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Autore: Panenutella    09/12/2012    3 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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La mia vita sul set – cap. 24

La proposta appena fatta mi spiazzò e mi voltai a guardarlo, incontrando i suoi grandi occhi scuri che mi fissavano speranzosi, in silenzio.
- Teoricamente è come se lo stessimo già facendo – continuò piano. – Mangiamo insieme, lavoriamo insieme, dormiamo insieme… mancano solo i tuoi vestiti nel mio armadio.
Sorrisi. – I miei vestiti nel tuo armadio? E se fosse il contrario?
Sorrise a sua volta con un altro luccichio di speranza negli occhi. – Il tuo armadio è un campo di battaglia del Vietnam e tu non hai una casa nella baia di Wellington.
Rimasi in silenzio valutando i pro e i contro della convivenza, mentre lui continuava ad attendere la mia risposta. Accentuò di poco la stretta delle braccia intorno a me come per incitarmi a dire di sì. Io lo lasciavo aspettare: dopotutto mica potevo concedermi così in fretta! Volevo anche io essere desiderata, che diamine!
Quando vidi che ormai stava perdendo la speranza gli misi una mano sulla spalla e gli dissi: - Va bene, spostiamo i miei vestiti nel tuo armadio.
Sul volto gli si aprì un sorriso smagliante e mi abbracciò esultando, suscitando l’attenzione dei nostri colleghi seduti negli altri posti che, dopo averci squadrato curiosi per un po’, tornarono alle loro vecchie occupazioni. Orlie intanto continuava a stritolarmi con i suoi muscoli nuovi di zecca – e palestra – impedendomi quasi di respirare. Quando finalmente mi lasciò di nuovo libera di rifornire i miei polmoni di ossigeno, mi invitò a poggiare la mia testa sulle sue ginocchia e a fare piani per il mio trasferimento. Ovviamente non avremmo potuto tornare in città prima delle vacanze di Natale, a meno che non vi capitassimo per caso con la troupe, quindi sarebbe stato intelligente cominciare a suddividersi lo spazio negli armadi da subito.
-    Così i miei vestiti si abituano al fetore dei tuoi – lo stuzzicai.
-    Ma che dici! Se metto la lavatrice molto più spesso di te! Tu sai sempre di pulito perché… perché hai tanti vestiti, ammettilo!
- Che ci vuoi fare, sono una ragazza!
- Non sempre: quando sei in mezzo a noi uomini della Compagnia ti comporti da maschiaccio, anche se ti trattiamo da principessa.
- E la cosa mi piace parecchio!
Passammo il resto del volo a pianificare le nostre vacanze di Natale, oltre al mio trasferimento. Non contando la presentazione del film il 19 dicembre a Wellington – buona occasione per rivisitare la casa di Orlando -, l’ultimo giorno di riprese sarebbe stato il 23 dicembre, prima della vigilia. Avremmo festeggiato tutti insieme il Natale e, dopo qualche giorno di relax sulle spiagge della Nuova Zelanda a fare surf – una buona cosa dell’emisfero australe, anzi ottima -, dopo Capodanno, io e Orlando saremmo andati a New York per una settimana per andare a trovare i miei genitori e fare un giro in città. Sarebbe stata la prima volta da soli in una città senza il resto della Compagnia. Amavo i miei colleghi ma, sinceramente, non vedevo l’ora che quella settimana arrivasse: non volevo sembrare egoista ma per una volta avrei voluto avere l’esclusiva su di lui, anche se sapevo già che in una metropoli come New York le fan lo – o ci – avrebbero assaltato ad ogni svolta. Ma, almeno, non avrei avuto in giro Dominic che gli saltava in braccio per sbaciucchiarlo, o Sean che appena ci vedeva uscire dal set ci domandava se avevamo chiuso col lucchetto le nostre roulotte. Non sapevo com’era Orlando senza la Compagnia attorno ed ero curiosa di scoprire se sarebbe stato sempre lo stesso o se l’ambiente gioioso del set l’aveva reso più friabile: vedevo quell’imminente viaggio nella mia città come un’occasione di scoperte, e finalmente avrei rivisto i miei genitori che non vedevo dalle vacanze di Pasqua del mio ultimo anno al college.

