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Autore: Lilly92    24/06/2007    4 recensioni
"Peter non stava dormendo. In effetti, non dormiva da molto tempo. Quanto? Nessuno poteva dirlo. Forse un paio di giorni, una settimana, un mese…forse non aveva più dormito da quando Lei l’aveva lasciato. "
Peter Pan è tornato, e lo aspetta una nuova, esaltante, magica avventura...
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi, con il secondo capitolo ^^ Ci terrei a spiegarvi che da ora le parti normali sono i pensieri di Peter, in corsivo sono quelli di questa nuova protagonista, in grassetto saranno quelli del narratore. Buona lettura!


Ho riflettuto molto sulla mia condizione fisica attuale, credo di essere ormai pronta.
Certo, ora sono il malconcio risultato di un’alimentazione scarsa e saltuaria, composta da quello che sono riuscita a rimediare girovagando nel bosco nel corso dell’ultimo periodo.
Beh, almeno da quando la ciurma è fuggita, abbandonandomi, come un cucciolo inutile, indesiderato, e fastidioso.
Ed è sempre stato così, loro mi hanno sempre considerata tale.
Peter Pan, oggi, ha deciso di farsi una passeggiatina nel bosco, l’ho visto piuttosto pensieroso. Lo osservo sempre attraverso le assi schiodate del relitto, facendo attenzione a non far scricchiolare nulla, per non essere scoperta.
Mi è molto utile studiare le sue mosse, in questo modo potrei comprendere meglio il suo stato d’animo attuale. Stamattina mi è sembrato abbastanza afflitto, quindi debole.
Probabilmente sta pensando ancora alla sua ragazzina di città…come si chiamava? Ah, sì.
Wendy.
Un nome molto londinese, molto classico, molto comune, e aggiungerei molto stupido. Diciamo che, oltre il suo nome, anche la sua persona era decisamente poco invitante sia al vedersi sia al parlarci.
Ok, diciamo pure che non sono mai riuscita a sopportarla. Sembrerà strano, infatti, ma io ho sempre avuto molta stima nei confronti di Peter Pan, in quanto lo ritengo un grande guerriero, un discreto spadaccino, una persona piuttosto intelligente e furba, ma mi ha dato molto fastidio vederlo cadere letteralmente ai piedi di questa ragazzina piagnucolante, che, sinceramente, non ritenevo neanche lontanamente interessante.
Mi sono sempre chiesta cosa in lei avesse potuto ridurre i leggendario Peter Pan in polvere, come l’ho visto stamattina.
Fatto sta che mentre Wendy soggiornava su quest isola (e non lo meritava, specifichiamolo!) io avevo ben altro a cui pensare, oltre le sue smielate avventure con la nuova affascinante fiamma.
Il mio addestramento, proprio in quel lasso di tempo, aveva raggiunto il più alto picco di difficoltà, costanza e fatica fino ad ora. Il mio maestro mi convocava nel nostro campo ogni mattina, prima che il sole sorgesse, e mi ordinava di rimanere lì ad esercitarmi finché non fosse totalmente tramontato, senza pause.
Ovviamente, non mi lasciava sola ma con alcuni suoi compagni. Che, se possibile, mi rendevano il lavoro ancora più complicato, in quanto non mi aiutavano con gli esercizi ma si divertivano a prendermi in giro, insultandomi.
Chiaramente, non era questo a darmi fastidio, in quanto sopportavo le loro offese da circa tredici anni, ma quando cominciavano a tirarmi addosso oggetti come sassi, le loro fiaschette di vino vuote o roba del genere beh…mi toccavano leggermente i nervi.
Diciamo che gran parte degli esercizi li svolgevo picchiando gli scagnozzi del maestro.
E poi…mi sarebbe tanto aver potuto passare molto più tempo con l’uomo che mi aveva sempre intimato di chiamarlo esclusivamente “maestro”, sia in pubblico sia in privato. Anche se lui non ha mai voluto capirlo, io a noi due ci tenevo davvero moltissimo, avrei voluto accrescere il nostro rapporto, conoscerci meglio. Ma lui aveva sempre altro a cui pensare oppure…oppure non ero abbastanza importante per lui quanto i suoi impegni.
E ora non c’è nemmeno più. Probabilmente le sue ceneri fluttuano ancora in queste mistiche acque, ma io non perderò mai neanche un po’ del mio tempo a recuperarle. Esattamente come lui non ha mai perso molto tempo per stare con me.
Mentre la ciurma mi considerava un impiccio, lui mi sfruttava come interessante strumento. O meglio, aveva intenzione di farlo ma non ne ha avuto il tempo “purtroppo”.
Perché? Beh, diciamo che un coccodrillo l’ha inghiottito un po’ prima che arrivasse la sua ora.
Ed ancora nessuno sapeva nulla di me, oltre l’equipaggio. Da piccola, riguardo ciò, mi sono sempre fatta tante, forse troppe, domande. Mi chiedevo cosa ci fosse di sbagliato in me, perché Lui non mi voleva mostrare, e ancora oggi non sono riuscita a trovare alcuna risposta.
