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Autore: Chaike    07/12/2012    5 recensioni
Quei giorni equivalevano alla perfezione per un cittadino americano. Erano giorni che si sarebbe voluto trascorrere all’infinito, di continuo. Non c’era niente di più bello della compagnia, dell’affetto dei familiari, dei regali e del calore della casa.
Non si poteva non amare tutto ciò, era strano. Eppure una persona ‘strana’ c’era.
Genere: Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chester Bennington
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: salve =3 Con questa fic scritta in un'oretta, vi voglio dire che sto riprendendo a scivere :3  Ma ciò non vuol dire che subito riprenderò la mia storia lasciata in sospeso, perché nonostante io sia nuovamente in possesso della mia fantasia, quest'utlima non ha molto tempo e voglia di essere utilizzata (lurida puttana.)
Tornando alla nuova piccola fic, è una song-fic dedicata a My December (you don't say?) canzone che esprime i sentimenti che Chester purtroppo ha provato nel periodo della sua solitudine nonché amara giovinezza. Credo che voi conosciate il testo, no? Se no, leggetelo, e provate ad immaginare un ragazzo, poco più di che adolescente, che vede la gente felice per l'arrivo del Natale, che appunto condivide il proprio Dicembre con qualcuno che ama o che per lo meno vuole bene. Adesso, immaginate come si senta quel ragazzo, tutto solo, che desiderebbe qualcuno con cui condividerlo. Ma alla fine è solo.
Devo ammettere che la nevicata di oggi mi ha proprio aiutato a partorire sta merda. ( 'Come sei modesta!' cit. Monkey_Blue lol)
Enjoy...


Questo è il mio Dicembre

And I give it all away
Just to have somewhere
To go to
Give it all away
To have someone
To come home to


