di Abbygail.

Lanciai il libro sul divano e mi distesi, le mani attorno alla testa quasi a creare una barriera tra me e il mondo esterno. Nel buio della mente però le immagini di loro due insieme non smettevano di rincorrersi. Non riuscivo a capire come lui avesse potuto non accorgersi di nulla in quell'ultimo periodo quando sapevo di essere io quella che lo rendeva felice davvero.

Mi stavo forse sbagliando? Forse dedicava a entrambe la stessa risata sguaiata rotolandosi sul letto dopo aver fatto sesso per ore? Forse io non ero poi così speciale come mi ero convinta di essere?

Il pensiero di non essere io a portarlo a camminare sulle nuvole forse mi faceva impazzire ancora più che l'idea di loro due insieme, non potevo credere di non essere per lui la stessa iniezione di adrenalina che lui era per me.

Improvvisamente sentii un ineluttabile bisogno di vederli insieme, così afferrai il computer di Kerry che era stato lasciato abbandonato vicino al sofà e digitai i loro nomi in un motore di ricerca, ed eccoli lì, sorridenti sul red carpet di un evento mondano londinese.

Il lato positivo dell'essere personaggi noti, pensai ironicamente.

Lei portava un Oscar De La Renta fucsia che le scendeva morbido sul corpo accarezzandone solo in maniera accennata le curve delicate, lui un completo grigio con una cravatta nera stretta al collo, si tenevano per mano e sorridevano.
Sentii il sangue gelarsi nelle vene.

Sorridevano.

Lui sorrideva accanto a lei, brillava quasi e mi sembrò impossibile poter fingere una tale raggiante felicità. Scossi la testa e richiusi il computer. Erano passate poche ore da quando ero venuta a conoscenza dell'esistenza di Abbygail, ma già mi sembrava di sentire quanto pesante risultasse la situazione.
Avevo sempre creduto che non avrei mai fatto l'amante per scrupoli nei confronti della persona che sarebbe stata tradita con me, ma mai e poi mai mi era balenata in testa l'eventualità di essere incapace di ricoprire quella posizione per la mia volontà di essere l'unica, di essere il suo tutto, e invece era proprio ciò che era successo: Antony mi aveva conquistata, travolta, scossa e riappoggiata al comodino, come fossi stata una di quelle orribili palle souvenir con la neve dentro, e ora non potevo far altro che aspettare di vedere come mi sarei riassestata.
Lo capii repentinamente, quasi in una rivelazione, il problema non era la felicità di Abby, il problema era quella di Antony perché non girava attorno a me. Lui era sotto la mia pelle, ma io, forse, non ero ancora sotto la sua e lo sentivo.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime silenziose ed educate e rimasi così, seduta sul divano a fissare il vuoto, per alcuni lunghissimi minuti con le guance sempre più bagnate ma il corpo compostamente fermo. Non era un pianto di disperazione, ma di rassegnazione perché sapevo che in fin dei conti mi sarebbe andata bene così, perché senza di lui non avrei voluto stare, in nessun caso.

Lo aspettai così, immobile e madida, ben sapendo che quando l'avrei visto questa sensazione di inadeguatezza se ne sarebbe andata per poi tornare l'istante stesso in cui lui sarebbe uscito da casa mia.

Alla fine, dopo attimi che mi sembrarono infiniti, arrivò. Visibilmente scosso entrò in casa, scivolando leggero, quasi fosse irreale.

Scosse la testa.

“Non avrei mai pensato succedesse” balbettò fissandomi negli occhi con i suoi che erano illuminati da un'intensità mai vista prima.

Le sopracciglia leggermente piegate verso il basso per la prima volta non erano l'unico segno malinconico sul suo viso.

Si morse un labbro. Per l'ennesima volta mi richiamò alla mente le goffe movenze di un bambino.

Non parlai, lo strinsi a me, nel silenzio più totale.

Si lasciò stringere, ricambiando l'abbraccio cingendomi la schiena all'altezza dei fianchi. Rimanemmo così, immobili e increduli, protetti l'una nella stretta dell'altro, in una sorta di bolla di sapone che pareva tenerci separati dal fluire dal resto del mondo.

Entrambi eravamo stati colpiti dalla realtà attorno a noi e stavamo cercando di far pressione sulle nostre ferite nel tentativo di dimenticare che non avremmo mai funzionato.
Ora lo sapevamo. Alla fine l'avevamo ammesso.

Fu il primo abbraccio davvero onesto tra noi, un tacito accordo di accettazione di un patto di intesa. Per essere veri, veri fino in fondo, avremmo dovuto mentire a noi stessi e al mondo.

Per essere felici tra noi avremmo dovuto fingere di credere di poterlo essere anche l'uno senza l'altra, perché l'ammettere una tale dipendenza tra noi avrebbe significato rendere palese il fatto che nessuno dei due era disposto a sacrificare la propria vita.

Stringemmo quasi un patto di sangue, vincolante e pesante, per cui se il mondo ci avesse fatto male avremmo accolto i suoi fendenti con il sorriso, perché il dolore che da quel momento ci sarebbe stato afflitto sarebbe stato la conseguenza delle nostre scelte.

Un abbraccio che sapeva di tutto tranne che di addio che incredibilmente mi tranquillizzò.

“Antony...” sussurrai, riuscii solo a dire il suo nome prima che lui mi zittisse baciandomi leggermente le labbra, un bacio di supplica, mi scostai leggermente da lui e annuii

“Va bene così” gli risposi con un accennato sorriso triste, lui mi ristrinse forte e mi persi nelle sue braccia forti.

Mi sentii al sicuro come mai mi ero sentita prima. Lui, imperfetto e insicuro, era l'essere più perfetto e sicuro che io avessi mai incontrato nella mia vita.

Ben lungi dall'essere mio, in realtà era la cosa che sentivo di possedere più di tutto.

“Ho una canzone che ho scritto tempo fa che oggi non fa altro che parlarmi di te” mi disse improvvisamente, mi sedetti a terra pronta ad ascoltarla.

Mi imitò e prese a cantare, gli occhi chiusi e la testa che si muoveva al ritmo della musica che risuonava nella sua mente ma che io non potevo sentire.

Le parole per me mi colpirono come una ventata di aria tiepida il primo giorno di primavera, quasi mi parve di sentirne gli odori dolci e improvvisi che vi avrei ricollegato.

Sapere ciò che ti aspetta rende giusto ciò che è sbagliato, credimi. Aspetta, nulla dura per sempre, prima o poi questa solitudine se ne andrà. Dovresti poter vedere il resto della tua storia, ti aspetta un altro capitolo, non ti preoccupare. Non tutti i finali sono uguali. So che imparerai ad amare di nuovo.

Mi alzai e andai dietro di lui mentre ancora cantava, lo strinsi da dietro accucciandomi appoggiata alla sua schiena

“Imparerò” sussurrai con le labbra appoggiata alla sua orecchia.

“Non con te” pensai “Lo sappiamo entrambi”.

Ma lo tenni per me, sapevo che anche lui ne era consapevole.

   
 
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