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Autore: TonyCocchi    08/12/2012    7 recensioni
Conoscete la Macchina del “Se fossi” di Futurama? America, da bravo appassionato di cartoni animati, la conosce e ne ha tratto ispirazione per un’invenzione che adesso vuol condividere con tutti gli altri: una macchina capace di mostrare mondi alternativi, come sarebbe andata la storia, e che fine avrebbero fatto le nostre amate nazioni, se non fosse andata così com’è andata!
E se Italia avesse deciso di sposare Sacro Romano Impero?
E se la Guerra dei Cent'anni non fosse mai avvenuta?
E se Italia non si fosse mai alleato con Germania?
E se Giovanna d'Arco non fosse stata catturata?
E se Svizzera fosse un pò meno neutrale...?
E se Austria non avesse sposato solo Ungheria?
E se Turchia avesse conquistato Vienna?
E se Russia avesse prevalso nella guerra fredda... e sposato Bielorussia?
E se i nordici avessero colonizzato l'America per primi?
E se America avesse vinto la guerra in Vietnam?
E se Giappone non fosse uscito dal suo isolamento?
E se Russia non fosse mai diventato così grande?
Epilogo: l'ultima ucronia!
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti, carissimi lettori! Questa fic è andata oltre le 100 recensioni col capitolo precedente, il mio risultato migliore qui su EFP! Vi ringrazio tutti di cuore, e spero continuerete a seguirmi e darete, per chi non l’ha fatto ancora, un’occhiata alle mie tantissime altre storie postate nella mia gallery, non solo su Hetalia! ^____^

A parte questo, sono contento perché sono finalmente arrivate le feste natalizie! Le luci, l’allegria… Il freddo cane T__T Brrr…
Ora ci vorrebbe proprio un’ucronia sul deserto, eh? XD Però dai, non importuniamo il povero Egitto solo per un po’ di calduccio… Di chi tratterà allora questa ucronia? Vorrei poter dire “leggete e scoprite”, ma i titoli dei capitoli di questa fic la dicono già tutta! XD
Buona lettura, e buone feste!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!”

 

 

 

“Per me è stata davvero un’ucronia bella ed interessante!” –disse Finlandia- “Un vero peccato che il vero America non sia così ricettivo allo stile nordico.”

“U-S-A! U-S-A!” –esultava Alfred facendo il segno della vittoria con le dita, contentissimo di essere sempre il solito sé stesso, che inquina, mangia calorico, si fa pagare per guarirti, e che nessuno al mondo anche volendo può ignorare perché fa più chiasso di una banda al completo.

“Sicuri che sarebbe stato un ottimo nordico?” –si domandò Norvegia, a un tratto più dubbioso sul giudizio della macchina, che, tra parentesi aveva inventato proprio lui e che per quanto ne sapeva aveva programmato per fargli fare sempre bella figura o qualcosa del genere.
Tino invece ancora rimpiangeva quell’America così aperto e simile a loro: “A giudicare dall’ucronia sembrava di si. O forse non ha passato abbastanza tempo con Danimarca.”

Chiamato il diavolo, eccolo spuntare, anche se con le corna afflosciate per lo sconforto: “Sigh, e ora che ci faccio con questa tessera di nordico onorario che avevo ritagliato col cartoncino apposta per America?”
Nor roteò gli occhi in aria: “E che l’avevi ritagliata a fare innanzitutto?”

Si erano riconfermati come una famiglia molto unita ed era una cosa che faceva piacere a ciascuno di loro, però da lì al bisogno di allargarla ancora rendendo nordici anche altre persone…

“Per fortuna non ci ho scritto ancora il nome.” –proseguì lui, sventolando quell’improbabile tesserino sotto i loro nasi, a ribadire la sua ferma intenzione di non volerlo sprecare!- “Chi vogliamo far diventare nordico onorario?”

Norvegia si sbatté la mano in faccia, Finlandia invece provò a stare al gioco: “Non lo so… Qualcuno che viva abbastanza a nord e che abbia un bel clima “freschetto” direi, eh eh eh!”

“Perché non Russia?” –chiese Svezia.

“Vacci piano, Berwald!” –ribatté Den- “Insomma, i requisiti li ha tutti, non si discute, ma il posto di pauroso del gruppo c’è già.”

“……”

“Sto parlando di te, amico.”

“E comunque, non mi sembra il caso di disturbare Russia per una scemenza del genere.” -indicò con un cenno veloce Ivan Braginski, assorto a guardare fuori da una finestra coi gomiti sul davanzale, mostrando le spalle a tutti, come volesse essere lasciato tranquillo lì dov’era, e Norvegia, dovendo subire Danimarca da secoli interi e in ogni realtà vera o fittizia, non lo avrebbe certo ostacolato.

D’altro canto, Russia aveva già dall’inizio dato segno di non curarsi minimamente di quella macchina che tanto aveva fatto impazzire le altre nazioni quel giorno; bastava pensare poi che la domanda che l’aveva visto protagonista l’aveva fatta sua sorella.

“Allora, vogliamo andare avanti?” –esordì Alfred, una volta ritenuto di aver inneggiato abbastanza alla sua imbattibile patria- “Chi dite che sarà il prossimo?”
“Io! Io! Io!” –saltellò Sealand per farsi notare.

E per riuscirci ancora meglio, chiese al suo papà fin troppo cresciuto di sollevarlo sulle spalle! - “Voglio un’ucronia come quella del signor Svizzera!”
Vash, che schiacciava un pisolino, svegliato di soprassalto dal suono del suo nome, provò a impugnare la pistola ma acchiappò invece la cioccolata; resosi conto che non c’era pericolo, tornò a dormire… con la barretta in bocca per fare sogni belli dolci.

“Voglio un’ucronia dove io divento la nazione più grande e forte del mondo, così tutti mi riconosceranno! Si!”

