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Autore: Doe    06/12/2012    11 recensioni
DAL TESTO:
Ho continuato a sfiorarmi le labbra arrossate e il collo per interi minuti, dopo che è andato via. Quando il mio corpo è stato completamente sovrastato dal suo, mi sono sentita perduta. Avevo perso ogni speranza, mi ero quasi arresa senza lottare, credendo che questa volta non sarei riuscita a cavarmela. Non avevo però smesso di pregarlo di lasciarmi stare e, non so se sono riuscita a impietosirlo o se semplicemente qualcuno, lassù, mi vuole bene, ma lui ha indietreggiato all’improvviso, si è rassettato i vestiti ed è uscito dalla stanza, subito dopo avermi ricordato che, volente o nolente, prima o poi sarei stata sua.
Ho paura! Sto ancora piangendo da allora. Dice che vuole farmela pagare per essermi presa gioco di lui, ma non era davvero mia intenzione. Dice che dovrei essere lusingata dalle attenzioni che un nobile come lui ha nei confronti di una serva come me.
(Prologo - La bestia)
!SOSPESA! - La storia non viene più aggiornata dalla sua autrice
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Mikael, Rebekah, Mikaelson, Stefan, Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI

Punti di vista

 

 

Elena e Damon, sui loro cavalli, continuarono a trotterellarsi uno di fianco all’altro per dieci minuti buoni senza fiatare, entrambi troppo assuefatti dall’orgoglio – e da un pizzico d’emozione – per rompere il silenzio per primi. Si erano già allontanati parecchio dal palazzo – il solo pensarci torturava i nervi di Elena – e intorno a loro era tutto un’immensa distesa di colline verdi e rigogliose, disseminate di girasoli, papaveri e grandi viole. Il solo suono che si udiva, ora che si avvicinavano ad una fitta boscaglia, era il coro armonioso dei fringuelli accomodati tra i rami di pini e arbusti, oltre al tonfo sordo degli zoccoli di Romeo e Mezzanotte sull’erba.

Era davvero un’atmosfera da sogno e, nonostante la tensione dovuta alla compagnia del Conte, Elena riuscì a godersela. Bicchiere mezzo pieno, pensava.

«Devo ammettere che avete una certa maestria e compostezza, e sembrate parecchio a vostro agio a cavallo. Ma sarete anche un abile fantino?»

Elena quasi sussultò quando Damon Salvatore si decise a rivolgerle la parola, col solito tono orgoglioso, derisorio e quasi sprezzante. Commise ancora una volta l’errore di cercare i suoi occhi celesti e, trovandoli, dovettero passare più secondi di quelli che comunemente le sarebbero serviti, perché riuscisse a rispondergli per le rime.

«Prima complimenti, poi sfide… State cercando di provocare il mio orgoglio, Signor Conte? In tal caso, il mio consiglio e di non sprecare ulteriormente fiato: sono stata educata da persona modesta, non mi sentirete mai tessere le mie stesse lodi.»

Ma figurarsi se quella risposta fosse sufficiente a far scomparire il sorrisetto di sfida dal viso di lui.

«Ed è compresa nella vostra educazione anche l’arroganza?»

Le guance di Elena presero a diventare scarlatte, poi a gonfiarsi, mentre realizzava l’insulto appena ricevuto. «Ma come… Come vi permettete di…?!»

Damon rideva. Nonostante l’irritazione alle stelle, la ragazza non riuscì a non rimanere abbacinata dal suono della sua risata e dalle fossette che gli si erano disegnate ad entrambi i lati della bocca.

«Elena, calmatevi! Stavo solo scherzando. Davvero, dovreste guardarvi in questo preciso momento: siete tutta rossa! Vi stavo solo prendendo in giro.» Rise ancora.

«Beh… Come vi permettete comunque?»

«Cercavo solo di farvi ridere. Non credevo avreste pensato che dicessi sul serio… Ma voi siete sempre seria, non è vero? Dovreste ridere più spesso, invece. Se non ricordo male, avete una risata incantevole

Elena arrossì al complimento, ma le comparse anche un solco interrogativo, sul volto. Quand’è che l’aveva vista o sentita ridere?

