Il suo maestro gli aveva mostrato diversi dipinti,
durante il suo apprendistato.
I dipinti
terrificanti dell’Inferno, e quelli meravigliosi del Paradiso.
I volti
misericordiosi degli Angeli, quelli crudeli dei demoni.
‘Gli eroi
vanno in Paradiso’
Gli aveva detto, con una semplicità devastante, quando aveva appena dodici anni
‘E i codardi e i malvagi vanno all’Inferno’.
Semplice,
lineare.
Eroi e codardi.
Paradiso ed Inferno.
E Kanda,
semplicemente, non era né un eroe, né un codardo.
[Those in between.]
La prima volta che era morto, aveva avuto paura.
Era stata la terza missione che si era ritrovato ad
affrontare, questa volta nella Germania del Nord, nei pressi di un villaggio di
pastori; quella volta, aveva commesso l’errore di non avere più timore
dell’ignoto: ed era bastato un attimo di distrazione, un fottutissimo
attimo di distrazione – perché quella dannata cinese doveva gridare, gridare
ogni volta che qualcuno dei Finders veniva ferito.
Poteva arrivare a capire che la ragazzina, appena più piccola
di lui, ne avesse il pieno diritto: era la sua prima missione – e lui si
sentiva un veterano - ma non
riusciva a sopportare quelle grida, né tantomeno ad abituarcisi.
Nel bel mezzo della battaglia contro un gruppo di Akuma,
un urlo particolarmente più acuto l’aveva colto di sorpresa e spaventato,
distratto: nel mezzo dell’adrenalina della battaglia, si era voltato per
controllare che quella fottuta cinese stesse bene, e…
… Ed era stata questione di un attimo, e le grida della
ragazzina non le aveva sentite più.
Perché era stato lui, a gridare, quando il proiettile
dell’akuma gli aveva trapassato il petto da parte a parte.
E non aveva sentito nient’altro.
Aveva avuto paura.
Il proiettile gli aveva forato il polmone, ed ognuno di
quei piccoli respiri affannati e frenetici era accompagnato da quell’odioso
rumore liquido del sangue, che cercò di farsi strada dalle labbra con dei
patetici tentativi di tosse.
Era caduto a terra, viso riverso contro il selciato, ed i
suoi occhi spalancati aveva visto le scarpe di Daisya sorpassarlo, e per poco
non calpestare i corti capelli neri. Le uniformi bianche dei Finders, correre
dalla parte opposta. Grida. Fantasmi. Sembravano tanti fantasmi.
Aveva avuto paura.
Era dannatamente consapevole di non poter più respirare,
consapevole del suo cuore che si stava fermando, inesorabilmente, e del sangue
che si raccoglieva nei polmoni; era maledettamente consapevole del fatto che il
suo corpo, come ogni corpo umano, aveva bisogno di ossigeno.
Ed era perfettamente consapevole di non respirare più – di
affogare nei suoi stessi polmoni.
Era perfettamente consapevole di essere appena morto,
e soprattutto, del fatto che morire fosse stato così semplice.
Era entrato nel panico più assoluto, ed aveva avuto paura.
Era rimasto lì, per terra, a guardare passivamente – con
occhi che non riusciva più a controllare - il sangue che in quel momento
scivolava via appena più lentamente, senza essere spinto nella circolazione dal
cuore ormai freddo.
Il sangue lentamente abbandonava il suo corpo, così come
il dolore.
Non aveva sentito più niente, neanche il bisogno di
respirare.
Aveva guardato il suo corpo morire per la prima volta.
Poi, un primo battito non
richiesto.
Un secondo battito non richiesto.
Un terzo.
L’aria che prepotente si
faceva spazio nel polmone malridotto, e lo faceva soffocare ancora una volta
nel suo stesso sangue. Si era raggomitolato su sé stesso, tossendo via,
vomitando via quel liquido che gli ostruiva il respiro. Annaspava, annaspava,
mentre quelle dita, prese dal panico, andavano a calcarsi nella ferita, quasi a
rendersi conto se fosse veramente reale, se fosse veramente lì, se l’avesse
veramente ucciso.
Probabilmente aveva
gridato, mentre alcune di quelle figure in bianco – fantasmi, fottuti fantasmi
– cercavano di tenerlo fermo, di tranquillizzarlo, di non fargli aggravare la
ferita. Il volto di Daisya gli si era piazzato davanti, vagamente preoccupato,
e quello della ragazzina, in secondo piano, piangeva.
Sentiva la testa troppo
leggera, gli mancava l’aria, stava soffocando ed il dolore era troppo, troppo,
dannatamente troppo, e avrebbe preferito…
… avrebbe preferito,
forse, rimanere morto senza rendersene conto.
Non era così, la morte di
cui aveva sentito parlare.
Era il riposo eterno, la morte.
Il Paradiso. L’Inferno,
forse.