“Eh eh eh, non per spegnere il tuo entusiasmo piccolino…” –gli fece segno di scendere Alfred- “Ma come ho detto anche a Bielorussia…”

Natalia, reagendo a mò di Svizzera anche se sveglia, sguainò il coltello, facendo venire un colpo a tutti!

“La mia macchina risponde a domande su ipotesi di storia alternative, non a richieste del tipo << fammi diventare il più bello, il più tosto, il più così o il più cosà >>, mi spiace. Inoltre, non credo proprio che, per quanto possano essere alternative, ci sarebbe modo per una piattaforma sperduta in mezzo al mare di diventare padrona del mondo, eh eh eh!”

“Sniff… Buaaaaahhh!”

Finlandia consolava il povero Sealand con un mano e con l’altra lo minacciava a distanza con un ferro da cucito; anche se era Svezia a preoccuparlo di più…

“Eh eh eh… Buono Svezia, ho già visto che sai tirare dei bei cazzottoni, non serve che me lo dimostri di nuovo!”

Francia sbuffò.

“Oh, su, scusami tantissimo, piccolino: certo che puoi diventare una nazione grande e riconosciuta!” –chiese venia America facendogli “pat pat” sul cappellino- “Tieni, per farmi perdonare ti offro questo lecca-lecca formato iper-maxi! E iper-maxi è meglio di maxi, sai?”

Sealand per fortuna smise di piangere per concentrarsi sul “dolcetto” e America poté battere in ritirata sana e salvo, sotto gli occhi di chi si chiedeva come avesse fatto a far entrare nel giubbotto un lecca-lecca del diametro di un pallone da basket! Non che qualcuno si sarebbe stupito a scoprire che magari le sue tasche erano piene zeppe di squisitissimi caria-denti…  Ah, questi americani, così esagerati, così prevedibili…

“Quello che in realtà stavo cercando di dire, è che il prossimo che porrà una domanda alla mia invenzione c’è già!”
“Che cosa?” –fece Inghilterra- “E chi è, ma soprattutto, quand’è stato deciso?”

“Ora ve lo mostro! Luci!”

Malgrado fosse pieno giorno divenne tutto buio, salvo il cono di un riflettore vicino a lui. Indicò la luce, mettendo un sacco di enfasi nella voce: “Il prossimo che domanderà un’ucronia saràààààà...”

Fece un saltello…

“IO!” –urlò a braccia aperte sotto la luce!

Un forte “BUUUUUU!” si levò subito, spegnendo il riflettore e reilluminando la sala!

“Ehi! Ma perché?!”

Non c’era dubbio che sarebbe stato un incavolato Inghilterra a spiegarglielo!

“Se vuoi fare una domanda accomodati, la macchina è pure tua, ma almeno non fare tutte queste scene come tuo solito! Poi non meravigliarti se con questo tuo atteggiamento finisci per risultare insopportabile!”

La cosa gli suscitò sonore risate: “Insopportabile? Io? Ma andiamo! Ah ah ah! Forse ti confondi con qualcun altro, io sono l’eroe: quello che salva sempre tutti, che risolve i guai, di cui nessuno può fare a meno, che tutti amano, come posso essere insopportabile? Non è così, gente?”

“………”

Quel silenzio tanto prolungato ebbe l’effetto di uno spillone sul palloncino troppo gonfio della sua immagine di sé!

Per la verità non era un silenzio totale, solo che la voce di Canada era un po’ troppo bassa per le sue orecchie foderate di autostima: “Forse se ti vantassi un pochino di meno…”

America si poggiò allo schienale della sedia a testa basse: “E va bene, lo ammetto…”

Inghilterra sentì un brivido. Possibile che per una volta Alfred Jones potesse lasciarsi andare a una sana autocritica?
“Qualche volta l’eroe non ce l’ha fatta ad aggiustare le cose, lo so! Perdonatemi!”

Ma che perdono? Arthur lo avrebbe preso a calci da lì al polo, e poi al polo apposto!

“Non è per quello! E comunque di che diavolo stai parlando?”

America proseguì con quell’aria da tragedia: “Credetemi, su di me si può sempre contare, ma anche io ho i miei limiti, anche se sembra difficile da credere!”

“Oh, ma per favore!” –sbottò Inghilterra, maledicendo che Iraq non fosse presente alla riunione per potergli rispondere a tono!

“In un certo senso ha ragione-aru.” –fece Cina- “Nel senso che si immischia sempre in tutto di tutti, quindi devi contare su di lui che ti piaccia o no.”

“Gli farebbe bene un po’ più di compostezza, si.” –annuì Giappone, che quasi a pubblicizzare la sua discrezione ed eleganza, si era messo a sorseggiare un po’ di tè seduto sulle ginocchia su di un tappetino.

“Insomma, qualche volta anche io, pur mettendoci tutto il mio eroico impegno ho fallito, ma adesso grazie alla mia macchinina aggiusteremo una di queste brutte macchioline sul mio curriculum! Ehi, Russia, ora beccati questa perché credo non ti farà piacere, eh eh eh! Macchina mia, è il tuo fighissimo padrone che ti parla! Voglio sape…”

“ALTOLÀ!”

Evidentemente, oltre a Russia, doveva esserci qualcun altro lì a cui la sua ucronia non avrebbe fatto piacere.

Lei, per vecchia abitudine, prestava sempre attenzione a quello che diceva America, perché così sapeva sempre quand’era il momento di spaccargli un bel remo in testa; e non credeva affatto di sbagliarsi, uno di quei momenti era giunto!

“Vietnam! Che bello averti qui! Questa non puoi proprio perdertela!”

“Grrrr!”

La ragazza col lunghissimo codino gli mise la punta del remo molto minacciosamente sotto il naso!

“Ti avverto, se osi chiedere come sarebbe stato se tu avessi vinto a casa mia…”
Ma America, più veloce del pistolero buono di un bel western, afferrò il tubo per le domande e ripartì da dove si era interrotto: “... Sapere come sarebbe andata se avessi vinto in Vietnam!”

