CAPITOLO 3 –
SCINTILLE…
Passò
l’estate e giunse settembre, la caccia al ladro di Oleander
proseguiva, ma il
misterioso individuo era sempre un passo avanti a lei e il
più delle volte
trovava solo i resti delle sue bravate. Oleander aveva ideato un
reagente che
spruzzava sugli oggetti sospetti: se diventava di colore rosso, erano
stati
contaminati dal fluido del vaso di Pandora e si trattava del suo uomo,
altrimenti era l’azione di qualche fantasma o altro spirito.
L’idea le era
venuta dal Luminol, tanto usato nel suo telefilm preferito: C.S.I.!
Tutto
questo, però, dopo aver rischiato di far saltare per aria il
suo appartamento,
per aver sbagliato il dosaggio di pirite di Marte per il reagente e
aver dovuto
praticare Oblivion a ripetizione su vicini di casa, pompieri, vigili
urbani e
semplici passanti curiosi (i maghi obliviatori del Ministero della
Magia
italiano erano in sciopero da due settimane per una questione di
rinnovo
contrattuale).
Dall’inizio
di ottobre si trovava in Francia ed era stata affiancata nelle sue
indagini dal
signor Morlet, professore di Babbanologia dell’Accademia di
Beauxbatons.
Oleander temeva peraltro che il buon uomo i babbani li avesse visti
solo in
fotografia, perché sapeva davvero poco delle loro abitudini.
L’unica
cosa divertente della sua compagnia era che parlava come
l’ispettore Clouseau
del film “La pantera Rosa”: si esprimeva in un
italiano strascicato, dal forte
accento e la prima volta che lo sentì pronunciare la parola
“stònsa” fece uno
sforzo incredibile per non scoppiare a ridere come una matta.
Ad
ogni buon conto il signor Morlet non era un aiuto per le sue indagini,
anzi,
più spesso si dimostrava una palla al piede; come quella
mattina, ad esempio. Si
trovavano all’interno di un ospedale babbano: il giorno prima
una bimba di sei
anni disse di essere stata inseguita da un mostro fatto di fiori mentre
giocava
in un prato; scappando era inciampata e caduta rovinosamente, battendo
la testa
e rompendosi una caviglia. La polizia locale aveva trovato parecchi
fiori, in
effetti, ma ipotizzava che fossero caduti da un camion in corsa che
passava
lungo una strada lì vicino e la bambina si fosse inutilmente
spaventata per
quello. Oleander voleva accertarsi di persona se si trattava del suo
uomo e,
per passare inosservati, aveva suggerito di travestirsi da infermieri.
Con una
cartelletta in mano, fingeva di prendere appunti e agiva in modo del
tutto
spontaneo, mentre il suo compagno era impacciatissimo in quegli abiti
per lui
inusuali. La maga scosse la testa irritata, pensando che un manichino
sarebbe
stato più naturale; spruzzò il reagente sui
vestiti della bambina e su di essi
comparvero alcune macchioline rosse.
“Benissimo
– esclamò Morlet – ora che ha
verificato, possiamo andare? L’odore di questo
luogo è disgustoso.” L’uomo si premette
un fazzoletto sul naso, sembrava lì lì
per dare di stomaco.
“E’
solo disinfettante.” Oleander roteò gli occhi: ma
perché doveva portarsi dietro
quella palla al piede? “Evidentemente
in
quel villaggio di indigeni che ho sterminato c’erano un sacco
di bambini,
anziani e donne incinte…”
La
bambina si mosse nel letto, lamentandosi in preda ad un incubo. Era
pallida e
il profilo delle palpebre era arrossato per il lungo pianto.
“Povera piccola –
allungò una mano e le scostò i ricci biondi dalla
fronte – ti sei presa un
bello spavento, vero?” Oleander guardò verso il
corridoio, si accertò che
nessuno la notasse, poi si chinò su di lei e
pronunciò adagio “Legilimens.”
“Ma
cosa fa!” proruppe il professore di Beauxbatons.