Con l’unica differenza che ora non me ne importa più di tanto, visto che ora sono teoricamente libera di uscire allo scoperto, non c’è più nessuno che potrebbe fermarmi.
Come ho già detto prima, credo di essere pronta. Dal punto di vista fisico lo sono già da un bel pezzo, ma ora credo di aver anche riflettuto abbastanza sui valori che mi sono stati inculcati fin da bambina.
Ora so con precisione dove voglio andare, voglio rivederlo, forse per l’ultima volta. Percorro i corridoi bui e umidi della nave, dirigendomi verso il suo studio.
“Temperanza…pazienza…forza…” ripeto tra me e me come se fosse una filastrocca.
Ora riesco a vederla. Una porta in legno massiccio, ormai scardinata e piegata su un lato, priva ormai di ogni lucentezza. Per un attimo, come in un flashback, mi ritorna in mente l’aspetto di questo stesso corridoio qualche tempo prima, con la luce che filtrava attraverso le assi delle pareti, i candelabri accesi e il suono del violoncello, pizzicato dolcemente dalle mani del maestro.
Una cosa, però, non è stata intaccata, né dalle spade né dal tempo. Il simbolo dei pirati per eccellenza, un teschio con due ossa incrociate, fu inciso sulla porta del capitano molto tempo fa, ed è ancora lì.
Sento il cuore chiudersi in una stretta morsa mentre entro nel suo studio, e noto, con infinita gioia, che non è cambiato molto dall’ultima volta in cui ci sono stata. In effetti, non ho mai avuto il coraggio di rimetterci piede per molto tempo, per paura di non reggere l’emozione.
Mi guardo intorno, ammirando con lo sguardo le sue mappe e le sue penne d’oca ordinatamente disposte sul tavolo, il violoncello, quasi privo di corde, appoggiato in un angolo, coperto di polvere, la sua poltrona, sulla quale notoriamente nessuno poteva sedersi a parte il capitano in persona.
Ma l’oggetto del mio desiderio presto rientra nel mio campo visivo, e i miei piedi cominciano istintivamente a muoversi in quella direzione, senza che il cervello o il cuore collaborino ai movimenti.
Il suo ritratto non ha perso la brillantezza dei colori, ma uno squarcio attraversa la tela in diagonale, chiaramente frutto di un colpo di spada finito nel posto sbagliato.
A causa del taglio il viso sembra diviso in due pezzi distinti, e io con la mano cerco di ricomporlo.
Il mio cuore fa un salto quando il suo sguardo incrocia il mio, esattamente come succedeva nella realtà. Gli occhi erano senza dubbio la sua parte più bella, così neri e profondi, che trasparivano cattiveria, malvagità, ma anche tanto dolore e sofferenza. Anche molta solitudine.
Amavo i suoi occhi, ma non sono mai riuscita a reggere completamente il suo sguardo. Beh, a parte ora, anche se questi occhi di stoffa non hanno nulla a che fare con quelli veri.
Mi ritorna improvvisamente in mente il motivo per cui sono venuta qui: cercare una risposta.
E non una risposta a tutte quelle mie domande infantili, ma a quelle che riguardano il mio futuro più prossimo.
Trovando una notevole fonte di forza in me della quale non avevo mai saputo nulla prima d’ora, appoggio le mani chiuse in due pugni molto stretti sul muro, proprio ai lati del quadro, e alzo i miei occhi dal pavimento posandoli sui suoi. Per la prima volta non ho paura di guardarlo negli occhi.
“Dunque, sono pronta, ora, maestro?” penso, aspettandomi qualunque cosa in segno di risposta.
Pochi secondi dopo ecco un soffio di vento molto forte che sembra battere in un primo momento sui vetri delle finestre della stanza, e poi rimbalzare verso la collina dove stamattina ho visto Peter Pan.
Poi calma assoluta. Ma per me questo è stato più che sufficiente.
Senza dire una parola, né pensarne alcuna, esco dallo studio dirigendomi verso la mia camera.
Senza pensarci due volte apro il baule accanto al letto, e vi frugo dentro fino a toccare il fondo.
Anzi, fino a toccare qualcosa di freddo e molto liscio.
“Ah, eccoti qua!”
Tiro fuori la spada del maestro, ammirandone la lucentezza con gli occhi e la finezza con le mani.
Mi è sempre stato precluso il suo utilizzo, almeno finché non fossi stata pronta per affrontare lui in persona. La leggendaria “missione” che mi aveva assegnato il maestro, cioè rivendicare la sua mano mozzata così come gli anni della sua vita spesi alle calcagna di questo ragazzino volante.
Ora è il momento di portarla a termine. Eppure, sento di dover ancora aspettare prima di utilizzare la Spada, per cui, almeno per stamattina, riporrò l’arma sotto il cuscino e mi accontenterò di sistemarmi un po’ i capelli e di un pugnale per ogni evenienza.
Prima di attaccare, devo prima studiarmi per bene la preda.
  
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