Si risparmiò la sua ira solo perché era stato così sfacciato nell’ignorarla da bloccarla in stato di shock!

“Riportando in tal modo questa bellissima pupa dalla parte vincente!” –si indicò col pollice ed ammiccò- “La mia! Eh eh eh!”

“Maledetto! Cancella la domanda, subito! Non tollererò che tu mostri una simile cosa su di me!”

“Ehi, buona! Capisco che certe domande possano causare imbarazzi, ma non è giusto negare a qualcuno di soddisfare la propria curiosità: prima nell’ucronia di Bielorussia ero ridotto uno schifo, ma mica ho fatto storie!”
“Si, le hai fatte.” –precisò Inghilterra.

“E che dovrebbe dire allora Austria: non si è mica lamentato se tutti qui l’hanno visto come concubino di Turchia!”
“Si, l’ho fatto.” –precisò Austria.

“E Francia, che si è coccolato con Inghilterra?”
“E perché avrei dovuto lamentarmi? Uh uh uh!”

“Sii democratica quindi, l’ucronia è un diritto di tutti! Ma forse troppo comunismo nella dieta ti ha un po’ inacidita, eh?” –scherzò lui, ridendo però da solo.

“Tsk! Sei il solito prepotente! È un diritto anche non essere ridicolizzati!”
“Ma che ridicolizzati, su!” –disse provando a darle una pacca sulla spalla, ma venendo respinto con la mano- “Mica lo faccio perché ce l’ho con te e voglio prenderti in giro. Ti stimo, per non dire che mi attizzi in quanto unica ragazza che è stata capace di tenermi testa, uh uh uh!”

Vietnam arrossì: “Umpf, e non dimenticarlo mai però, eh? Io ti ho battuto!”

“No che non lo dimentico, per questo ora chiedo! Così ti faccio vedere come staresti stata meglio a lasciarti salvare dall’eroe anziché fare la ritrosa…” –disse lanciandole un occhiata un po’ cattivella (anche lui se l’era vista brutta, non solo lei)- “Magari scoprirai che non sarebbe stato poi così male, e così forse scoprirò se il mio sospetto che è vero.”

“Che sospetto?”

America mosse su e giù le sopracciglia con fare ammiccante: “Che in realtà tu provi dei sentimenti nascosti per me ma non lo ammetti! Eh eh eh!”

CRASH!
“MA QUALI SENTIMENTI?!?!?”

America non arrivò a sentire l’urlo, perché il suo remo si era infine spaccato sul suo cranio appena un secondo prima!

 

 

“Ohi ohi ohi…”

Una banconota svolazzò sul suo petto. Datosi una scrollata, si rese conto che se ne stava sdraiato al bordo di una strada e che qualcuno, scambiandolo per un barbone, gli aveva fatto l’elemosina!

“Ah, deve tenersi ben allenata con quel remo per tirare certe sventole… Dove mi trovo?”

Era sera, ma la città era illuminata a giorno: lampioni e insegne al neon creavano un arcobaleno di colori che gli ricordò la sua Las Vegas, solo con un po’ più di occhi a mandorla in giro. Guardò i simboli sulla banconota che aveva in mano e quelli sulle pubblicità e i maxi-schermi, ricordandosi subito di loro avendoli già visti in passato: alfabeto vietnamita!

Ma come ci era arrivato lì, e com’era possibile una Vegas nel povero sud-est asiatico?

“Ma certo!” –chiuse vittorioso il pugno Alfred- “Dopo la botta la macchina deve avermi risucchiato e quindi eccomi nell’ucronia in cui ho vinto e ho reso Vietnam un posto fighissimo!”

Ora che il mal di testa svaniva e riusciva ad articolare meglio i propri pensieri, era in grado anche di riconoscere il posto: quella era Saigon, la città che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la vera capitale di Vietnam! Un orologio con data alla pensilina dei mezzi pubblici diceva che era il 1980: la guerra era finita da qualche anno, ma il paese si era ripreso benino a giudicare dai vestiti dei passanti e dalle tante rombanti macchine (che per lui ora erano delle vere anticaglie…) che ravvivano quelle strade, condivise coi più caratteristici carretti, risciò e biciclette.

<< Eh eh eh, conoscendo Vietnam adesso starà rosicchiando quel resta del suo remo davanti lo schermo: alla fine ho avuto la mia ucronia e non potrà certo negare che dopo la mia vittoria qui si viva più che benino! >>

Non voleva però rivolgersi al cielo e farla arrabbiare ancora di più, rinfacciandole da lì di aver avuto ragione (anche per non mettersi in conto altre remate al suo rientro); meglio essere meno bastardo e lasciarla guardare e convincersi da sé, andando piuttosto in cerca della Vietnam ucronica.

<< Eh eh eh, chissà perché sono convintissimo che sarà felicissima di rivedere il suo eroe! Dunque, vediamo un po’ se riesco a trovare casa sua… >>

 

Le aveva comprato quella casa con vista fiume per quando avrebbe finalmente capito che il buono era lui, altro che Russia. Ma alla fine era rimasta sempre vuota, e lei era andata a vivere ad Hanoi, la capitale che si era scelta da sé (su suggerimento di quel brutto nasone…).

(NDA: Saigon era la capitale del Vietnam del Sud, filoamericano, mentre Hanoi era la capitale del Vietnam del nord, filosovietico, ed è la capitale del Vietnam odierno)

Adesso però, scavalcato il muretto di cinta e raggiunto il giardino, poteva vedere le luci accese all’interno: era felicissimo che in quella bella villetta Vietnam si stesse godendo tutti i vantaggi di un sistema economico consumista e corrotto anziché l’austerità di un sistema socialista e corrotto uguale.

“Mhmm! Che bel profumino d’incenso!” –assaporò arrivato alla porta-finestra, prima di scostare le tendine di lino.

Fece due passi sul pavimento di legno, poi sentì la sua voce.