Come se avesse espresso la domanda ad alta voce, Damon spiegò. «La prima volta che vi vidi, vi sussurrai all’orecchio una battuta e voi non riusciste a soffocare le risate. Non è più successo da allora. Credo di sentirne la mancanza.»

Il rossore sulle guance di Elena si fece ancora più palpabile. Solo il potente brivido interno e frutto della sua immaginazione che le corse per tutto il corpo, le consentì di liberare il suo sguardo da quello di lui, dopo davvero troppi secondi.

«Forse non avete fatto le battute giuste», ipotizzò. «Magari avete perso il vostro senso dell’umorismo.»

«Ah, no. Quello è del tutto impossibile. Piuttosto, direi che non apprezzate il fatto che ne siete diventata voi l’oggetto. Un po’ permaloso, da parte vostra, non credete?»

Questa volta Elena non ci cascò. Si sforzò di convincersi che no, non la stava insultando.

«Se fossi permalosa mi avrebbero di certo irritata i vostri dubbi nei riguardi delle mie capacità ippiche… Non credete?», lo imitò, assottigliando lo sguardo come proprio lui era solito fare.

«E temo proprio che non riuscirete mai a togliermi tali dubbi.»

«Un vero peccato.»

«A meno che…»

«A meno che?»

«A meno che non accettiate di sfidarmi

Elena dovette pensarci su per qualche attimo. Non perché temesse una sconfitta e, quindi, una sicura umiliazione, ma bensì perché aveva la sensazione che la sua improvvisa audacia la stesse portando troppo oltre. Tuttavia, un’ulteriore occhiata a quel mezzo sorriso le fu sufficiente per cedere alla provocazione dell’uomo.

«A chi arriva primo oltre la collina?», propose spavalda.

«Mmh… In verità pensavo a qualcos’altro. So già che Romeo è un ottimo corridore. Ma è anche bravo a muoversi per i boschi senza farsi notare?» Sollevò teatralmente un sopracciglio, poi proseguì. «Vi do cinque minuti di vantaggio, dopodiché vengo a cercarvi. Se entro un’ora non vi ho ancora trovata, la vittoria è vostra.»

«E se dovessi perdermi? Come farò, tra un’ora, a ritrovare la strada?»

«Oh, fossi in voi non mi preoccuperei affatto di questo. Vi troverò sicuramente», sorrise ancora in quel suo modo arrogante.

Elena, nervosa, fissò il suo sfidante, riflettendo ancora sul da farsi.

«Non preoccupatevi. Capirò se deciderete di rinunciare. Certe sfide pericolose sono fatte solo per uomini valorosi.»

Odioso, si lagnò mentalmente la ragazza.

«Cinque minuti a partire da ora?», domandò.

Poi partì al galoppo, zigzagando tra un paio di pini e introducendosi nel fitto del bosco, dopo aver avuto appena il tempo di scorgere il sorriso del Conte distendersi di soddisfazione.

 

 

Nonostante si fosse impegnata duramente per addentrarsi più che poteva in quel macabro ammasso di alberi chilometrici, dopo neanche dieci minuti, Elena avvertì il galoppare di Mezzanotte avvicinarsi pericolosamente a lei e Romeo.

Si affrettò a strigliare quest’ultimo per velocizzare il passo. Adesso sì che si sentiva veramente come un coniglio in fuga dal predatore.

Dopo altri cinque minuti, passati cercando di far perdere al Conte le sue tracce, la ragazza non udì più alcun suono di zoccoli e concesse a Romeo di rallentare, carezzandogli teneramente il manto mielato.

Il paesaggio che li circondava le metteva la pelle d’oca, doveva ammetterlo. Era un susseguirsi di alberi giganteschi che parevano tutti uguali e con le foglie del verde più cupo che avesse mai visto. Era esattamente come trovarsi in un labirinto: più si andava avanti, più si aveva l’impressione di stare girando in tondo.

Se Damon non l’avesse trovata, temeva davvero che non sarebbe riuscita ad uscire di lì.

Ma dargli questa soddisfazione? Fargli assaporare un’altra vittoria? Dover sopportare ancora quella sua arrogante faccia da schiaffi? No. Si sarebbe accampata lì, di sua spontanea volontà, per trascorrerci la notte, piuttosto.

