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Autore: FCq    09/12/2012    1 recensioni
Ho provato a scrivere una mia versione della saga di twilight. Ci saranno nuovi personaggi e altre particolarità che influiranno sulle vicende. Spero di rivivere con voi il primo libro, ora che la trosposizione cinematografica sta per giungere al termine.
Dal primo capitolo:
Sarebbe stato folle immaginare la serie di eventi che avrebbe reso una qualsiasi ragazza la ragione di contese mitologiche e altrettanto lo sarebbe stato sospettare ciò che si celava nel cuore di quell’improbabile umida cittadina. Il mondo era una grande dimostrazione della teoria causa effetto. Ogni scelta aveva portato a ciò che sarebbe avvenuto l’indomani, ma tutto il resto era ancora da scrivere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward, Charlie/Renèe
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Twilight
Capitoli:
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Buon pomeriggio! Questo terzo capitolo è molto importante. Spero di essere riuscita ad esprimere bene le sensazioni di Bella e la situazione. Ho deciso di portare a termine la storia, benché siano in pochi a seguirla e a tal proposito ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite. Se volste lasciare qualche recensione o anche qualche critica, pur di mettermi a parte dei vostri pareri e farmi capire se la storia funziona o meno. Vi ringrazio anticipatamente e vi lascio alla lettura:)

3 Uomini

13 settembre 1995

La donna si abbandonò sui cuscini del letto d’ospedale nel quale aveva appena dato alla luce la propria bambina. La stanza si riempì del suono struggente del suo pianto. Reneé protese immediatamente le braccia nella direzione del piccolo fagottino in fasce e l’infermiera gliela consegnò, seppur con riluttanza in quanto doveva essere lavata e visitata al più presto. Le braccia della donna accolsero quel dolce peso con infinita passione, dimentica del dolore, delle nausee, dell’instabilità e dei precedenti nove mesi di gestazione. La bambina si adagiò perfettamente tra le braccia della madre, senza accennare ad aprire gli occhi e continuando a singhiozzare. Nonostante lo strato di liquido biancastro che la ricopriva, Reneé fu certa di non aver mai visto niente di più bello. La bambina aveva un volto perfetto e una folta capigliatura nera e lucida. Reneé la sfiorò con delicatezza, parlandole amorevolmente.

Isabella.

La bimba si sarebbe chiamata Isabella, come sua madre, perché nessun altro nome sarebbe stato all’altezza di quel volto.

La piccola le fu sottratta dalle braccia, ma la donna continuò a sorridere. E’ la speranza di ogni genitore che il proprio figlio faccia qualcosa d’immenso nella vita, per Reneé fu una certezza. Soltanto diciassette anni più tardi si sarebbe concretizzata la sensazione nel suo cuore di madre.

Nel frattempo, mentre Isabella veniva alla luce, il giovane Cullen correva. Edward sfrecciava nel fogliame, risvegliando bruscamente la quiete della foresta, alla ricerca di tracce olfattive promettenti. Vagò per ore, fin quando il vento non portò alle sue narici l’odore di un grosso carnivoro.

Edward si accostò alle spalle di un enorme abete, osservando la scena che si stava svolgendo nella piccola radura erbosa delimitata da sempreverdi e illuminata da uno sporadico fascio di luce. Un leone di montagna, dal pelo corto e rossiccio, mostrava i denti a un minuscolo e ingenuo cerbiatto dal manto a chiazze bianche. Era uno spettacolo comunissimo e naturale, come lui aveva cacciato il coguaro, il leone di montagna si accingeva a finire la sua preda. Il piccolo di cervo lo fronteggiava tremante e instabile sulle zampe. Era strano che la madre non fosse con lui, evidentemente aveva smarrito la strada. Eppure, benché il suo terrore fosse evidente a entrambi i predatori, il cucciolo non accennava ad allontanarsi. Imprudente, indugiava anziché fuggire. In tanti anni Edward non aveva mai assistito a nulla del genere.

Il leone non era dello stesso avviso pacifico del cerbiatto, poiché avanzò cautamente nella sua direzione, sibilando in segno di minaccia. L’animale continuò a non muovere un passo. Man mano che la distanza tra i due diminuiva, il cerbiatto accresceva la propria avventatezza. Nessuno lo aveva svezzato, troppo piccolo e innocente era costretto a una fine misera. I suoi occhi scuri non esprimevano alcun sentimento: erano illeggibili. Benché Edward sapesse che quello era il naturale svolgersi degli eventi, l’impudenza e la purezza di quel piccolo esemplare di cervo lo sconvolsero al punto che, nell’istante in cui il leone attaccò, dopo qualche istante d’incertezza, il vampiro si parò di fronte al cucciolo, attutendo il colpo sul proprio corpo. Il leone cadde a qualche metro di distanza, uggiolando e sibilando al vento. Edward si voltò leggermente con il capo, cercando lo sguardo dell’animale, ma ritrovando soltanto il vuoto dietro di sé e l’imbocco oscuro della foresta. Quantomeno il leone non era scomparso, ma tentava di rialzarsi. Edward lasciò che si rimettesse in piedi sulle proprie zampe, deciso a ultimare il proprio pasto. Nel tempo di un suo respiro, il giovane vampiro appena diciassettenne si materializzò di fronte al suo volto ed entrambi scoprirono i denti, senza arretrare l’uno dall’altro. Il leone di montagna ritrasse per primo i canini, posando il grosso naso sulla guancia e poi sulla spalla del ragazzo, in fine si voltò e trotterellò tranquillamente nel folto della foresta.

13 settembre 2012

Bella sbadigliò, accoccolandosi in posizione fetale e trascinando il piumino fin sopra la testa. Allungò il braccio destro, tastando tentoni l’aria alla ricerca della sveglia. Quando credé di averla trovata, l’oggetto invadente cadde sul pavimento, gemendo prima di spegnersi definitivamente. Quel mattino la ragazza indugiava ad alzarsi dal letto, sia perché la pioggia rendeva molto più piacevole il sonno, sia per la sua stanchezza, in quanto era rimasta al telefono con sua sorella e suo fratello fino alle due del mattino. L’argomento principale che le aveva occupate per tanto tempo aveva un volto e un nome: Edward. Naturalmente non erano riuscite a venire a capo del suo strano comportamento.

Allora Bella, non mi hai più parlato di quel ragazzo?, chiese Asami, trattenendo a stento la curiosità.

Rian le aveva chiesto d’indagare, ma lei non gli avrebbe mai riferito una confidenza della sorella, però doveva ammettere di essere molto curiosa e preoccupata.

Isabella arrossì e scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ricordando la sua conversazione con Edward.

Aveva lasciato scivolare delicatamente i piedi della sedia sul linoleum e aveva occupato il posto accanto al ragazzo misterioso, continuando a guardare dritto davanti a se. Si era ripromessa che non avrebbe permesso a Edward Cullen di sconvolgerle ancora la vita, ma sapeva che, se avesse ceduto alla tentazione e l’avesse guardato in volto, sarebbe stata la fine e l’orgoglio che le scorreva a fiotti di adrenalina nel corpo si sarebbe dileguato.

Dal canto suo, Edward non le staccò gli occhi di dosso neanche per il tempo di battere le ciglia. Sembrava non gli importasse più di mantenere una parvenza umana. Non quando lei lo... ignorava deliberatamente. Edward fece svettare un sopracciglio folto in alto, in attesa che la ragazza si decidesse a scostare lo sguardo dalla cattedra. Contemporaneamente, quel lato della sua mente che non era occupato a irritarsi per la situazione, guardava con obbiettività al comportamento della ragazza. Cosa si aspettava che facesse? Era stato il primo a mancare di buone maniere. Eppure, l’aveva immaginata terrorizzata e tremante in un angolo o che fuggisse da lui e accettasse l’invito di Angela a cambiare posto, non di certo che mostrasse una simile presenza d’animo e determinazione. Poi si diede dello sciocco, perché se avesse ricordato della loro rimpatriata nella segreteria, non avrebbe potuto immaginato un finale diverso. E ancora, un’altra parte della sua mente spaziosa poteva indugiare su ogni movimento della ragazza, sul rosso appena accennato sulle guance e sui denti che mordevano il labbro inferiore con accanimento. Quei piccoli gesti e il suono violento del suo cuore, diedero al ragazzo la certezza che dietro alla maschera d’indifferenza si celasse una grande emozione, l’unica domanda che ancora lo inquietava era la natura positiva o meno di quest’ultima.

Ciao, sussurrò nella sua direzione.

Bella si pietrificò sul proprio posto e poté giurare di udire il crac della maschera che aveva indossato, frantumata, cadere al suolo come tanti granelli di sabbia. Mantenere la propria compostezza divenne impossibile e Bella fu costretta a voltarsi in direzione di quella voce, come se il giovane, anziché chiamarla, le avesse posato una mano sul volto e l’avesse girata.

Mi chiamo Edward Cullen. Sono stato un vero maleducato a non presentarmi prima. Tu devi essere Isabella Swan≫, concluse.

E’ pericoloso, le urlò a squarciagola una voce nella mente. E Bella si trovò ad annuire a se stessa. Edward Cullen era pericoloso. Una voce così seducente e un volto tanto sconvolgente non potevano esistere pacificamente con il resto del mondo. Isabella arrossì violentemente e combatté contro la timidezza che le imponeva di abbassare lo sguardo, ma una forza mille volte più grande la costringeva a non distoglierlo e magnificamente non si trattava di una forza malvagia ma estremamente piacevole. Gli occhi di Edward non erano più freddi come una lastra di ghiaccio intinta nel petrolio, bensì caldi come l’oro. Il lato razionale della ragazza si costrinse a guardare con obbiettività a quel particolare. Gli occhi erano soggetti a cambiamenti di colore; lei stessa lo aveva notato nel proprio sguardo al mutare del tempo, dell’umore e della luce. C’era però da considerare che l’ambiente dell’aula non fosse cambiato dall’ultima volta che Edward era stato al corso di biologia: lo stesso cielo grigio all’esterno e le medesime lampadine al neon. Allora il suo umore doveva essere migliorato enormemente. Non vi era altra spiegazione razionale che giustificasse un cambiamento tanto radicale. In ogni caso, l’idea che in lui ci fosse qualcosa di “diverso” – un sussurro nella mente le suggeriva “migliore”- non l’abbandonava.