“C’è qualcuno?”
America si riaggiustò il giubbotto e si controllò l’alito; un’aggiustatina a i capelli ed era pronto a lasciarsi accogliere come l’ospite che più di riguardo non si può: “Non aver paura, Vietnam, sono io, America! Sono passato a trovarti!”

“Oh, davvero? Che bello!”
<< Lo sapevo, eh eh eh! >>
CRASH!

Resti di porcellana in frantumi caddero a meno di un passo da lui, dopo avergli sfiorato l’orecchio e beccato la parete.

“Vieni qui, maledetto!” –arrivò dalla cucina con ambo le mani occupate da un pregiato servizio da tè dipinto a mano a fare da arsenale!

“Vietnam! Ti trovo un incanto!”
CRASH!  - schivò per miracolo la teiera.

“Hai una bellissima casa sai? Te l’ho mai…” –CRASH- “… detto? Scusa un secondo, cerco un nascondiglio dietro cui…” -CRASH!- “… ripararmi…” –CRASH! CRASH!- “Urgh!”

“Grrrr!”

Scappò in un'altra stanza, ma ci trovò un paio di remi appesi a una parete e morì di paura (riflesso post-traumatico!). Lo riportò alla realtà un altro “CRASH!” vicino l’orecchio e riprese quindi a fuggire; inseguito dall’infuriata asiatica per tutta casa, ritornò al punto di partenza.

<< Ma che sta succedendo? Ho vinto la guerra e l’ho resa un paese moderno, perché anche qui vuole uccidermi? >>

La sua corsa finì in un inciampo su una piega del tappeto. Si rimise in piedi, ma lei era già lì, pronta a fare fuoco con gli ultimi due piattini.

“Tregua! Tregua! Dai, Vietnam, fai la brava!”

“Te la farò pagare, maledetto porco capitalista!”

“Ma… Ma non capisco! Cioè… Non dovresti essere capitalista anche tu?”
“Infatti, e per colpa di chi?” –chiese a denti stretti.

Lasciò cadere i piattini sul pavimento, lo afferrò e lo baciò.

America, dopo qualche secondo di pausa inconcludente ai fini di dare una spiegazione a tutto ciò, non trovò di meglio che baciarla si nuovo.

La abbracciò e lei lo stritolò. Le loro lingue affondavano ciascuna nella bocca dell’altro più a fondo che potevano, finché, bacio dopo bacio dopo bacio, arrivarono fino in camera da letto, e la fresca notte primaverile di Saigon divenne piuttosto calda…

 

L’ultimo bastoncino profumato sulla specchiera si spense in una minuscola nevicata grigio chiaro nel posacenere. America, mezzo coperto dal lenzuolo, fissava il soffitto, rischiarato dalla lanterna di carta: aveva sempre voluto una di quelle per la sua stanza, davano una bella luce giallina.

“…… Miiiiiitico…” –gli riuscì da dire, facendo il verso al suo cartone animato preferito.

Ovviamente la prossima mossa era girarsi, con la testa poggiata sul gomito, badando a far risaltare i pettorali, e rivolgerle un bello sguardo un po’ socchiuso e una delle innumerevoli frasi da uomo rude garantite dai suoi film per far impazzire le donne.

“Ehi…”

Gli tirò il cuscino in faccia, scompigliandogli gli occhiali!

“Inizia con la vecchia storia dell’uomo rude e ti butto fuori a calci!”

Quella donna si che lo conosceva: “Sai, non è che mi vadano proprio a genio questi tuoi strani e improvvisi cambi d’umore, anche se forse non dovrei lamentarmi se poi finiamo col fare i fuochi d’artificio su un materasso così comodo…”

“Umpf, è quello che ti meriti per avermi fatta innamorare di te, bastardo!”

“Andiamo, che fine ha fatto la gattina di due minuti prima? Falla uscire fuori che la coccolò un altro po’!” –fece il gattone provando a farla girare.

“Dormi, sennò ti graffio!”

Sbuffò. Prima le teiere, poi baci appassionati e carezze, poi di nuovo intrattabile: sapeva che la donna è mobile, come dicono gli italiani, ma qui sembrava piuttosto schizofrenia!

<< Oh, beh, però ha anche detto che è innamorata di me! Forse le ci vorrà un altro po’ di tempo o roba del genere… Intanto io ho cancellato dalla storia la mia più grossa figuraccia e mi sento ancora più mitico del solito! >>

Le augurò buonanotte con un bacio sulla spalla; la prima cosa che avrebbe fatto il giorno dopo sarebbe stata andare alla riunione delle nazioni per informarsi un po’ di più su com’era la situazione nel resto del mondo. Chissà quanto era diventata alta la sua popolarità!

 

“Salve a tutti!” –fece prendendo la parola non appena arrivato, scavalcando maleducatamente Germania Ovest- “Fate conto che io venga da una realtà alternativa e che non sappia nulla di come si è svolta la storia in questo mondo: mi fareste un riassunto di come vanno le cose?”
A rispondere per primo fu Cina: “Ti odiamo-aru!”

“Da!” –sorrise Russia, tenendogli la mano.

“Che co… ?! Ma voi due non dovreste aver litigato da tempo?” –chiese all’altra maggiore potenza comunista del globo.
“In effetti certe cose di Russia non mi stavano bene, ma vedi, il tuo ficcanasare così vicino a casa mia mi ha fatto venire voglia di essere ancora più pappa e ciccia con lui e ancora più ritroso nei tuoi confronti-aru!” –fece Yao col viso accigliato, lasciandosi abbracciare e carezzare in testa da un felicissimo Ivan.

Si morse la lingua: vedendolo trionfare in quella che doveva essere un’area di sua influenza, Cina non l’aveva presa per nulla bene, e così ecco rafforzato quel popolosissimo e potentissimo asse contro di lui!

“Che vuoi che ti dica, Cina, nella vita si vince e si perde, e quando sei un eroe vinci spesso, eh eh eh! … EEEEH?! Afghanistan! Finlandia!”

