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Autore: madeforharold    07/12/2012    0 recensioni
«Ma non ti biasimo, Harry, in fondo, nessuno vorrebbe mai stare con una persona malata, tanto meno tu. Solo un pazzo e sadico lo farebbe.»
Harry si impietrì, era completamente paralizzato da quelle parole. Tuttavia decise di farsi coraggio, non voleva darsi per vinto, lo aveva fatto troppe volte. Fu allora che prese un respiro profondo, guardò Aveline negli occhi e le sussurrò: «Pazzo? Sadico?! Aveline, ehi, guardami» le disse con tono sicuro accarezzandole il viso «io mi sono innamorato di te prima di sapere della malattia. Io mi sono innamorato della Aveline che guarda speranzosa il cielo, che ha paura del rumore del temporale e che sussurra nel sonno. Io amo il suono della tua risata, il profumo dei tuoi capelli, il modo in cui ti inumidisci le labbra prima di parlare. La malattia è solo una piccola parte di te e, in quanto tale, non basterà ad annullare il sentimento che provo per te. Non avevo mai provato questo prima d'ora: io ero solo, perso, sull'orlo di sprofondare e poi...» Aveline era in lacrime e ad Harry luccicavano gli occhi. «...e poi ho trovato te»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

«Eccoci qui cara, siamo arrivate» disse Gwen frenando davanti a una graziosa villetta bianca. Era la tipica casa londinese: una villetta a schiera molto sviluppata in altezza, con alti finestroni tripartiti e un portone verde scuro a due ante, al quale si accedeva con alcuni scalini color mattone. Inoltre, la casa era separata dalla strada da una bassa recinzione nera, che, a sua volta, separava il giardino dal marciapiede.
«Okay Aveline, salta giù, ti prendo io la valigia». Alla vista della casa di Gwen, ad Aveline era totalmente passata la voglia di andare a letto: era entusiasta, e la casa, vista da fuori, le piaceva già molto.


Gwen tirò fuori le chiavi dalla tasca e aprì il cancello, poi salì gli scalini e aprì il portone. Dopodichè fece strada ad Aveline nel piccolo ingresso che dava accesso a tutte le stanze del piano terra. «Bene, eccoci qua, tramanderei il tour della casa a domani perché mi sembri esausta, comunque, come puoi vedere, qui c’è la cucina, che non è un granchè, ma basta e avanza per una persona sola» ridacchiò Gwen «mentre da questa parte c’è il salotto e di qui il bagno del piano terra. Oh cielo, tesoro, togli pure la giacca! Che sbadata, scusami. Appendila pure lì» disse a Aveline indicandole l’attaccapanni nell’ingresso.
«Bene, ora ti mostro la tua stanza, vieni pure.» Salite le scale si accedeva al primo piano, dove c’erano la stanza di Gwen, un altro bagno e la cabina armadio. «Ancora una rampa di scale e poi ti potrai riposare». Arrivarono dunque nella mansarda, che Gwen aveva fatto sistemare per l’arrivo di Aveline. Era una camera enorme, che, in verità, a Gwen non era mai servita, infatti la usava come stanza d’appoggio per stirare, dipingere ecc.. Per l’arrivo della ragazza aveva fatto imbiancare le pareti color pervinca, sulle quali aveva appeso qualche quadro con praterie inglesi; aveva inoltre comprato un armadio, una scrivania e un letto. La camera era semplice, ma molto carina e accogliente, d’altronde, Gwen aveva sempre avuto uno splendido gusto in fatto di arredamento.
«Okay, questa è la tua camera» disse Gwen, rompendo il silenzio che si era creato nella stanza  «ti piace?» «E’ davvero perfetta, e.. adoro il pervinca» rispose Aveline accennandole un sorriso. «Sono davvero felice che ti piaccia. Bene, allora io vado, la camera l’hai vista, il bagno pure, se ti serve qualcosa non esitare a chiedere» sorrise la donna. «Grazie mille Gwen, è bellissimo essere qui con te» disse Aveline abbracciandola. Finalmente era felice: era a Londra, con una delle poche persone care che le erano rimaste, si sentiva finalmente al sicuro.
Gwen diede un bacio sulla fronte ad Aveline e le augurò la buonanotte, dopodichè scese le scale e andò a dormire.
Aveline allorà svuotò la valigia, si mise il pigiama e s’infilò sotto le coperte, ancora incredula della situazione in cui si trovava: si sarebbe goduta il suo soggiorno a Londra al meglio, non vedeva l’ora di uscire e scoprire al meglio quella città meravigliosa. Con questo pensiero in testa, si addormentò in pochi minuti.
 