Bella si drizzò sulla schiena, senza smettere di rivolgere al ragazzo tutta la propria attenzione e curiosità. I suoi occhi si accesero di una luce sagace.

≪Non dovrebbe più stupirmi che tutti sembrino conoscermi, benché io non conosca loro≫, rispose, intenzionata ad ascoltare la risposta del ragazzo.

Edward sapeva che mentiva. Conosceva il suo nome e la storia della sua famiglia fin dal primo giorno e allora valutò con attenzione le parole da utilizzare.

≪Pensavo fosse difficile dimenticare un comportamento così sgarbato come il mio. Sono stato tanto egocentrico da credere che il mio cognome, se non altro, ti fosse rimasto in mente≫, rispose il rosso, accennando un mezzo sorriso.

Isabella rievocò quel primo giorno, come aveva fatto, ai lei, tante volte in quella settimana e ricordò il momento in cui la segretaria aveva starnazzato il suo cognome.

≪Il signor Cullen era qui prima di lei≫, aveva detto.

Per ricordare un passaggio così insignificante il ragazzo doveva avere buona memoria, oppure, aveva ripensato a quei momenti tanto quanto lei.

Bella si aprì in un sorriso dolce quanto lo sguardo di lui e rispose: Credo sia impossibile dimenticare alcune cose, in special modo le voci... sgradevoli di certe... donne..., la ragazza non riuscì a proseguire, perché il desiderio di ridere al ricordo era troppo forte.

Edward, il quale aveva compreso senza difficoltà a chi si riferisse, la accompagnò con una risata spontanea, rimanendo allo stesso tempo abbagliato dalla lucentezza del suo volto, dei suoi occhi e del suo sorriso.

Allo stesso modo Bella. I due si lanciarono un’occhiata espressiva: la tensione era stemperata.

Allora ammetti di conoscermi, rincarò Edward.

Sarebbe stato impossibile stancarsi di quel gioco che aveva il retrogusto della malizia e dell’innocenza al tempo stesso. Avrebbe passato la vita a punzecchiare Isabella.

Pensi che sia così facile poter dire di conoscere qualcuno?, replicò lei, allungandosi sul banco e avvicinandosi al tempo stesso, senza accorgersi di averlo fatto.

Edward la imitò istintivamente, come se volessero estraniarsi dal resto del mondo e proseguire sottovoce la loro conversazione. Edward sussurrò: Dipende. Spesso non ho bisogno che gli altri parlino per sapere cosa pensano, ma devo ammettere che, con te, non è altrettanto semplice.

La pelle della ragazza fu attraversata da un brivido invisibile e nonostante ognuna delle sue terminazioni nervose fosse impazzita, riuscì a mantenere la fermezza nella voce e nella postura.

E pensare che ho sempre creduto il contrario, mormorò Bella, quasi non volesse farsi udire.

Edward ammirò il suo profilo, la linea morbida del mento, la sporgenza lucida delle labbra, la linea sottile del piccolo naso adorabilmente all’insù e deglutì il veleno scatenato dalla vicinanza con il suo sangue. Il ragazzo si scostò di poco, senza perdere il sorriso, benché quel gesto avesse scottato entrambi e disse:Ti sbagli. Ad esempio: puoi chiederti mille volte cos’abbia spinto una ragazza a trasferirsi dall’altra parte del mondo, realmente, senza ottenere risposta.

Sarebbe il caso di chiederlo alla diretta interessata, allora, disse lei, senza riflettere sulle proprie parole.

Edward la guardò corrugando la fronte e tra il solco delle sopracciglia Bella immaginò di passare il palmo della mano, per appianarlo.

Risponderebbe sinceramente?, chiese Edward.

Forse... a patto che il ragazzo le confidi qualcosa di se. Come il motivo che l’ha spinto a porgersi tale domanda, concluse.

Forse m’infastidisce non riuscire a capirlo con facilità, terminò lui, dopo una breve analisi.

In verità, avrebbe dovuto continuare ammettendo che i motivi erano tanti altri. Ma Bella non avrebbe mai dovuto conoscere il legame di cantante e vampiro che li univa, né dell’ossessione che stava diventando per quello stesso succhiasangue.

Mi è stata data questa possibilità dalle persone che amo di più al mondo. Non fosse stato per loro, non sarei qui. E anche se trasferirmi dall’altra parte del mondo ha comportato lasciarli, in ballo c’era molto più della mia nostalgia, riassunse brevemente.

Edward corrugò ancora di più la fronte. Vide passare nei suoi occhi la stessa infinita tristezza di cui gli aveva parlato Alice. Chi aveva lasciato di così importante, Isabella? Sembrava in qualche modo in pace con la propria nostalgia, allora cos’altro la consumava? Edward fu attraversato da milioni d’ipotesi, emozioni e sentimenti.

Bella lo guardò per un istante e disse:≪Forse l’ho messa su un piano sbagliato, ma è complicato da spiegare. Sembra quasi che io non abbia ricevuto il dono più grande del modo venendo in America≫.

Pronunciando il nome del continente, i suoi occhi si accesero e di conseguenza quelli del vampiro s’illuminarono.

≪Un lato positivo c’è, a quanto pare. Sembra che tu ti aspettassi qualcosa di più. L’America non è Forks, sai: Liberty Island, ponte di Brooklyn≫, terminò Edward.

La ragazza rise di gusto.

≪Non è dall’America che mi aspettavo qualcosa di più. Non ho ancora visto nulla, neanche Seattle. Forse è da chi mi circonda che mi aspettavo qualcosa di più≫, terminò sussurrando.

La loro conversazione fu interrotta dall’insegnante, il quale distribuì alcuni vetrini da analizzare al microscopio.

Bella aveva sempre avuto una grande passione per le scienze, per la biologia e l’astronomia; quest’ultima era la sua passione, insieme alla letteratura. Nessuno poteva separarla da un buon libro o dalla volta celeste.

Edward spinse il microscopio nella sua direzione:≪Prima le donne≫.

Il ragazzo pronunciò quelle parole con tale dolcezza che Bella non poté fare a meno di sorridere ancora con gli occhi e con le labbra. Mentre si chinava sull’oggetto, la sua mente vagò sul pensiero che Edward era senz’altro un gentiluomo: non era difficile capirlo dai suoi modi, dalla sua postura e dal suo modo di esprimersi. La ragazza odiava che una lingua andasse in disuso, per questo motivo non utilizzava mai assurde abbreviazioni. In Italia aveva fatto molto uso del dialetto corrente, ma non dimenticava la bellezza e musicalità dell’italiano.  

≪E’ metafase≫, disse lei.

Edward allungò istintivamente la mano e le chiese di poter dare un’occhiata.

Bella lo sfidò con uno sguardo.

≪Certo≫, rispose, lasciandogli campo libero.

Edward osservò per un decimo di secondo il vetrino, poi annuì e segnò il tutto su un foglio. Nonostante Bella fosse irritata dalla sua mancanza di fiducia, non riuscì a non osservarlo con segreta ammirazione, per quel decimo di secondo e rimanerne ancora una volta affascinata.

≪Anafase≫,  disse Edward.

≪Posso?≫, chiese Bella.

≪Touché≫, rispose il ragazzo, avvicinandole il microscopio.

≪Dovrebbe toccare a te, adesso; dire qualcosa. Io ho risposto alla tua domanda≫, costatò Bella, senza staccare gli occhi dalla lente.

Edward sorriso, pensando cosa potesse rivelare a quell’astuta ragazza.

≪Giusto. Allora dovresti farmi una domanda≫, tergiversò il vampiro.

≪Ad esempio – iniziò lei - puoi chiederti centinaia di volte cosa spinga una persona a tenere lontano gli altri, benché non sembri esserci alcuna ragione convincente, senza ottenere risposta≫, disse.

≪Cosa ti fa credere che sia io a tenere lontani gli altri e non il contrario?≫, chiese Edward, seriamente curioso.

Bella rispose mentre segnava il nome del processo sullo stesso foglio, dovendo ammettere la preparazione di Edward.

≪Semplice deduzione≫.

I due incrociarono gli sguardi e Bella vide comparire nelle iridi dorate un profondo disagio.

≪Era metafase≫, disse, cambiando intenzionalmente la direzione della conversazione.

≪Certo che sì, collega≫, replicò il ragazzo.

Bella proseguì con nonchalance l’esperimento, lasciando a Edward il tempo di riprendere il controllo della propria mente.

≪Io ho la fortuna di non provare nostalgia per l’assenza di altre persone. La mia vita è incredibilmente ricca da quel punto di vista, ma conosco questo sentimento molto bene≫, confessò il vampiro, sentendo di poterlo e volerlo fare.

Non avrebbe potuto confessarle che aveva perso se stesso molto tempo prima e provava un immenso rimpianto al ricordo di ciò che era stato. Elisabeth e Edward Meson erano stati fondamentali nella sua vita precedente ma Esme e Carlisle erano stati validi sostituti, tanto da non fargli rimpiangere i giorni in cui aveva avuto una madre e un padre biologici.  

≪Non sono i legami di sangue a rendere tale una famiglia≫, concluse lei.

≪Chi è che hai lasciato, Isabella?≫, chiese Edward, intuendo la sua risposta.

≪Mio fratello – rispose lei- sua moglie e i miei due nipotini≫.

≪Come si chiamano i bambini?≫, chiese Edward.