I due, arrossiti, si strinsero nelle spalle, ma non potevano far nulla per nascondere le loro spillette con la falce e martello in bella mostra sul petto.

“Come avete potuto?!”

Fu Russia a rispondere al loro posto: “Non potevo certo starmene con le mani in mano: ho solo risposto colpo su colpo, schiacciando i guerriglieri anti-comunisti di Afghanistan…”

“Come hai potuto?! Volevo così tanto bene a quei terroristi!”

In quell’epoca almeno, ovvero prima che gli buttassero giù due certi palazzi…

Ivan continuò: “E “convincendo” il piccolo Finlandia a tornare da me!”

“Sigh, mi spiace Svezia…”

“Su, non essere triste: Svezia lo sa che se vuole la tua compagnia è il benvenuto dalla nostra parte!”
“Urgh…”

Un secondo morso: Russia avrebbe rischiato di perdere la faccia dopo una così brillante vittoria del capitalismo, quindi, in quel mondo, si era sbrigato a portare Afghanistan dalla sua parte e poi aveva puntato gli occhi sul suo innocente vicino per pareggiare i conti e riaffermare ancora di più la sua alternativa allo strapotere americano.

“Beh… Tieniti pure le tue piccole vittorie, intanto in Vietnam te l’ho fatto a strisce… Anzi, a stelle e strisce! Ah ah ah! Bella, vero?”
Russia rispose incrociando stizzito le braccia.

“Umpf, tanto non mi batterai mai, Russia, diciamo pure che ho la sfera magica che prevede il futuro! Io sono il vero eroe: quello che raddrizza i torti, che porta libertà, democrazia, i supermarket aperti 24 ore e i fast-food a tutte le nazioni buone e anche a quelle cattive dopo avergli insegnato la lezioncina, quello a cui tutti guardano per essere salvati dal cattivone comunista e quindi che tutti amano! Non è così, gente?”

“………”
“DI NUOVO?! MA PERCHÉ?!”

Inghilterra si alzò: “Forse se tu fossi un po’ meno…”
“Si si, meno scemenze, più umiltà, bla bla bla… Lo so!”
Arthur, brutalmente zittito, restò immobile a bocca aperta, a meditare di ucciderlo una buona volta!

“Si può sapere che problema avete tutti quanti?”

Russia rise: “Chissà perché sono convinto che non dovrò nemmeno aprire bocca!”

Per primo si alzò Canada: “Forse… Saresti più simpatico se non guardassi tutti dall’alto in basso…”

Sassolino dopo sassolino, le scarpe presero a svuotarsi: per primo si alzò Germania Ovest: “Pensi sempre di avere ragione! Che il tuo punto di vista sia l’unico sensato!”

Si alzò Romano: “Ti impicci sempre degli affari altrui che non ti riguardano!”

Si alzò Spagna: “Vero! E solo per tuo tornaconto: se qualcuno prende una decisione che non ti sta bene dici che sta sbagliando e fai di tutto perché venga dalla tua parte!”

“N-non è vero!”
“Ah, si?” –fece per le rime Antonio- “Cile non vede l’ora di ringraziarti per averlo affidato a quello “stinco di santo” del tuo amico Pinochet!”

America si girò verso la nazione sudamericana. Questi gli mostrò un bambolotto con le sue sembianze, e poi lo fece a pezzi con un coltello.

America si allentò il colletto: “Il socialismo è una bruttissima cosa, Cile! Un giorno mi ringrazierai!”

Cile piantò il coltello nel tavolo: “Siamo grandi abbastanza da fare da noi le nostre scelte, o forse la libertà di cui tanto parli per gli altri non vale?”

Cuba si accese un sigaro e riassunse il tutto: “Cabrón!”

“Sei egoista!”

“Sei un prepotente!”
“Un tiranno, quasi come Russia!”

Alfred prese un bel respiro, stringendo le dita sul podio, diventato per lui una berlina.

Non capiva se in quel mondo, senza la batosta di Vietnam a calmarlo un po’, era stato cento volte più pallone gonfiato, al punto di far perdere le staffe a tutti, o se i suoi amici lì fossero semplicemente più sinceri. Perché a un tratto la differenza tra quel mondo e quello da cui veniva sembrava limitarsi a quello, e quelle facce scure e quelle critiche facevano un male cane, perché le sentiva adatte ad entrambi.

Ma lui era pur sempre un egocentrico: sulle critiche non ci si ragiona, si ribattono come palle al volo.

“Bene…” –si schiarì la voce- “Le cose stanno così, eh? Io ho sempre combattuto per voi, razza di ingrati! Per impedire che finiste tra le grinfie di Russia! O forse a voi piaceva di più fare gli straccioni con gli stipendi tutti uguali, ubriachi di chiacchiere su fratellanza, comunione di beni eccetera? Allora?”

Gli si gonfiò il petto vedendo alcuni di quelli che avevano parlato prima rimettersi a sedere.

“Sapete che vi dico? Al diavolo! Continuerò ad essere l’eroe che sono che vi piaccia o no… E tanto io ho Vietnam! Umpf!”

Rovinò tutto con una bambinesca linguaccia e se ne andò…


Tornò a Saigon di malumore, e quando era di malumore camminava con le mani ben ficcate nelle tasche del bomber e la testa al terreno; la rialzò solo una volta arrivato, afferrato per le narici da un profumino invitante!

Saltellando in punta di piedi arrivò in cucina, cogliendo alle spalle Viet mentre faceva fare gli ultimi saltelli alle verdure dentro il wok.

“Yum! Ciao, bambola! Mi fai favorire?” -ma quella, senza voltarsi, lo mise a posto con un colpetto del cucchiaio di legno sulle dita!

“Ahio… Sigh… Ho capito, non sono invitato per pranzo…”

“Bah! Mettiti a tavola, panzone!”

“YEAH! Ti adoro, Viet!”

