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Autore: TurboLisbeth    07/12/2012    3 recensioni
Un pericoloso quanto scaltro assassino, una delirante e malvagia Setta di Confratelli, un’ audace giovane donna, un uomo tanto ingenuo quanto onesto che si ritrovano invischiati in un’appassionante storia dall’intreccio mozzafiato.
Il ritmo della storia è serrato, nuovo, frutto della mente (perversa se volete) di due giovani autrici.
Cosa vi riserverà la storia? Aprite la pagina … il racconto vi attende!
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Così era in principio

Così era in pricipio

Così era in principio

[Oliver]

Mi guardo intorno all’interno della sfarzosa suite del lussuosissimo albergo in pieno centro, per verificare di non aver tralasciato nulla. Tutto è perfetto, nessuno mai potrebbe arrivare a me: niente impronte, niente capelli, niente DNA, nessun movente.

Lo stesso portiere dello stabile, pur avendomi visto in faccia, pur avendomi parlato, non potrebbe mai ricordarsi di me: ero e rimango un fantasma.

Il cadavere è lì, in mezzo alla stanza, con un comunissimo coltello piantato nel petto e con gli occhi aperti dallo stupore: mai avrebbe pensato che sarebbe morto per mano mia, mai avrebbe pensato che sono proprio io il famigerato ‘scheletro danzante’, il nome d’arte che mi sono scelto in ricordo dell’unica persona che mi è stata veramente cara. 

Dopo di lei più nessuno. Mai. 

Con lei è morto anche il mio cuore, morto e sepolto.

Non avevo nulla contro quel povero diavolo, per me uccidere è un affare come un altro, un affare ben pagato. Non capisco assolutamente le remore che la maggior parte degli esseri umani ha verso l’uccidere i propri simili, in fondo non siamo altro che animali, certo animali sociali come diceva Aristotele, ma pur sempre animali;  fatto sta che la maggior parte nutre profonda avversione per questo atto tanto da giudicarlo come una cosa alquanto infima e giudica persone come me ‘psicopatici’.

Sbagliano.

Noi siamo artisti nell’infliggere la morte, nulla a che fare con quella brutalità tipica di uno psicopatico. Più correttamente io dovrei essere definito un ‘sociopatico’. Sapete qual è la differenza? Lo psicopatico non è affatto partecipe delle proprie azioni, come se fosse scollato dalla realtà ed è per questo che viene sempre preso/ucciso. Il sociopatico, invece, perfettamente consapevole di ciò che fa, sfrutta la sua ‘ratio’ al meglio e al meglio porta a termine il lavoro, perché di lavoro trattasi; il sociopatico, se riesce a mantenersi tale e a non sconfinare nella psicopatia, è capace di mantenere un basso profilo e di vivere libero,

Ecco, io voglio vivere libero, nessuno mai mi rinchiuderà in una gabbia. Mai più.

Assumo un’aria affaccendata e preoccupata mentre mi mimetizzo nel caos della folla romana. Ah la folla, che invenzione magnifica. Se esistesse un Dio, lo si dovrebbe ringraziare solo per la folla, la caotica stupida ottusa folla. Quante volte mi ha salvato dal venire anche solo lontanamente sospettato.

Ora dovrò mantenere ancor più basso il mio profilo, dovrò essere più cauto, i piccoli spioni avranno già informato il Mossad circa la morte del loro migliore agente infiltrato. La sua morte si è rivelata lucrosa, mi hanno pagato profumatamente per farlo fuori, dato che non poteva essere corrotto, ci credeva lui nel suo Paese, nella Patria. 

Che idioti! Lui lo avrei ucciso anche gratis, rischiava di far saltare in aria gli investimenti finanziari che ho fatto per la mia pensione; se non avesse messo il naso nell’industria delle armi destinate al Medio Oriente, ora sarebbe ancora vivo e vegeto. Invece ora è nell’appartamento dell’Emiro che fingeva di essere.

Prima di riprendere i miei soliti, noiosi, ammuffiti panni devo far secca la stupida idiota che ha messo il cadavere sulla pista delle armi dirette in Medio Oriente. Lo farò passare per un suicidio. È noto da un po’ che il cadavere (perdonatemi io chiamo così i miei incarichi) si faceva vedere in giro con quella piccola informatrice, dicendole di amarla per farle sganciare la storia.

Aspetterò che si sappia del mio omicidio, le farò scrivere un biglietto d’addio in cui si congeda da questo mondo perché non riesce a vivere senza il suo amato emiro e poi le taglierò le vene.

Costei non è un personaggio importante, nessuno metterà in dubbio il suicidio.

Eccomi, sono arrivato. 

Salgo velocemente le scale, apro la porta, saluto l’assonnata Ivonne, la stagista, che mi apostrofa con un biascicato:

- Giorno, Oliver - e mi metto comodo sulla mia scrivania, in attesa che questa ‘lunga giornata lavorativa’ giunga al termine.

