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Autore: Hotaru_Tomoe    29/06/2007    4 recensioni
Oleander Silvestre, creatrice di oggetti magici, riceve suo malgrado l’incarico di inseguire un ladro che si è appropriato di un oggetto potenzialmente pericoloso e le sue indagini la condurranno a Hogwarts. Il primo impatto non sarà dei più positivi, perchè si scontrerà con il professore più burbero e odiato della famosa scuola di magia e stregoneria. I due sono diversissimi: lei ha un temperamento di fuoco, lui un carattere di ghiaccio. Riusciranno ad andare d’accordo?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Severus ed Oleander'
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CAPITOLO 3 – SCINTILLE…

Passò l’estate e giunse settembre, la caccia al ladro di Oleander proseguiva, ma il misterioso individuo era sempre un passo avanti a lei e il più delle volte trovava solo i resti delle sue bravate. Oleander aveva ideato un reagente che spruzzava sugli oggetti sospetti: se diventava di colore rosso, erano stati contaminati dal fluido del vaso di Pandora e si trattava del suo uomo, altrimenti era l’azione di qualche fantasma o altro spirito. L’idea le era venuta dal Luminol, tanto usato nel suo telefilm preferito: C.S.I.!

Tutto questo, però, dopo aver rischiato di far saltare per aria il suo appartamento, per aver sbagliato il dosaggio di pirite di Marte per il reagente e aver dovuto praticare Oblivion a ripetizione su vicini di casa, pompieri, vigili urbani e semplici passanti curiosi (i maghi obliviatori del Ministero della Magia italiano erano in sciopero da due settimane per una questione di rinnovo contrattuale).

Dall’inizio di ottobre si trovava in Francia ed era stata affiancata nelle sue indagini dal signor Morlet, professore di Babbanologia dell’Accademia di Beauxbatons. Oleander temeva peraltro che il buon uomo i babbani li avesse visti solo in fotografia, perché sapeva davvero poco delle loro abitudini.

L’unica cosa divertente della sua compagnia era che parlava come l’ispettore Clouseau del film “La pantera Rosa”: si esprimeva in un italiano strascicato, dal forte accento e la prima volta che lo sentì pronunciare la parola “stònsa” fece uno sforzo incredibile per non scoppiare a ridere come una matta.

Ad ogni buon conto il signor Morlet non era un aiuto per le sue indagini, anzi, più spesso si dimostrava una palla al piede; come quella mattina, ad esempio. Si trovavano all’interno di un ospedale babbano: il giorno prima una bimba di sei anni disse di essere stata inseguita da un mostro fatto di fiori mentre giocava in un prato; scappando era inciampata e caduta rovinosamente, battendo la testa e rompendosi una caviglia. La polizia locale aveva trovato parecchi fiori, in effetti, ma ipotizzava che fossero caduti da un camion in corsa che passava lungo una strada lì vicino e la bambina si fosse inutilmente spaventata per quello. Oleander voleva accertarsi di persona se si trattava del suo uomo e, per passare inosservati, aveva suggerito di travestirsi da infermieri. Con una cartelletta in mano, fingeva di prendere appunti e agiva in modo del tutto spontaneo, mentre il suo compagno era impacciatissimo in quegli abiti per lui inusuali. La maga scosse la testa irritata, pensando che un manichino sarebbe stato più naturale; spruzzò il reagente sui vestiti della bambina e su di essi comparvero alcune macchioline rosse.

“Benissimo – esclamò Morlet – ora che ha verificato, possiamo andare? L’odore di questo luogo è disgustoso.” L’uomo si premette un fazzoletto sul naso, sembrava lì lì per dare di stomaco.

“E’ solo disinfettante.” Oleander roteò gli occhi: ma perché doveva portarsi dietro quella palla al piede? “Evidentemente in quel villaggio di indigeni che ho sterminato c’erano un sacco di bambini, anziani e donne incinte…”

La bambina si mosse nel letto, lamentandosi in preda ad un incubo. Era pallida e il profilo delle palpebre era arrossato per il lungo pianto. “Povera piccola – allungò una mano e le scostò i ricci biondi dalla fronte – ti sei presa un bello spavento, vero?” Oleander guardò verso il corridoio, si accertò che nessuno la notasse, poi si chinò su di lei e pronunciò adagio “Legilimens.”