Così, dominata dall’orgoglio e incurante della sua sopravvivenza, quando udì ancora una volta Mezzanotte a poca distanza, strigliò Romeo perché partisse al galoppo. La velocità con cui si muovevano, serpeggiando tra gli alberi, le produsse, ben presto, una potente scarica di adrenalina, che non fece che renderla più determinata a vincere quella competizione che, probabilmente, la Elena lucida e razionale avrebbe trovato sciocca e infantile. Ma di quella Elena, adesso, aspetto fisico a parte, non vi era neanche l’ombra. Si era eclissata nel momento stesso in cui aveva ceduto alla provocazione del Conte – o, forse, ancor prima.

Abituata ormai a muoversi in mezzo a tutto quel verde scuro, a Elena non sfuggì quando il paesaggio intorno a lei prese a mutare. I colori andavano, via via, accendendosi. Doveva esserci una fonte di luce, da qualche parte, un punto in cui il sole penetrava più abbondantemente. E doveva essere vicina.

Superata ancora una decina di alberi e due rocce che sembravano fare da ingresso, trovò conferma alle sue intuizioni. Solo che fu anche meglio di come lo aveva immaginato.

Una radura, uno spiazzo erboso di modeste dimensioni, circondato da alberi e rocce. E tra due di queste, a nord rispetto a dove si trovava Elena, scorreva, limpido, un ruscello, la cui acqua andava a riempire un laghetto che sembrava esser stato creato su misura per quel posto. Sull’erba chiara attorno ad esso, forse per via della costante idratazione, sbucavano gli stessi fiori coloratissimi che crescevano per tutta la campagna Torinese, che Elena non aveva più visto da quando si era addentrata nel bosco.

Era un piccolo, pacifico e incantevole angolo di paradiso. Situato al centro esatto di un bosco da incubo – e, forse, era proprio questo dettaglio a renderlo paradisiaco. Un paradosso, pensava Elena.

Incurante del galoppare frenetico e sempre più vicino della giumenta nera e completamente dimentica della competizione ancora in corso, scese da Romeo senza distogliere neanche per un secondo lo sguardo da quella piccola meraviglia, degna di essere uscita da uno dei libri di fiabe che aveva divorato, come se temesse che, interrompendo il contatto visivo, potesse smaterializzarsi. Ne era così abbacinata.

Afferrate le redini del cavallo, lo invitò a proseguire con lei a passo lento, quasi timoroso, incerto, e avvicinarsi allo specchio d’acqua che si espandeva di fronte a loro. Una volta raggiuntolo, lasciò che Romeo lo sfiorasse per primo con labbra e che si dissetasse. Bevve a lungo, e la ragazza cominciò a sentirsi in colpa per averlo fatto stancare a tal punto.

Quando le sembrò che avesse terminato, lo ricondusse verso uno degli alberi che delimitavano la radura e glielo legò per le redini. Fece dietrofront verso il piccolo lago e vi si inginocchiò accanto, sempre a rilento, sempre titubante.

Si ritrovò a fissare il viso di una giovane donna, leggermente deformato dall’acqua, dai cui occhi, intrisi di amarezza, trapelava turbamento. Man mano che la coscienza le suggeriva l’identità della donna nel riflesso, i grandi occhi scuri divenivano sempre più tristi. Non poteva credere di essere lei, quella donna. Non poteva credere di apparire così.

Che cosa era successo? Cosa era accaduto alla spensierata ragazzina che era una volta? Quando erano cambiate, esattamente, le cose? Dopo la morte dei suoi genitori? Dopo l’abbandono del fratello? Nel momento in cui aveva fatto il suo ingresso nella bettola di Cassandra o a Palazzo Veritas? Quando aveva conosciuto Damon Salvatore?

Damon Salvatore. Sì, senza dubbio lui aveva contribuito a incupire quegli occhi e a creare quel solco, che adesso le pareva indelebile, tra le sue sopracciglia. Non le aveva dato un solo attimo di pace, di respiro, anche indirettamente. Cosa stava cercando di fare? Farla impazzire? Beh, non era poi così lontano dal riuscirci. E che assurdità il fatto che lei, la maggior parte del tempo, continuasse ad esserne attratta.

