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Autore: Padmini    12/12/2012    3 recensioni
Maximillian Webb, medico legale al Saint Bartholomews Hospital di Londra, con una fidanzata opprimente e un lavoro che non lo soddisfano totalmente.
Tutto ciò è destinato a cambiare quando incontrerà una donna molto speciale ...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
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Eccomi di nuovo qui. Anche questo capitolo è dedicato al punto di vista di Rain. Per stuzzicarvi vi anticipo che, nel prossimo capitolo, ci sarà un punto di vista nuovo. Vi sfido a indovinare di chi sarà! Un bel giochetto, no?

Per adesso vi auguro buona lettura.

Mini

 

 

 

 

 

A Thin Line Between Love and Hate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rain P.O.V.

 

 

Ormai era tarda sera. L'unico rumore nella stanza era lo scoppiettio del fuoco nel camino e, in lontananza, il rombo del mare. Io e Sherlock ce ne stavamo seduti in poltrona. Lui mi aveva fatta sedere, mi aveva avvolta in una coperta e mi aveva posato tra le mani una tazza di cioccolata calda

Nient'altro.

Non aveva detto nulla. Si era limitato a sedersi di fronte a me con la sua tazza. Mi guardava senza giudizio. Aspettava che fossi io a parlare.

“Nonno ...” dissi, posando la tazza ormai vuota sul tavolino di fronte a me.

“Dimmi, tesoro” mi rispose lui, con voce bassa e rassicurante.

La sua voce, i suoi occhi, il suo viso rilassato. Tutto mi portava a confidarmi, ad aprire il cuore. Nessuno riusciva a mettermi tanto a mio agio come lui. Sentivo la mia stessa sofferenza, che mi capiva, che aveva attraversato anche lui, a suo tempo, i miei stessi drammi.

“Nonno … Si può amare qualcuno … ed esserne spaventati?”

Non mi rispose subito. Espiro dal naso e guardò lontano. Oltre me e le pareti di quella casa, forse anche oltre il mare. Guardava ai suoi ricordi, alla sua infanzia.

“Può succedere” disse semplicemente “A me è successo”

Non aggiunse altro. Avevo risvegliato in lui ricordi lontani, esorcizzati ma non del tutto cancellati. Chiuse gli occhi, travolto da chissà quante emozioni. Mi strinsi ancora di più sulla coperta, in attesa.

Sempre ad occhi chiusi, cominciò a raccontare.

“Io amavo molto mio padre, Siger” disse e notai che le sue mani intrecciate fremevano “Lo amavo, ma lui non ricambiava il mio amore. Sapeva che ero il figlio di un'amante di sua moglie e non riusciva ad accettarlo. Per questo mi picchiava”

Lo guardai con gli occhi spalancati per lo stupore. Anche lui, riaperti i suoi, ricambiò il mio sguardo. Erano fermi e sicuri, gli occhi che ben conoscevo, ma potevo scorgerci un velo di amarezza.

“Mi picchiava, ma io tentavo ugualmente di elemosinare il suo amore. Lo amavo … ma ne ero spaventato. Volevo stare con lui anche se mi faceva male. Col tempo mi chiusi sempre di più in me stesso. Scappai dal mondo e mi convinsi di non provare emozioni. Fu un errore, Rain. Un errore che spero non ripeterai anche tu”

Lo guardai. Era sereno. Mi stava raccontando una parte difficile della sua vita, ma evidentemente l'aveva trascesa perché ne parlava con distacco. Voleva farmi capire che le difficoltà si possono superare. Al momento, però, facevo fatica a crederci. È sempre più facile vedere 'rosa' quando la tempesta è passata, ma in quel momento mi sentivo nell'occhio del ciclone.

“Ma ...” cominciai io “Lui … Ben ti ha raccontato quello che mi ha fatto Max?”

Scosse la testa.

“No. Non mi ha detto nulla, ma ti ha fatto del male. Questo è evidente”

“Mi ha violentata, nonno!” dissi soffocando un singhiozzo.

Un lampo di rabbia attraversò i suoi occhi chiari, ma svanì subito per far posto al suo solito sguardo nobile e distaccato.

“Non lo sapevo” disse semplicemente “Non me lo sarei mai aspettato da lui”

“Nemmeno io!” dissi, quasi gridando.