Sicuramente, non la
prigione del proprio corpo, quella sensazione di oppressione alla stessa anima
rinchiusa lì, incapace di muoversi oltre, di andare avanti…
… non erano gli Akuma,
quelli?
Non era…?
La prima volta che era morto, aveva avuto davvero paura.
oOoOoOoOoOo
“Il loto ha perso un petalo, Kanda-kun.” fu il saluto che
ottenne dal Supervisore, quando questi entrò nell’Ala d’infermeria dell’Ordine,
con un sorriso del tutto informale sulle labbra. “… alla terza missione,
apparentemente. Non ti è passato distrattamente per la mente, forse, che
dovresti stare più attento? Ne?”
Quel commento fu accolto gelidamente dal ragazzino sotto
le coperte bianche ed antisettiche, e l’espressione sul suo volto non cambiò
affatto. Rimane sospesa, a metà fra il pensieroso ed il frustrato.
Due occhiaie troppo evidenti sotto gli occhi a mandorla.
“E’ colpa di tua
sorella. Non fa che frignare.”
La caustica risposta abbandonò le labbra del giapponese,
rimanendo poco più di un sussurro.
Il volto di Komui, per un attimo non si scompose.
Poi, tranquillamente, si deformò in una plateale smorfia afflitta, sicuramente
più adatta ad una bambina che ad un uomo adulto. “Oh, ma voi bruti non capite!
Non potete capire la fragilità di una fanciulla in fiore, circondata dalle
crudeltà della guerra, voi!”
“Evidentemente non era pronta.”
Komui scosse il capo, sedendosi sull’orlo del letto
accanto. “… evidentemente, non era pronta.”
“E non lo sarà mai.”
“… e non lo sarà mai.” concesse il Supervisore con un
sospiro, scuotendo il capo. Sorriso distante sulle labbra. “Ma cosa ci si può
fare? L’innocence l’ha scelta.”
Il ragazzino non rispose, scostando lo sguardo, il volto
appena adombrato dagli spettinati capelli scuri.
“… Posso andare via di qui, ora? Sono guarito.”
L’altro schioccò la lingua scuotendo il capo.
“Il Generale Tiedoll è particolarmente avverso al farti uscire di qui prima di
domani sera.”
“Oh.”
Komui attese, invano, la sfilza di insulti particolarmente
creativi che il ragazzino trovava sempre il modo di tirar fuori, volta per
volta, al nome del Generale Tiedoll. Ma, questa volta, non ne arrivò neanche
uno.
Kanda rimase a fissare un punto indefinito del lenzuolo bianco.
“Un proiettile degli Akuma ti ha passato da parte a
parte.” esordì infine l’uomo, ma la preoccupazione della sua voce era soffocata
da una connotazione ancora più forte. Curiosità. Ardente furore scientifico.
“Il tuo cuore ha smesso di battere, no?”
Nessuna risposta.
“Li hai visti?”
Silenzio.
“Le porte del Paradiso, San Pietro con la sua barba, la
luce, gli angeli…? La musica celestiale, l’hai sentita?”
Nessuna risposta.
“… cos’hai visto, Kanda-kun?”
Per un po’, continuò ad esserci solo il silenzio.
E poi, un solo sussurro. “… assolutamente nulla.”
E, se l’uomo rimase deluso da quella confessione, se la
cavò egregiamente nel non farlo vedere.
Kanda pensò che, in futuro, sarebbe morto così tante volte
che avrebbe sicuramente trovato qualcosa da raccontargli.
Prima o poi.
Il
Paradiso è per gli Eroi, l’Inferno per i Codardi.
Per chi
si trova nelle sfumature, la terra è tutto ciò che rimane.
A/N: alors. Ma si, faccio una prova anche qui. Prima fic nel fandom di
D. Grayman, la Kodamy sta cercando di cambiare Fandom. Non so che scusanti ho,
per questa fic. E’ leggermente contorta, mi è sfuggita di mano a metà strada.
Non so se son riuscita a far arrivar il concetto, ma spero che sia di
gradimento a qualcuno.
[Tra parentesi, per una
volta, è di mio gradimento XD]
Per la timeline:
allora, è ambientata più o meno due anni prima del manga. Si, lo so che Linacee
teoricamente è nell’ordine da tanto tempo. Ma, dato che aveva problemi di
natura suicida, non penso la lasciassero in giro a completar questa missione o
l’altra. Kanda, quindi, dovrebbe essere attorno ai 15 anni. Linalee attorno ai 14.
Per la cronaca, Kanda non si è fatto distrarre più da nessuno. Ora prende la
scorciatoia, e li lascia direttamente a crepare ù_ù *annuisce * Beh, la Kodamy
chiude qui.
Confessando che non
ricordava quale fosse il Santo alle porte del Paradiso, e che ha dovuto
chiedere un po’ per Msn.