Oleander
lo ignorò completamente e chiuse gli occhi, penetrando
nell’inconscio della
bambina. Come immaginava, era traumatizzata da visioni spaventose:
sognava di
annegare, trascinata sul fondo di un fiume da rovi di rose come
tentacoli di
piovra, o di essere fatta a pezzi ed inghiottita da gigantesche piante
carnivore. La maga interruppe il contatto e si sedette su una sedia,
tirando
fuori dalla borsa in tutta calma alcuni attrezzi: un cerchio di legno
di
quercia, un filo di acciaio sottile, dei granati ed un robusto
uncinetto. Il
signor Morlet la guardava come se necessitasse urgentemente di un
ricovero al
San Mungo “Mademoiselle Silvestre, è
impazzita?”
“Affatto.
Ma la bambina è terrorizzata a morte e rischia il crollo
nervoso, quindi le
costruisco un acchiappasogni che allontanerà gli incubi e la
aiuterà a guarire:
i granati sono gemme che portano gioia e tranquillità, non
lo sapeva?”
“Io
non credo proprio che si possa fare. Prima bisognerebbe consultare il
Ministero
della Magia e poi…”
“Non
sono d’accordo – lo interruppe la maga –
la bambina è in questo stato per colpa
di una magia, è nostro dovere aiutarla.”
Sentenziò, lavorando il filo d’acciaio,
al quale andava legando le pietre. La caposala si affacciò
nella stanza e
disse: “Il paziente della
Oleander
non alzò gli occhi dal suo lavoro, continuando a cucire ed
intrecciare pietre e
Morlet iniziò a balbettare “Ma-ma l-lei non
penserà che io…”
“Professore
– cinguettò la donna – non
vorrà far saltare la nostra copertura, vero?”
Quella
sera si recarono sul luogo dell’incidente: gran parte dei
fiori erano spariti
chissà dove, restavano solo qua e là alcune
piantine avvizzite. “Direi che la
pista si interrompe qua.” Disse Morlet, ansioso di tornare al
sicuro, tra le
mura della sua Accademia.
“No
– disse Oleander – non questa volta. Si sta
spingendo troppo in là. O la cosa
gli è sfuggita di mano o questo individuo non si cura
minimamente delle
conseguenze dei suoi gesti; in ogni caso ho paura che presto qualcuno
dovrà
piangere dei morti.” Tirò fuori la bacchetta
magica, agitandola in direzione
dei fiori:
“Che
fate ancora qui,
io vi domando?
Ai vostri
compagni riunitevi, io vi comando!”
I
fiori si sollevarono in un turbinio e svolazzarono tutti in una
direzione,
Oleander montò a cavallo della sua scopa e li
seguì. Li vide cadere a pioggia
sopra la vecchia zona industriale della città, in
particolare attorno ad una
fabbrica abbandonata, dove erano sparpagliati anche tutti gli altri
fiori che
avevano aggredito la bambina. Oleander si guardò attorno con
circospezione,
avanzando con la bacchetta tesa, pronta a schiantare qualunque cosa si
muovesse,
ma il liquido doveva aver già finito il suo effetto.
Alzò lo sguardo
sull’insegna della fabbrica: un tempo lì si
confezionava il tè. Un vecchio
disegno scolorito dalle intemperie raffigurava un treno a vapore in
arrivo in
una stazione; sullo sfondo Buckingham
Palace. E il cartello era ancora coperto dalla limacciosa sostanza
iridescente:
la traccia più fresca che le fosse capitata fino a quel
momento. Improvvisamente
si staccò dai supporti, cercando di volare via come un
bizzarro tappeto
volante, ma Oleander gridò
“Stupeficium!” mandandolo in mille pezzi.
“Forse questa
volta so dove sei diretto.”
Ci aveva preso: il giorno dopo,
quando scese dal
treno a King’s Cross, si era da poco verificato un singolare
incidente: due
carrelli degli inservienti avevano deciso di improvvisare una gara di
Formula 1
tra i passeggeri terrorizzati, per poi andarsi a schiantare contro la
vetrina
di un negozio di souvenir. Oleander superò senza rallentare
due operai che
stavano facendo ipotesi su cosa potesse essere successo (la batteria, i
freni,
un corto circuito…) e si diresse decisa verso il binario 9 e
3/4. Ora il suo
uomo era su un’isola e aveva la possibilità di
bloccarlo lì; aveva già in mente
come fare, ma per realizzare la sua idea le serviva aiuto. Si
accertò che
nessuno la osservasse, attraversò la barriera e si
trovò sulla banchina. Sul
binario non c’era l’espresso per Hogwarts, ma un
minuscolo treno merci: “Va ad
Hogwarts?” chiese al macchinista.