“Ma cosa fa!” proruppe il professore di Beauxbatons.

Oleander lo ignorò completamente e chiuse gli occhi, penetrando nell’inconscio della bambina. Come immaginava, era traumatizzata da visioni spaventose: sognava di annegare, trascinata sul fondo di un fiume da rovi di rose come tentacoli di piovra, o di essere fatta a pezzi ed inghiottita da gigantesche piante carnivore. La maga interruppe il contatto e si sedette su una sedia, tirando fuori dalla borsa in tutta calma alcuni attrezzi: un cerchio di legno di quercia, un filo di acciaio sottile, dei granati ed un robusto uncinetto. Il signor Morlet la guardava come se necessitasse urgentemente di un ricovero al San Mungo “Mademoiselle Silvestre, è impazzita?”

“Affatto. Ma la bambina è terrorizzata a morte e rischia il crollo nervoso, quindi le costruisco un acchiappasogni che allontanerà gli incubi e la aiuterà a guarire: i granati sono gemme che portano gioia e tranquillità, non lo sapeva?”

“Io non credo proprio che si possa fare. Prima bisognerebbe consultare il Ministero della Magia e poi…”

“Non sono d’accordo – lo interruppe la maga – la bambina è in questo stato per colpa di una magia, è nostro dovere aiutarla.” Sentenziò, lavorando il filo d’acciaio, al quale andava legando le pietre. La caposala si affacciò nella stanza e disse: “Il paziente della 4 ha vomitato, uno di voi due deve andare a pulire.”

Oleander non alzò gli occhi dal suo lavoro, continuando a cucire ed intrecciare pietre e Morlet iniziò a balbettare “Ma-ma l-lei non penserà che io…”

“Professore – cinguettò la donna – non vorrà far saltare la nostra copertura, vero?”

Quella sera si recarono sul luogo dell’incidente: gran parte dei fiori erano spariti chissà dove, restavano solo qua e là alcune piantine avvizzite. “Direi che la pista si interrompe qua.” Disse Morlet, ansioso di tornare al sicuro, tra le mura della sua Accademia.

“No – disse Oleander – non questa volta. Si sta spingendo troppo in là. O la cosa gli è sfuggita di mano o questo individuo non si cura minimamente delle conseguenze dei suoi gesti; in ogni caso ho paura che presto qualcuno dovrà piangere dei morti.” Tirò fuori la bacchetta magica, agitandola in direzione dei fiori:

“Che fate ancora qui, io vi domando?

Ai vostri compagni riunitevi, io vi comando!”

I fiori si sollevarono in un turbinio e svolazzarono tutti in una direzione, Oleander montò a cavallo della sua scopa e li seguì. Li vide cadere a pioggia sopra la vecchia zona industriale della città, in particolare attorno ad una fabbrica abbandonata, dove erano sparpagliati anche tutti gli altri fiori che avevano aggredito la bambina. Oleander si guardò attorno con circospezione, avanzando con la bacchetta tesa, pronta a schiantare qualunque cosa si muovesse, ma il liquido doveva aver già finito il suo effetto. Alzò lo sguardo sull’insegna della fabbrica: un tempo lì si confezionava il tè. Un vecchio disegno scolorito dalle intemperie raffigurava un treno a vapore in arrivo in una stazione; sullo sfondo Buckingham Palace. E il cartello era ancora coperto dalla limacciosa sostanza iridescente: la traccia più fresca che le fosse capitata fino a quel momento. Improvvisamente si staccò dai supporti, cercando di volare via come un bizzarro tappeto volante, ma Oleander gridò “Stupeficium!” mandandolo in mille pezzi. “Forse questa volta so dove sei diretto.”