≪Kiseki e Hikari. Non penso che esistano al mondo bimbi più pestiferi, dolci e intelligenti. Loro... scusa, divagavo≫.

Bella arrossì, mordendosi le labbra e Edward scoppiò a ridere.

Non preoccuparti. Si vede lontano un miglio che li ami e a maggior ragione non dovresti sentirli lontani. Ho imparato a contare soltanto sulla mia famiglia, Isabella, e tutt’oggi la separazione da un fratello è una sensazione molto spiacevole. Non riusciremo mai a separarci se non avessimo la certezza del nostro affetto e un miliardo di ricordi da associare a ogni volto per ogni circostanza. Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno≫, terminò, senza allontanare lo sguardo da lei.

Friedrich von Schiller, costatò Bella, grazie, Edward.

La conversazione fu nuovamente interrotta dal professor Banner che si avvicinava al loro banco. Ci fu solo il tempo di aggiungere un’ultima cosa: ≪Prima o poi scoprirò quali sono i tuoi misteri, Bella.

La ragazza rivolse un’occhiata indecifrabile al rosso, dopodiché sorrise furbamente e aggiunse: Quando io scoprirò i tuoi.

*****

  ≪E’ stato...diverso Asami. Abbiamo avuto una conversazione molto lunga e sfaccettata e ti dirò, forse non avevo sbagliato a giudicarlo positivamente, al primo sguardo. Ma temo che domani torni una persona diversa a condividere il banco con me a biologia≫, aggiunse tristemente la ragazza.

≪Pensi che abbia problemi di personalità multipla?≫, chiese Asami.

≪Inizio a pensarci seriamente≫, rise lei.

≪A dire il vero ho un po’ paura≫, confessò la ragazza.

≪Di lui?≫.

≪No, per amore del cielo. Anche se ha qualcosa di... strano, non mi fa paura. Temo me stessa e lo sconvolgimento che porta nella mia mente ogni volta che l’incontro. Pensi sia grave?≫, chiese e la voce le tremava.

Dall’altra parte si udì un fragorosa risata.

≪Gravissimo tesoro. Io confermo la mia tesi: tu sei cotta≫.

≪E’ ancora troppo presto per dirlo≫, sussurrò Bella.

≪Quando ne sarai certa fammelo sapere≫, ridacchio Asami, prima di prorompere in un gridolino estasiato.

≪E’ mezzanotte. Ciò vuol dire che è il tredici settembre e tu, mia cara, hai ufficialmente diciassette anni≫.

*****

Bella scese di corsa le scale, attenta a non inciampare nei gradini. La ragazza si diresse in cucina, udendo le voci di entrambi i suoi genitori. La sorpresa nel confutare che suo padre non fosse già in servizio fu sostituita dall’irritazione per il tono delle loro voci. Bella alzò gli occhi al cielo e continuò imperterrita. Quando fu in cucina, una piccola stanza confortevole, esclamò un tirato buongiorno, afferrando qualche biscotto dallo stipetto in alto. Reneé cambiò radicalmente tono e si rivolse alla figlia con un sorriso e un “Buongiorno, tesoro. Buon compleanno”.

La sua espressione tirata non ingannò la figlia. La donna sembrava molto stanca, come se avesse tentato per ore di abbattere un muro e desolata come se non fosse riuscita nell’intento.

≪Grazie≫, rispose Bella.

Charlie piegò il giornale del mattino, abbandonandolo sul tavolo e alzandosi goffamente dalla seduta. Si avvicinò alla figlia e la ragazza attese che si consumasse il consueto rituale “del compleanno”.  Charlie le posò una mano sulla spalla e un rumoroso bacio sulla guancia. Senza sapere quanto ciò la turbasse e inquietasse il suo animo. Le succedeva di sentirsi sbagliata in quei momenti - molto più del solito - per il desiderio prepotente di respingere il padre. Non ricordava il compleanno esatto in cui aveva iniziato a soffrire il suo tocco, ma sapeva che da allora, ogni anno, la cosa peggiorava esponenzialmente. E temeva quel sentimento, perché non avrebbe mai sopportato di odiare il padre. Il suo cuore ne sarebbe stato letteralmente lacerato. Una piccola parte di lei aveva sperato che le cose andassero diversamente quel tredici settembre, per poi costatare che nulla era cambiato. Aveva mentito a Edward, affermando che la propria nostalgia vertesse unicamente sull’assenza di Rian, Asami, Kiseki e Hikari. La malinconia più grande dipendeva dalla mancanza del sentimento che avrebbe dovuto provare verso l’uomo che le aveva donato la vita. Diciassette anni nei quali non aveva mai imparato cosa significasse adorare un padre. Si sentì piccola, come un singolo puntino luminoso sulla volta celeste che annegava nel buio della notte, e fu inghiottita dalla propria ignoranza.

Reneé si avvicinò alla ragazza, scuotendola dal torpore nel quale era caduta. Charlie era già andato via da un pezzo, eppure lei non aveva sciolto la posa rigida che assumeva sempre in quelle circostanze.

≪Tutto bene?≫, chiese la donna.

Bella annuì, giacché non si fidava della propria voce.

≪Cos’è successo?≫, chiese Bella, ≪vi ho sentito discutere≫.

≪Il solito≫, rispose la donna, ≪conosci i suoi modi. Ero solo stanca e non sono riuscita a trattenermi dal rispondere, tutto qui≫.

Bella sospirò. Sua madre era arrivata all’esasperazione già da qualche anno e la ragazza non aveva idea di quale forza la tenesse ancora in quella vita.

≪Vado dai bambini, ci vediamo pomeriggio≫, disse Reneé e i suoi occhi s’illuminarono pensando al lavoro all’asilo nido.

Senza dubbio era un toccasana per lei.

Bella e Reneé lasciarono insieme l’abitazione. L’una si diresse verso la propria auto, l’altra, malferma sui piedi a causa del ghiaccio, si avviò verso il proprio pseudo pick-up. Il cielo era plumbeo e presto avrebbe nevicato. Da un lato un metro di soffice neve sotto i piedi ad attutire le eventuali cadute non era una prospettiva tanto sfavorevole. Avrebbe dovuto comprare delle catene da neve. 

Mentre trafficava con lo stereo del pick-up, in prossimità della scuola, le ritornò il buonumore perduto. Sarebbe stato puerile illudersi che fosse dovuto alla ricorrenza della propria nascita, evento al quale non aveva mai dato importanza o alla scuola. La sua gioia nasceva dal fatto che presto avrebbe rivisto Edward. Aveva sperato che il suo rapporto con il padre migliorasse ed era rimasta delusa, sperava che Edward almeno non smontasse l’idea positiva che stava costruendo di lui.

Bella avvistò il parcheggio più vicino, in modo che non dovesse girare a lungo con il mezzo e palesare ulteriormente la sua presenza a causa di quel motore infernale. Il caso volle che ve ne fosse uno vuoto a qualche metro di distanza dall’entrata.

******

Edward tese l’orecchio, in ascolto di ogni eventuale rumore che gli suggerisse l’arrivo di Isabella. Alice ridacchiò, girandogli intorno, fin quando il ragazzo non le lanciò un’occhiata truce.

≪Sai che giorno è oggi, Edward?≫, chiese Alice.

≪Il tredici settembre≫, rispose lui, con fare ovvio.  

La nana alzò gli occhi al cielo, sbuffando delicatamente dalle narici sottili.

≪Ed è anche il compleanno di Isabella≫, aggiunse, sorridendo poi dolcemente al ragazzo, il quale aveva sospirato sconsolato.

≪Perché non mi dici semplicemente cosa nascondi Alice? Ti diverte vedermi annaspare?≫.

Alice finse di pensarci su, poi sorrise raggiante e diede un buffetto sulla nuca del fratello.

≪Certo che no, ma io non sono onnisciente, perciò non conosco tutti i dettegli. E la mia al momento e solo un’idea che potrebbe concretizzarsi. In ogni caso è un cammino che devi fare da solo, Edward. Posso soltanto dirti che Bella è una ragazza speciale e che diventeremo ottime amiche. Sarebbe la prima volta per me≫, sussurrò in fine, chinando il capo.

Edward gli carezzò i capelli per tirarle su il morale, mentre Jasper le sfiorò la guancia con un bacio.

Il rosso non le avrebbe detto che, con quella predizione, gli aveva complicato ulteriormente le cose. Avvicinare Isabella ad Alice comportava che la ragazza frequentasse tutti gli altri vampiri, Jasper in primis in quanto era sempre accanto alla moglie. E una tal esposizione era molto pericolosa. Sarebbe stato più salutare per tutti che la evitasse, allora perché, quando udì il rombo di un motore singhiozzante e fu certo di sapere a chi appartenesse, le labbra si curvarono in un sorriso e alzò il capo impaziente di vederla?

La ragazza scese dall’auto, aggrappandosi al paraurti ed estraendo il vecchio zaino malconcio dal sedile. La sensazione di essere osservata fu accompagnata questa volta da un calore pungente all’altezza del petto. Bella sorrise – certa di sapere quali fossero gli unici occhi in grado di perforarla in quel modo da parte a parte – e voltò il capo per incrociarne lo sguardo.

