Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Nymeriah    12/12/2012    3 recensioni
Rachel in diciassette anni di vita non ha mai commesso un errore.
Jackie e Jamie sono gemelli, ma non si somigliano per niente.
Melanie è bella fuori; al dentro ci sta lavorando.
Sam vive in un mondo tutto suo, popolato da alieni e ippopotami viola (ancora per poco).
Naomi ne sa una più del Diavolo e ha solo quattordici anni.
Chi altri?
Un ex soldato russo che ha perso la vista nell’esercito, una violinista bambina dal talento eccezionale, un ladruncolo da quattro soldi, una combriccola di ragazzi più o meno randagi, un’italiana dalla sensualità disarmante, una tedesca con tendenze psicopatiche e un duca inglese.
Le loro vite si intrecceranno in una matassa di eventi e sensazioni e, se avrete la pazienza di ascoltare, il/la Raccontastorie vi illustrerà su come, quando e perché questi strani individui abbiano calpestato i suoli trafficati della Città Che Non Dorme Mai: New York.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




5. Tribal Tattoo
 
 
Image and video hosting by TinyPic



  Un’ombra ovale si stagliò a pochi passi dai gemelli, facendoli trasalire. 
Era un uomo. 
Entrambi trassero un profondo respiro di sollievo, mentre un brivido improvviso gli scioglieva i muscoli che si erano tesi per lo spavento; non si trattava di bambine possedute, fantasmi di soldati caduti, né nient’altro di soprannaturale. Era solo un uomo. 
Poi si presero un momento per osservarlo e tutto il sollievo svanì in un soffio d’aria autunnale: era alto e robusto, sulla sessantina, vestito con dei consumati pantaloni da contadino, una camicia stropicciata e un pesante cappotto marrone. Il viso, dai lineamenti asimmetrici, era segnato da numerose rughe profonde attorno alla bocca e sotto gli occhi, che si confondevano con le occhiaie; e vi era dipinta un’espressione truce. Ciò che più scoraggiò i due ragazzi furono i suoi occhi: erano di un castano molto chiaro, tendente al giallo. Nonostante l’età, erano brillanti e vispi come quelli di un gatto che si accinge a catturare una preda.
 
“Razza di piccoli scavezzacollo! Siete ancora voi?! Mi sembrava di essere stato chiaro: non potete venire a giocare al cimitero!” gracchiò con tono iracondo e poi soffocò un rauco colpo di tosse.
 
I due lo fissarono in silenzio per un istante, ancora un po’ scossi per la paura di poco prima.
 
“Che vi è successo? Il gatto vi ha mangiato la lingua?!” chiese ancora l’uomo, strizzando gli occhietti per l’irritazione.
 
“Lei… lei c-chi… chi è?” balbettò Jamie con un filo di voce.
 
“Come sarebbe chi sono?! Sono il signor Barker! Se non mi conoscete significa che…” 
 
L’uomo accese una lanterna, che aveva l’aria di aver vissuto giorni migliori, e gliela puntò contro per vederli in faccia. “Non siete della banda di Stray…”
 
“Lei conosce Stray?” 
 
“Altroché, se lo conosco! È la mia dannazione!“ sputò a terra, mettendo una certa dose di disprezzo nel gesto, poi tornò a concentrarsi sui ragazzi: “Come ci siete finiti qui?”
 
Jackie aggrottò la fronte cercando una scusa plausibile, ma peccava di poca creatività: “Ci siamo… persi” borbottò poco convincente.
 
Il signor Barker scoppiò in una polverosa risata, che si concluse in uno sbuffo: “Nelle fondamenta di un mausoleo? Sono vecchio, ma non sono ancora rimbecillito fino a tal punto. Che ci siete venuti a fare?”
 
Lo sguardo vispo dell’uomo scrutò i ragazzi, a cui non rimase altro che confessare: “Siamo qui per una prova di coraggio.”
 
L’uomo strizzò gli occhi e spostò la torcia in modo da illuminarli da capo a piedi; notò che i loro vestiti erano sudici e zuppi di acqua di fogna e fango. “Siete passati per il tunnel” dedusse, con una sicurezza invidiabile. “Seguitemi” ringhiò poi, dandogli le spalle.
 
“Aspetti, che intenzioni ha?” domandò Jamie, allarmato.
 
Il signor Barker notò il nervosismo pizzicargli la voce e gli lanciò un’occhiata fulminea nella penombra. “Tranquillo, a scapito di ciò che si dice in giro, non ho mai mangiato nessuno.”
 
 
***
 
 
  Il signor Barker condusse i ragazzi fino all’entrata principale del mausoleo, ripercorsero al contrario il sentiero che li aveva portati lì, ma al bivio imboccarono un’altra direzione. 
 