“Com'è successo?” mi domandò. Socchiuse gli occhi e unì i polpastrelli sotto il mento. Ora ero diventata per lui un pezzo del puzzle, una elemento in un problema. Con la sua solita professionalità, aveva separato gli affetti dal 'lavoro'. Non poteva permettersi di lasciarsi coinvolgere emotivamente, altrimenti penso che avrebbe ammazzato il mio coinquilino.

Sospirai forte e cominciai a raccontare.

“Ero appena tornata a casa. Stavo seguendo il caso di un serial killer, ma potevo permettermi una piccola pausa, così sono tornata a Baker Street per una doccia veloce. Lui era lì. Era ubriaco e era arrabbiato con me. Mi ha accusato di trascurarlo”

Sherlock allungò la mano verso il camino e prese la sua pipa di ciliegio e la riempì con il tabacco che teneva in un'antica ciabatta persiana. Con gesti lenti e misurati, la pressò sul il fornelletto poi, aiutandosi con un paio di molle, prese un tizzone dal fuoco e lo usò per accenderla. Aspirò qualche boccata di fumo ad occhi chiusi, poi tornò a guardarmi.

“Il nostro è un lavoro difficile” disse infine “Non tutti riescono a capirlo. Tuo zio John … lui era fenomenale! Mi capiva senza bisogno di parlare e sopportava tutto ciò che facevo e, soprattutto, che non facevo. Tutto. Mi comprendeva veramente”

“Ma Max ...” provai a protestare.

Anche lui mi capiva, no?

“Max ti ama” disse semplicemente “Ti ama così tanto. L'ho visto subito, sai?” disse poi, facendomi l'occhiolino “Il confine tra amore e odio è qualcosa di molto sottile. Siger, mio padre, amava alla follia sua moglie, eppure non riusciva ad essere sereno. Lei era troppo libera, troppo indipendente. Lui voleva un cagnolino, invece si era ritrovato una gatta selvatica. La capisco. Io sono come lei e tu mi somigli più di quanto voglia ammettere. Sei libera, nessuno mai potrà incatenarti, nemmeno Maximillian. Cosa che, temo, dentro di sé voglia fare. Nonostante tutto ti ama e su questo non ci sono dubbi”

“Ma, se mi ama, perché mi ha fatto questo?” dissi.

Ripensando a ciò che Max mi aveva fatto e al suo sguardo, non potei fermare nuove lacrime.

“Io ho perdonato mio padre per ciò che mi ha fatto perché, sotto quella sua durezza e le botte mi amava. A modo suo mi amava. Era un amore malato, ma c'era. Devi portare pazienza ed avere fiducia in lui e aiutarlo. Ha bisogno del tuo aiuto per imparare ad amarti”

“Imparare ad amare?”

“Certo. Anch'io ho dovuto imparare, sai? Me l'ha insegnato tua madre”

“Mia madre?” chiesi.

“Quando scoprii di essere diventato padre, andai nel panico più totale. Avevo paura, sai? Tanta paura. Di non farcela, di non essere all'altezza. In più ero solo. Irene aveva lasciato nostra figlia in un orfanotrofio.La scelta era mia. Abbandonarla lì o tenerla con me? Scelsi l'opzione più rischiosa. In fin dei conti ero appena uscito da una tossicodipendenza durata anni. Ce l'avrei fatta? Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse, ma non pensavo che quel qualcuno potesse essere proprio mia figlia”

Rise, ripensando al suo passato. Molte delle cose che mi stava raccontando non le sapevo. Fu un colpo, per me, venirle a sapere così da lui. Non sapevo nulla della sua tossicodipendenza, né del fatto che suo padre lo picchiasse. Nuove sfaccettature si stavano mostrando nella personalità di quell'uomo che ammiravo così tanto e me lo fecero amare ancora di più.

Poi, all'improvviso, qualcosa in lui cambiò. Sospirò forte e si passò la mano sul viso.

“Rain”

“Sì, nonno?”

Non mi piaceva il tono con cui aveva pronunciato il mio nome.

“Tu non vuoi vedere ...”

“Cosa?!”

Ero più che sorpresa. Lui diceva una cosa del genere a me? La sua più che degna erede?