Oltre alle verdure saltate, la ragazza mise in tavola dei tom kho, gamberetti in salsa di caramello, e una zuppa di pesce piccante. Si misero ciascuno a un capo del tavolo: America aveva dimestichezza con le bacchette, trovandole molto fighe, e quindi non ebbe alcun problema… ad abbuffarsi! Vietnam mangiò con calma ed educazione anche per lui…

“Gnom! Gnom! Gnom! Fantastico! Sei bravissima in cucina!”

“G-grazie…”

I complimenti erano un’arma infallibile: non si sarebbe tolto dalla testa la carinissima immagine del suo sorriso e del suo rossore per un bel po’!

“Non avevo proprio idea che la tua cucina fosse così buona… Gnam! Che sorpresa, e chi lo sapeva?”

“Già…” –aprì bocca smettendo di mangiare- “Non lo sapevi. Sai ben poco di me.”
Tirò il freno alle mandibole: “Gnom… Scusa?”

“Hai sempre detto che ti piaccio, che mi adori, che sei innamorato… Ma quando si è trattato di conoscermi davvero, o di sapere io come la pensavo, o cosa desideravo, passava sempre in secondo piano rispetto a te.”

“……” –qualche secondo dopo, America mandò giù il boccone. Poi lei si alzò da tavola.

“Viet, aspetta!”

La fermò per le braccia e la fece girare: “Va bene che ultimamente sei agrodolce come la cucina di voi asiatici, ma almeno non mettere in dubbio quello che provo per te. Mi sono comportato male con te in passato, ma poi ho fatto di tutto per farmi perdonare, no? Non vedi quanto ho fatto per te? Non significa niente?”

A sue parole quella sua aria battagliera le scivolò via, rendendo la sua voce un sincero bisbiglio dritto dal cuore: “Certo che significa molto. Hai fatto molto per me, anche più del dovuto: quello che abbiamo io e il mio popolo, se ora stiamo così bene, lo dobbiamo solo a te, e non ti ringrazierò mai abbastanza, America.”

Sorrise e cercò di baciarla. Ma le sue labbra si arricciarono e poi fuggirono via.

“Certe volte mi chiedo se solo ce l’avessi fatta a batterti… Se fossi riuscita a scacciarti da casa mia non mi sarei mai permessa di innamorarmi di te! Il mio nemico, l’uomo mi ha causato così tanta sofferenza!” –proseguì con disgusto, non si capiva se verso di lui o verso sé stessa.

“Ma si può sapere che hai? Avevi appena finito di ringraziarmi! Mi dici che sei innamorata e poi fai così! Sigh! Non ti capisco proprio! Ce l’hai con me o non ce l’hai con me?”

“Ovvio che ce l’ho con te! Sono diventata una bella nazione moderna, ho un invidiabile “diciamo così” fidanzato, ma ho perso il mio orgoglio!”

“Ma se hai appena finito di dire che non sei mai stata meglio in vita tua e che sei pure innamorata allora che vuoi che sia?!”

“IL MIO ORGOGLIO ERA MOLTO IMPORTANTE PER ME!”

Tanto chiaro che fu costretto a sturarsi le orecchie! Strano: trattandosi di orgoglio avrebbe dovuto capire di cosa stesse parlando, eppure non ci riusciva. Che spiegazione poteva mai avere un simile atteggiamento, e che centrava l’orgoglio? Quasi quasi era meglio quando lo prendeva a remate e basta.

“Donne…” –mormorò guardandola andar via.

Sapeva che erano un mistero, ma questo era molto peggio: era schioppata forte! Ma non era solo quel suo cambiare carattere da un momento all’altro a preoccuparlo. Se c’era qualcosa che aveva sempre dato per scontato, fosse solo per riprendersi dal pensiero del suo fallimento, era che Vietnam sarebbe stata di certo molto più felice con lui che con Russia; era andato avanti con quella convinzione ben radicata dentro di sé, ed aveva fatto quella domanda proprio per mostrarle che era così. Adesso invece non sapeva più a cosa credere, se al suo odio o a quegli sprazzi di dolcezza che di tanto in tanto gli rivolgeva, e che non sembravano proprio finti.

Non gli restava che grattarsi la testa e riflettere. Doveva cercare aiuto, rivolgersi a qualcuno, qualcuno che di donne ne capiva benissimo, e che potesse districare la sua contorta mente femminile!

 

Più che districare alcunché, Giappone sembrò subito a corto d’aria: “E-e-ecco, io… N-non so che dire… Non sono poi così… esperto…”

“Ma come no?!” –si disperò America- “Sei la mia sola speranza, Giappone! Non puoi mollarmi così! Uno come te, così beneducato, così affidabile, così noioso, deve per forza saperla lunga in fatto di donne: a loro piacciono i tipi timidi e coccolosi!”

“N-non sono poi così coccoloso…”

Afflitto, Alfred si lasciò andare con la testa sul tatami, troppo deluso per bere la tazza di tè che Giappone gli aveva preparato.

“Che cosa posso fare allora, amico? Non riesco proprio a capire come ragiona quella sua testolina: non posso andare avanti schivando porcellane di giorno e facendo sesso la sera!”

Alla parola “sesso” Giappone divenne più bollente del proprio tè, che prese ad evaporare a contatto con le sue labbra!

“Ehm… Forse potresti rivolgerti a qualcun altro?” –cercò di aiutarlo in qualche modo, anche per togliersi da quella conversazione imbarazzante- “Magari a una ragazza? Insomma, forse una ragazza saprà capirne meglio un’altra…”

America riprese vitalità: “Ma… è geniale! Perché non è venuta a me quest’idea? Giappone, sei ufficialmente un grande!”

“Lieto di esserti stato d’aiuto…”

“So già a chi chiedere per darmi una mano... Uh uh uh!”

 

Una tattica davvero infallibile: Vietnam, in quanto ragazza, non avrebbe resistito alla tentazione di una chiacchierata tra sole donne, con Taiwan poi, con cui era così amica. C’era ovviamente da convincere Mei a fare il lavoro sporco per suo conto, ma per quello era bastato prometterle di che le avrebbe organizzato un appuntamento con Giappone (chissà come sarebbe stato contento!).