“Veramente vado alle
miniere dei nani che stanno più
a nord, ma
“Bene, allora credo che
dovrò chiederle un
passaggio.” E senza attendere la risposta, Oleander
buttò in vettura il
bagaglio e salì a bordo.
“Immagino
sia stato un viaggio scomodo, Oleander. Se mi avessi avvisato del tuo
arrivo,
ti avrei fatta venire a prendere da Hagrid.” Albus Silente
andò incontro alla
sua ospite, offrendole una fumante tazza di tisana ai mirtilli e frutti
di
bosco, addolcita con miele d’acacia.
Oleander
ringraziò per la bevanda e ne bevve immediatamente alcuni
sorsi: era deliziosa
“Nessun problema. Piuttosto è lei che mi deve
scusare se sono piombata qui
all’improvviso, ma è successo tutto molto in
fretta.”
Silente
conosceva di vista il padre e lo zio di Oleander (li aveva incontrati
qualche
volta a convegni dei presidi delle Scuole di Magia d’Europa)
ed era al corrente
della faccenda, avendola seguita con attenzione sulla Gazzetta del
Profeta,
così quando la ragazza gli raccontò cosa aveva in
mente, appoggiò il piano con
entusiasmo. Dato che ora il ladro si trovava su un'isola,
spiegò la maga,
posizionando quattro sfere undine ai punti più esterni della
Gran Bretagna e
sfruttando l'energia dell'oceano, poteva creare una barriera che
avrebbe
impedito al vaso di Pandora ed al suo pericoloso contenuto di uscire
dai
confini. “Resta comunque un territorio vasto da controllare,
ma sempre meglio
che rincorrerlo per tutto il Continente. Purtroppo non ho con me sfere
undine.”
“A
questo credo di poter rimediare io.” Silente aprì
tutti i cassetti della
scrivania, rovesciando sul tavolo una quantità incredibile
di oggetti e libri,
finchè da un lungo contenitore cilindrico tirò
fuori alcune sfere fatte d'acqua,
delle dimensioni di palline da golf e le passò ad Oleander,
che prese dalla
borsa un bulino e iniziò ad incidere simboli magici sulla
superficie dell'acqua.
"Poi bisogna inserire un nucleo di acquamarina, ti serve anche quella?"
"Oh
no, di gemme ne ho in abbondanza."
Silente
la lasciò lavorare, guardandola sorridente al di sopra delle
lenti a mezzaluna,
poi chiese: "E come sta tuo padre?"
Oleander
si bloccò un attimo, prima di rispondere "Bene.......
credo." con una
faccia molto eloquente.
"Oh,
ma certo, che svampito sono: tu sei in giro per l'Europa da mesi, non
l’hai
visto di recente." disse con voce comprensiva.
Le
cose non stavano proprio così, ma Oleander fu grata a
Silente per il suo tatto
e per aver evitato quell'argomento spinoso. Poi i due maghi presero una
cartina
dell'Inghilterra e posizionarono le sfere nei punti più a
nord, est, sud ed
ovest dell'isola, poi congiunsero le mani. "A te l'onore." le disse
Silente. Oleander annuì, poi pronunciò la formula
magica:
"Alzatevi,
mie dilette, e volate,
sulla riva
del
mare approdate.
Affinchè
l'emergenza venga bloccata,
a me
occorre che
una barriera sia innalzata."
Le
sfere brillarono leggermente, lievitarono fuori dalla finestra,
salirono alte
nel cielo e poi si divisero, in direzione dei quattro punti cardinali.
"La
creazione della barriera di sicuro metterà il ladro in
allarme, quindi non si
muoverà per un po'. Per stanotte sono costretta a chiederle
ospitalità, poi
domani tornerò a Londra e prenderò una camera in
albergo."
"Ah
no – disse Silente, in un tono gentile, ma che non ammetteva
alcuna replica –
per tutto il tempo che vorrai tu sarai mia gradita ospite." In un gesto
di
cavalleria le porse il braccio per accompagnarla nella sua stanza
"Anzi,
se c'è qualcosa che posso fare per te, chiedi pure."