“Tu guardi, ma non osservi”

Il colpo di grazia. Chinai il capo. Ero pur sempre una pivellina di fronte a lui, il più grande detective mai esistito. Riconoscevo la sua superiorità, ma non capivo cosa volesse dire.

“Tu … sei cieca”

“Nonno!” protestai. Ora stava esagerando.

“Non vorrei dirtelo, ma non mi lasci altra scelta”

“Cosa vorresti dire?” domandai furiosa.

“Calmati” mi disse lui, guardandomi negli occhi con determinazione “L'ho notato quando siete venuti qui, qualche tempo fa, per risolvere il caso della medusa ...”

“Cosa vuoi dire?”

Ero tesa. Aveva visto qualcosa di Max che io non ero riuscita a scorgere?

“Sono stato tossicodipendente, Rain. Ne riconosco uno, quando lo vedo”

Tossicodipendente? Max un … No! Non poteva essere! Non poteva. Sherlock vide il panico nei miei occhi e rise piano.

“Nemmeno tuo zio John ci voleva credere” mi raccontò ridacchiando “Quando Lestrade venne a casa nostra e mi ricattò con una perquisizione per droga, lui non poteva credere che potesse essere verosimile. Invece poteva esserlo. Mi drogavo e Lestrade lo sapeva. Per quanto riguarda Maximillian, anche lui deve aver avuto un passato di tossicodipendenza e non escludo che ci sia ricascato. Quando l'ho visto venire qui sembrava a posto, nonostante riuscissi a vedere in lui tutti i tipici segnali. Ha bisogno di aiuto, Rain. Lo capisco bene. Ci sono passato anch'io. Deve affrontare ciò che l'ha portato a quel punto”

“Max non è un drogato! Non lo è! Era solo ubriaco! Per questo ha ...”

Ero furiosa. Non sapevo se ero arrabbiata con Sherlock per aver detto una cosa simile o con me stessa per non essere riuscita a vederla da sola.

Respirai forte. Tutto questo era troppo. La violenza, quella nuova rivelazione su Max. Era troppo!

“Mi dispiace” sussurrò Sherlock “Dovevi saperlo”

Annuii. Aveva ragione. Era inutile rimandare.

Ora sorgeva un nuovo problema. Come aiutare Max? Inoltre io mi sentivo tanto stanca. Non avrei avuto la forza di sostenerlo, di aiutarlo.

“Non preoccuparti” mi disse lui, come se avesse letto i miei pensieri, alzandosi a fatica dalla poltrona “Parlerò io a Max. Tu pensa solo a riposare. Nient'altro, ok? Cercherò di convincere Ben a non prendere provvedimenti troppo duri nei suoi confronti. In fin dei conti è malato. Ha bisogno di cure”

Annuii di nuovo.

“Bene!” esclamò “Andiamo a dormire, ti va?”

Si avviò lentamente verso la sua camera e io lo imitai.

“Nonno?”

“Sì?”

“Posso dormire nel lettone con te?”

Sorrise e mi allungò una mano.

“Certo, Rain. Vieni”

Lo seguii in camera e lo aiutai a distendersi. Rise, leggermente imbarazzato.

“I miei quasi cento anni cominciano a farsi sentire, sai? Non sono più un giovanotto che può correre su e giù per i tetti!”

Risi di gusto e, finalmente, mi abbandonai al sonno, cullata dal suo respiro e dalla sua presenza.

 

La mattina seguente ci svegliammo presto, richiamati dal rumore del mare e dei primi gabbiani. Ci preparammo una colazione leggera e mangiammo seduti in veranda. Un tiepido venticello ci solleticava il viso.

“Una bella giornata anche oggi” disse posando la sua tazza “Ideale per viaggiare!”

“Cosa intendi dire? Vuoi andare da Max?”

“Perché no?” mi rispose prendendo un gran respiro “Voglio affrontarlo subito. È inutile rimandare”

“Allora vengo anch'io!” dissi alzandomi dalla sedia e battendo il pugno sul tavolo.