Atterrammo all’aeroporto di Rohan a mezzanotte meno un quarto: la distanza fra… Rohan e Queenstown non era tantissima, ma durante il volo c’erano stati dei problemi nella coordinazione dei voli all’aeroporto, a quanto avevo capito, e così avevamo dovuto aspettare che ci dessero l’ok per atterrare. Come Viggo mi aveva spiegato una volta allacciate le cinture, Rohan non era una città ma una regione della Terra di Mezzo, dove i nostri personaggi avrebbero incontrato Eomer e la sua cricca di soldati e girato l’attacco dei Mannari. Dopo aver girato lì saremo andati proprio a Edoras, la città dorata, in un posto vicino a Queenstown.
-    Ma se dovremo tornare non potevamo rimanere in città e poi venire qui? – chiesi perplessa.
Si strinse nelle spalle. – Dovremo stare nel parco a Queenstown solo otto giorni, poi il set verrà distrutto. Tanto vale cominciare col grosso del lavoro… almeno così ha detto Mahaffie.
John Mahaffie era uno dei tanti bracci destri di Peter e dirigeva la seconda unità, la nostra. Si diceva fosse quasi della stessa bravura di Peter, ma io non credevo. Senza offesa.
-    Come fai a sapere tutto, Viggo?
-    Io so. – sorrise e mi fece l’occhiolino.
Non disse nient’altro. A volte tutto quel mistero era quasi irritante: mi faceva sempre sentire ignorante.
Arrivammo nella grande entrata dell’aeroporto con una serie di valigie al seguito. Sopra la grande porta scorrevole di vetro c’era scritto non “Rohan Airport” come mi aspettavo, ma “Alexandra Airport”. Rimasi sorpresa.
-    Ecco come si chiama questo posto! – ad un’occhiata divertita di John aggiunsi – nella regione di Otago, a quanto vedo.
Orlando, visibilmente stanco, borbottò qualcosa.

Il nostro set era a Poolbourn, una grande terra nella regione dell’Otago dove dominavano le cristalline acque di due immensi laghi: il lago Dunstan e il lago Onslow. Con immenso piacere scoprii che avremo utilizzato uno dei due per girare la fuga degli abitanti di Rohan. Era una grande terra, ricca di montagne e prati dai colori autunnali, e si diceva abitata dalle persone più amichevoli della Nuova Zelanda – ma dopo aver conosciuto quelle di Matamata ci credevo poco. Il set si trovava a quasi 39 km da Alexandra e per raggiungerlo si impiegava mezz’ora in macchina. Avremo alloggiato in un albergo a cinque stelle vicino all’aeroporto e dopo un viaggio in aereo non vedevo l’ora di sdraiarmi sul letto e dormire: a quanto pareva anche Orlando la pensava così dato che a malapena si reggeva in piedi e dovetti sorreggerlo fino all’uscita dell’aeroporto, aiutata da Craig.
L’albergo era molto carino: aveva stanze piccole ma accoglienti, con il parquet di quercia e armadi che correvano lungo tutta una parete. Alle finestre c’erano tende bianche che coprivano la visuale sulla strada che ci aveva portati fin lì, e i letti avevano l’aria comoda.
Io presi una delle poche camere matrimoniali che ci avevano assegnato – erano poche per la gioia degli uomini che costituivano la maggior parte del cast e della crew.
Trascinai Orlando-Che-Dormiva-In-Piedi fino al letto una volta aperta la porta della nostra stanza, lo buttai sul letto e lui rimase prono sulle lenzuola, talmente stanco da non riuscire a tenere gli occhi aperti. Mi sdraiai vestita vicino a lui e appoggiai il viso vicino al suo.
- Si può sapere perché sei così stanco?
Aprì poco un occhio. – Chiederti di convivere ha prosciugato completamente le mie forze intellettuali – bofonchiò.
Sorrisi e, stanca, chiusi gli occhi avvolgendolo alla vita.

Il giorno dopo ci svegliammo molto presto, verso le quattro e mezza, quando il sole non aveva neanche cominciato a sorgere. Buttai la sveglia giù dal comodino appena cominciò a suonare e scossi leggermente Orlando per svegliarlo. Lui si alzò più o meno subito e corse in bagno con rinnovata energia. Mi parevano strani quegli sbalzi di energia, ma decisi che non era il caso di preoccuparmi: magari era così attivo perché aveva dormito sodo.