Dovevano ancora suonare le campane delle otto quando Aveline si svegliò, forse dall’entusiasmo del suo primo giorno a Londra, o forse dall’enorme fame che le era venuta durante la notte.
Fu allora che si diresse in cucina, dove trovò Gwen che cucinava i pancakes. «Oh, buongiorno Aveline, già in piedi?» le chiese Gwen stupita. «Sto facendo i pancakes che, se ben ricordo, ti piacciono tanto… hai fame?» «A dire la verità, un po’ si..» «Perfetto! Ci siamo quasi allora, un’altra rigirata e sono pronti. Che marmellata preferisci sopra? Ribes o mirtilli?» «Mirtilli, grazie» «E mirtilli sia!» le sorrise.
Aveline divorò i suoi pancakes come se non mangiasse da un secolo, poi andò a farsi una doccia e a vestirsi. Una volta pronta, scese in salotto, dove Gwen la stava aspettando.
«Sei pronta?» «Si, possiamo andare» «Perfetto, qui siamo a pochi minuti dal centro, quindi prenderemo la metro. Adesso ti faccio vedere la stazione più vicina, così poi puoi essere indipendente e andare dove vuoi, perché io lavorerò un po’ da casa in questi giorni.»
Così si incamminarono verso la stazione più vicina, che distava a pochissimi minuti dalla casa di Gwen.  Solo cinque fermate e Aveline avrebbe visto per la prima volta il centro di Londra, dal vivo.
Sulla metro, Aveline ebbe l’impressione che lì la gente fosse più calma e tranquilla: chi sfogliava il giornale sorseggiando un caffè, chi ascoltava la musica e chi parlava al telefono, era tutto come a Milano, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, non c’era il solito caos tipico della metropolitana, la gente era di fretta, si, ma quasi non lo dava a vedere… o forse era solo una sua impressione, magari era così abbagliata dal fascino della capitale che vedeva tutto in modo diverso.
Arrivò il momento di scendere e Gwen e Aveline si diressero verso l’uscita. Una volta salite le scale, ad Aveline sembrava di sognare. Sarà stato anche un po’  per il clima natalizio che si sentiva nell’aria, d’altronde, le feste non erano ancora finite e capodanno si stava avvicinando, ma ad Aveline sembrava tutto incredibile, stupefacente, magico.
«E’ bellissimo» fu tutto quello che riuscì a dire a Gwen. «Ero sicura che avresti avuto questa reazione, è la stessa che ebbi io la prima volta che arrivai qui» le sorrise Gwen, stringendola a sé con il braccio sinistro.
Cominciò a nevicare, il che rese l’atmosfera ancora più magica. «Dai, questo sicuramente lo conosci» si rivolse Gwen a Aveline indicandole il Big Ben. Aveline era paralizzata dall’emozione, e il massimo che riuscì a fare fu sorriderle con gli occhi lucidi. Allora aprì la borsa e prese la macchina fotografica, scattò una foto al celebre orologio e poi alzò la reflex in alto, la rivolse verso lei e Gwen e scattò un’altra foto. Per Aveline era uno di quei momenti  perfetti, unici e rari che vanno immortalati per sempre.
«Aspettami un secondo qui» disse Gwen. Aveline colse allora l’occasione per fotografare tutto quello che vedeva:  voleva raccogliere tutti gli attimi di quella giornata per poi riviverseli con calma.
Dopo qualche minuto, Gwen tornò con due bicchieri fumanti di Starbucks in mano, ne diede uno a Aveline e le disse «Un mocaccino macchiato tutto per te, ora sei proprio una vera inglese». Aveline le sorrise e la abbracciò dicendole: «Grazie mille Gwen, è bellissimo essere qui con te.»

 

  
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