"Ecco,
ho finito quasi tutti gli ingredienti magici ed anche il reagente che
uso per
individuare le tracce del ladro. A Beauxbatons non ho fatto in tempo a
fare
rifornimento."
"Nessun
problema, Oleander, il nostro professore di pozioni sarà
entusiasta di aiutarti."
A
quelle parole a momenti Fanny cadde dal suo trespolo.
I
primi raggi del sole filtrarono attraverso le spesse tende di velluto
bordeaux
della stanza di Severus Piton. L'uomo in realtà era
già sveglio da tempo: erano
molte notti che dormiva poco e male. Da più di un mese ormai
Voldemort non lo
mandava a chiamare, non era mai passato così tanto tempo da
quando era
riapparso sulla scena e più giorni passavano, più
Piton si tormentava: il Signore
Oscuro aveva forse scoperto i piani di Albus? Tutti i loro sforzi, le
fatiche,
i sacrifici non erano valsi a nulla? Si coprì con le mani il
viso stanco.
Ma
non era quello il suo unico tormento: il fatto era che ogni giorno
lontano da
Voldemort era per lui come una boccata d'ossigeno, creava l'illusione
di poter
avere una vita normale, di potersi dedicare solo ai suoi insegnamenti e
a
sottrarre punti a Grifondoro. Voldemort, con la sua assenza che pesava
più
della sua presenza, gli aveva messo davanti quel miraggio. Eppure lui
sapeva
che era solo un miraggio, presto o tardi lo avrebbe richiamato e quella
breve
illusione sarebbe svanita nel nulla, precipitandolo nuovamente
nell'inferno del
suo passato di Mangiamorte, in una vita in cui le sue mani grondavano
ancora
sangue e non c'era alcuna speranza per il futuro. E lui avrebbe dovuto
ancora
fingere di approvare, di provare gioia, di applaudire al Signore Oscuro
che
predicava morte e distruzione, mentre il suo cuore veniva lacerato dal
ricordo
delle molte vite che aveva spezzato.
Lord
Voldemort era anche questo per Severus Piton: il ricordo indelebile e
continuo
dei suoi crimini, di ciò che era stato, di ciò
che probabilmente sarebbe stato
per sempre. Un assassino, macchiato da colpe che nessuna espiazione
avrebbe mai
più potuto cancellare.
Questi
e molti altri foschi pensieri occupavano la mente dell'uomo mentre
finiva di
indossare il consueto vestito nero. Contrasse il viso nella sua
classica
espressione arcigna e severa e decise di scendere, prima di colazione,
nel suo
laboratorio sotterraneo, per controllare una pozione che aveva messo a
bollire
la sera prima e che ormai doveva essere pronta.
Ah,
a colazione Albus avrebbe presentato una donna che si fermava a
Hogwarts per un
po', una specie di investigatrice, gli era parso di capire.
Anche
Oleander si alzò presto, ma lei era rinfrancata da una bella
dormita (il letto
di quella stanza era il più comodo sul quale avesse dormito)
e voleva recarsi
il prima possibile nel laboratorio di pozioni. Un elfo aveva provveduto
a
lavarle i vestiti e farglieli trovare impeccabilmente stirati e appesi
dentro
l’armadio. Si ravvivò con le mani i capelli corti
ed uscì in corridoio: era
ancora presto e in giro non c’era anima viva, solo un
fantasma che volteggiava
mollemente attorno al soffitto.
Dopo
aver girato a vuoto ed essere tornata per due volte davanti alla sua
stanza,
Oleander chiese indicazioni per il laboratorio di pozioni ad uno dei
quadri,
che raffigurava una donna sulla cinquantina intenta a sferruzzare
alacremente a
maglia una sciarpa. L’indumento aveva una lunghezza
spropositata, tanto che
aveva occupato quasi tutto il quadro a fianco (il cui proprietario
aveva
pensato bene di andare a farsi un giro) e metà del suo.
“Il
laboratorio di Piton, mia cara? Perché mai a una bella
ragazza come te interessa
un posto tanto tetro?”
“Ho
bisogno di alcuni ingredienti. Lei ha detto Piton… intende
Severus Piton?”
“Sì,
mia cara. Lo conosci?”