Immerse una mano nell’acqua, proprio in direzione del suo riflesso, e la mosse, come a volerlo cancellare. Odiava quello che le stava succedendo, a partire da quello che la stava costringendo a fare la Marchesa, fino ai suoi sentimenti contrastanti per il Conte. Odiava non riuscire a ribellarsi, dover soffocare ogni sua volontà, dover chinare il capo di fronte a chiunque anche se, al momento, non era più neanche una serva. Quella farsa le stava pesando molto più delle sue condizioni precedenti. Essere una cameriera non era certo il suo sogno di bambina, ma almeno riusciva ancora a provare rispetto per la sua persona, sincera e paziente. Adesso cos’era, se non una bugiarda? Aveva perduto ogni briciola di stima nei suoi stessi confronti. Non riusciva più a convivere con se stessa.

Copiose lacrime presero a sfociare dagli occhi tristi del riflesso. Elena le avvertì correre giù per le gote, fino al mento, e poi le vide tuffarsi nel lago. Dapprima, distrattamente, prese a contarle. Una, due, tre… Ventisei, ventisette, ventotto… Ottantadue, ottantatre, ottantaquattro… Superata la centesima, perse il conto. Distolse l’attenzione da quel viso che la disgustava tanto, solo per posarla sulle rocce su cui colava il ruscello, riuscendo almeno a godersi lo scrosciare cristallino e piacevole che produceva.

«Ho vinto.»

Una voce roca e suadente, due parole, soffiate troppo vicine al suo orecchio sinistro, le fecero perdere il respiro, spedendole immediatamente il cuore in gola.

Si voltò di scatto nella sua direzione, producendo il classico singhiozzo soffocato dallo spavento. Trovò il viso di lui talmente vicino al suo che, si rese conto, sarebbe bastato un movimento più brusco da parte sua per far scontrare i loro nasi. Gli occhi di lei, ingigantiti dalla sorpresa nonché tratti in inganno, erano ancora stati ancora una volta catturati dagli zaffiri incastonati al di sopra degli zigomi di lui.

Vicini. Molto vicini. Talmente vicini che i loro respiri si fondevano. Lo sguardo di lui, spavaldo, si avventurò più in basso, prendendo a rimirarle le labbra con desiderio. Quando intuì quelle che potevano essere le sue intenzioni, Elena arrossì con violenza e si gettò all’indietro sull’erba, prendendo le distanze.

La risata di Damon sembrò risuonare per tutto il bosco. «Vi ho spaventata? Chiedo scusa, non era mia intenzione.»

«Figuriamoci», fece la ragazza, mentre tentava di rimettere in moto il cuore.

«Prego?», finse di non capire lui.

«No, niente.»

Il sorriso sghembo di lui riprese a regnare, sovrano. «Vedo che avete scoperto uno dei miei posti preferiti. Incantevole, non è vero?»

Elena non rispose.

«Ma certo, neanche paragonabile a Voi.»

Questa volta, la giovane fece roteare teatralmente gli occhi, sotto lo sguardo divertito di lui. «Le mie attenzioni vi infastidiscono, Signorina Elena?»

Afferrando le pieghe della gonna dell’abito, fece per rimettersi in piedi. «Non quanto i vostri giochi di parole, Signore.»

Lui rise ancora, poi i suoi occhi si soffermarono sulla gonna dell’abito di lei. «Il vostro abito si è sporcato di fango», constatò. «È un vero peccato. Mi piaceva molto.»

Accorgendosene, Elena si lasciò sfuggire un «Oh, no».

«Oh, sono certo che avrete un montagna di altri vestiti altrettanto belli, con voi. Non preoccupatevi per me. Vi trovo piacente in ogni abito.»

Elena lo fissò ancora una volta, ma per poco. Ben presto, si voltò e snodò le redini di Romeo dall’albero, intenzionata ad andar via. Da sola.

«Vi ho vista, prima», parlò lui. E i muscoli di Elena, per reazione, si immobilizzarono.

«Stavate piangendo», continuò. La sua voce era cambiata. Diversa. Non era il tono derisorio che ostentava la maggior parte del tempo. Forse era assurdo e completamente falso, frutto della sua immaginazione, ma sembrava sinceramente preoccupato. Per lei. «Perché stavate piangendo?»