“Dove ci sta portando?” chiese ad un tratto Jamie; teneva le mani occupate stropicciando l’orlo della giacca per dissimulare il disagio.
 
“Casa mia. Un po’ piccola, ma confortevole” spiegò l’uomo laconico, e poi riprese a masticare qualcosa, tabacco comprese Jackie, con un’aria tra il disgustato e l’assorto.
 
“Siamo prigionieri?” chiese il gemello, con un accenno di divertimento malcelato nella voce. Quella faccenda stava prendendo una piega interessante.
 
“No, non direi. Contatterò i vostri genitori e mi libererò di voi.” 
 
Tutto l’entusiasmo di Jackie svanì in un battito di ciglia. “Cosa?! Ma… non ci punisce?”
 
“Non è compito mio.” 
 
“E non fa nient’altro di strano? Tipo rincorrerci con un’ascia in mano o…”
 
“Dove credi di stare? In un film dell’orrore?”
 
Il ragazzo abbassò gli occhi deluso, mentre Jamie, al suo fianco, esultava mentalmente: il signor Barker, nonostante le rozze apparenze, era una brava persona e lui avrebbe presto riabbracciato sua madre. Esattamente ciò che voleva.
La casa del signor Barker era una catapecchia che stava in piedi per miracolo. Una serie di travi di legno incastrate e qualche chiodo arrugginito corrispondevano alla sua definizione di un po’ piccola, ma confortevole. L’interno non era meglio; lo spazio era veramente poco, ma sfruttato al massimo e il disordine regnava sovrano assoluto. Non fu una bell’impressione per i gemelli, che erano abituati all’ordine maniacale con cui Julia ripuliva la casa ogni singolo giorno.
 
L’uomo si diresse subito al vecchio telefono e lo trovò nascosto sotto un cumulo di stracci sporchi: “Il numero?”
 
Jackie si avventò sul fratello, tappandogli la bocca, e gli sibilò all’orecchio: “Sta’ zitto! La mamma è incavolata con me per la faccenda dei voti, se scopre che siamo usciti all’una di notte e ci siamo pure ficcati nei guai, non mi lascerà più uscire di casa fino ai quarant’anni!”
 
Il gemello si liberò dimenandosi e protestò: “Io voglio andare a casa! Ho freddo, sono sfinito, questi vestiti puzzano di muffa e ho bisogno di abbracciare Mr Buby!”
 
“E potrai farlo, ma la mamma non deve sapere niente” Jackie si rivolse nuovamente all’uomo: “La prego di non avvertire i nostri genitori. Torneremo a casa, è una promessa.”
 
Il signor Barker lo guardò di sottecchi e sputò il tabacco in un angolo della stanza, senza preoccuparsi di centrare il cestino. “Un fanciullo spavaldo come te, che si diverte quando un pazzo lo insegue con un’ascia, ha paura che la sua mammina possa arrabbiarsi se resta fuori casa dopo mezzanotte?”
 
Jamie si portò una mano alla bocca per nascondere una risatina, e Jackie gli sferrò una gomitata nello stomaco. 
 
Il signor Barker si passò una mano tra i radi capelli brizzolati e sospirò: “Per stavolta chiuderò un occhio. Non dirò niente di questa storia ai vostri genitori, ma adesso sparite dalla mia vista e non mettete più piede nel cimitero.”
 
 
***
 
 
  Stray li squadrò da capo a piedi prima di sbuffargli in faccia una risata. “Ma che vi è successo?! Siete finiti in una pattumiera?”
 
Jackie lo accoltellò ventisette volte col pensiero, e replicò con voce bassa e rabbiosa: “È colpa tua che ci hai costretti a strisciare dentro ad uno schifoso tunnel e a percorrere sudici sotterranei!”
 
“Sotterranei? Quali sotterranei?”
 
“Quelli del mausoleo!”
 
Il capo della brigata aggrottò la fronte, domandando confuso: “E perché siete passati per di lì?” 
 
Lampo, al suo fianco, alzò gli occhi al cielo e trasse un lungo sospiro paziente: “…non gli hai dato la chiave.”
 
“Quale chiave? C’era una chiave?!” Jamie poteva vedere l’irritazione bruciare negli occhi del gemello; il nocciola delle sue iridi fiammeggiava in modo inquietante. 
 
“Abbiamo una copia della chiave per aprire la porta principale del mausoleo, solitamente usiamo quella… mi sono dimenticato di darvela” sorrise il ragazzo, passandosi una mano sulla nuca in segno d’imbarazzo.
 
“Io ti distruggo!”
 
Jamie trattenne faticosamente il fratello per le braccia, prima che si lanciasse in avanti mirando a spaccare gli incisivi di Stray. A testate.
 