La
donna fece spallucce “L’ho sentito
nominare.” All’epoca Oleander aveva seguito,
come chiunque altro, le cronache della caduta di
Colui-che-non-può-essere-nominato e i successivi processi ai
suoi seguaci.
Piton era uno di quelli che ne era uscito pulito, grazie ad una solida
difesa
di Albus Silente.
“Mmh…
dì, mia cara, cosa ne pensi della mia sciarpa? Credi che ad
Arthur piacerà?”
“Certamente.”
“Sempre ammesso che Arthur sia
un’anaconda
od una giraffa.” pensò.
“Il
laboratorio di pozioni, hai detto, mia cara, eh? Va fino in fondo al
corridoio,
passa dietro l’arazzo bianco, prendi la prima porta sulla
sinistra, attraversa
l’atrio e poi scendi le scale fino all’ultimo
gradino: è l’ultima porta in
fondo.”
Oleander
seguì le istruzioni e si ritrovò a scendere per
una scala che sembrava
infinita, mentre l’ambiente si faceva sempre più
umido e buio. Bussò
educatamente al pesante portone di legno massiccio del laboratorio, ma
nessuno
rispose, quindi si azzardò ad entrare “Permesso,
c’è nessuno?” La stanza era
immersa in una oscurità quasi totale, tranne che per un paio
di lampade ad olio
ed un calderone che ribolliva sul fuoco. Per evitare di andare a
sbattere da
qualche parte, tirò fuori la bacchetta ed accese le candele
della stanza. Ora
capiva perché la donna del ritratto aveva definito il
laboratorio “tetro”.
Luoghi come i laboratori di pozioni o le farmacie magiche non erano mai
particolarmente gradevoli per la vista, ma lì gli
ingredienti più macabri e
disgustosi sembravano essere messi apposta in bella vista, per
opprimere gli
studenti che durante le lezioni dovevano affollare i tavoli. Su una
cosa però
la donna dovette ricredersi: pensava che quel posto, oltre che oscuro,
fosse
anche sporco, invece il professore lo teneva molto pulito,
constatò, passando
le dita sugli scaffali. Le pareva un po’ maleducato servirsi
da sola, ma visto
che non arrivava nessuno, tirò fuori la lista di
ciò che le serviva: pirite di
Marte, legno di ginko e penne di ibis rosso. Cercò un
po’ in giro, leggendo le
etichette dei vari barattoli, ma a un certo punto si voltò,
sentendo uno strano
sibilo provenire dal calderone. Lei non era certo un’esperta
di pozioni, ma
normalmente facevano quel rumore?
Non
fece in tempo a darsi una risposta, perché il contenuto
esplose fragorosamente,
facendo schizzare il calderone fino al soffitto e spandendo
tutt’attorno un
denso fumo bluastro. Tossendo, Oleander cercò di pronunciare
la formula per far
dissipare la nebbia, ma una voce più forte e decisamente
furiosa coprì la sua,
poi un uomo alto e magro, completamente vestito di nero, fece la sua
comparsa.
“In
nome di Tolomeo! Che cos’è successo
qui?” con un solo gesto Piton fece
disperdere il fumo, guardò prima il calderone, poi la
pozione sparsa ovunque e
infine la donna che tossiva appoggiata ad uno scaffale “Chi
è lei? Cosa ci fa
qui? Chi le ha dato il permesso di entrare nel mio laboratorio? E che
diavolo
ha combinato?” avanzò velocemente verso di lei, il
mantello che gli svolazzava
alle spalle, gli occhi neri scintillanti. Dodici ore per preparare
quella
pozione e adesso questa scema la faceva saltare per aria. Aveva il
sospetto che
fosse l’ospite di Silente. Se era davvero così, si
augurava che restasse ad
Hogwarts il meno possibile.
La
scema in questione, però, non sembrava per nulla intimorita
dalla sua sfuriata
“Se mi fa una domanda per volta, forse riesco a
risponderle.” Ribattè acida,
schiarendosi la gola.
“Le
hai mai detto nessuno – la rimproverò Piton con
voce glaciale – che le cose
altrui non si toccano?”
“Io
non ho toccato un bel niente!” si difese Oleander,
guardandolo come se fosse
pazzo.
“E
allora quello come lo spiega?” il mago puntò un
indice accusatore contro il
calderone distrutto.
“Non
lo spiego, non mi ci sono nemmeno avvicinata a quell’affare.