Aspettai che uscisse dal bagno e mi rifilasse un bacio veloce prima di andare verso l’armadio a camminare a piedi scalzi sul tappeto davanti al letto. Entrai in bagno, mi guardai allo specchio e mi sciacquai il viso con acqua fredda, pensando: sarebbe stato strano arrivare sul set e non trovare gli Hobbit ad attenderci, strano girare senza la loro energia… ci saremmo sicuramente fatti dei nuovi amici con la seconda troupe, ma sentivo già la loro mancanza.
Guardai il mio riflesso allo specchio: una nuova parte dell’avventura stava per cominciare.

Io e Orlie, vestiti già con i nostri costumi di scena, uscimmo dall’albergo e prendemmo la macchina. Nel tragitto dalla nostra camera all’atrio non avevamo incontrato nessuno dei colleghi quindi o erano ancora a letto oppure ci stavano già aspettando: non sarebbe stata la prima volta.
Orlando era molto bravo a guidare, a differenza mia che non ci avevo mai provato. Durante i primi mesi di riprese dal mio compleanno in avanti aveva cercato di insegnarmi ma cadevo nel panico appena prendevo in mano il volante… a meno che non fossi parzialmente brilla.
Durante il viaggio in macchina io e Orlie ci scoprimmo a canticchiare nonostante l’ora: io ero felice per la proposta di convivenza di Orlando, lui dopo un po’ mi spiegò che era felice perché avevo accettato, e soprattutto perché avremo cominciato a fare una cosa per cui ci eravamo allenati tanto nei mesi precedenti.
- Che cos’è? Dai dimmelo!
- Hai presente le lezioni pomeridiane di equitazione?
- Certo! – Tre pomeriggi alla settimana avevamo frequentato addestramenti equestri per prepararci bene a delle riprese: molto faticosi ma divertenti.
- Oggi cominceremo ad andare a cavallo.
Lanciai un urlo entusiasta: la passione per i cavalli era qualcosa che io e Orlando condividevamo e non vedevamo l’ora di galoppare un po’ per le riprese!
- Dovrai stare attento a non cadere – dissi ammiccando.
Lui svoltò a destra. – Non cadrò! Piuttosto sono preoccupato per te.
- Ehi, io non saprò nuotare ma mi muovo bene a cavallo! Tu invece sei la persona più maldestra del mondo.
- IO almeno non sono finito il ospedale dopo un trauma cranico. Lo sai che ti si vede ancora la cicatrice? – stava cominciando a scaldarsi.
- Orlie, lasciamo perdere, non roviniamo il momento. – gli misi una mano sul ginocchio. – Pensiamo a recitare, divertirci e cerchiamo di non farci male. Ok?
- Hai ragione piccola.
Frenò la macchina: davanti a noi, sfiorato dai primi raggi del sole, si estendeva il lago e il set. La crew sciamava in giro come a mezzogiorno e le sponde del lago erano contemplate da tantissime comparse tutte vestite con abiti di scena. Uno della crew fece cenno ad Orlie di portare la macchina in uno spiazzo più lontano, dove ne erano parcheggiate altre. Lui tolse il freno a mano e fece dietrofront sull’erba, andando a parcheggiare fra la macchina di Peter e quella di Miranda. Spense il motore e scendemmo, poi prendendoci per mano ci dirigemmo verso il cast.
C’era Miranda, già con la parrucca e il costume. la sua bellezza radiosa sembrava illuminare tutto lo spazio circostante: aveva un portamento regale  nei movimenti che mi ricordò Cate Blanchett, Galadriel, che durante le riprese a Lothlorien mi aveva insegnato a muovermi meglio come un’elfa regale quale era Hery. Lasciai la mano di Orlando e, immaginando che mi sollevasse un filo invisibile, andai verso di lei.
- Buongiorno Miranda! Pronta per il primo giorno?
- Ehi Les! Vedo che ti sei già calata nella parte. Buongiorno anche a te, Orlando – si rivolse verso di lui.