Lampo ignorò la drammaticità della scena; ormai era abituato al fatto che più o meno chiunque volesse pestare a sangue il capo della brigata. “Allora, avete incontrato Jennifer?” chiese invece, il tono a metà tra lo scherno e la noia.
 
“No, ma abbiamo incontrato un certo signor Barker, altro particolare che deve esserti involontariamente scappato!” ringhiò Jackie, lanciando un’occhiataccia a Stray, che scoppiò nuovamente a ridere. 
 
“Ah, il caro vecchio Barker! Come sta? È parecchio che non vado a trovarlo!”
 
“Non mi ha dato l’impressione d’avere voglia di vederti, ti ha definito la sua dannazione.”
 
“È un vecchio solo e pazzo che come hobby sorveglia il cimitero, se non ci pensassi io a ravvivare le sue giornate morirebbe di noia. Sono la sua salvezza, altro che dannazione!”
 
Jamie, deciso a dimenticare la serata il prima possibile, scosse la testa sconsolato mentre lasciava andare Jackie, e spiegò: “Senti, noi abbiamo la foto, quindi abbiamo il diritto di esercitarci al campo da skateboard, eccetera eccetera… possiamo tornare a casa, adesso?” chiese quasi supplicando.
 
Yoyo nel frattempo si era avvicinato di soppiatto alle sue gambe e stava frugando nelle tasche dei jeans alla ricerca di altri lecca-lecca.
 
“Ci sarebbe tutta la cerimonia per farvi entrare nella banda, ma non mi sembra il caso di dilungarmi in chiacchiere a quest’ora, quindi vi dichiaro ufficialmente parte della brigata dei Randagi” disse Stray in tono solenne, e aggiunse storcendo il naso: “…però fatevi un bagno, eh?”
 
“Ci sarebbero i nomi in codice” gli ricordò Lampo, sospirando; il suo capo sembrava particolarmente propenso a dimenticare le cose più importanti.
 
“Oh, giusto, giusto! Yoyo, a te l’onore!” disse, sorridendo al bambino e scompigliandogli i capelli rossi con un gesto maldestro.
 
Lui si mise sull’attenti facendosi improvvisamente serio, e fissò i gemelli con aria concentrata, come se stesse cercando di decifrare un codice particolarmente complesso. Dopo più di un minuto alzò un dito su Jackie e parò con una voce cristallina: “Falchetto!” per poi spostare l’indice su Jamie e dire: “Pulcino!”
 
“Come mi hai chiamato, scusa?!” gli ringhiò contro Jackie.
 
Stray e Lampo trattennero a stento le risa e annuirono in direzione del bambino. “Yoyo ha deciso, quindi da oggi vi chiamerete così.”
 
“No, no, no! Io sono Jack, mi va benissimo Jack!”
 
“Spiacente Falchetto, non si possono cambiare i nomi.”
 
“Non chiamarmi così!”
 
Stray ripeté il soprannome altre tre volte, prima che Jackie cominciasse l’ennesima zuffa.
 
“Bambini” sbottò Lampo sconfortato.
 
Ma Jamie non lo stava ascoltando: tra i tanti pensieri che gli affollavano la mente ce n’era uno che li sovrastava tutti: Mr Buby.
 
 
***
 
 
  L’ala est degli S&WStudios di Manhattan era interamente di proprietà della Steer Corporation, ovvero dell’impresa di commercio musicale di proprietà di Johnatan Steer, il famoso miliardario ex produttore discografico dei London Underground. In quelle sale di registrazione erano stati prodotti alcuni degli album più venduti degli anni ottanta, pezzi memorabili di storia della musica.
Ma per Sam quel luogo era come una seconda casa; era stato abituato fin da piccolo ad attraversare gli immensi corridoi di quel posto senza perdersi, e a vivere a contatto con attori, modelli e cantanti di fama mondiale, come se fosse una cosa normale per qualsiasi altro teenager.
Il ragazzo correva a perdifiato, inciampò per ben tre volte e urtò una signorina in abiti da ufficio, che trasportava una lunga pila di fogli stampati.
 
“Scusi!” gridò, senza però fermarsi. 
 
Aveva bisogno di parlare con qualcuno di cui fidarsi, con una persona più saggia di lui, e sapeva perfettamente a chi rivolgersi. Aprì l’ultima porta in fondo al corridoio, non preoccupandosi nemmeno di bussare prima. 
Johnatan Steer, con il suo abituale sigaro in mano, aveva lo sguardo assorto e abbandonato tra le nuvole, che riflettevano la luce accecante del primo pomeriggio attraverso le grandi vetrate dalla finestra. Al centro della stanza c’era una scrivania ricoperta da una pila di scartoffie che aspettava pazientemente di essere firmata. Quando notò il nipote si aprì in un sorriso persino più luminoso di quel bel cielo azzurrino e si voltò sereno verso di lui.
 