Ci aveva preso: il giorno dopo, quando scese dal treno a King’s Cross, si era da poco verificato un singolare incidente: due carrelli degli inservienti avevano deciso di improvvisare una gara di Formula 1 tra i passeggeri terrorizzati, per poi andarsi a schiantare contro la vetrina di un negozio di souvenir. Oleander superò senza rallentare due operai che stavano facendo ipotesi su cosa potesse essere successo (la batteria, i freni, un corto circuito…) e si diresse decisa verso il binario 9 e 3/4. Ora il suo uomo era su un’isola e aveva la possibilità di bloccarlo lì; aveva già in mente come fare, ma per realizzare la sua idea le serviva aiuto. Si accertò che nessuno la osservasse, attraversò la barriera e si trovò sulla banchina. Sul binario non c’era l’espresso per Hogwarts, ma un minuscolo treno merci: “Va ad Hogwarts?” chiese al macchinista.

“Veramente vado alle miniere dei nani che stanno più a nord, ma la Scuola è sulla strada.”

“Bene, allora credo che dovrò chiederle un passaggio.” E senza attendere la risposta, Oleander buttò in vettura il bagaglio e salì a bordo.

“Immagino sia stato un viaggio scomodo, Oleander. Se mi avessi avvisato del tuo arrivo, ti avrei fatta venire a prendere da Hagrid.” Albus Silente andò incontro alla sua ospite, offrendole una fumante tazza di tisana ai mirtilli e frutti di bosco, addolcita con miele d’acacia.

Oleander ringraziò per la bevanda e ne bevve immediatamente alcuni sorsi: era deliziosa “Nessun problema. Piuttosto è lei che mi deve scusare se sono piombata qui all’improvviso, ma è successo tutto molto in fretta.”

Silente conosceva di vista il padre e lo zio di Oleander (li aveva incontrati qualche volta a convegni dei presidi delle Scuole di Magia d’Europa) ed era al corrente della faccenda, avendola seguita con attenzione sulla Gazzetta del Profeta, così quando la ragazza gli raccontò cosa aveva in mente, appoggiò il piano con entusiasmo. Dato che ora il ladro si trovava su un'isola, spiegò la maga, posizionando quattro sfere undine ai punti più esterni della Gran Bretagna e sfruttando l'energia dell'oceano, poteva creare una barriera che avrebbe impedito al vaso di Pandora ed al suo pericoloso contenuto di uscire dai confini. “Resta comunque un territorio vasto da controllare, ma sempre meglio che rincorrerlo per tutto il Continente. Purtroppo non ho con me sfere undine.”

“A questo credo di poter rimediare io.” Silente aprì tutti i cassetti della scrivania, rovesciando sul tavolo una quantità incredibile di oggetti e libri, finchè da un lungo contenitore cilindrico tirò fuori alcune sfere fatte d'acqua, delle dimensioni di palline da golf e le passò ad Oleander, che prese dalla borsa un bulino e iniziò ad incidere simboli magici sulla superficie dell'acqua. "Poi bisogna inserire un nucleo di acquamarina, ti serve anche quella?"

"Oh no, di gemme ne ho in abbondanza."

Silente la lasciò lavorare, guardandola sorridente al di sopra delle lenti a mezzaluna, poi chiese: "E come sta tuo padre?"

Oleander si bloccò un attimo, prima di rispondere "Bene....... credo." con una faccia molto eloquente.

"Oh, ma certo, che svampito sono: tu sei in giro per l'Europa da mesi, non l’hai visto di recente." disse con voce comprensiva.

Le cose non stavano proprio così, ma Oleander fu grata a Silente per il suo tatto e per aver evitato quell'argomento spinoso. Poi i due maghi presero una cartina dell'Inghilterra e posizionarono le sfere nei punti più a nord, est, sud ed ovest dell'isola, poi congiunsero le mani. "A te l'onore." le disse Silente. Oleander annuì, poi pronunciò la formula magica:

"Alzatevi, mie dilette, e volate,

sulla riva del mare approdate.

Affinchè l'emergenza venga bloccata,

a me occorre che una barriera sia innalzata."

Le sfere brillarono leggermente, lievitarono fuori dalla finestra, salirono alte nel cielo e poi si divisero, in direzione dei quattro punti cardinali.

"La creazione della barriera di sicuro metterà il ladro in allarme, quindi non si muoverà per un po'. Per stanotte sono costretta a chiederle ospitalità, poi domani tornerò a Londra e prenderò una camera in albergo."

"Ah no – disse Silente, in un tono gentile, ma che non ammetteva alcuna replica – per tutto il tempo che vorrai tu sarai mia gradita ospite." In un gesto di cavalleria le porse il braccio per accompagnarla nella sua stanza "Anzi, se c'è qualcosa che posso fare per te, chiedi pure."