- Anche a te – rispose. Fra loro c’era quella cortesia estranea che stonava un po’ in un ambiente amichevole come quello.
- Siamo tutti pronti per girare? Noi dobbiamo ancora metterci le parrucche. – dissi.
- Dovete fare in fretta! Mahaffie sta radunando tutti quanti. Io vado da Bernard. Sta facendo il buffone con Viggo mentre imparano il copione.
Indicò col pollice una roulotte dietro di lei, dalla quale stava scendendo proprio Bernard con in mano tanti fogli di carta. Scendeva i gradini danzando.
- Sbrigatevi! – insistè Miranda sorridendo amichevolmente. Mi voltai a guardare Orlando, pensierosa. Poi mi venne un’idea.
- Chi arriva ultimo paga da bere! – e mi misi a correre.
- Non vale!

Messe parrucche e orecchie, un tizio della crew con dei fogli in mano ci portò ad un recinto abbastanza lontano dal set, dentro cui camminavano tranquilli tre magnifici cavalli: un cavallo baio, uno morello corvino – bellissimo -  e uno bianco pomellato sui fianchi.
- Allora – disse con aria assonnata. – Il baio è di Aragorn, il pomellato di Legolas e Gimli e il morello di Hery.
- Ah! – proruppi rumorosamente facendo voltare i presenti che nutrivano i cavalli. – A me il più bello ah ah ah!
- Non sei spiritosa! – mi riprese Orlando scavalcando lo steccato, dove lo raggiunse una ragazza con i codini e un cappello con in mano una sella. La seguì verso il suo cavallo che appena li vide scartò di lato spaventato. Orlie, guardandolo come se fosse innamorato di lui, alzò le mani e gli si avvicinò a occhi bassi per mostrargli che non intendeva fargli del male. Lo accarezzò sul collo e poi vicino agli occhi e in mezzo alle orecchie, mentre la ragazza gli metteva le briglie e la sella.
Lo guardavo affascinata. Poi, quando mi fece cenno di avvicinarmi, saltai il recinto e atterrai in mezzo agli animali. Orlie mi guardò sorridendo mentre mi avvicinavo al mio cavallo per aiutare la ragazza a sellarlo.
- Ciao bellezza – gli sussurrai accarezzandogli gli occhi e appoggiato il naso al suo. – Come ti chiami?
- E’ una femmina – rispose la ragazza. – Si chiama Calliope.
Il cavallo agitò la coda. – Ciao Calliope! Io sono Lesley – la accarezzai in mezzo alle orecchie.
- Les – mi chiamò Orlando e mi voltai a guardarlo. Era già in groppa al suo, la bellezza fatta a elfo. – Appena è sellato monta a cavallo.
Guardai la ragazza.
- Non ci vorrà molto – disse infilando il morso in bocca a Calliope. Lei la lasciò fare docile. La ragazza le passò le briglie sul collo, le diede una pacca di ringraziamento sul collo e mi di disse: - Fatto -. Poi prese le briglie del cavallo di Aragorn e lo condusse fuori dal recinto facendolo saltare: infatti non c’erano porte per uscire, era un modo per non far scappare i cavalli.
Tornai a guardare Calliope negli occhi, poi presi le briglie con la mano sinistra e, infilato il piede sinistro nella staffa, montai facendo passare la gamba destra all’indietro. Potevo anche non saper nuotare, ma con i cavalli me la cavavo alla grande. Mi voltai a guardare Orlando che mi ricambiava sorridendo. – Fantastica. – disse. – Ora andiamo.
Spronò il cavallo e saltò il recinto. Mi piegai verso il collo di Calliope e dissi – Vai, bella! – stuzzicandola con i talloni. Lei scattò in avanti un po’ troppo in fretta per i miei gusti e saltò senza preavviso, lasciandomi senza fiato.
- Ehi, va tutto bene? – mi disse un cameraman appoggiato alla recinzione.
- Sì, solo… non me l’aspettavo.
- Stai attenta a guidarla! – mi urlò la ragazza delle selle. – Calliope è un purosangue, appena la sfiori parte al galoppo. È abbastanza difficile farle fare quello che vuoi… mi hanno detto di dartela perché sei brava, ma se non te la senti te ne diamo uno un po’ più docile.