Dandogli ancora le spalle, Elena sospirò. «Perché dovrebbe interessarvi?»

«Adesso siete ingiusta. Non mi sono mai mostrato indolente nei vostri confronti.»

«Ah no?», fece lei sarcastica, voltandosi a fulminarlo.

«No», rispose lui, con tanta di quella sicurezza da costringere Elena a dubitare delle sue convinzioni.

«Quindi, perché vi interessa?», fece lei, esasperata, dopo qualche istante di silenzio.

«Beh…», improvvisamente, il Conte parve nervoso. «Perché siete mia ospite. Ed è mio dovere garantire un soggiorno felice, ad ogni mio ospite.»

Elena si lasciò sfuggire una risata amara. «Beh, lasciate che vi dica che avete un modo alquanto bizzarro, di dimostrarlo.»

«Forse. Ma almeno non sono poco socievole e taciturno.»

«Io preferisco timida e riservata.»

«Punti di vista.»

«Esattamente.»

«Infatti.»

«E dovete anche avere sempre l’ultima parola?»

«Diciamo che la concedo ad altri difficilmente.»

«E in base a cosa, se posso chiedere?»

«Solo se considero il mio interlocutore non all’altezza del discorso.»

«Spaventosamente superbo. E dovrei, quindi, sentirmi onorata da ciò?»

«Non so. Fate voi.»

«Penso che non lo sarò.»

«Bene.»

«Bene.»

«Bene», rimarcò lui. Dopodiché, l’acceso battibecco tra i due fu interrotto dal rombo, inatteso e minaccioso, di un tuono. Un attimo dopo, le grosse nuvole cariche di pioggia, che – nessuno dei due avrebbe saputo dire quando – si erano formate sopra le loro teste, strariparono. Damon e Elena si ritrovarono ben presto fradici.

«Prendete Romeo e seguitemi. Conosco un posto in cui saremo al riparo.»

Elena, bagnata come un pulcino, obbedì senza fiatare e, un paio di minuti dopo al massimo giunsero nei pressi di un capanno di caccia*, poco grazioso ma, in base alle loro attuali condizioni, decisamente accogliente. Legati i cavalli al riparo, sotto il portico, entrarono nello stanzino in legno – poco più grande dell’attuale camera da letto di lei – e subito il Conte si affrettò ad afferrare la legna da un angolo e accendere il camino. Tra un viaggio e l’altro per prendere i ceppi, Elena, che si stringeva convulsamente le braccia intorno al corpo, cercando di reprimere i brividi di freddo, sentì che le posava qualcosa sulle spalle. Una coperta, morbida e calda. Se la avvolse meglio intorno al corpo, lasciando scoperta solo la testa e arrossendo per l’inaspettata premura di lui.

Quando il fuoco prese a scoppiettare e riscaldare l’ambiente, Elena, inginocchiata proprio lì davanti, sciolse i capelli umidi perché si asciugassero anche loro. Il Conte era al suo fianco, ma si costringeva a fingere di essere sola.

«Avete ancora freddo?»

Ancora quella premura, ancora quel tono roco cui non era in grado di resistere. «Non molto.»

«Bene. Però vi scaldereste prima se vi toglieste i vestiti.»

E con poche parole, ancora una volta, Damon Salvatore era riuscito a rovinare l’atmosfera. Elena era ormai estremamente convinta che quell’uomo non fosse capace di portare avanti un’intera conversazione seria senza inserirvi battute sarcastiche o frasi a doppio senso. Sbuffò, stizzita e fece per alzarsi. Al diavolo la pioggia, non sarebbe rimasta in quel posto un minuto di più.

«No, per favore. Per una volta ero serio, non stavo scherzando. Davvero.»

Elena lo fissò, scettica, ma si riaccomodò accanto al fuoco.