 
Il freddo era tutto ciò che poteva sentire, nonostante il grande maglione grigio scuro di lana che indossava a malavoglia per ripararsi quel che poteva. Nella sua piccola casa era calato il silenzio da anni ormai, ne erano già passati due e mezzo da quando la quiete la inglobò.
C’era solo un piccolo rumore che si poteva udire al suo interno, ovvero il continuo e lento ticchettio di un vecchio orologio a batterie, che segnava pure un orario sbagliato.
Se non ci fosse stato quello, si sarebbe potuto sentire anche il minimo rumore provocato dalla caduta di ogni singolo fiocco di neve, leggero e delicato che veniva buttato a terra per colpa della gravità.
Non c’era nemmeno vento quella sera e la neve cadeva tranquilla sull’asfalto di Phoenix. Candida neve che colorava di bianco il solito grigio tipico delle città.
Tutte le case della via erano illuminate dalle luci interne e dalle decorazioni verde e rosse lampeggianti poste all’esterno, i loro tetti invece erano ricoperti di uno strato bianco ghiacciato che le facevano apparire ancora più belle. Dentro di esse c’era un perenne calduccio accogliente, che avvolgeva tutti i componenti delle varie famiglie.
La via era più illuminata dalle luci natalizie che dai lampioni alti e possenti che a volte non funzionavano nemmeno. Tutti si erano preparati all’arrivo del nuovo Natale, tirando fuori l’albero e tutte le palline rosse e dorate, il presepe e i regali, pronti per l’arrivo del venticinque.
Non c’era niente di più bello del periodo natalizio, perché tutto sembrava magnificamente piacevole, pure la neve che imbiancava le case e le strade ma che a sua volta creava molti problemi di movimentazione e di traffico. Poi era bello perché si sarebbe stati tutti quanti in famiglia, attorno al tavolo imbandito di piatti tipici e festivi. Alla fine arrivavano le undici, il momento perfetto per tutti i bambini perché era l’ora dello scartare dei regali davanti al fuoco ardente del camino e ai genitori che sorridevano compiaciuti e felici.
Quei giorni equivalevano alla perfezione per un cittadino americano. Erano giorni che si sarebbe voluto trascorrere all’infinito, di continuo. Non c’era niente di più bello della compagnia, dell’affetto dei familiari, dei regali e del calore della casa.
Non si poteva non amare tutto ciò, era strano. Eppure una persona ‘strana’ c’era.
Forse era fuori dalla norma, forse poteva essere visto come un pazzo solo per questo, ma lui odiava il Natale. Non proprio il Natale in sé, lui odiava le festività, tutte quante, ma specialmente quelle che cadevano nel mese di Dicembre.
Tutte le case erano illuminate in quella via di Phoenix, tranne una, ovvero la sua. Non aveva decorazioni fuori dalla porta, non c’erano luci colorate che segnavano la gioia per quel periodo in cui si celebrava la nascita del Salvatore.
Il giovane ragazzo rimaneva, come ogni sera, al buio, rannicchiato vicino alla finestra senza tende, con la felpa larga che tentava di riscaldarlo. La sua caldaia era rotta e non aveva abbastanza soldi per farla riparare. Ogni inverno doveva patire il freddo e il gelo senza far nient’altro che coprirsi con degli stupidi maglioni di lana fatti a mano che sua madre gli spediva come regalo di Natale.
Lei sì che era felice, col suo nuovo marito in Canada. Mentre il suo povero figlio dovette rimanere in Arizona con suo padre, scapolo e con due figli da allevare e far diventare grandi. Ma ci riuscì poco bene, infatti i due scapparono in parti diverse della città appena ebbero l’occasione di trovare una casa per ciascuno a basso costo. Le botte che ricevevano ogni volta che sbagliavano dopo un po’ diventarono insopportabili.
I rasta lunghi e neri ricadevano sulle spalle del giovane, che dalla sua posizione fetale scrutava il mondo fuori dalla sua umile e scadente dimora. Guardava le case quasi perfette degli altri, con un giardino, due piani ed una caldaia che funzionava.
In più loro potevano permettersi di tenere la luce accesa finché volevano, lui no. Non aveva abbastanza soldi nemmeno per mangiare e arrivare a fine mese, e le bollette erano sempre un pugno nello stomaco per il suo scarso stipendio che guadagnava al fastfood.
Posò debolmente la testa al muro che lo sorreggeva, facendo attenzione agli occhiali mal graduati posati sul suo naso un po’ sporgente. Non poteva nemmeno permettersi di prendersene un paio più alla moda con lenti della sua giusta graduazione.
Ogni volta che vedeva la neve cadere dal cielo bianco quasi come la neve stessa, si chiedeva come sarebbe stata in quel momento la sua vita se avesse avuto qualcuno affianco. Magari una fidanzata, magari una moglie. Anche un semplice amico o coinquilino. Qualcuno con cui conversare, ridere e scherzare. Qualcuno che gli desse il motivo per tornare a casa ogni giorno, finito di lavorare.
Erano quelli i momenti in cui si chiedeva se mai ci sarebbe stato un giorno in cui tutto questo sarebbe successo. Un giorno in cui qualcuno gli avrebbe dato quell’affetto che tanto necessitava.
Lo poteva solo immaginare, chiudendo gli occhi e respirando profondamente, lasciando che l’aria entrasse nella sua mente, portandogli immagini felici e appaganti per la sua sconfinata fantasia.
Vivere almeno una volta un Natale perfetto, con la propria famiglia. E non necessariamente con i suoi genitori, ma proprio con una famiglia tutta sua. Sua moglie, suo figlio.
Il piccolo, che finito di mangiare l’arrosto cucinato dalla mamma, si butta ai piedi del grande albero verde decorato con palline rosse ed una stella d’oro sulla punta, per afferrare una grande scatola incartata, mentre il padre, affiancato dalla moglie, lo guarda già con un sorriso.
Ed era lui il padre del bambino, del bambino con gli occhi lucidi nel vedere un grande giocattolo comprato con uno stipendio più alto meritato nel suo nuovo lavoro più decente e meno squallido. E poi vedere il bambino saltare dalla felicità e abbracciare le gambe del padre per dirgli ‘grazie’.
Gli piaceva immaginare queste cose, gli mettevano tanto sollievo quanta malinconia. Gli sarebbe veramente piaciuto una situazione del genere. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averla, ma purtroppo lui non aveva niente da dare in cambio, e anche se ce l’avesse avuto non sarebbe stato all’altezza.
Si strinse ancora di più le gambe al petto sottile e privo di veri pettorali, mugolando insofferente. Chiuse gli occhi un’ultima volta, immaginando il sorriso del suo figlio immaginario davanti ad un regalo scartato, uno di quei sorrisi che solo i bambini possono fare. Uno di quelli che ti fanno capire che cosa ci sia di bello nell’essere il padre, perché si abbia faticato tanto per avere dei soldi ed infine perché li si abbia spesi per quel giocattolo.
Quel sorriso, ecco cos’era la risposta. Il proprio figlio felice grazie a te.
Sapeva che non sarebbe mai successo.
Forse era troppo brutto per trovare una donna che lo accettasse, oppure troppo povero. Forse era troppo entrambe le cose, ma lui non sapeva proprio come uscirne.
Si alzò con fatica dal pavimento freddo che gli aveva lasciato la sensazione di gelo sui glutei magri, facendo scroccare le sue ossa indolenzite nell’azione. Non fece altro che andare a letto, nemmeno accendere la radio o uscire con qualche amico. Non aveva niente da fare, perché lui non aveva quella cosa che tanto desiderava avere, ovvero qualcuno.
Giunto nella sua semplice stanza non stette nemmeno a togliersi i pantaloni neri che teneva su da quella mattina, tanto non aveva un pigiama e stare a gambe nude era da pazzi.
Si sfilò gli occhiali per poi posarli sul comodino di legno affianco al letto. Si lasciò cadere sul vecchio materasso, facendo cigolare le molle rovinate della rete. Subito si coprì con il piumino rovinato e poco imbottito, rotolandosi in esso e maledicendo il freddo che emanava.
Chiuse gli occhi e gli venne istintivo immaginare nuovamente la solita scena che ogni inverno lo tormentava, prima di addormentarsi: lui, sua moglie, suo figlio. Una famiglia perfetta, una casa perfetta, un Natale perfetto.
Avrebbe dato qualunque cosa per averli.
Questo era il suo Dicembre.
   
 
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