- Questo va benissimo, grazie! – risposi. Sarebbe stato faticoso, ma sempre bello. Guardai di nuovo Orlando, che mi aspettava tenendo ben strette le briglie del suo cavallo, e lo raggiunsi solleticandola piano. Stavolta partì più lentamente, al trotto veloce.
- Andiamo? – gli chiesi non appena lo raggiunsi. – Mahaffie ci aspetta.
Spingemmo i cavalli al trotto.

John Mahaffie era un uomo con i capelli grigi, il viso allegro e un impermeabile sbiadito indosso. Davanti alle telecamere aveva posizionato una poltrona arancione molto ingombrante, e raccontava che quando gli avevano offerto il lavoro gli avevano detto di scegliere una poltrona. Lui aveva scelto quella dicendo “Sembra comoda” e quindi ora lavorava sempre seduto lì sopra. Ripeteva la storia ogni volta che glielo chiedevi. Anche se era uno dai modi gentili a me metteva ansia, perché nei mesi precedenti avevo lavorato sempre e solo con Peter e non sapevo se anche lui avrebbe voluto le stesse cose e avrebbe apprezzato il mio modo di interpretare Hery. Il lavoro con lui sarebbe stata un’incognita nei primi giorni, ma se Peter si fidava di lui allora non dovevo temere niente.
Noi attori principali eravamo tutti in fila a cavallo, con le armi sguainate, pronti ad ascoltare le indicazioni di John. Non parlavamo se non sussurrando.
- Si è saputo qualcosa del lavoro di oggi? Non ci hanno dato copioni. – sussurrai rivolta a Bernard vicino a me.
- Penso che dovremo girare l’attacco dei Mannari. Doveva essere ambientato a Rohan ma hanno cambiato.
- Sembrerà di essere al manicomio – disse Viggo alla mia sinistra e ci voltammo a guardarlo. – Aggiungeranno le bestie in digitale, noi dovremo fare finta di combattere – spiegò.
- Ah, splendido! – dissi.
- Ehi Brettie – disse Orlando alla controfigura di Gimli seduto sul cavallo davanti a lui. – Dimmelo se ti faccio male.
- Niente paura, coso. Con quest’armatura che ho indosso…
In quel momento Mahaffie prese un megafono in mano e, rivolto a noi e alle migliaia di comparse messe lungo il lago – tra cui spiccava la chioma bionda di Miranda – e parlò sicuro: - Allora, state fuggendo da molte ore. Siete stanchi. Entreremo nell’entroterra e cominceremo a girare. Ad un segnale voi, popolo di Rohan, avrete paura. Miranda, tu chiederai a Bernard di combattere. Vi abbiamo già dato le battute. – Si rivolse verso Orlando, dopo aver ricevuto cenni d’assenso da parte delle comparse. – Orlando, tu salirai dopo a cavallo perché starai davanti a tirare frecce digitali, ok? Viggo, tu guarda Miranda col cavallo al galoppo. Brettie, guiderai il cavallo verso Orlando. Lesley – si rivolse verso di me – tu e Orlando vi dovrete guardare spesso, vi tenete d’occhio. Combatterai coi pugnali, non con l’arco. Tutti voi cavalieri di Rohan, dovrete mostrare fatica, cercare di non sembrare scemi mentre ammazzate i mannari. Muovetevi fingendo di combattere, ai Mannari ci penseremo noi. Tutto chiaro?
- Sì – rispondemmo uno ad uno.
- Allora cominciamo. Motore…partito… - guardai Orlie. - …ciack…E…AZIONE!!
Cominciammo tutti a muoverci, ed improvvisamente smisi di essere Lesley e iniziai a interpretare Hery: il passaggio da una personalità all’altra era così immediato che a volte mi capitava di recitare anche al di fuori del set.
Due cavalieri di Rohan portarono avanti i cavalli vicino ad un muro di rocce, oltrepassando Orlando che scrutava l’orizzonte. Poi guardarono verso destra e si misero a urlare. Uno di loro cadde dal cavallo e urlò di nuovo, e Legolas corse verso di lui con un pugnale in mano e finse di trafiggerlo, mentre alla mia sinistra Theoden e Aragorn si fermavano preoccupati a guardare.