"Ecco, ho finito quasi tutti gli ingredienti magici ed anche il reagente che uso per individuare le tracce del ladro. A Beauxbatons non ho fatto in tempo a fare rifornimento."

"Nessun problema, Oleander, il nostro professore di pozioni sarà entusiasta di aiutarti."

A quelle parole a momenti Fanny cadde dal suo trespolo.

I primi raggi del sole filtrarono attraverso le spesse tende di velluto bordeaux della stanza di Severus Piton. L'uomo in realtà era già sveglio da tempo: erano molte notti che dormiva poco e male. Da più di un mese ormai Voldemort non lo mandava a chiamare, non era mai passato così tanto tempo da quando era riapparso sulla scena e più giorni passavano, più Piton si tormentava: il Signore Oscuro aveva forse scoperto i piani di Albus? Tutti i loro sforzi, le fatiche, i sacrifici non erano valsi a nulla? Si coprì con le mani il viso stanco.

Ma non era quello il suo unico tormento: il fatto era che ogni giorno lontano da Voldemort era per lui come una boccata d'ossigeno, creava l'illusione di poter avere una vita normale, di potersi dedicare solo ai suoi insegnamenti e a sottrarre punti a Grifondoro. Voldemort, con la sua assenza che pesava più della sua presenza, gli aveva messo davanti quel miraggio. Eppure lui sapeva che era solo un miraggio, presto o tardi lo avrebbe richiamato e quella breve illusione sarebbe svanita nel nulla, precipitandolo nuovamente nell'inferno del suo passato di Mangiamorte, in una vita in cui le sue mani grondavano ancora sangue e non c'era alcuna speranza per il futuro. E lui avrebbe dovuto ancora fingere di approvare, di provare gioia, di applaudire al Signore Oscuro che predicava morte e distruzione, mentre il suo cuore veniva lacerato dal ricordo delle molte vite che aveva spezzato.

Lord Voldemort era anche questo per Severus Piton: il ricordo indelebile e continuo dei suoi crimini, di ciò che era stato, di ciò che probabilmente sarebbe stato per sempre. Un assassino, macchiato da colpe che nessuna espiazione avrebbe mai più potuto cancellare.

Questi e molti altri foschi pensieri occupavano la mente dell'uomo mentre finiva di indossare il consueto vestito nero. Contrasse il viso nella sua classica espressione arcigna e severa e decise di scendere, prima di colazione, nel suo laboratorio sotterraneo, per controllare una pozione che aveva messo a bollire la sera prima e che ormai doveva essere pronta.

Ah, a colazione Albus avrebbe presentato una donna che si fermava a Hogwarts per un po', una specie di investigatrice, gli era parso di capire.

Anche Oleander si alzò presto, ma lei era rinfrancata da una bella dormita (il letto di quella stanza era il più comodo sul quale avesse dormito) e voleva recarsi il prima possibile nel laboratorio di pozioni. Un elfo aveva provveduto a lavarle i vestiti e farglieli trovare impeccabilmente stirati e appesi dentro l’armadio. Si ravvivò con le mani i capelli corti ed uscì in corridoio: era ancora presto e in giro non c’era anima viva, solo un fantasma che volteggiava mollemente attorno al soffitto.

Dopo aver girato a vuoto ed essere tornata per due volte davanti alla sua stanza, Oleander chiese indicazioni per il laboratorio di pozioni ad uno dei quadri, che raffigurava una donna sulla cinquantina intenta a sferruzzare alacremente a maglia una sciarpa. L’indumento aveva una lunghezza spropositata, tanto che aveva occupato quasi tutto il quadro a fianco (il cui proprietario aveva pensato bene di andare a farsi un giro) e metà del suo.

“Il laboratorio di Piton, mia cara? Perché mai a una bella ragazza come te interessa un posto tanto tetro?”

“Ho bisogno di alcuni ingredienti. Lei ha detto Piton… intende Severus Piton?”

“Sì, mia cara. Lo conosci?”