“Ciao nonno!” sorrise il ragazzo di rimando, lanciandosi in avanti per abbracciare l’uomo, ma inciampò e sbatté la fronte contro uno spigolo della scrivania.
 
John sgranò gli occhi e lo avvicinò, la preoccupazione gli corrugava il volto: “Stai bene?”
 
Il nipote si massaggiò la testa dolorante. Una cosa era certa: presto gli sarebbe spuntato un bel bernoccolo, testimonianza lampante della sua inguaribile imbranataggine.
 
Il nonno lo guardò con aria premurosa: “Dovrò fare qualcosa con questi spigoli, ogni volta che vieni a trovarmi li centri in pieno con la faccia o altre parti morbide del tuo corpo.” Sam ridacchiò e l’uomo sorrise a sua volta rilassando i muscoli del viso: “È una visita di cortesia oppure…”
 
“Ho bisogno di un consiglio.”
 
John lo invitò a mettersi comodo ed entrambi si sedettero alla scrivania. “Dimmi, qual è il problema?”
 
“Mel vuole fare una cosa e io non so se dovrei dirlo o no ai suoi genitori.”
 
“Esattamente che cosa vuole fare?”
 
Sam tacque per un momento. 
 
“Tranquillo, non lo dirò a nessuno” lo rassicurò il nonno, facendogli cenno di continuare. “Non ce ne sarà bisogno. Sei un ragazzo in gamba e farai la cosa giusta, non è necessario che noi vecchi ci immischiamo in queste faccende.”
 
“Ti ricordi dell’incidente di Mel, quello di un anno fa?”
 
“Certo, un brutta caduta da cavallo.”
 
Sam annuì e continuò a raccontare: “Qualche giorno fa stavamo passeggiando e abbiamo visto un volantino… era una gara di ippica.” Parlava abbassando sempre più il tono di voce, fino a che l’uomo non fu costretto a leggergli le labbra per comprendere le ultime due parole
 
“Capisco, vuole parteciparvi” concluse John pensieroso.
 
“Non so cosa fare. Se lo dico ai suoi genitori non mi rivolgerà più la parola, ma se sto zitto rischia di finire male!”
 
“Correggimi se sbaglio, il problema non è solo Melanie” suppose con un sorrisetto ambiguo.
 
Sam trasalì incrociando il suo sguardo: ancora una volta gli occhi verdissimi del nonno - patrimonio genetico degli Steer che lui stesso aveva ereditato - riuscivano a leggergli dentro come se fosse un libro aperto. Alla fine fece abbassò il capo, sospirando pesantemente: “Io mi fido di lei. Se dice che può farcela ce la farà, però questo tipo di gare sono pericolose; dietro a queste corse girano soldi di scommesse. La gente farebbe di tutto per vincere e in parecchi giocano sporco. Non voglio sembrare paranoico, ma… quella volta secondo me non si trattò di un semplice incidente. Qualcuno aveva fatto qualcosa a Marea. Sembrava impazzita, non era mai successo che non rispondesse ai comandi di Mel.”
 
Jonhatan prese una lunga boccata dal sigaro e si sfiorò il mento, riprendendo la sua aria assorta. “Convinci Melanie a parlare con i suoi genitori e, se loro non vi danno il permesso, trasgredite.”
 
Gli occhi di Sam scattarono di nuovo su di lui. “Quindi dobbiamo farla questa gara.”
 
L‘uomo annuì e spense il sigaro nel posacenere antico che dava mostra di sé sulla scrivania. “Per quanto riguarda il gioco sporco, non se la prenderanno con Mel. Con la storia dell’incidente, nessuno la vede più come un pericolo…” Fece una breve pausa, poi strizzò l’occhio al nipote. “…ciò non significa che non lo sia!”
 
Sam saltò in piedi, di nuovo pimpante di entusiasmo. “Mi porti a fare un giro in limousine?” chiese, riassumendo il solito tono spensierato e un po’ infantile che lo caratterizzava.
 
“Cercavo giusto un pretesto per uscire da questo noioso ufficio.”
 
Si avviarono chiacchierando verso l’uscita, mentre Sam investiva impiegate e artisti e John sorrideva senza motivo a tutti coloro che incontrava, cani e gatti compresi.
 