[Micol]

Sono di nuovo qui, adoro questo posto, mi offre una vista completa della città che tanto amo e che adesso sto per lasciare.

La mia prima missione sotto copertura all’estero, sono fortunata perché tornerò in Italia, in quel paese in cui sono cresciuta e che tanto, tanto ho amato. Ricordo le scene e i pianti fatti, quando mio padre ci ha detto che ci saremmo trasferiti a Gerusalemme, non ne volevo sapere, non volevo lasciare i miei amici, il mio fidazantino, la mia casa. Sono salita sull’aereo con un broncio da fare invidia a Brontolo, ma Dio la sa più lunga di me fortunatamente. A Gerusalemme ho trovato amici, compagni, fratelli, una città stupenda che si è fatta subito chiamare casa.

In Israele ho trovato la mia strada.

In Israele ho trovato me stessa.

Quando, quasi 19enne, ho fatto la leva obbligatoria, scelsi il servizio armato, è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita, il Mossad mi ha notata alla fine del mio primo anno di leva, facendomela terminare al loro servizio. Sono un agente del Mossad da 6 anni ormai, e sono sempre più consapevole di essere nata per fare questo mestiere.

Mi allontano dal mio posticino, c’è ancora qualcosa che devo fare prima di partire, mi dirigo verso il Muro del Pianto per lasciare anch’io la mia preghiera, questa missione è tutt’altro che facile, ed io ho bisogno di affidare a Dio le mie resistenze.

Nelle orecchie ancora sento la voce del mio superiore e il fulcro della nostra ultima conversazione.

- Non possiamo più restare a guardare, la Confraternita ha alzato troppo il tiro, abbiamo conferma dell’acquisto di una grossa quantità di armi, e siamo pressochè certi che  lo Scheletro danzante sia al loro servizio al momento. L’asse centrale della Confraternita sembra essere in Europa, abbiamo ragione di credere che stiano spostando i loro interessi sul fronte delle armi batteriologiche. Micol, tu andrai a Roma come studentessa universitaria di biologia, risulterà questa come una seconda laurea per te, abbiamo ragione di credere che negli atenei vi siano affiliati; sempre più giovani menti brillanti spariscono per poi ritornare più pericolosi che mai.

- Io? Una studentessa? Ma dico, mi ci vedi?

- Certo che ti ci vedo tesoro, con quella faccia d’angelo che ti ritrovi nessuno sospetterebbe di trovarsi davanti uno dei più giovani e spietati agenti del Mossad. Non saremo i soli ad intervenire, l’MI5 manderà un agente a Londra, e l’Interpol manderà un agente a Parigi, tu ti coordinerai direttamente con me.

- E chi saresti tu?

- Il tuo amato zietto, che, dopo averti accompagnato a Roma, tornerà spesso a farti visita.

La mia faccia doveva essere piuttosto perplessa.

- Micol, non possiamo tirarci indietro, e non voglio doverti mandare altrove.

Capii immediatamente a cosa si stava riferendo, quindi accettai, in fondo felice, di tornare nella città che mi ha visto nascere, anche perché per Gaza non ero ancora pronta e chissà se mai lo sarei stata.

 

Tornai a casa per prendere il mio bagaglio e salutare i miei, anche loro erano contenti che io me ne andassi in Europa per un po’, hanno sempre accettato le mie scelte con qualche remora, sapermi in Europa per loro è preferibile a qualsiasi altra eventualità.

In aeroporto arrivo prima di Firas, il mio superiore che reputa la puntualità un vezzo inopportuno e inappropriato, mi guardo intorno, ascolto la mia lingua che per parecchio tempo non sentirò, e me ne riempo fino in fondo, con le narici annuso l’aria, così speziata e calda, per custodirla in quei giorni in cui ne  sentirò la mancanza. Troppo persa in questi malinconici pensieri, con gli occhi chiusi e il naso all’insù, non mi accorgo che Firas è arrivato.

- Non starai via per sempre.

Detesto il modo in cui lui mi legge dentro, è fastidioso, mi fa sentire banale e altamente vulnerabile, non sono una persona trasparente, anzi, sono criptica e fredda, tacciata dai miei più cari amici di essere un soggetto anaffettivo, mi trovo messa a nudo sempre e comunque da lui.

- Non fare quella faccia, io ti conosco meglio di chiunque altro, io ti vedo.

Mi alzo di scatto per non sentirlo più, è fastidioso questo suo modo di fare.  Anche se sono contenta che lui mi conosca così profondamente, perché nessuno scorge dentro di me quello che davvero sento o provo; Firas è una sicurezza, in qualche modo mi fa sentire umana, mi ricorda che io sono un essere umano dotato di sentimenti. Non voglio però dargliela vinta troppo facilmente e non gli rivolgo la parola fino al decollo, quando decido di smettere di fare la bambina per tornare ad essere un agente operativo, che sta andando sotto copertura a km da casa.