La donna fece spallucce “L’ho sentito nominare.” All’epoca Oleander aveva seguito, come chiunque altro, le cronache della caduta di Colui-che-non-può-essere-nominato e i successivi processi ai suoi seguaci. Piton era uno di quelli che ne era uscito pulito, grazie ad una solida difesa di Albus Silente.

“Mmh… dì, mia cara, cosa ne pensi della mia sciarpa? Credi che ad Arthur piacerà?”

“Certamente.” “Sempre ammesso che Arthur sia un’anaconda od una giraffa.” pensò.

“Il laboratorio di pozioni, hai detto, mia cara, eh? Va fino in fondo al corridoio, passa dietro l’arazzo bianco, prendi la prima porta sulla sinistra, attraversa l’atrio e poi scendi le scale fino all’ultimo gradino: è l’ultima porta in fondo.”

Oleander seguì le istruzioni e si ritrovò a scendere per una scala che sembrava infinita, mentre l’ambiente si faceva sempre più umido e buio. Bussò educatamente al pesante portone di legno massiccio del laboratorio, ma nessuno rispose, quindi si azzardò ad entrare “Permesso, c’è nessuno?” La stanza era immersa in una oscurità quasi totale, tranne che per un paio di lampade ad olio ed un calderone che ribolliva sul fuoco. Per evitare di andare a sbattere da qualche parte, tirò fuori la bacchetta ed accese le candele della stanza. Ora capiva perché la donna del ritratto aveva definito il laboratorio “tetro”. Luoghi come i laboratori di pozioni o le farmacie magiche non erano mai particolarmente gradevoli per la vista, ma lì gli ingredienti più macabri e disgustosi sembravano essere messi apposta in bella vista, per opprimere gli studenti che durante le lezioni dovevano affollare i tavoli. Su una cosa però la donna dovette ricredersi: pensava che quel posto, oltre che oscuro, fosse anche sporco, invece il professore lo teneva molto pulito, constatò, passando le dita sugli scaffali. Le pareva un po’ maleducato servirsi da sola, ma visto che non arrivava nessuno, tirò fuori la lista di ciò che le serviva: pirite di Marte, legno di ginko e penne di ibis rosso. Cercò un po’ in giro, leggendo le etichette dei vari barattoli, ma a un certo punto si voltò, sentendo uno strano sibilo provenire dal calderone. Lei non era certo un’esperta di pozioni, ma normalmente facevano quel rumore?

Non fece in tempo a darsi una risposta, perché il contenuto esplose fragorosamente, facendo schizzare il calderone fino al soffitto e spandendo tutt’attorno un denso fumo bluastro. Tossendo, Oleander cercò di pronunciare la formula per far dissipare la nebbia, ma una voce più forte e decisamente furiosa coprì la sua, poi un uomo alto e magro, completamente vestito di nero, fece la sua comparsa.

“In nome di Tolomeo! Che cos’è successo qui?” con un solo gesto Piton fece disperdere il fumo, guardò prima il calderone, poi la pozione sparsa ovunque e infine la donna che tossiva appoggiata ad uno scaffale “Chi è lei? Cosa ci fa qui? Chi le ha dato il permesso di entrare nel mio laboratorio? E che diavolo ha combinato?” avanzò velocemente verso di lei, il mantello che gli svolazzava alle spalle, gli occhi neri scintillanti. Dodici ore per preparare quella pozione e adesso questa scema la faceva saltare per aria. Aveva il sospetto che fosse l’ospite di Silente. Se era davvero così, si augurava che restasse ad Hogwarts il meno possibile.

La scema in questione, però, non sembrava per nulla intimorita dalla sua sfuriata “Se mi fa una domanda per volta, forse riesco a risponderle.” Ribattè acida, schiarendosi la gola.

“Le hai mai detto nessuno – la rimproverò Piton con voce glaciale – che le cose altrui non si toccano?”

“Io non ho toccato un bel niente!” si difese Oleander, guardandolo come se fosse pazzo.

“E allora quello come lo spiega?” il mago puntò un indice accusatore contro il calderone distrutto.

“Non lo spiego, non mi ci sono nemmeno avvicinata a quell’affare. Il liquido ha iniziato a sibilare e poi è saltato per…”

“Sciocchezze! – la interruppe lui – non era una pozione esplosiva.”