Nel frattempo, il suono di un clacson destò gli studenti da qualsiasi altra attività e risvegliò i sonnambuli più dell’aria gelida. Bella non avrebbe mai distolto lo sguardo dallo spettacolo del sorriso di Edward se non avesse udito quel fastidioso frastuono tanto vicino a se. E quando voltò il capo era troppo tardi per cercare qualsiasi via di fuga o sperare che il furgone virasse traiettoria. Con l’immagine della morte che si scagliava brutalmente contro di lei, la mente di Bella viaggiò a velocità impressionante. Colse l’ironia della situazione – morire il giorno stesso della ricorrenza della propria nascita – pensò alla famiglia che aveva lasciato in Giappone e a quella che l’aveva accompagnata in America, rifletté sul fatto che non avrebbe potuto conoscere nulla del continente che aveva a lungo sognato di vedere e in fine, la sua mente conservò per ultima la cosa più bella che avesse vissuto: Edward. La disperazione la colse nei pochi istanti che le restarono da vivere. Alla fine non aveva potuto scoprire i segreti che celava: Edward aveva vinto la gara. Ma a sconvolgerla non fu questo, bensì la consapevolezza che il loro tempo era finito – ancor prima di iniziare - che non avrebbe più goduto del suo volto e della sua voce. Voltò il capo con forza nella sua direzione e lo cercò tra la folla. Era lì, l’orrore dipinto sul bel viso e una traccia sfocata della stessa disperazione che l’aveva animata a voltarsi con tanta passione, prima che sparisse magicamente dalla sua vista e si sentisse afferrare per la vita. Braccia fredde e dure come la pietra la strinsero, circondandola. Mani lunghe e affusolate le portarono le gambe al petto e le protessero il capo, rannicchiato nell’incavo di un mento e circondato da un profumo sublime. Udì il suono di un impatto, quello che avrebbe dovuto lacerare il suo corpo. Il palmo di una mano bianca aveva arrestato il furgoncino, lasciando un solco sulla fiancata. Il mezzo gemette e si fermò.

Silenzio.

Un respiro freddo come la brezza invernale le sfiorò la guancia.

≪Va tutto bene≫, sussurrò una voce sollevata e Bella si sentì stringere maggiormente contro la morbida roccia.

≪E... Edward≫, sussurrò la ragazza, aggrappandosi con forza al tessuto dietro la schiena della sua felpa nera, seppellendo il volto nel suo petto.

I due rimasero a lungo abbracciati, mentre le urla si diffondevano a macchia d’olio nel parcheggio, quasi avessero il categorico bisogno di sentire la vicinanza dell’altro e accertarsi che il loro tempo fosse ancora lungo.

L’immortale è, per definizione, eterno e come tale non ha concezione del tempo che scorre. Il prezzo da pagare per una vita infinita è una vita a metà. Edward lo aveva appreso con rammarico e lo leggeva ogni giorno nella mente dei suoi famigliari e nella propria. Per quanto ognuno avesse trovato una ragione che giustificasse le loro esistenze, alcuni vuoti sarebbero rimastati tali. Eppure, il tempo continuava a non costituire un elemento fondamentale nelle loro vite.

Fino al giorno in cui l’immortale non commise il peccato definitivo, segnando più vite di quella che avrebbe salvato.

Il corpo di Alice cedette, trovando rifugio nelle braccia del marito. La realtà che la circondava lasciò spazio a una prossima e tragica. Il ghiaccio aveva causato lo slittamento delle ruote posteriori di un furgoncino blu, irresponsabilmente veloce nel parcheggio gremito di giovani vite. La traiettoria era una linea retta che puntava in un’unica possibile direzione, nella quale il furgone si sarebbe arrestato, scontrandosi con un pick-up scolorito e arrugginito. Nel suo percorso avrebbe incrociato un piccolo e fragile corpo umano.

La visione sconvolse entrambe le menti che ne furono testimoni diretti e si mostrò nei pochi istanti serviti al suddetto furgone per incontrare la lastra di ghiaccio e imboccare il proprio cammino di morte. Il tempo per impedire ciò che stava succedendo non esisteva. I secondi scivolavano come acqua tra le mani, senza che Edward potesse afferrarla o quantomeno contenerla.

Il corpo che aveva visto esanime nella previsione di Alice si mosse dalla propria immobilità e si voltò. Gli occhi della ragazza andarono alla ricerca di qualcosa e la trovarono tra la folla: altri occhi, nei quali era riflesso un orrido presagio e una sorda disperazione.

Fu quello il momento esatto in cui Edward realizzò l’importanza di Isabella. Perché se l’immortale non ha fine, nell’immagine di quel corpo senza vita, il giovane vide la propria morte. Allora il tempo, anziché arrestarsi, cominciò a correre più velocemente.

≪Edward≫, fu il sussurro di Alice, ancora impietrita e distante con lo sguardo.

Quel respiro accompagnò la corsa folle del vampiro, il quale allora non immaginava che quella corsa non era al fine ma il principio.

Edward si scagliò come un proiettile contro il corpo che amava, fendendo l’aria e affiancando il tempo in un testa a testa. Ma il ragazzo aveva un vantaggio. Isabella costituiva per lui un buco nero che lo attirava verso di se e quella forza magnetica lo aiutò a tagliare per primo il traguardo. Affondò le dita nella carne morbida della vita della giovane e la strinse contro il proprio petto, coprendo interamente il suo corpo con il proprio d’acciaio. Si permise, per un solo istante, di annusare l’odore dei suoi capelli e credere che fosse realmente al sicuro, perché nulla avrebbe più potuto toccarla se lui la proteggeva. Naturalmente, il suo secondo pensiero andò alla propria famiglia e al ragazzo alla guida dell’auto. Sperando che nessuno lo avesse notato spostarsi a velocità folle nel parcheggio, arrestò la corsa del mezzo con il palmo, attento che il contraccolpo non facesse rivoltare l’auto e uccidesse il guidatore. La sete era momentaneamente dimenticata e non permise a nient’altro di frapporsi fra loro in quel momento; si limitò a stringere Bella, fino a inglobarla sotto la pelle impenetrabile e il cuore nuovamente pulsante di vita. La gioia violenta di sentirla aggrapparsi a lui come l’unica ancora di salvezza durò per pochi, indimenticabili minuti; prima che lei parlasse e lo riportasse nuovamente all’amara realtà.

≪Com’è possibile?≫, chiese Bella, più a se stessa che a Edward.

Quando ebbe ripreso lucidità e coscienza, la razionalità le urlò in mente quello che era accaduto in quei pochi istanti. La ragazza alzò il volto dall’incavo del collo del suo salvatore e lo guardò negli occhi, con i propri grandi e spalancati: ≪Come puoi essere qui?≫.      

Edward deglutì un fiotto di veleno e preoccupazione giù per la gola riarsa. Riaprì la mente ad altri pensieri che non fossero i propri e tirò un sospiro di sollievo, perché i miopi occhi umani non lo avevano visto spiccare il volto e fermare il furgone; il guidatore era tramortito al volante e lo sgomento aveva reso lenti i riflessi degli altri umani. Ma lei sapeva: aveva visto. Era il suo volto che aveva cercato tra la folla, prima che il furgone la schiacciasse. E lo aveva trovato, accanto alla Volvo, a cinquanta metri di distanza. Se conosceva Isabella Swan come credeva, non c’era nulla che potesse indurla a dubitare dei propri occhi.

≪Edward≫, lo chiamò, con una leggera traccia d’isteria nella voce.

Bella cercava di dare un senso e una spiegazione logica a quanto aveva visto, ma non c’era nulla che giustificasse la presenza di Edward al suo fianco, la sagoma delle sue dita sulla carrozzeria del furgone e se stessa ancora in vita. Certo, salvo che i propri sospetti sul ragazzo non fossero fondati. Ma allora cos’era Edward Cullen? Bella non si accorse di averlo detto ad alta voce, fin quando il suddetto non scostò le mani da suo corpo e si allontanò quanto permetteva l’esiguo spazio tra i due mezzi. La ragazza chinò il capo e si sfregò le braccia, sentendo il corpo pervaso da brividi incontrollabili di freddo. Che stesse realizzando solo in quel momento quanto vicina fosse andata dal lasciarci le penne era scontato ma quel gelo che avvertiva all’altezza del petto, era dovuto alla lontananza del ragazzo, non allo shock. Per quanto il suo corpo fosse assurdamente duro e... gelido, era stato in grado di infonderle una grande quantità di calore. Bella scosse il capo: se avesse creduto di aver immaginato Edward accanto alla Volvo e un istante dopo al suo fianco, non avrebbe potuto fare altrettanto con la consistenza... inumana del suo corpo. Il particolare terrificante non era la stranezza del ragazzo, ma la naturalezza con la quale lei l’accettava.

≪Stai bene?≫, chiese Edward, nel tentativo di sviarla dai dubbi sulla sua natura e per reale bisogno di conoscere la risposta.

≪Sì, sto bene – replicò lei – ma non capisco perché. Edward non mentirmi. Ti ho visto chiaramente: eri accanto all’auto. E salvo che io non abbia le traveggole e quelle sulla carrozzeria non siano le impronte della tua mano; mi piacerebbe conoscere la verità≫, disse tutto d’un fiato, con incredibile padronanza di se stessa, benché fosse appena, misteriosamente, sopravvissuta a un incidente mortale.  

Edward le restituì uno sguardo perplesso e osservò alle proprie spalle la sopracitata carrozzeria: il telaio era liscio e rigido, senza alcuna traccia d’imperfezioni sulla facciata.

Bella guardò esterrefatta quell’artificio, sbattendo più volte le palpebre, come se l’impronta del palmo di Edward potesse comparire all’improvviso sul mezzo.

Edward studiò l’espressione della ragazza. La maschera di freddezza e impassibilità che aveva indossato gli pesava terribilmente sul volto. Era bastata un’umana distrazione della giovane, perché lui rimettesse in sesto la carrozzeria, ma ingannarla lo devastava. Avrebbe potuto addurre centinaia di scuse per quel comportamento abbietto, la salvaguardia della sua famiglia e della vita di Isabella, ma sostanzialmente era il terrore per la sua reazione a imprigionarlo in quella finzione. Edward poteva giurare di sentire il rumore delle rotelle nella mente della ragazza che giravano e giravono ininterrottamente, in cerca di una risposta plausibile che non fosse la pazzia o lo shock. Orgogliosa com’era non avrebbe mai accettato né l’una né l’altra. E poi vide la luce soffusa della lampadina che si accese a suggerirle cosa replicare.