Legolas fece un verso di fatica, poi si voltò verso di me e urlò verso di me e Aragorn a piedi. – Un esploratore!
Aragorn si girò e corse verso Theoden, che gli andò incontro al galoppo dicendo: - Cosa c’è?
- I Mannari! Ci attaccano! – urlò Aragorn. Le comparse cominciarono a urlare e i cavalieri scattarono in avanti. Legolas corse in avanti e cominciò a tirare frecce.
- STOP! – Urlò Mahaffie, e ridiventammo attori. – Bernard, cerca di essere più preoccupato. Sei un re, sei in pensiero per la sicurezza del tuo popolo. Lesley, cerca di non guardare Orlando tutto il tempo: avevo detto solo tienilo d’occhio. – Sorrisi. – Sei consapevole del pericolo, sii vigile.
- Ok. – dissi.
- Andava bene, ma facciamone un’altra!
Ripetemmo la scena modificando i particolari, e andammo avanti. Noi cavalieri correvamo in avanti dopo la discussione tra Miranda e Bernard, e correvamo verso Orlando che continuava a lanciare frecce. Poi, quando il suo cavallo si avvicinò, saltò in groppa e continuammo ad andare. Cominciammo a menare fendenti a casaccio, affaticati, e io spingevo il cavallo al galoppo intorno all’area immaginando di mozzare teste di Goblin e di pugnalare Mannari alla giugulare. Ogni tanto guardavo Orlando, che correva da una parte all’altra insieme a Brettie. Mi ero spinta più in là, a destra, vicino alle telecamere, e voltai il cavallo in direzione degli altri, tirando un fendente con la destra compiendo un semicerchio col braccio e con espressione cattiva. Mi scostai i capelli dagli occhi mentre Calliope scartava a destra, e guardai Orlando che galoppava in mezzo alla mischia. Fermai Calliope per un istante. Vidi Aroth – il cavallo di Orlando – impennarsi. Accadde molto lentamente. Il cavallo dimenava le zampe anteriori in aria, Orlando non riuscì a mantenere la presa e cadde all’indietro atterrando di schiena, e Brettie gli cadde addosso. Vidi Orlando sussultare.
- No! – Urlai, mentre Mahaffie gridava di fermarsi. Spronai forte Calliope. Lei si lanciò in avanti con uno scatto e volò fino ad Orlando, ancora sdraiato a terra con espressione dolorante. Mi buttai giù da cavallo senza neanche dirgli di fermarsi. Mi chinai verso di lui: era pallido e si teneva la mano premuta sul fianco sinistro, gemendo.
- Ti sei fatto male? – dissi allarmata.
- No… - rispose a fatica. – Credo… credo di essermi rotto qualcosa.
Gli altri attori ci accerchiarono preoccupati.
- Lasciategli dell’aria, ragazzi! – ordinai preoccupata. – Piccolo, riesci ad alzarti?
- Sì…
- Ehi ragazzo – Viggo si avvicinò. – Vieni, ti do una mano.
- Viggo, prendilo da sinistra. Aiutiamolo ad alzarlo. Gli portate dell’acqua per piacere?
Vidi Miranda portare Calliope verso di noi. Un ragazzo gli porse un bicchiere d’acqua mentre io e Viggo lo aiutavamo ad andare verso le macchine, lontano dai curiosi.
- Ti sei fatto male, ragazzo? – chiese Mahaffie avvicinandosi a noi.
- Crede di essersi rotto qualcosa.
- Fate venire Anne! – Urlò. Anne era il medico dell’unità, venuta dalla Francia.
Insieme a Viggo appoggiai Orlando ad una macchina. Anne arrivò e gli disse di togliersi il costume. Lui obbedì a fatica e vidi, quando si tolse anche la canotta, che aveva un grosso livido sul fianco sinistro. La pelle era gonfia. Anne lo sfiorò e lui cercò di reprimere una smorfia di dolore.
- Sì, credo sia rotta. Qualcuno deve portarlo all’ospedale.
- Ci vado io – mi offrii. – Posso Mahaffie?
Lui ci guardò, poi disse: - Tenetemi aggiornato.