 
***
 
 
  Naomi ripose la divisa gialla e blu e i pon pon nell’ultimo armadietto in fondo agli spogliatoi femminili. 
Era sfinita. 
Aveva appena svolto il suo dovere da cheerleader, saltellando qua e là per il campo da football e urlando a squarciagola incitamenti alla sua squadra quindi si lasciò cadere su una panca e s’incantò a guardare il paesaggio fuori dalla finestra; le foglie colorate d’autunno disegnavano piccoli archi trasportate dal vento prima di raggiungere terra. Quasi involontariamente la sua mente vagò da un pensiero all’altro e finì per chiedersi come mai Jamie non l’avesse ancora chiamata. Si diede della stupida.
Non le era mai successo di darsi tanta pena per un ragazzo; le uniche cose veramente importanti nella sua vita erano divertirsi fino allo sfinimento, circondarsi di amici e ovviamente essere alla moda.
Certo, il suo mondo finiva lì.
Ma da un po’ di tempo aveva cominciato a pensare a cose complicate; c’era un intero mondo interiore che Naomi si ostinava a ignorare, e i sentimenti che provava per Jamie ne facevano parte. Erano sempre presenti e prepotentemente cercavano di uscire, con forza e ostinazione.  
Aveva cominciato a provare una sensazione nuova: la mancanza. 
C’era un vuoto nel suo stomaco… e non era fame.
Scosse la testa perplessa: cosa poteva mancarle? Lei aveva tutto! Era persino riuscita ad ottenere quella bellissima borsetta di pelle leopardata, su cui aveva messo gli occhi una settimana prima. 
Guardò di nuovo le foglie e le tornò in mente il timido sorriso di Jamie. 
Una sua compagna le si accostò, sedendosi al suo fianco: era Helen Waden, una bella ragazza dai ricci capelli mori, dalla carnagione bronzea e gli occhi neri, con cui aveva condiviso sfrenati pomeriggi di compere al centro commerciale.
 
“Va tutto bene, Nao?” 
 
“Pensavo a Jamie. Di nuovo.”
 
Helen la guardò di sottecchi: “Non ti starai innamorando sul serio, vero?”
 
“Guarda che non è mica il mio primo ragazzo!”
 
“No, ma con gli altri ci sei uscita per divertirti, una volta fuori dalla discoteca li scaricavi. Non sei mai stata realmente legata a qualcuno, mentre questo Jamie… lo nomini di continuo!”
 
Naomi arrossì e scosse la testa, come per scacciare via un pensiero fastidioso. Ma ormai era troppo tardi, l’aveva formulato ed si era impresso nella sua mente.
Ecco che cosa mi manca, pensò, l’amore.
 
 
***
 
  
  “Jam, ma che t’è successo? Sembri stravolto!” osservò Sam, saltellandogli intorno curioso. In effetti il biondino aveva un paio di vistose occhiaie e un’aria adorabilmente insonnolita; se ne stava seduto sul primo gradino dell’entrata, con le ginocchia piegate contro il petto e le palpebre che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro.
 
“È una storia pazzesca, costellata di cimiteri, lapidi e mausolei!” rispose Rachel ridacchiando. Aveva insistito perché Jamie le raccontasse tutta la faccenda e lui alla fine aveva ceduto come sempre ai capricci della sua migliore amica.
 
“Cosa?! Sei stato in un cimitero e non mi hai portato con te?!” domandò allibito Sam.
 
“Non è stato molto divertente” commentò il biondo, con un filo di voce.
 
“Per te forse no, ma per me è stato uno spasso!” gli gridò Jackie, avvicinandosi con lo skateboard. Si fermò esattamente davanti al gruppetto e con un piede premette l’estremità della tavola facendo leva, poi la afferrò al volo.
 
Rachel lo fissò gelida negli occhi, quasi volesse trafiggerlo con lo sguardo: “Tua madre ha parlato con mia madre.”
 
“Lo so” fece lui secco, ricambiando l’occhiata diffidente.
 
“Ho accettato solo perché mi facevi pena.”
 
“Per quanto mi riguarda potevi anche non accettare!”
 
“Di che state parlando voi due?” chiese Mel, infilandosi nella conversazione con interesse. Se c’era una cosa che l’accomunava con Naomi, quella era l’amore per i pettegolezzi.
 
“Devo dargli ripetizioni” spiegò Rachel con voce atona, come se la cosa non la riguardasse minimamente.
 
“Ah, quindi rimarrete soli soletti per interminabili ore in quella tua bella cameretta e…” insinuò la cugina ridacchiando.
 
“E studieremo!” impose decisa la ragazza dai capelli biondo cenere.
 
Jackie scrollò le spalle e si arruffò un ciuffo biondo che gli ricadeva sul davanti. Poco entusiasta di cominciare il suo recupero, cambiò argomento: “Allora Jam, l’hai chiamata?”
 
“Chi?” chiese il gemello, risvegliandosi per un attimo dal suo stato di torpore.
 
“Naomi, è ovvio!”
 
Jamie s’impose di non arrossire, ma non servì a niente perché le sue gote s’infiammarono all’istante. “No.”
 