Tutto quello che doveva fare era passare a trovare Viet con una qualunque scusa, e spingerla a parlare di lui e scoprire in tal modo cosa le passasse davvero per la testa, per poi riferirglielo. Quello che non le aveva detto però, era che in realtà lui sarebbe stato nei paraggi della casa e avrebbe cercato di sentire tutto in presa diretta!

“Ih ih ih! Altro che il tuo 007, Inghilterra! Questo è essere spia!”
Arrivato in punta di piedi fino alla porta della camera da letto, dove si trovavano le due, sfoderò il suo infallibile attrezzo del mestiere: uno stetoscopio da appoggiare alla porta!

<< Benone! Sono in posizione! Allora… Vediamo un po’ cosa pensi sul serio di me, Viet! >>

Sentì per prima la voce di Taiwan: “Non ti capisco proprio…”

<< Nemmeno lei?! Ma com’è possibile?! >>

“Insomma… Prima parti lamentandoti di America, di quanto sia chiassoso, vanitoso, insopportabile, grasso…”

<< Non sono grasso, sono capiente! >>

“Poi mi dici che gli sei grata, che ti piace quando fa di tutto per fare colpo su di te o ti fa dei complimenti; e l’attimo dopo sei di nuovo arrabbiata per aver perso contro di lui… Insomma, noi donne possiamo essere un po’ complicate a volte, però forse tu lo sei un po’ troppo!”

“Lo so, Taiwan, lo so…” –sbottò a mò di scuse- “Ora capisci perché sono tanto imbestialita? Ecco cosa non sopporto di questa faccenda di me e lui! Dannato America!”
“Quindi… lo odi?”
“SI! Più di chiunque altro! Grrr!”

“Sigh… Ma poco fa mi hai detto che lo ami…”

“Infatti.”

“Non capisco…”
“Puro è così, questo è il problema!”

Taiwan gettò un sospiro e la spugna: “Sigh, sei un caso unico…”

“Non lo sopporto…”

“Si, l’hai già detto…”
“Intendevo…”

“Si?”

<< Si? >> -aguzzò i sensi America presentendo una svolta.

“…… Se vuoi piangere fallo, non ti preoccupare.”

<< … Piangere? >>

Lo stetoscopio era veramente un attrezzo eccezionale per origliare: sentiva persino lo scorrere delle sue lacrime, o forse era solo la sua fervida immaginazione se gli sembrava di essere lì in quella stanza, e di vederla, singhiozzante con la testa appoggiata sulle ginocchia dell’amica.

“Io… Non sopporto più tutto questo! Non ce la faccio più!”

La gola di America si era fatta di colpo secca.

“Ma… Viet… Vorrei aiutarti, ma devi spiegarti meglio… Qual è il problema?” –chiese Taiwan.

<< Qual è il problema? >> -la supplicò di dirglielo.

“Io lo amo, o almeno credo; e lui mi tratta bene, vuole rendermi felice, e vorrei esserlo, ma… stare con lui invece mi fa stare tanto male! Non immagini quanto mi fa stare male!”

Si interruppe per tirar su, e darsi tempo, per chiarire finalmente le cose anche a sé stessa.

“Io ho letto Marx, e ammiro un sacco Russia, se solo avessi potuto decidere da me ora starei dalla sua parte… Era questo che volevo! Eppure, con America tutto è andato a meraviglia, e io non ci capisco più niente! Mi sembra di aver tradito me stessa, le mie idee, la nazione che volevo essere… Forse sarei stata peggio, ma almeno sarei stata veramente io!”

“Viet…”

“Invece… Ora non so neppure più chi sono… E cosa voglio!”

Taiwan le diede un’altra carezza: se ne era accorta. E anche America nascosto lì fuori.

Com’è possibile, si chiese, sentendosi mancare persino la forza di tenere appoggiato lo stetoscopio alla porta. Com’era possibile che una nazione preferisca essere peggiore piuttosto che felice? Com’era possibile che qualcuno non sia felice nemmeno se ama ed è amato?

Viet emise un lungo gemito, cercando di vincere i singhiozzi e continuare.

“Io vorrei tanto non essermi mai innamorata di lui! O smettere di esserlo… ma non ce la faccio… Non ce la faccio più… Se solo non mi fossi mai innamorata di lui!”

Credeva di trovare delle risposte facendola parlare, ma pure non ci capiva niente, perché non era lei quella che doveva capire, ma lui.

Lui, quella becera superpotenza che ama così male qualcuno da costringerlo a fare scelte giuste che mai avrebbero fatto; ed era un errore imperdonabile.

Gettò il fonendoscopio su una poltrona del salotto, in modo non facesse rumore, per poter uscire dalla casa senza essere notato.

Qualche minuto dopo, Alfred Jones si ritrovò a camminare in mezzo a una strada, abbracciato dalle allegre luci di Saigon che ringraziavano solo lui se brillavano così forte. Davanti agli occhi gli passavano gli sbagli di una vita; imprese sofferte ma vittoriose che avrebbe rifatto potendo tornare indietro, e brutti colpi da cui con fatico si era ripreso e che aveva desiderato cancellare, da bravo stupido, senza capire quanto l’avessero fatto crescere in realtà. La amava perché era l’unica ad avergli dato una lezione, e anziché farne tesoro, ci aveva passato sopra una spugna, e ora lei era più che mai infelice in quella felicità non richiesta che le aveva donato.

Si era innamorato di una tigre indomita, e tanto aveva imprecato e sbattuto i pugni perché non era stata sua allora, né mai in seguito; ma se lo fosse stata, se fosse entrata nella sua gabbia dorata, lei non poteva essere che un gattino addomesticato, senza più fascino, senza più fiducia in sé.