«È una delle prime norme di sopravvivenza che insegnano nell’esercito», chiarì. Parlava fissando le fiamme, assorto. «Sapete, una volta ho perso un amico per via di un assideramento. Eravamo a nord, al fronte. Difendevamo il confine. Un attacco nemico ci costrinse a correre ai ripari. Uno degli inverni più freddi che ricordi. Nonostante ciò, mentre attraversavamo un lago, il ghiaccio ha ceduto e alcuni compagni sono finiti in acqua. Li abbiamo soccorsi tutti, ma qualcuno… Non ce l’ha fatta. E c’era questo mio amico, Fabrizio. Quando l’ho ripescato sembrava stesse bene. Ma tenne addosso gli abiti intrisi di acqua fredda troppo a lungo e morì in accampamento, a poche ore di distanza. Mi sento tutt’ora un idiota per non aver capito, allora, la gravità della situazione.»

Parlava con un tono che Elena non gli aveva mai sentito usare prima. Con tormento. Lo stomaco le si strinse immediatamente in una morsa, e così il cuore, mentre fissava il suo profilo perfetto, i lineamenti delicati e raffinati in certi punti, marcati da uomo in altri, il rosa pallido che gli colorava le guance in reazione al calore. Le sue dita fremettero. Volevano sfiorare quel viso. Si costrinse a non muoverle di un solo centimetro.

Lui si voltò a guardarla e, mal interpretando la sua espressione turbata, sorrise, tra l’amaro e il desolato. «Vi ho spaventata. Di nuovo. Vi chiedo scusa. Non preoccupatevi, quattro gocce come quelle la fuori non vi uccideranno di certo.»

Poi, il tono roco fece il suo ritorno. «Se avessi pensato il contrario vi avrei spogliata io stesso.»

Questa volta, le sue parole non la infastidirono e non si spostò di un centimetro. Non arrossì neanche. Le sembrava di cominciare, pian piano, a far luce su quell’uomo che sedeva al suo fianco, di capirlo un pizzico di più. Forse, la sua prima teoria, quella sulla facciata, sulla maschera dietro la quale celava il suo vero essere, non era del tutto infondata. Quell’ironia pungente, quelle battute che tanto la irritavano, cominciava a notare che venivano sempre fuori quando si accorgeva di aver rivelato troppo della sua anima, come una sorta di arma di difesa.

Più che una maschera, la sua era una corazza.

Il Conte Damon indossava un’armatura ventiquattro ore al giorno, per far sì che nessuno potesse toccarlo, che nessuno potesse ferirlo. Il perché, rimaneva un mistero che Elena era determinata a risolvere.

 

 

 

*Per creare il capanno di caccia di Damon e Elena, mi sono basata sul 'capanno fuori dal mondo' della serie Elisa di Rivombrosa

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Angolo di un'autrice / figliol prodiga che fa il suo atteso ritorno

 

Prima che possiate inveirmi contro, chi di voi ha seguito Doppelganger sa che mi sono dedicata a terminare quella fan fiction, nell'ultimo periodo, ragion per cui non ho aggiornato Diario di una serva.

Ora potete inveire. xD

Niente di particolare da dire, solo che ringrazio tutte per le recensioni sempre positive. Il vostro entusiasmo è il fattore che più mi sprona a proseguire con questa storia, come con qualunque altra.

Quasi dimenticavo, chi di voi ha guardato la 4x07? Cosa ne avete pensato? Personalmente, in un primo, lunghissimo - il più lungo della mia vita, credo - momento sono stata infuriata come una bestia e in procinto di fare i biglietti e andare a prendere la Plec a calci nel sedere. Ma i vari commenti delle altre delena, su twitter e facebook, mi fanno sempre ritornare il buon umore, e sono nuovamente convinta che, anche se questa storia dell'asservimento è confermata, non è la ragione per cui i nostri adorati hanno fatto i fuochi d'artificio. (Anche perché, a quel punto, credo di essermi persa la scena in cui Damon ordina a Elena di spalmarlo per i muri della pensione). Dicono che la Plec stessa ha detto che sarà proprio Elena a lottare per convincere tutti - Damon compreso - che il suo amore per il vampiro dagli occhi di ghiaccio è reale. "Damon vorrebbe che l'amore di Elena fosse reale. Lei sa che lo è."

Però sono curiosa di sentire la vostra. E siate spudoratamente sincere come sempre, anche nel recensire.

Un bacio,

Lisa

   
 
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