“Forse – insinuò Oleander, indispettita per essere stata zittita – ha sbagliato qualcosa. Perché, le ripeto, io non…”

“Basta così. Fuori dal mio laboratorio.” Sibilò Piton, con gli occhi che guizzavano di rabbia come fiamme nere.

“Ma se lei mi lasciasse spiegare fino in f….” insistette.

“No, ha già fatto abbastanza.”

“Ce l’ha per abitudine di interrompere le persone mentre stanno parl…..”

“Solo quando dicono cose inutili.” Concluse l’uomo, gelido.

Oleander gettò la spugna e si allontanò sbattendo la porta, pensando che se fosse restata un attimo di più, avrebbe estratto la bacchetta magica e non per farne uscire arcobaleni e colombe di pace. Piton ascoltò con sollievo i passi rapidi di quella donna allontanarsi sempre più. “Nemmeno gli studenti del primo anno riuscirebbero a fare un tale disastro.” Borbottava tra sé il professore, contrariato. Si apprestò a ripulire la pozione sparsa ovunque, quando si accorse che nell’aria ristagnava un odore strano, che il preparato, esploso o no, non avrebbe dovuto avere: colto da un dubbio atroce prese da uno scaffale due barattoli contenenti l’uno pelle di anguilla elettrica dei Mari del Nord e l’altro quella dei Mari del Sud, che era lievemente più chiara della prima. Qualcuno aveva invertito le etichette sui barattoli e lui, soprapensiero, aveva usato l’ingrediente sbagliato. Ecco il motivo di quell’esplosione! E l’ultimo studente al quale per punizione aveva fatto riordinare gli ingredienti era stato…

“NEVILLE PACIOCK! TI FARO’ AFFETTARE ROSPI SINO ALLA FINE DEI TUOI GIORNI!”

L’urlo belluino di Piton fece tremare tutte le provette del laboratorio.

Nel frattempo Calì e Padma Patil stavano cercando di raggiungere la Sala Grande per la colazione, ma le scale quella mattina erano meno collaborative del solito. Le due ragazze temevano che, arrivando in ritardo, avrebbero fatto perdere punti alle rispettive Case e non sapevano cosa fare. Oleander si affiancò loro, Calì la guardò in viso e si strinse istintivamente alla gemella: quella donna era letteralmente infuriata.

“Vi avviso, non sono assolutamente dell’umore adatto per questi giochetti.” Disse in direzione delle scale, gli occhi ridotti a due fessure. Le scale smisero all’istante di muoversi, facendole passare.

Oleander tornò verso la sua camera e la donna sferruzzante del ritratto le chiese “Trovato il laboratorio di pozioni, mia cara?”

“Sì. Purtroppo sì.” E sparì nella sua stanza per sbollire la rabbia.

“Quel Piton! Parola mia, è l’uomo più scontroso che abbia mai conosciuto. Povera cara, chissà che le ha detto.” Si lamentò la signora.

“Angela, non impicciarti degli affari altrui come tuo solito.” La rimbeccò Arthur, che nel frattempo aveva ripreso possesso della sua cornice e stava piegando la chilometrica sciarpa della consorte.

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Ringraziamenti e commenti:

@ MistralRapsody e Arabesque: grazie di cuore, la vostra recensioni mi ha fatto un enorme piacere e ha spazzato via dei dubbi che avevo. Temevo infatti di essermi dilungata troppo nell’introduzione e nella descrizione dei luoghi, perciò sono contenta che vi sia piaciuta.

@Leonella: hai ragione, scusami! Sono andata a pescare una pietra dal nome proprio difficile, credo che nessuno la conosca. L’eliotropio è una pietra di colore verde scuro con sfumature rossastre. Il vasistas è quel tipo di finestrella che si apre dall’alto verso l’interno. Per quanto riguarda Oleander non ce l’ha solo con suo zio, ma con tutto il ramo paterno della sua famiglia, per motivi che approfondirò meglio in seguito. Comunque posso dirti che da piccola si sentiva poco considerata e messa in disparte da tutti tranne che da sua mamma, inoltre (e lo vedrai nella storia) è estremamente cocciuta, quindi se n’è andata di casa rifiutando di avere qualsiasi contatto con i familiari.

   
 
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