≪Allora come ha fatto il furgone a fermarsi?≫, chiese, e puntò gli occhi grandi, caldi e luminosi in quelli del ragazzo.

In fondo, se Edward avesse desiderato realmente fare le cose per bene, Bella non avrebbe trovato appigli cui aggrapparsi, ma la sua ragione o per meglio dire il suo cuore appena riscoperto e già sofferente, non permetteva che il ragazzo ponesse una lunga distanza tra sé e la giovane assurdamente sagace, nonostante il momento critico.

Edward alzò la mano e la avvicinò cautamente al viso di lei. Il respiro della ragazza si arrestò e il suo cuore prese a battere più velocemente; sorrise internamente al pensiero di aver trovato un modo concreto per zittirla. Delicatamente, come il passaggio di una farfalla sui petali di un fiore, le carezzò la guancia. Scoprì che la pelle era calda e morbida come appariva.

≪Aspetta – la pregò – devi aspettare≫.

Bella non ebbe modo di controbattere nulla, in quanto voci concitate e caotiche urlavano alle loro spalle, nel tentativo di rimuovere il furgoncino. Edward lasciò cadere il braccio lungo il fianco, senza smettere per un solo istante di guardarla, mentre si tirava su e le porgeva una mano cui aggrapparsi. Bella stese la propria nella sua direzione e si affidò a lui, in un gesto molto simbolico. Entrambi capirono che in quel modo gli stava concedendo la sua fiducia, ma il suo sguardo diceva chiaramente “non deludermi”. Edward avrebbe urlato tanto forte da disintegrare il vetro dei finestrini, miracolosamente intatti. Era cosciente che avrebbe dovuto mentirle di lì a poco e per quella ragione, non riuscì più a guardarla negli occhi.

Il preside e altri insegnati accorsi furono presi in contropiede dalla presenza di Edward, ma il sollievo nello scorgere entrambi incolumi sovrastava tutto il resto.

Edward si sentì penetrare per tutto il tempo dal suo sguardo inquisitore; alle volte, la ragazza posava gli occhi sul telaio dell’auto. L’unica volta che Edward si permise di guardarla, fu turbato da uno strano mezzo sorriso che le curvava le labbra.

Era inutile che Edward tentasse di nascondere ciò che era successo in quel parcheggio. Aveva nascosto le tracce sull’auto, ma così facendo non aveva che alimentato le idee ancora acerbe della giovane: era impossibile che l’auto si fosse arrestata senza che avesse subito qualche danno.

La polizia locale e l’ambulanza arrivarono a sirene spiegate e il volto di Bella si tinse di un rosso accesso, attirando l’attenzione del vampiro. Era lei ora a non prestargli attenzione. La calca di studenti li accerchiò, mentre le portiere dei mezzi di soccorso si aprivano quasi contemporaneamente. Edward cercò qualche volto familiare, distinse la piccola Alice che gli rivolse uno sguardo d’approvazione e le espressioni dubbiose degli altri, mentre si avvicinavano al fratello. Bella si accostò istintivamente al proprio salvatore – perché in un modo o nell’altro Edward Cullen l’aveva salvata da morte certa - alla ricerca di una sorta di protezione. Non dagli studenti curiosi, né dai medici apprensivi o dagli insegnanti sollevati, ma dall’agente Swan. Suo padre apparve al seguito dei paramedici, il volto sconvolto. Quando capì che la figlia era viva e vegeta, si affrettò a raggiungerla. L’uomo non badò in alcun modo al ragazzo che le stava accanto e che, benché parlasse con i propri familiari, non perdeva neanche una parola della loro conversazione.

≪Bella, stai bene? Cos’è successo? Avevo ragione; non avresti dovuto compare quel maledetto arnese. Sono stati soldi buttati al vento, per poco non ti uccideva. Ma tu non mi ascolti mai...≫, Charlie continuò a blaterare così ancora a lungo.

Un ruggito potente vibrò nel petto del vampiro e si sarebbe voltato, scagliando l’uomo oltre il muro di recinzione, se non avesse ricevuto uno sguardo d’ammonimento da parte della sorella e non avesse udito il sospiro della donna che gli stava affianco. Bella voltò il capo e lo scosse impercettibilmente, stringendo saldamente i pugni e infilzando le nocche nei palmi delicati. Respirò a fondo, trattenendo più fiato possibile nei polmoni. Sembrava una bomba a orologeria pronta a esplodere o comunque a ribattere, se non avesse alzato il capo e incrociato lo sguardo dell’angelo che l’aveva misteriosamente tratta in salvo. Tra i due si svolse una muta conversazione.

≪Agente – proruppe la voce ansiosa del preside – il furgone ha slittato sul ghiaccio, il ragazzo manteneva una velocità poco consona che non gli ha permesso di frenare in tempo, fin quando non è stato in prossimità del pick-up. Pensiamo che sia riuscito ad arrestare l’auto, è stata una vera fortuna...≫, al ché rivolse uno sguardo pieno di sollievo ai due ragazzi coinvolti, battendo ripetutamente la grande mano sulla spalla del giovane Edward.

≪Sembra che lei abbia ampio merito, signor Cullen. Ben fatto, davvero... ben fatto≫.

Il preside aveva riacquistato un colorito normale e un sorriso splendente.

Charlie rivolse uno sguardo al ragazzo e accennò un gesto con il capo, dopodiché toccò alla figlia, la quale gli concesse soltanto di restituirgliene uno che sembrava dire “dicevi?”.

≪Faccio un breve sopralluogo e ti raggiungo con l’auto in ospedale≫, disse l’uomo, allontanandosi non prima di averle carezzato di sfuggita il braccio.

≪Dovreste salire sulla barella signorina...signorina?≫, Bella fu risvegliata dalla voce gentile di un paramedico molto giovane.

≪Sto bene: la barella non è necessaria, la ringrazio≫, rispose lei, con altrettanta dolcezza.

≪Ma...?≫, provò a ribadire il ragazzo.

≪Davvero, non serve. Non è neanche necessario che io venga in ospedale≫, disse Bella: odiava gli ospedali.

≪Assicuro io per lei. Non ha subito alcun trauma cranico, ma potrebbe essere in stato di shock. E’ comunque il caso di andare in ospedale≫, proruppe Edward, inserendosi nella conversazione.

≪Vale anche per te, Edward≫, rispose l’infermiere che pareva conoscerlo.

Il ragazzo annuì, in fondo, aveva necessità di parlare con Carlisle. A qualche metro di distanza, dove Edward l’aveva lasciata per raggiungere Bella, Alice annuì.

I due ragazzi e il giovane paramedico, Dexter, si accomodarono sui sedili anteriori del mezzo. I primi due in religioso silenzio, benché camminassero l’uomo di fianco all’altra e il terzo al posto di guida. Nonostante le insistenze del secondo sanitario, Bella non si lasciò convincere a indossare un imbarazzante collarino e salire sul retro insieme a Tyler. La ragazza non staccò gli occhi dal finestrino, nonostante avvertisse chiaramente la presenza di Edward al proprio fianco. Il vampiro, dal canto suo, benché mostrasse di non allontanare lo sguardo dal parabrezza, non perdeva una sola espressione del volto pallido della giovane. Bella torturava le labbra non solo con i denti, ma anche con le dita tremanti. La presenza del padre l’aveva devastata più dell’incidente stesso. La sua assoluta noncuranza la feriva ancora, a distanza di anni. Bella era certa – e tentava di tenerlo sempre a mente, anche nelle peggiori occasioni, in cui il padre dimostrava tutto il contrario – che Charlie le volesse bene. L’agente Swan non era un uomo cattivo. Semplicemente non si nasce padre, lo si diventa e Charlie non aveva mai imparato. Ciò che aveva portato la famiglia Swan in deplorevoli condizioni economiche era stata l’incapacità dell’uomo di gestire le proprie finanze. La maggior parte della gente ansimava per portare a termine una buona azione quotidiana, il padre di Isabella faceva altrettanto per un disastro al giorno e a riprova di ciò, benché Charlie mettesse anima e cuore nel proprio mestiere, non aveva mai assunto, durante gli anni di servizio, una carica di grande importanza nelle forze dell’ordine.

La ragazza non capì di aver stretto tanto le unghie sul palmo della mano fin quando un tocco gelido le sfiorò le nocche. Al ché, Bella scostò lo sguardo dal vetro e lo posò sullo splendido ragazzo al suo fianco. Edward non guardava lei, ma la piccola mano che aveva stretto nella propria. Con infinita delicatezza sciolse il nodo delle dite e liberò il palmo arrossato dalla costrizione delle sue unghie, distendendo la mano sul sedile. Quando entrambi alzarono il capo e incrociarono gli sguardi, il mondo si arrestò con uno scossone per istanti interminabili, prima di ricominciare a girare, questa volta nel verso giusto.

L’ambulanza si arrestò di fronte alle porte dell’ospedale. I due strinsero la mano dell’altro per un attimo di vicendevole conforto, senza però incrociare lo sguardo nell’atto. I ragazzi scesero dal mezzo, l’una con il volto in fiamme, sorretta dal braccio del giovane Dexter, mentre l’altro si lasciò scivolare agilmente dal sedile.

Bella si sentiva in torto per aver costretto l’infermiere a non eseguire la normale procedura in caso d’incidente. Probabilmente si mostrava così gentile e disponibile per sopperire ai propri sensi di colpa.

Edward, il quale aveva consapevolezza maggiore della mente altrui rispetto all’innocente Isabella, era cosciente, turbato e mortalmente irritato dall’udire direttamente le reali motivazioni e dall’assistere all’ingenuo tentativo di corteggiamento che la ragazza sembrava ignorare.

≪E’ così bella... e dolce≫, cantilenava incessantemente il giovane infermiere.