“Ho capito, ti ci vuole una spintarella!” Jackie si allungò per rubargli il cellulare dalla tasca e cercò il numero di Naomi nella rubrica, mentre il fratello sgranava gli occhi e scattava in piedi congiungendo le mani e  implorandolo di non farlo.
 
“Pronto?” rispose la voce frizzante della rossa. 
 
Jackie accostò il telefono all’orecchio del gemello e gli bisbigliò: “Vai, sciupa-femmine, è il tuo momento!”
 
Sam e Melanie, nel frattempo, ridacchiavano alle sue spalle e Rachel osservava la scena con un mezzo sorriso stampato in faccia. Persino per lei era difficile trattenere le risa.
 
“Pronto, chi è?” ripeté la voce di Naomi, un po’ piccata.
 
“Ciao…” mugugnò Jamie con un filo di voce.
 
“Ah, Jam, sei tu?” domandò lei, tentando di nascondere la contentezza.
 
“Sì, ehm…”
 
Jackie cominciò a mandargli segnali e a fare gesti confusi con le mani, ma il fratello aggrottò la fronte più confuso di prima.
 
“Chiedile di uscire!” sussurrò Rachel, salvando la situazione.
 
Jamie chiuse gli occhi e incamerò quanta più aria possibile per parlare: “Mi c-chiedevo… s-se ti andava d’uscire… c-con me.”
 
“Certo, quando?” disse la cheerleader tranquillamente.
 
“Ehm…” balbettò Jamie in crisi. Non aveva previsto che lei avrebbe accettato. 
 
Rachel alzò gli occhi al cielo e gli diede una gomitata in un fianco, lui disse il primo giorno che gli venne in mente: “Sabato!”
 
“Sabato?”
 
“Sì, quello che viene dopo il venerdì…”
 
A Naomi scappò una risatina: “E dove ci troviamo?”
 
“Ehm…”
 
Rachel sbuffò frustrata per l’incapacità del ragazzo, ma stavolta Jamie ne uscì senza il suo aiuto. “Alla fermata della metro di Central Park! Alle quattro alla fermata!”
 
“Perfetto! Ci vediamo là, baci baci!” lo salutò lei chiudendo la linea.
 
Il biondino fissò il cellulare sconvolto: “Ha… detto… baci?”
 
“Al telefono saluta tutti così” spiegò Sam, che si era accasciato a terra dalle risate.
 
“Smettetela di ridere! Adesso cosa faccio?!”
 
“Ci esci, no? E datti una calmata, mica ti mangia” commentò Jackie, alzando le spalle.
 
“Parli proprio tu che hai fatto tante storie per l’uscita a quattro?” gli fece notare giustamente Sam.
 
La campanella suonò prima che il ragazzo potesse rispondere, e ognuno tornò ai propri corsi, meno Jackie che salì sul suo skate e si allontanò: voleva godersi quell’ultima mattina libera prima di cominciare il recupero. 
Attraversò un incrocio e s’immerse nel centro di Manhattan. Sfrecciava tra le persone, senza preoccuparsi della direzione; non aveva bisogno di una meta. 
Pensò a ciò che gli era successo in quegli ultimi giorni: la prova di coraggio, l’incontro con Stray, l’uscita a quattro, lo scontro con Rachel sul tetto della scuola…
Lui e la tennista non erano mai andati d’accordo, fin da piccoli avevano sempre evitato di rivolgersi la parola, ed erano arrivati a sedici anni ignorandosi a vicenda, senza sapere nulla l’uno dell’altra. 
Ora, una serie di circostanze li aveva portati allo scontro diretto. 
Era chiaro che non sarebbero mai riusciti a sopportarsi… o forse sì? Gli tornò in mente l’incontro con lei nel campo da skateboard; in quel caso avevano parlato come grandi amici, si erano quasi consolati a vicenda. Ripensarci gli fece uno strano effetto, gli sembrò quasi di averlo solo sognato. L’idea che fosse proprio lei a dargli lezioni private lo irritava: sarebbe stata l’ennesima sfida, ma il campo delle conoscenze e dello studio non era il suo forte e stavolta avrebbe vinto lei. 
Rachel avrebbe capito che lui era solo uno stupido, che non valeva niente…
Sentì montare la rabbia. Perché doveva cominciare con quelle stupide ripetizioni? Aveva smesso di fare i compiti in quarta elementare e non aveva nessuna intenzione di ricominciare. Era tutta colpa di sua madre! Lei voleva costringerlo a studiare? Bene, lui si sarebbe vendicato, non sia mai che Jackie Sage si lasci mettere i piedi in testa. 
Si bloccò davanti ad un negozio senza vetrina e lesse l’insegna: Tattoo
Gli tornò in mente la discussione che aveva sostenuto con sua madre una settimana prima.

 
 
Julia raccolse da terra un paio di riviste e le portò in cucina per buttarle nel cestino, poi si dedicò a lavare i piatti. Jackie la seguì silenziosamente e s’incantò ad osservarla.
 