Il suo passo si fece più lungo, come fuggisse, da un sé stesso che era finalmente riuscito a vedere dopo essersi a lungo rifiutato: così pieno di sé, così prepotente, così odioso.

Mancava solo una bella pioggia pesante a completare il quadro della sua sera più brutta, ci sarebbe stata d’incanto quel punto; e infatti, come l’avesse chiamata, eccola scendere giù a picchiargli sui capelli e appannargli gli occhiali, ma anche a fargli un grosso favore: nascondere le lacrime dell’eroe che, come la sua bella, non ce la fa proprio più.

“Basta!” –gridò al cielo.

Respirò tra i denti stretti: “Io non voglio aver vinto la guerra! Doveva decidere lei! Era lei l’eroina, lei doveva vincere!”

Singhiozzò: “Non voglio che pianga più per colpa di questo idiota! Voglio tornare a casa!”

Spalancò le braccia, aspettando che la macchina si decidesse a rispedirlo indietro.

“Voglio uscire da questa stupida ucronia!”

“MUUUUUUH!”

“?”

L’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu il capoccione del bufalo d’acqua che trainava il carretto che stava per investirlo!

America, privo di sensi, affondò in una pozzanghera: non puoi metterti in mezzo a una strada in una capitale trafficata come se niente fosse.

 

 

“America?”

“Bufalo… Ohi ohi…”

Gli si snebbiò la vista e vide un cerchio di teste e facce preoccupate sopra di sé.

“Oh, meno male… Sono uscito dall’ucronia…”
Inghilterra gli porse una mano: “Credo tu sia un po’ intontito; di che ucronia parli?”

“Ma… La mia ucronia, no?”
“Veramente non c’è stata nessuna ucronia.” –spiegò Giappone- “Vietnam ti ha rotto in testa il remo e sei svenuto: sei rimasto qui a terra per un bel po’ di tempo.”

Quindi quella non era la sua macchina: stava solo sognando!

“A questo proposito, credo che Vietnam qui voglia dirti qualcosa… Vero?”

“Umpf!” –sbuffò lei, poi qualcuno le diede una spintarella- “Ti chiedo scusa se ti ho colpito così forte: non ci ho visto più ed ho esagerato, va bene?”

Sgranò gli occhi su di lei: quindi non aveva visto nulla di ciò che aveva visto lui!
Sorrise pensando a cosa sapesse adesso: ci aveva visto giusto, lei nutriva realmente dei sentimenti verso di lui, un bel po’, nascosti, ma c’erano! Aveva sempre avuto ragione, doveva dirglielo!

Si rialzò di botto, spaventandoli un po’: “Ragazzi! Anche tu Vietnam… Non avete idea di cosa ho visto! Cioè, di cosa ho visto nel sogno, mentre ero incosciente!”

Vietnam incrociò le braccia: “Sentiamo, che cosa?”

“......”

Lo notò. Quel suo lento cambio d’espressione, il modo in cui il respiro corto andasse via via calmandosi, e la luce in quegli occhi eccitati che non vedono l’ora di dirti qualcosa si spegnesse, lasciando il posto a un velo di tristezza dissimulato da un piccolo dolce sorriso; e non sapeva come mai, visto che era di America che si trattava, ma quella tristezza iniziò a pervadere anche lei, dandole l’impressione di essere il motivo di quella gioia che per un istante l’aveva animato, e il motivo per cui non sarebbe mai venuta a galla.

“Oh, niente… Cose che eccitano più che altro me, tipo… Un formato di patatine alte come la statua della libertà e… insomma, cose del genere…”
“Cose da America…” –riassunse Inghilterra con una punta di bruciante humor.

“Eh eh eh, già…”

Si fissarono, mentre gli altri, passato lo spaventano tornavano ai fatti propri.

Alfred poteva giurare che avesse avvertito qualcosa di strano. Ma in questo mondo lei non aveva motivo per permettersi di innamorarsi di lui: senza pensarci oltre, la sua espressione si irrigidì nuovamente, e poi gli diede le spalle.

America infilò le mani nelle tasche del giubbotto, seguendo con gli occhi lo svolazzare del codino di quella fantastica ragazza che, anche se povera, arretrata e sotto pessimi capi, aveva il passo fiero e la testa ben dritta di chi ha detto l’ultima parola, e sa chi è che cosa vuole. Non aveva bisogno di sapere cos’altro non credeva di volere, nel suo profondo, col rischio che le sconquassasse il cervello.

Si girò anche lui: quella guerra sarebbe per sempre rimasta la sua vergogna, a ricordargli di farsi un bell’esame di coscienza quando ce n’era bisogno; come era finalmente riuscito a fare una volta tanto nel suo sogno… Se solo Arthur l’avesse saputo, sarebbe stato così contento.

Così, un po’ triste e un po’ sorridente, America tornò accanto alla sua macchina, pronto a chiedere, con la sua solita energia, chi di loro sarebbe stato il prossimo, sicché il divertimento potesse riprendere.

E nel frattempo, da consumato cinefilo, pensava a una bella frase, un po’ sentimentale e un po’ scontata, per chiuderla lì.

<< Sai che due si amano davvero quando uno dei due non rinuncia anche se non funziona e l’altro lo fa per lo stesso motivo. >>

 

 

 

Ed eccoci qui… Agrodolce fino alla fine questo capitolo, vero?
Spero tanto vi sia piaciuto; all’inizio non mi aveva convinto molto quando l’ho pensato, specie considerando che il punto di partenza per l’ispirazione è stato il finale di un certo film con Jim Carrey (una pacca sulla spalla a chi ha capito e me lo scrive nel commento! XD), ma poi scrivendola sono riuscito ad affezionarmici di più e alla fine ecco che ve l’ho presentata. A voi la sentenza! ^__^

Un grazie a chi ha dato il suggerimento per l’ucronia, e che mi perdoni se ancora una volta non ricordo chi è! XD Senti questo capitolo anche come tuo ^__°

Alla prossima, e buone feste da TonyCocchi!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

  
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