Il comico trio si avviò all’interno dell’ospedale. Edward avrebbe dovuto imboccare l’ascensore e raggiungere suo padre, ma non avrebbe lasciato Isabella insieme a Dexter. E pensare che un tempo, il ragazzo gli era simpatico.

≪L’accompagno signorina. Le faranno degli accertamenti di routine e verrà un medico a visitarla. Sei certo di non aver bisogno di un controllo, Edward?≫, chiese poi al ragazzo, senza prestargli troppa attenzione.

≪Ne sono certo, Dexter. Penso io alla signorina Swan, conosco l’ospedale come le mie tasche e farò venire mio padre perché le dia un’occhiata≫, replicò il vampiro.

Dexter allontanò gli occhi dalla ragazza, imbarazzata e impacciata a causa della tensione che avvertiva nell’aria e lo posò sul giovane Edward. Isabella trovò fosse il caso d’intervenire, dicendo: ≪La ringrazio per la disponibilità, saprò cavarmela perfettamente Dexter. Non ho bisogni di essere scortata≫, l’ultima frase la pronunciò guardando il vampiro. Bella si voltò e scomparve dietro la porta grigia dell’ambulatorio, lasciando i due uomini impalati nel mezzo della corsia d’ospedale. Dexter si allontanò, mormorando un “a presto”; Edward non riuscì a trattenere un sorriso mentre raggiungeva Carlisle nel suo ufficio al piano superiore.

L’ultima volta che era stato lì, il ragazzo stava fuggendo dal sangue della sua cantante, ora avrebbe dovuto spiegare al padre perché l’aveva salvata mettendo a repentaglio il segreto della loro famiglia.

********  

≪Fammi capire, ragazzo... sei qui con Isabella Swan perché l’hai salvata dalla traiettoria di un furgone in corsa. Sei mortalmente irritato dalla spudorata corte di un paramedico e al tempo stesso preoccupato che lei non desista da ciò che crede d’aver visto?≫, chiese Carlisle.

Edward annuì passando una mano tra i capelli e attendendo che il padre si pronunciasse su quanto accaduto. In sintesi, ciò che aveva detto Carlisle era quanto avvenuto in quelle ore.

≪Singolare≫, rifletté Carlisle, nient’affatto turbato dal racconto del figlio.

Anzi, un sorriso gli aleggiava sul volto e un altro nella mente.

≪Pensi che sia grave?≫, chiese Edward.

Carlisle esplose in una risata allegra e cristallina.

≪Gravissimo, ragazzo. Credo che non esista una cura per questo. Ascoltami Edward - disse seriamente l‘uomo – cosa vuoi che ti dica, esattamente? Se ti dicessi che rimanere a Forks è pericoloso e che quanto ha visto Isabella costituisce un problema e ti chiedessi di partire, lo faresti?≫.

Edward chinò il capo, senza rispondere. Carlisle posò una mano sulla spalla del figlio.

≪Non riesci a pensare di lasciarla - costatò l’uomo - allora io non ho niente da aggiungere. Ma ho la responsabilità di tua madre e dei tuoi fratelli Edward, devo considerare ciò che è meglio per tutti. Perciò fai in modo di risolvere la faccenda e rendere sicura la nostra permanenza. Ora... ho una paziente da visitare≫, concluse Carlsile, lanciando un’occhiata significativa al suo primo figlio.

Bella picchiettava con impazienza l’indice sul materassino. L’odore di alcool e detersivo impregnava l’aria irrespirabile della stanza che condivideva con Tyler – che avrebbe ribattezzato come “il temerario pilota” – e suo padre.

Il ragazzo continuava a ciarlare sulle dinamiche dell’incidente, quanto gli dispiacesse averla quasi uccisa e quanto fosse felice di non esserci riuscito. Bella annuiva in silenzio, lasciandolo sfogare: probabilmente era il suo modo di reagire allo shock. Charlie d’altra parte borbottava su quanto tempo dovessero ancora aspettare prima che qualcuno visitasse la ragazza e sull’inefficienza dell’ospedale. Bella ebbe la tentazione di portare le mani alle orecchie e urlare loro di tacere. Pensò bene di trarre prima un profondo respiro e contare sino a dieci. Charlie sbuffò guardando l’orologio che teneva al polso e senza del quale non sarebbe mai uscito da casa.

≪Non capisco perché insistano a tenerti qui, non sei ferita≫, farfugliò alla figlia, ≪e non sei così stupida da soffrire di shock postraumatico≫.

Qualche anno prima, quelle ultime parole l’avrebbero segnata, quel giorno si limitarono a colpirla come un destro nel basso ventre. Bella si strinse tra le braccia, piegando tra le dita la carta ruvida del materassino e strappandone un lembo. Lo stress di quell’interminabile giornata l’aveva turbata molto, benché si ostinasse a non ammetterlo a se stessa, perché controllare anche le parole che lottavano strenuamente per uscire.

≪Vedo che sei preoccupato≫, sussurrò, alzando gli occhi da terra e incrociando quelli di Charlie, che si decise a distogliere lo sguardo dall’orologio e a smettere di tormentare il cinturino di pelle.

L’uomo aggrottò le sopracciglia scure: ≪Certo... certo che sono preoccupato. Che razza di risposta è. Pensavo che anche tu non vedessi l’ora di andare via≫.

Bella lo fissò per qualche istante negli occhi scuri come la pece, prima di ricordare che stesse effettivamente parlando con Charlie. Il padre sembrava sinceramente stupito dall’uscita della figlia. Isabella aveva concluso che soffrisse di memoria a breve termine oppure che non badasse a ciò che diceva. Preferiva vederla in quel modo, piuttosto che credere a una sua totale mancanza di tatto e sensibilità. L’uomo era talmente agitato che Bella gli avrebbe ceduto il proprio posto sul lettino per fargli controllare la pressione. Eppure, se non ricordava male, era lei quell’uscita viva da un incidente dalle dinamiche misteriose.

Bella scosse il capo e tornò a fissare le mattonelle del pavimento, desistendo, ma Charlie non era della medesima idea.

≪Davvero non ti capisco Isabella, cambi umore in continuazione. Cos’ho fatto ora di male? Cosa ho detto di sconvolgente? Che cosa dovrei fare per sembrare più preoccupato? Credi che non lo sia?≫, sbraitò, troppo vicino al suo volto.

Charlie non aveva mai alzato le mani sulla figlia – la ragazza aveva il vago ricordo di uno schiaffo, quando era molto più piccola, ma niente di più – perciò Bella non temeva quell’eventualità (in fondo, era pur sempre un uomo di legge) più che altro la preoccupava la possibilità contraria.

Isabella si sollevò dal lettino, abbassò la manica del braccio destro, sul quale figurava il cerotto bianco del prelievo, afferrò il giubbotto e lo infilò con accurata lentezza.

≪Dove vai?≫, chiese Charlie.

≪Andiamo via≫, ripose lei, ≪hai ragione, non c’è necessità che rimanga qui. Sono minorenne, ma pur sempre con... mio padre. Non faranno storie≫, sostenne.

Charlie le strinse il polso: ≪No, dai Bella, aspetta. Ormai siamo qui e...≫.

La ragazza non poté soffrire quel tocco che le lacerava la carne e allora ritrasse il polso, con il respiro ansante e gli occhi dilatati. Ringraziò che non ci fossero spettatori ad assistere alla silenziosa ma intensa conversazione che stava avvenendo tra i due. La testa le pulsò dolorosamente e massaggiò in vano le tempie, non mettendo in conto la vertigine che la colse. Mosse qualche passo in dietro, come se camminare avrebbe potuto scacciare quella sensazione di malessere. Prima che stramazzasse al suolo, un paio di braccia fredde e solide come l’acciaio la sorressero. Riconobbe in queste, nei recessi della mente che si ostinava a rimanere lucida, una certa familiarità, ma fu al contempo consapevole della differenza con le altre. In ogni caso, si lasciò andare tranquillamente sulla spalla che l’accolse e strinse gli avambracci che la sostenevano. Le stesse braccia la sollevarono da terra e la riportarono sul lettino poco distante, adagiandola delicatamente. Qualcuno tentava di sollevarle le ginocchia, ma lei oppose immediata resistenza, spalancando le palpebre. Fu accecata per un attimo dalla luce del soffitto, poi da un paio di occhi dorati.  Fu un incontro fatale tra anime affini. Nessuno dei due era a conoscenza della quantità di caratteristiche in comune con l’altra, il bisogno di fare sempre la cosa giusta, la forza immensa di lottare per ciò in cui si crede fino allo stremo delle forze e la capacità infinita di donare amore ma quel giorno Carlisle Cullen e Isabella Marie Swan occuparono un posto particolare nei rispettivi cuori.

≪Isabella... Bella, mi senti?≫. Pian piano, il movimento delle labbra si tradusse in suono e questo in parole.

Bella scattò, sollevandosi sulla schiena nonostante la vertigine incombete e lo sguardo offuscato.

≪Sto bene, sto bene...≫, si affrettò a ripetere, lottando contro l’appannamento della vista, fin quando non l’ebbe vinta.

Una mano fredda come il ghiaccio le carezzò il capo. Soltanto in quel momento, compreso chi avesse di fronte, Bella strabuzzò gli occhi e le mancarono le parole per descrivere quel volto. Non avrebbe potuto affermare che Carlisle Cullen fosse più bello di suo figlio, ma era indiscutibilmente un uomo dal gran fascino. Il vampiro le sorrise, suscitando il suo imbarazzo e di conseguenza il suo rossore.

≪Sei la prima persona che incontro tanto testarda da non permettere il sopravvento di un mancamento≫, le sussurrò con infinita delicatezza.

La ragazza fu catturata da una risata cristallina, l’unica che avrebbe potuto distoglierla dall’uomo in camice bianco.