- Ho un appartamento?

- Ovviamente, lì troverai tutti i libri di testo che ti serviranno, soldi, armi e quant’altro, ma te li mostrerò quando saremo lì.

- L’appartamento è vicino all’università?

- Sì, avevo pensato di sistemarti al ghetto, ma reputo che sia meglio che tu resti dalle parti dell’ateneo.

- Devo nasconderlo? - chiedo quasi sovrappensiero mentre gioco con la stella di David che porto al collo.

- No, assolutamente no, ma … per quanto riguarda …

- Niente shabbat.

- Sarebbe meglio evitare che tu ti isoli in giornate così vive.

- Non c’è problema.

Chiudo gli occhi, mentre continuo a giocare con la mia catenina, voglio riposare un po’, appena arrivata a Roma dovrò essere una ragazza nuova, cavolo dovrò socializzare, penso sgranando gli occhi e trovando su Firas un fastidiosissimo ghigno.

- Sono sicuro che te la caverai alla grande- mi dice dandomi fastidiossisime pacchette sulla testa. Di dormire m’è passata la voglia, tiro fuori il fascicolo per rivedere quanto sappiamo della Confraternità.

Sapere che tra i miei obiettivi c’è lui, lo Scheletro danzante, mi fa venire i brividi, e non di paura, ma d’eccitazione:  è uno degli assassini più efferati degli ultimi tempi. Sembra essere un fantasma, nessuno lo nota, nessuno lo ricorda, uccide in qualsiasi condizione e nessuno fa caso a lui.

Gli si attribuiscono più di 20 omicidi, purtroppo temo che nella realtà la lista sia molto più lunga, visto il soggetto; quello che so è che ha ucciso uno di troppo, qualcuno che non avrebbe dovuto toccare. 

È venuto lui per primo a stuzzicare il Mossad, colpendoci dritto al cuore.

Rabi era la mia Primavera, e l’orgoglio di suo padre. 

Stava cercando informazioni su una serie di attentati e nuovi proclami che scuotevano il già precario equilibrio in Medio Oriente. Evidentemente aveva scoperto troppo: è stato trovato morto nella sua camera d’albergo, causa della morte: avvelenamento, è stato pugnalato con un coltello avvelenato, e sul viso lo stupore e lo sconforto, non ha lottato, non si sentiva in pericolo, era uno dei migliori agenti del Mossad, e noi stiamo sempre all’erta, non ci fidiamo mai di nessuno, non abbassiamo mai la guardia. Ecco perché Firas ritiene che sia stato lo Scheletro, quel maledetto bastardo è letale e veloce.

Dopo la morte di Rabi siamo entrambi cambiati, non lo ringrazierò mai abbastanza per avermi permesso di seguire l’indagine, per avermi accordato di non essere allontanata dalla Confraternita, per avermi concesso di cercare l’assassino della mia primavera, e del suo orgoglio.

Arrivati a Roma vengo subito colpita dal calore che vedo attorno a me, all’aeroporto ci sono un sacco di facce sorridenti, abbraci sinceri, lacrime che sanno di ritrovo.

Questo mi era mancato.

Firas nota il mio stato d’animo e mi stringe in un abbraccio, trascinandomi ai taxi. Lui è l’israeliano più caloroso che io conosca, sorrido mentre mi faccio spingere in un taxi.

Il mio appartamento è un buco, 40 mq, una camera da letto, un salone con angolo cottura e un bagno, vedo libri e vestiti, ma non vedo armi e quant’altro.

- Donna di poca fede!-  dice Firas trascinandomi di fronte l’armadio e mostrandomi il doppio fondo.

- Visto che devi socializzare con quanta più gente possibile, non lasciare armi in giro, non portarti pistole appresso…

- Cosa???

- Ti concedo il tuo coltello, e poi non fare quella faccia. Sai uccidere un uomo a mani nude. Qui ci sono tutte le informazioni relative all’università, hai un tutor, con il quale hai appuntamento fra un paio di giorni.

Mi metto a leggere i fogli dell’università, mentre mi butto sul divano, i viaggi in aereo mi stancano sempre. Leggo velocemente il nome del tutor e il luogo dell’appuntamento, mentro sto per cercare di capire il mio piano di studi, Firas, che ha fatto tre volte il giro dell’appartamento, sbotta.

- Questo posto è un buco, andiamo a fare quattro passi.- dice tirandomi la borsa e la giacca addosso, scuoto la testa, e mi alzo per seguirlo, ringraziando mentalmente Dio per il suo aereo che è l’indomani mattina.

  
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