“Cosa c’è, tesoro?” chiese la donna con voce premurosa, ma senza voltarsi.
 
“Niente” borbottò il ragazzo, abbassando gli occhi. 
 
“Ormai è da mezz’ora che mi segui di soppiatto, quando fai così significa che stai per combinare qualcosa.”
 
Il ragazzo arrossì colpevole, ma il coraggio non gli mancava quindi gonfiò il petto e drizzò le spalle. La voce tuttavia non gli uscì sicura quanto avrebbe voluto: “Mi stavo chiedendo… cosa ne pensi dei tatuaggi?” 
 
Julia trasalì e si voltò di scatto per fissarlo severamente negli occhi. “Assolutamente no!”

 
 
Jackie entrò deciso. Vide una ragazza mora, seduta su uno sgabello, che stringeva i denti per il dolore, mentre un uomo corpulento gli tatuava una farfalla colorata sul polso. Quando vide l’ago forare la pelle, tutta la sua sicurezza, basata soltanto sul desiderio di ripicca, sparì nel nulla. 
 
Forse non ne vale la pena, pensò.
 
Poi però si diede mentalmente del codardo. Si trattava di un insignificante ago, niente di più. Non sarebbe stato più doloroso che fare a botte con Stray.
 
L’uomo corpulento concluse il suo lavoro e si avvicinò a Jackie con aria divertita: “Che ci fai qui, ragazzino?”
 
“Secondo lei?” fece il biondino, imponendosi un tono fermo per sembrare più grande.
 
“I tatuaggi non sono roba da bambini, i tuoi lo sanno che sei qui?”
 
Jackie lo polverizzò con lo sguardo e pronunciò a denti stretti: “Voglio un tribale sulla spalla destra.”
 
“Non ti scaldare, non vorrei che mi aggredissi con il biberon!” ridacchiò l’uomo divertito. “Comunque, se ci tieni tanto… cinque minuti e sono da te. Tu intanto siediti” gli disse, indicando lo sgabello su cui poco prima stava la ragazza mora, dopodiché si allontanò per sterilizzare gli strumenti.
Jackie s’accomodò e s’incantò ad osservare le pareti interamente ricoperte di graffiti di ogni genere. L’uomo corpulento fu di parola; in cinque minuti si presentò da lui con un attrezzo in mano, che finiva con una punta acuminata tutt’altro che invitante.
 
 
***
 
 
  Melanie e Rachel uscirono insieme dall’estetista, pranzarono velocemente con un panino e si dedicarono allo shopping, passeggiando lungo la via del centro. Erano entrambe tese, ognuna per i propri motivi e ogni volta che concludevano una conversazione cadevano in imbarazzanti e interminabili silenzi.
 
“Mel, che ti succede?”
 
“Potrei farti la stessa domanda!” esclamò la cugina.
 
“Sei tu che sei strana, stai macchinando qualcosa?” domandò Rachel, studiandola con gli occhi.
 
Melanie rilassò le spalle, tentando di mostrarsi tranquilla.
 
“Riguarda Sam?”
 
“No.”
 
“Allora, Marea?”
 
La cavallerizza si morse il labbro, in difficoltà. “Oh, accidenti! Non riesco più a stare zitta, devo dirlo a qualcuno!” 
 
“Qualunque cosa sia, ho il presentimento che non mi piacerà” fece Rachel, sospirando.
 
“Qualche giorno fa ho cavalcato Marea.”
 
“Ma i tuoi non vogliono che…”
 
Melanie la interruppe: “Non è finita qui, l’ho fatto per un motivo preciso: ho intenzione di partecipare alla gara d’ippica che si terrà fra tre giorni.”
 
“Cosa?! Non puoi farlo! Se ti succedesse qualcosa…”
 
“Racy, pensavo che tu avresti capito. Non ce la faccio più! Tu lo sai come ci si sente quando sai esattamente cosa potrebbe renderti felice, ma non puoi averlo?”
 
Rachel fissò gli occhi limpidi della cugina; erano di un colore sereno e terso, l’esatto contrario dei suoi, che erano di un azzurro tanto cupo da sembrare in costante tempesta. Non seppe per quale motivo, ma quella domanda gli attraversò la mente insieme all’ombra di un volto familiare e sbatté le palpebre per cancellare quell’immagine. “D’accordo. So che me ne pentirò, ma sono con te” acconsentì infine la ragazza dai capelli biondo cenere. 
 
Melanie stava per replicare, ma la sua attenzione fu catturata dalla  figura di un ragazzo che se ne stava appoggiato con la schiena contro una vetrina; le cuffie con la musica nelle orecchie e sul volto un’espressione imbronciata.
 