“No” mi rispose lui secco “Tu non devi assolutamente avvicinarti a lui. È troppo presto. Me ne occuperò io. Tu pensa solo a stare tranquilla. Da qui” disse poi, indicando la sedia sdraio sulla veranda “Si sente bene il mare. Fa troppo freddo per poter fare il bagno, ma il rumore delle onde è molto rilassante, te l'assicuro”

Sospirai. Non potevo certo disobbedire al nonno. Il messaggio era chiaro. Dovevo rimanere lì.

 

Finita la colazione lui si diresse pian piano verso la fermata dell'autobus che l'avrebbe portato in paese e, da lì, a Londra.

Ero inquieta. Mi distesi sulla sedia sdraio ma non riuscivo a rilassarmi. Non avevo nemmeno il pianoforte per distendere i nervi.

Mi alzai e mi diressi verso il camino. Lì, precariamente appoggiato vicino alla poltrona, c'era lo Stradivari del nonno.

Lo presi con devozione.

Mi aveva dato qualche lezione di violino, da bambina, ma avevo preferito il pianoforte. Le mie mano non potevano sopportare la delicatezza con cui dovevo maneggiare l'archetto, mentre i tasti bianchi e neri del piano accoglievano con gioia la mia passione.

In quel frangente, però, avevo solo quel violino e quell'archetto.

Ci misi un po' a prendere il ritmo, ma alla fine riuscii a suonare decentemente.

Il suono del violino mi rapì totalmente e mi ritrovai a danzare per la stanza, formando piccoli cerchi. Danzavo con me stessa, danzavo con l'aria, con la musica … Sapevo danzare benissimo perché avevo frequentato diversi corsi di ballo, ma fino ad ora non ero mai riuscita a sperimentare con qualcuno. Proprio ora che mi sembrava di aver trovato il coraggio per poter ballare con Max …

Allontanai bruscamente l'archetto dal violino e li posai con attenzione al loro posto.

Pensare a lui mi faceva stare male. Mi sembrava di affogare in sentimenti troppo grandi per me. Mi distesi sul divano e cominciai a vagare per le stanze del mio personale palazzo mentale.

Cercai la stanza 'Maximillian Webb' ma non la trovai. Vagai tra i tipi di cenere di tabacco e le lezioni di anatomia, tra gli elementi chimici e le forme delle impronte delle scarpe, senza risultato.

Non c'era. Oppure c'era, ma dispersa tra chissà quante informazioni. La mia mente si stava difendendo, facendomi perdere l'orientamento non voleva che la raggiungessi.

Alla fine la trovai.

Ricordavo quella porta. Era bella, lucida, nuova. Ci avevo messo una targhetta d'orata e la curavo, la curavo …

Ora non era più nulla di tutto ciò.

L'ingresso di una latrina in uno squallido quartiere di periferia sarebbe stata più elegante.

Una porta di legno penzolava sbilenca sull'uscio buio. Dentro sentivo il rumore di una goccia che cadeva, come di un lavandino rotto.

Mi avvicinai e aprii la porta.

Un fascio di luce illuminò l'interno … Sangue. Sangue dappertutto.

Sangue di vergine.

Il mio.

Mi svegliai.

 

Il cuore mi batteva fortissimo. Mi ero alzata di scatto dal divano. Cominciai a respirare forte per calmarmi così, quando mi tranquillizzai, realizzai di non essere sola nella stanza.

Davanti a me c'era Sherlock.

“Sei tornato ...” mormorai.

“ … e tu hai appena avuto un brutto incubo” concluse lui buttando il fiammifero sul camino dopo essersi acceso la pipa”

“Smettila di pensare a Max” mi disse “Pensa solo a te stessa, in questo momento”

“Ma ...” cercai di protestare, ma lui mi interruppe.

“Max è al sicuro, ora” mi disse “Nessuno gli farà del male. Ben, William, Hamish e tuo padre e, devo ammetterlo, anch'io, volevano fargli la festa. Volevano picchiarlo ben bene. Si erano ritrovati a casa di Hamish per decidere sul da farsi … stavano quasi per partire per la spedizione punitiva, ma sono arrivato giusto in tempo. Li ho fermati e li ho convinti a lasciarmi andare a parlare con lui”

“Dunque?” gli chiesi, la voce carica d'ansia.

“Ora ti racconterò tutto” rispose lui, ed espirò un sottile filo di fumo grigio.

   
 
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