Il liquido ha
iniziato a sibilare e poi è saltato
per…”
“Sciocchezze!
– la interruppe lui – non era una pozione
esplosiva.”
“Forse
– insinuò Oleander, indispettita per essere stata
zittita – ha sbagliato
qualcosa. Perché, le ripeto, io non…”
“Basta
così. Fuori dal mio laboratorio.”
Sibilò Piton, con gli occhi che guizzavano di
rabbia come fiamme nere.
“Ma
se lei mi lasciasse spiegare fino in f….”
insistette.
“No,
ha già fatto abbastanza.”
“Ce
l’ha per abitudine di interrompere le persone mentre stanno
parl…..”
“Solo
quando dicono cose inutili.” Concluse l’uomo,
gelido.
Oleander
gettò la spugna e si allontanò sbattendo la
porta, pensando che se fosse
restata un attimo di più, avrebbe estratto la bacchetta
magica e non per farne
uscire arcobaleni e colombe di pace. Piton ascoltò con
sollievo i passi rapidi
di quella donna allontanarsi sempre più. “Nemmeno
gli studenti del primo anno
riuscirebbero a fare un tale disastro.” Borbottava tra
sé il professore,
contrariato. Si apprestò a ripulire la pozione sparsa
ovunque, quando si
accorse che nell’aria ristagnava un odore strano, che il
preparato, esploso o
no, non avrebbe dovuto avere: colto da un dubbio atroce prese da uno
scaffale due
barattoli contenenti l’uno pelle di anguilla elettrica dei
Mari del Nord e
l’altro quella dei Mari del Sud, che era lievemente
più chiara della prima.
Qualcuno aveva invertito le etichette sui barattoli e lui,
soprapensiero, aveva
usato l’ingrediente sbagliato. Ecco il motivo di
quell’esplosione! E l’ultimo
studente al quale per punizione aveva fatto riordinare gli ingredienti
era
stato…
“NEVILLE
PACIOCK! TI FARO’ AFFETTARE ROSPI SINO ALLA FINE DEI TUOI
GIORNI!”
L’urlo
belluino di Piton fece tremare tutte le provette del laboratorio.
Nel
frattempo Calì e Padma Patil stavano cercando di raggiungere
“Vi
avviso, non sono assolutamente dell’umore adatto per questi
giochetti.” Disse
in direzione delle scale, gli occhi ridotti a due fessure. Le scale
smisero
all’istante di muoversi, facendole passare.
Oleander
tornò verso la sua camera e la donna sferruzzante del
ritratto le chiese
“Trovato il laboratorio di pozioni, mia cara?”
“Sì.
Purtroppo sì.” E sparì nella sua stanza
per sbollire la rabbia.
“Quel
Piton! Parola mia, è l’uomo più
scontroso che abbia mai conosciuto. Povera
cara, chissà che le ha detto.” Si
lamentò la signora.
“Angela,
non impicciarti degli affari altrui come tuo solito.” La
rimbeccò Arthur, che
nel frattempo aveva ripreso possesso della sua cornice e stava piegando
la
chilometrica sciarpa della consorte.
==============================
Ringraziamenti
e commenti:
@
MistralRapsody e Arabesque: grazie di cuore, la vostra recensioni mi ha
fatto
un enorme piacere e ha spazzato via dei dubbi che avevo. Temevo infatti
di
essermi dilungata troppo nell’introduzione e nella
descrizione dei luoghi,
perciò sono contenta che vi sia piaciuta.
@Leonella:
hai ragione, scusami! Sono andata a pescare una pietra dal nome proprio
difficile, credo che nessuno la conosca. L’eliotropio
è una pietra di colore
verde scuro con sfumature rossastre. Il vasistas è quel tipo
di finestrella che
si apre dall’alto verso l’interno. Per quanto
riguarda Oleander non ce l’ha solo
con suo zio, ma con tutto il ramo paterno della sua famiglia, per
motivi che
approfondirò meglio in seguito. Comunque posso dirti che da
piccola si sentiva
poco considerata e messa in disparte da tutti tranne che da sua mamma,
inoltre
(e lo vedrai nella storia) è estremamente cocciuta, quindi
se n’è andata di
casa rifiutando di avere qualsiasi contatto con i familiari.