- Aspetta – disse a fatica, cercando di non respirare troppo. Si piegò in avanti coprendosi di nuovo il fianco col braccio.  – Les, tu non sai guidare.
- Chi ci può accompagnare?
- Vengo io con voi. – si offrì Viggo. – Appena vi mollo all’ospedale torno indietro.
Lo guardai. – Grazie.

Viggo premette di nuovo sull’acceleratore, all’entrata di Alexandra, e io mi voltai un’altra volta a guardare Orlando. Era sempre più pallido, stava a occhi chiusi e cercava di non respirare per il dolore. Sembrava dormire. O forse era svenuto?
- Les, mantieni la calma – mi impose Viggo. – Non lo puoi aiutare se hai un attacco di panico.
- Sono solo preoccupata. – Lui mi guardò di sottecchi, tornando poi a fissare la strada.
- Non è grave avere una costola rotta. Non quanto un trauma cranico… adesso sai come si sentiva Orlando quando hai avuto tu l’incidente. – Frenò la macchina davanti all’ospedale. – Adesso tocca a te prenderti cura di lui.
Non spense neanche il motore. Aprii la portiera dalla parte di Orlando, gli sfiorai una spalla e lui aprì gli occhi. Lo aiutai a scendere e lo presi a braccetto, portandolo dentro.

Lo misero in una stanza, gli diedero una flebo antidolorifica e gli fecero una tac. Aspettammo i risultati per tutto il pomeriggio. Lui dormì per buona parte del tempo, e io rimasi ad aspettare seduta su una scomoda sedia accanto a lui.
Verso le tre del pomeriggio si svegliò a causa di un’infermiera che era entrata rumorosamente nella stanza insieme ad una dottoressa molto avvenente.
- Signor Bloom! Come si sente?
Orlando non rispose, si limitò solo ad alzare le spalle: respirare gli faceva male.
- Per fortuna ha solo una costola incrinata, guarirà in un paio di settimane, forse un po’ di più. Nel frattempo si tenga la fasciatura, ok? Dovrà cambiarla. – Si rivolse a me. – Magari può aiutarlo quando avrà bisogno, no?
- Certo – risposi.
- La dimetteremo stasera. - La dottoressa se ne andò. Mi alzai in piedi, stirai le gambe e gli diedi un bacio sulle labbra.
- Mi hai fatto spaventare. – Sussurrai.
- Scusa – disse. – La tua è stata una profezia: sono caduto e mi sono fatto male.
- Non è colpa tua, poteva capitare a chiunque. Ti sei fatto male solo perché Brettie ti è caduto addosso.
- Già – disse. – Ehi, piccola, sarai rimasta un sacco su quella sedia sgangherata. Vieni – si sforzò per farmi posto sul letto. – Vieni qui.
Accettai al volo e mi sdraiai cercando di non fargli male, e cominciai ad accarezzargli la fronte.
- Per favore, non fare più scherzi del genere – lo implorai.
- Lo stesso vale per te – sorrise. – Siamo i più maldestri del mondo. Ti ho mai raccontato del mio incidente di qualche anno fa?
Scossi la testa, lui sorrise.
- Stavo camminando sul tetto di casa e sono caduto – raccontò. – Mi sono rotto la schiena. Sono rimasto sulla sedia a rotelle e i dottori dissero che non avrei più camminato. Ma mi hanno operato e sono riuscito a camminare di nuovo.
Si Piegò poco in avanti, prese la mia mano e la guidò in un punto verso il bacino, dove sentii che correva una lunga cicatrice, quasi invisibile ma molto spessa.
- Se non ci fossi riuscito, chissà dove sarei ora – sorrise e si riadagiò sui vestiti, inconsapevole dell’ondata di quieta paura che provavo.
Avevo rischiato di perdere Orlando ancora prima di conoscerlo, e fino ad allora non avevo capito l’importanza di averlo accanto. Se non mi fossi goduta il tempo passato con lui, cosa sarebbe successo se ad un certo punto fosse sparito?
Deglutii e appoggiai la testa sulla sua spalla. Non l’avrei perso, mai: avrei fatto di tutto per farlo felice e stargli accanto. Lo giurai a me stessa.
   
 
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