Inclinò leggermente il capo e un enorme sorriso, che celò dietro un colpo di tosse e un vagare tutt’intorno dello sguardo si dipinse sulle sue labbra.

Il tentativo di depistaggio non funzionò, poiché Edward restituì a propria volta un sorriso sghembo a Isabella. Carlisle si soffermò discretamente su entrambi: avevano volti raggianti e occhi luminosi. Una grande emozione esplose nel petto dell’uomo alla vista di quella scena che ad altri occhi sarebbe passata inosservata. Aveva atteso a lungo di vedere quella gioia sul volto del figlio. Qualsiasi cosa fosse accaduta, il vampiro sarebbe stato eternamente debitore a quella ragazza.

Edward si permise di tirare un sospiro di sollievo, confortato dal nuovo rossore dipinto sulle gote terree della fanciulla e dal suo sorriso unico.

≪Salve≫, esordì Carlisle a voce più alta, rivolto ai presenti.

Edward ridacchiò per l’espressione buffa della ragazza, che non era immune al fascino di Carlisle. Irrazionalmente, mentre pensava ciò, fu attraversato da un lieve formicolio all’altezza del petto: un accenno di quello che aveva provato a causa di Dexter.

≪Hai fatto colpo≫, sussurrò al padre, tanto velocemente che nessun altro avrebbe potuto ascoltare quelle parole.

≪Lo dici come se fossi geloso ragazzo; devo preoccuparmi?≫, chiese ironicamente, ridacchiando per l’espressione imbronciata del figlio.

≪Ah, ah≫, fu la risposta del giovane.

≪Sono Carlisle Cullen, il padre di Edward e tu devi essere Isabella. Mio figlio mi ha raccontato del rischio che avete corso – disse, rivolgendo un’occhiata a Tyler, al quale si avvicinò per tastare i punti sulla tempia sinistra – avete avuto molta fortuna, perciò non dovresti agitarti≫, concluse, liberando il volto del ragazzo, al quale sorrise e lasciò una pacca sulla spalla. 

  ≪Bene. La cucitura è perfetta. Il taglio si rimarginerà a breve, ma spero sarai più prudente d’ora in poi. Non va sempre a finire bene ragazza≫, sussurrò Carlisle.  

    Dopodiché, l’uomo si voltò in direzione della fanciulla, riservando a lei tutta l’attenzione.

Bella arrossì nuovamente, suscitando l’ilarità di Edward, il quale ricevette un’occhiataccia sia dalla giovane sia del padre.

≪Ne hai cose da imparare, ragazzo mio≫, pensò Carlisle, ≪comunque sia, mi piace, Edward. Ha un bel caratterino, tanto da tener testa alla tua cocciutaggine e al contempo è molto dolce e timida. Perfetta... perfetta≫.

Se avesse potuto farlo, Edward sarebbe arrossito.

≪Edward... t’imbarazzi?≫, lo schernì Carlisle. 

Edward sbuffò e alzò esasperato gli occhi al cielo. Non si lasciò sfuggire una sola espressione del volto di Bella, mentre Carlisle esponeva il risultato delle analisi del sangue e il suo attuale stato di salute. Avevano entrambi udito il litigio avvenuto tra padre e figlia, un affondo brutale nella ragazza il cui corpo aveva reagito di conseguenza perdendo i sensi; condizione alla quale non si era sottomessa. Edward scosse impercettibilmente il capo: non c’erano limiti alla sua testardaggine. Edward si era sentito invadere da una rabbia infinita e pericolosa. Aveva rischiato la vita dell’uomo, che avrebbe distrutto senza ritegno mentre le sue parole affondavano come mille lame nel cuore fragile della fanciulla e allo stesso modo nella sua carne impenetrabile. Aveva creduto che il mostro fosse definitivamente soppresso, dopo aver resistito al profumo del sangue di Bella nient’altro avrebbe potuto allettarlo nuovamente, invece, aveva desiderato quello dell’uomo e la sua testa come trofeo. Aveva stretto tanto la mano di Carlisle, che il vampiro aveva posato sul suo petto per impedirgli gesti inconsulti, da rischiare di reciderla dall’articolazione del polso. Avrebbe portato a termine la propria missione omicida, se non avesse sentito il richiamo di Isabella. Non lo aveva udito realmente, come accadeva con chiunque altro attraverso i suoi pensieri, ma lo aveva creduto. Il filo che lo legava a lei lo aveva illuso di sentirla invocare il suo nome e il suo aiuto. Era devastato da un terrore vibrante, al pensiero che Charlie Swan fosse la causa, in parte, della grande tristezza che leggeva nei suoi occhi. E Carlisle, mosso da un forte istinto paterno nei confronti di Bella, provava la medesima sensazione.

 Carlisle si rivolse all’uomo, che aveva lo sguardo puntato sull’orologio al polso.

Il dottore ne richiamò l’attenzione con un colpo di tosse: ≪Isabella è in ottima salute. Non è in stato di shock, ma potrebbe avere ricadute durante la giornata. Alcune persone razionalizzano più lentamente e in modi diversi. Non è necessario che sia cosciente del suo stato di shock. Tutto questo è normale dopo un trauma così violento - continuò, lasciando una carezza sulla guancia della ragazza che assunse un colorito rosso e intenso – Non bisognerebbe biasimare né sottovalutare la possibilità di un crollo psicologico. Sua figlia ha bisogno della massima tranquillità – continuò, rivolgendo all’uomo uno sguardo significativo, calcando troppo la mano, qualcuno avrebbe potuto capire che avevano entrambi ascoltato la loro conversazione, ma avendo il totale appoggio da parte del figlio – e sostegno morale. Se dovessi avere nuovi mancamenti o per qualsiasi altra cosa dovrai informarmi≫, concluse, rivolto in ultimo alla giovane.

Bella annuì.

Carlisle esitava faticosamente a lasciarla andare, avrebbe potuto inventare una scusa qualsiasi per non dimetterla, ma la sua etica professionale glielo impediva. Il suo cuore di padre, invece, gli suggeriva di tenerla con sé. Era troppo piccola e fragile per sopportare un carattere così scorbutico e parole tanto pesanti, accodate le une alle altre senza cognizione né causa.

≪So che sei stato tu ad aiutare mia figlia, ti ringrazio≫, esordì Charlie, porgendo una mano al giovane vampiro.

≪Calmo, Edward≫, lo ammonì suo padre.  

Ma il ragazzo non stava avendo difficoltà a controllarsi, piuttosto a fugare nella nebbia fitta dei pensieri dell’uomo. Non fu difficile capire da chi Bella avesse ereditato la propria impermeabilità. I pensieri di Charlie erano una sottile e invisibile nuvoletta dai quali percepiva poco o niente: una sfumatura di preoccupazione, fretta e spossatezza. Nessun accenno di turbamento per le parole di sua figlia o quelle di Carlisle, quasi le avesse cancellate con un colpo di spugna.

Edward decise che, in ogni caso, Charlie Swan era un padre e a lui doveva la presenza di Isabella nella propria vita, perciò, molto più di quanto avrebbe potuto immaginare. Il ragazzo ricambiò la stretta.

≪Non ho fatto nulla, signore. L’importante è che le cose si siano risolte per il meglio≫, asserì.

Charlie annuì come a dargliene atto.

Per tutto il tempo di quella breve conversazione la ragazza aveva trattenuto il fiato, respirando profondamente soltanto quando entrambi catalizzarono nuovamente l’attenzione su di lei. Non le piaceva sapere Edward accanto a suo padre. Non le piaceva affatto. Temeva che potesse capire, se non lo aveva già fatto, che razza di persona lei fosse. Soltanto un mostro avrebbe potuto provare repulsione al tocco del padre. Soltanto un mostro...

L’imbarazzo e il turbamento per quell’assurda situazione era tale che non si sarebbe sorpresa di veder evaporare dal proprio corpo nuvolette di calore, come fosse una pentola a pressione.

Bella aveva imparato presto a distinguere un uomo da un semplice essere umano. L’essere umano era un mammifero, una specie alla quale accedeva chiunque avesse determinate caratteristiche genetiche. Un assassino, un molestatore, un furfante erano essere umani ma non uomini. Essere un uomo era molto più difficile. Uomini si nasce, non lo si diventa. La ragazza aveva avuto due soli uomini nella propria vita, l’uno diversissimo dall’altro, benché avessero lo stesso sangue: Rian e Charlie. Non aveva mai catalogato suo padre, per rispetto alla sua persona. Se avesse dovuto farlo, lo avrebbe inserito in quella ampia parte di cui era costituita la popolazione mondiale. Coloro che non assumono alcuna posizione né da una parte né dall’altra. Benché fosse un tutore della legge, di cui Bella avrebbe dovuto andar fiera fin da bambina, Charlie aveva asserito con leggerezza di aver assunto quell’incarico per mera casualità. Non era così egoista da non riuscire a vedere al di là del proprio naso. Il loro mondo era pieno di situazioni familiari molto più tristi della sua. In confronto ad altri esseri umani, suo padre era un esempio, benché avesse costatato con le proprie mani che la continua violenza psicologia era grave quanto una violenza fisica e un viso deturpato. Aveva catalogato Rian nella sottile fazione costituita da uomini e quella lista era tristemente misera di nomi. Le bastarono pochi istanti per inserire Edward tra quei nomi - e qualsiasi fosse la sua stranezza non avrebbe cambiato idea in proposito – e Carlisle.  

≪La ringrazio dottore. Possiamo andare?≫, chiese Charlie.

Carlisle annuì, seppur a malincuore.

≪Ci sono alcuni fogli da firmare per la dimissione, poi siete liberi di andare via≫, disse, scortando Charlie fuori dall’ambulatorio, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo al figlio: avrebbe dovuto sistemare ciò che rimaneva in sospeso.