“Jack?” mormorò sorpresa.
 
“Cosa c’è?” chiese Rachel, notando la sua distrazione.
 
“Guarda un po’ chi c’è là! Il tuo skater preferito!” Prima che la tennista potesse rispondere, la cugina la afferrò per un braccio e si lanciò verso il biondino, chiamandolo a gran voce.
 
Jackie si toccò la spalla e represse un lamento. La faccenda del tatuaggio l’aveva messo di pessimo umore. La pelle gli bruciava e gli prudeva in modo seccante: con la fortuna che si trovava, di lì a poco avrebbe anche potuto infettarsi. Si voltò verso la voce conosciuta che chiamava il suo nome e, quando vide le due ragazze, imprecò sottovoce: non era proprio dello spirito giusto per affrontare una conversazione con le due cugine. 
 
“Ciao! Sei in giro da stamattina? Hai preso a pugni qualcuno? Come mai quel muso lungo?” lo tempestò di domande Mel, con un modo di fare che ricordava tanto quello di Sam.
 
“Eh?” chiese lui frastornato. Tanto entusiasmo tutto in una volta poteva anche nuocere alla sua pessimistica salute.
 
“Cos’ hai combinato al braccio?” domandò invece la ragazza, notando che lui si teneva stretta la spalla.
 
Jackie non si sforzò nemmeno di articolare una risposta decente. “Nh… niente.”
 
E Rachel, che fino ad allora aveva osservato un punto vuoto, fingendo di non ascoltare, sbuffò: “Una risposta esauriente ogni tanto farebbe piacere!”
 
Lui non la guardò neanche: se l’avesse fatto sarebbe esploso. Rimase zitto e fissò un tombino, ingoiando tutti gli insulti che tentavano di uscire dalla sua bocca.
 
“E rispondi! Maledizione!”
 
“Fidati, è meglio se non lo faccio! Adesso sparite!”
 
“Non mi faccio dare ordini da te, ritardato!”
 
“Sai, non ho mai picchiato una donna, ma c’è sempre una prima volta!”
 
“Certo, gli uomini primitivi come te pensano subito ad alzare le mani” replicò lei iraconda.
Melanie si mise tra di loro, alzando i palmi aperti per tentare di calmarli. “Stop, ragazzi, fine primo round! Ma si può sapere cos’avete?”
 
“Io niente! È lei che vuole litigare a tutti i costi!”
 
“Tu non ti degni neanche di rispondere quando qualcuno ti rivolge la parola! Sei più asociale di un lupo solitario!”
 
“Ma sentitela, ha parlato la donna ghiacciolo! Quando passi tu la temperatura cala sotto zero!”
 
“Fai il sarcastico, Falchetto?!”
 
Jackie trasalì, e alzò lo sguardo su di lei: “Chi ti ha detto…”
 
“Jam.”
 
“Gli staccherò le corde vocali!” gridò, alzandosi in piedi cominciando a camminare a passo spedito.
 
“Domani pomeriggio, alle tre a casa mia! Sii puntuale, Falchetto!” lo canzonò Rachel con un mezzo sorriso di soddisfazione per essere riuscita a fargli perdere le staffe. Era comunque una reazione. Jackie non poteva più ignorare la sua esistenza come si era impegnato a fare per tutti quegli anni.
Rachel era nella sua vita ora e presto avrebbe dovuto fare i conti con quella nuova realtà.





Note di Nymeriah
Ehm, sì… sono tornata. Prendetevela con quella gentaglia che vuole continuare a portare dolore all’umanità facendomi postare, tipo Depa29, MiaStonk, Olly Polly Lolly e cristalwaterfalls. Gentaglia, appunto (che scrive divinamente tra l’altro, andate a dare un’occhiata). 
Ci tengo a ringraziarle una per una, perché sono amiche della miglior specie; di quella specie rara che non viene nemmeno classificata perché piuttosto introvabile, assimilabile agli unicorni, ecco.
Sono unicorni.
 
Comunque, il capitolo è un po’ di passaggio, ma vengono presentati personaggi che saranno indispensabili in futuro, come Johnatan Steer; produttore miliardario e nonno preferito di Sam. Niente è lasciato al caso, anche il tatuaggio di Jackie avrà una sua utilità!
Nel prossimo capitolo: Rachel avrà un’illuminazione durante le ripetizioni con Jackie e Naomi e Jamie avranno il loro primo (disastroso) appuntamento.

(Foto capitolo presa da Tumblr, non mi appartiene!)


Questi sono i prestavolto dei miei pargoletti (in realtà i gemelli sarebbero più biondi di così, ma come lineamenti ce li vedevo piuttosto bene quindi ho scelto comunque Lachowski).
Nel prossimo aggiornamento posto gli altri ;)
 
Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPicImage and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nymeriah