I ragazzi, rimasti soli, continuarono a osservare ancora per qualche istante la porta dietro dalla quale erano scomparsi. Isabella fu la prima a desistere e posare gli occhi sulla figura di Edward. Quando comprese che il ragazzo non aveva intenzione di voltarsi si alzò cautamente dal lettino, attendendo una nuova vertigine che non arrivò e infilò nuovamente il giubbotto. Sospirò tristemente. Se avesse creduto nella sfortuna, avrebbe addotto la colpa a quel giorno, venerdì tredici e magari avrebbe fatto qualche scongiura contro la malaugurata data del suo compleanno, ma riponendo totale fiducia nella razionalità si limitò a criticare la propria scelta di parcheggiare in quel determinato posto, pur di non girare troppo a lungo a bordo del pick-up, attirando l’attenzione di tutti con il suo frastuono.

Quando si voltò, Edward finalmente la imitò. Lei gli fece cenno di uscire e il ragazzo annuì, accostandosi al suo fianco, aprendo cavallerescamente la porta del pronto soccorso e seguendola in silenzio.

Quando furono all’esterno dell’edificio, ancora nessuno dei due accennava ad aprir bocca, Bella trasse un profondo respiro e si voltò per affrontarlo, trovandolo molto più vicino di quanto avesse sospettato: non lo aveva sentito muoversi alle sue spalle. La ragazza non si lasciò intimidire e allungò il collo quanto più poté, senza riuscire ugualmente a raggiungere la sua altezza, benché fosse alta un buon metro e settanta centimetri.

Edward non scostò lo sguardo da lei, immergendosi nelle sue pupille scure, con la stessa sfrontatezza di chi non aveva nulla da nascondere e tutta la verità dalla propria parte, dentro di sé annegava nel suo coraggio e nel proprio sentimento.

≪Grazie≫, sussurrò Bella, continuando a fronteggiarlo pur arrossendo.

Edward rimase stupido dal sentimento con il quale pronunciò quelle parole e dalla dolcezza della sua voce. Per un istante s’illuse che avesse dimenticato, ma...

≪Non vorrei pensassi che io sia un’ingrata, in ogni caso, se non fosse stato per te, questo sarebbe stato il mio ultimo compleanno. E... ti ringrazio, Edward. Ma io so quello che ho visto e tuo padre ha confermato che non ho subito alcun trauma cranico e che non sono in stato di shock, perciò la mia mente funziona ed io sono lucida≫, terminò la ragazza.

≪Ha anche detto che potresti non essere consapevole del tuo shock≫, replicò lui, trattenendo un sorriso.

Bella assottigliò lo sguardo, intuendo che, pur non volendo, stessero giocando.

≪Allora dimmi, Edward – e pronunciò il suo nome trattenendo il ghigno che le tagliava il volto e con inconsapevole sensualità, che fece tremare il vampiro – tra i suoi sproloqui Tyler ha confermato di non essere riuscito a fermare l’auto; pensa che sia vivo per un miracolo. E, sorvolando sul fatto che l’abbia confessato a un ateo, io so di aver visto quello che è realmente successo, non riesco a capacitarmene, ma in un modo o nell’altra la macchina deve essersi fermata≫.

≪Cosa credi di aver visto, Bella? Pensi che abbia fermato il furgone con una mano – le mostrò i palmi - senza riportare escoriazioni o fratture? Pensi che sia comparso al tuo fianco in un attimo, sotto lo sguardo di centinaia di studenti, volando, teletrasportandomi, oppure credi che nasconda una calzamaglia blu e rossa sotto i vestiti? Sono congetture assurde sulle quali ho sorvolato e continuerò a farlo perché la paura deve averti confuso≫, concluse Edward, biasimando se stesso. Si ripeté che fosse l’unico modo per rimanerle a fianco e proteggere la propria famiglia, ma ciò non pacificò con la sua coscienza.

≪Io non ho avuto... paura – sibilò lei. Ero... terrorizzata e sai che in quel momento ti ho visto accanto all’auto. E poi tutto è finito in un attimo. Non ho più avuto occasione di essere spaventata perché qualcuno mi si è parato di fronte e mi ha stretto in una gabbia d’acciaio. E quando ho alzato gli occhi... eri lì. Mi dirai che anche questa è stata un’allucinazione?≫, chiese.

≪Quest’ultima parte è reale≫, sussurrò lui, sollevando il braccio e avvicinando i polpastrelli alla sua guancia.

Sfiorò la pelle del suo volto con tanta esitazione e delicatezza da dare l’impressione che non la stesse toccando.

≪Ricordi... ho promesso che sarei venuta a capo dei tuoi misteri. Ma non direi niente a nessuno. Soltanto, mi piacerebbe sapere chi devo ringraziare≫, sussurrò lei.

≪Me. Hai ringraziato me≫, si animò lui, ≪io sono ciò che vedi, niente di più, niente di meno. Rimarresti delusa se cercassi altro≫.

Bella boccheggiò, senza riuscire a dire nulla.

≪Ammetti che i tuoi occhi ti hanno ingannato, che sei umana e lo shock...≫.

Il braccio di Bella si levò dal suo fianco e il suo palmo si abbatté contro la guancia lattea di Edward. Non le sarebbe importato di sfregiare il suo volto bellissimo, o, nel caso fosse duro come sospettava, di ferirsi. Seguì l’impulso di picchiarlo, ma una mano forte come una catena arrivò provvidenzialmente ad arrestare quella corsa.

Edward, stupito in un primissimo momento, non trattenne più il sorriso. Scosse il capo come ad ammonirla, benché sapesse che in questo modo avrebbe scatenato la sua irritazione, soltanto per vedere la scintilla nel suo sguardo.

≪Lascia stare, Bella. Potresti farti male≫.

Entrambi accolsero quelle parole come un fatto incontestabile, sapendo che il ragazzo non si riferiva a quello schiaffo. Se Bella avesse perseguito, avrebbe rischiato molto più di una frattura al polso, ma al contempo, se non avesse rincorso la verità, il suo cuore ne sarebbe rimasto mortalmente lacerato. Lo stesso rischio che correva nel rincorrere un uomo al di là delle sue possibilità, con la sola differenza che, nel primo caso, c’era una chance che la storia avesse una conclusione felice, nel secondo avrebbe avuto soltanto un cuore ferito tra le mani e nient’altro.

Edward lasciò andare il poso che stringeva ancora tra le dita, muovendo qualche passo indietro senza abbandonare il contatto visivo, poi si voltò e discese i pochi gradini dell’ingresso. Bella avrebbe voluto urlargli tutti gli insulti che conosceva e la sua disperata richiesta di risposte, battendo i pugni su quella schiena ampia e costringendolo a voltarsi; a non allontanarsi. Ma in quello stesso istante un’auto inchiodò sul marciapiede. Il motore si spense e la portiera si spalancò, mostrando la figura agitata di Reneé. Il suo sguardo impazzito si riempì di sollievo quando notò la figura della figlia sulla gradinata. Non badò al ragazzo che la passava a fianco, ma si affrettò a raggiungere la ragazza, saltandogli al collo e singhiozzando.

Edward lanciò un ultimo sguardo alle proprie spalle e alla donna distrutta che piangeva tra le braccia della figlia, sfogando tutto il dolore che aveva provato quando le comunicarono dell’incidente. Incrociò un’ultima volta lo sguardo della fanciulla, prima che questa seppellisse il volto tra i capelli di sua madre e ricambiasse l’abbraccio, rassicurandola con parole gentili.

Se in fine avesse dovuto lasciarla, Isabella non sarebbe stata sola. Aveva una madre che l’amava e una famiglia lontana che adorava e che ricambiava il suo affetto.   

Bella versò qualche lacrima, tra le braccia di sua madre, mentre l’uomo che stava diventando il centro del suo mondo si allontanava da lei, destabilizzando il suo equilibrio. Camminava intrepida su un filo sottile a molti metri dal suolo, senza riuscire a scorgere l’impalcatura d’arrivo. Avanzava sperando di non realizzare che non fosse un vero equilibrista e insieme ai metri che calpestava cresceva la preoccupazione. Non era certa che esistesse un arrivo. Forse, l’unico modo per scendere dalla fune, sarebbe stato lasciarsi cadere.

******

Charlie rientrò in servizio, mentre Bella e Reneé ritornarono a casa.

≪Mi dispiace che tu abbia vissuto un diciassettesimo compleanno così brutto, tesoro. Vedrai che il prossimo andrà meglio≫, disse Reneé.

Bella annuì, benché volesse dissentire. Contro ogni ragionevole giudizio, avrebbe catalogato quel compleanno come uno dei più interessanti e sapeva di dover addurre tutto il merito solo ed esclusivamente a una persona. Il regalo migliore che Edward potesse farle era stato darle l’occasione di ampliare la lista degli uomini conosciuti in vita, quindi, la sua stessa esistenza.

Quando la donna parcheggiò di fronte casa, Bella scese dal mezzo, desiderando soltanto di sentire la voce di suo fratello e di sua sorella, cui non avrebbe detto nulla di quanto era accaduto, per non preoccuparli inutilmente.

≪Bella?≫, la chiamò Reneé, ≪Charlie deve aver riportato il Pick-up≫, disse, indicando l’auto ferma sul vialetto che lei non aveva notato.

La donna entrò in casa, lasciando la ragazza incerta davanti all’auto. La sua attenzione fu catturata da un luccichio argenteo. Si avvicinò cautamente e si abbassò sulle ruote dell’auto. Erano circondate da catene da neve. Era impossibile che Charlie avesse avuto il tempo materiale di inserirle sul pick-up, ammesso e non concesso che avesse deciso di farlo. Si sollevò dall’asfalto innevato e la sua attenzione fu nuovamente catturata da un foglietto attaccato ai tergicristalli. Lo afferrò e lo lesse:

Cara Tyson,

ho pensato che queste avrebbero impedito nuovi incidenti e visite a mio padre.

Buon compleanno, Edward.

  
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