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Autore: Alexiel_Slicer    13/12/2012    2 recensioni
L'aveva uccisa, la sentiva piangere, se ne innamorò.
"Dal giorno dell'incidente la sognava quasi ogni notte e la domanda che gli porgeva era sempre la stessa: "Perché l'hai fatto? Perchè mi hai uccisa?".
Se solo fosse dipeso da lui, se solo avesse avuto un minuto in più a disposizione per rendersi conto della sua presenza e per evitarla, ma purtroppo così non era stato ed adesso lui sentiva un gran peso opprimerlo."
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII

Bill fece ritorno a casa. Era arrabbiato, furioso. Tom aveva superato ogni limite!
Appena varcò la soglia Emily gli andò incontro di corsa "Già di ritorno dalla passeggiata?" domandò allegra.
Il ragazzo lasciò malamente le chiavi all'ingresso della cucina senza risponderle.
"E Tom dov'è?" continuò guardando la porta chiusa al suo fianco con un tono più basso, preoccupato.
"Non lo so" disse secco lui.
"E'...è successo qualcosa?" chiese titubante portandosi entrambe le mani al centro del petto.
"E' un coglione!" sbottò improvvisamente Bill "Mio fratello è un coglione!".
"Che ha combinato? Sicuramente niente di irreparabile...spero...".
"Mi ha ingannato! Lo sai perchè mi ha chiesto di uscire? Per portarmi con l'inganno da quella maledetta psicologa che mi crede pazzo! Ma la cosa che mi fa più male è che lui mi crede pazzo! Persino le persone per strada mi credono pazzo!" disse passandosi una mano sul viso, per poi farla salire sui capelli e spettinarli un pò.
Si voltò verso la ragazza in cerca di sostegno o almeno di qualunque risposta, anche un semplice "ok" per lui sarebbe significato abbastanza, perchè segno che almeno aveva ascoltato il suo sfogo, ma incontrò solo un capo chino con gli occhi rivolti verso il basso intenti ad osservare le dita delle mani che si torturavano a vicenda.
"Che cos'hai?" le chiese.
"Mi dispiace..." mormorò lei alzando la testa.
Si diresse verso la porta e l'aprì uscendo. Bill però l'afferrò per un polso fermandola.
"Dove stai andando?".
"A sistemare tutto. Dovevo farlo già stamattina. Ti sto causando solo problemi ed io non voglio...è tutta colpa mia!" disse liberandosi dalla sua presa.
"No aspetta!" esclamò lui, mentre la vedeva andar via, verso quella casa in cui lui non aveva coraggio di mettere piede.
Voleva seguirla, voleva fermarla, ma i suoi piedi non glielo permettevano. Erano bloccati a terra, bloccati dalla paura, dalla vigliaccaggine.
Se l'avesse seguita poi cosa sarebbe successo? Se non fosse riuscito a fermarla? Sarebbe arrivato fino a quella casa e poi? Lei era davvero lì? Come poteva dirlo con certezza? E se quella fosse stata veramente la sua questione in sospeso? Probabilmente quella sarebbe stata l'ultima volta che la vedeva.
Rientrò in casa e richiuse la porta.
Non c'è la faceva. Non c'è l'aveva fatta quella mattina e non c'è la faceva neanche adesso, a solo poche ore di distanza dal primo tentativo.
Si voltò e davanti a sè trovò una casa deserta: la sua assenza si faceva sentire. Nessuno più correva e saltellava sul pregiato parquet, nessuno più l'avrebbe mandato via dal suo letto, nessuno più gli avrebbe fatto svuotare il frigo e la dispensa.
Lei c'era ancora, ma lontano da quella casa. Fuori dalla sua vita ora tutto era più vuoto e presto lo sarebbe stato per sempre. In fondo era bello averla tra i piedi, era bello parlare con qualcuno che nessuno potesse vedere. Una persona solo per lui, che lo facesse sentire un pò speciale.
Guidato da quei pensieri inforcò la maniglia della porta ed uscì anche lui di casa.
Iniziò a correre nella speranza di trovarla ancora, magari qualche centinaia di metri più avanti, ma così non fu. Nonostante fossero passati solo pochi minuti lei non c'era, era come se si fosse volatirizzata.
A metà strada la sua corsa cessò per la stanchezza, inoltre correre tra i marciapiedi affollati di Los Angeles non era un'impresa facile. Si limitò a camminare a passo svelto.
Arrivò davanti alla casa della madre di Emily e lì il suo inseguimento terminò.
Fece un lunghissimo respiro profondo ed alzò una mano per bussare. Era arrivato il momento, il faccia a faccia finale. Bussò.
Aspettò qualche secondo che a lui sembrarono interminabili minuti che gli fecero pensare che forse la donna non era in casa, ma ad un tratto la porta si aprì scoprendo a metà il viso della madre della ragazza. Questa quando lo vide impallidì.
"Come ti permetti di presentarti davanti alla mia porta?!".
"Io...io vorrei parlarle" balbettò mortificato.
Quello sguardo inquisitore lo stava distruggendo.
"Non abbiamo niente di cui parlare! Adesso vattene da casa mia! Sei solo un criminale! Un assassino!".
"No..." mormorò "No!" disse fermandola.
"Vai via o chiamo la polizia!".
"No, mi ascolti. La polizia non risolverà un bel niente e neanche portarmi rancore...io per questo non la biasimo, ma almeno mi dia due minuti e mi ascolti".
"Hai una gran faccia tosta, lo sai?".
"La prego".
La donna lo scrutò con diffidenza.
"E va bene, ma ha solo due minuti" disse.
"Grazie...p-posso entrare?" chiese timidamente. Doveva sapere se lei era dentro quella casa.
La signora Valentine lo guardò male, poi sospirando spalancò la porta lasciandolo entrare.
"Grazie" mormorò Bill varcando la soglia.
Una volta dentro si guardò attorno in cerca di Emily, ma di lei nemmeno l'ombra.
"Allora?" lo incalzò la donna.
"Io volevo scusarmi...quello che ho fatto è imperdonabile...".
"Non so di che farmene delle tue scuse!".
"Lo so, le scuse non riporteranno in vita Emily, ma non lo farà nemmeno l'ostilità nei miei confronti...".
"Dovresti stare in galera in questo momento!".
"Io sto pagando per quello che ho fatto...Emily era una ragazza fantastica, anzi Emily è una ragazza fantastica. Se il destino mi avesse dato l'opportunità di icontrarla in un'altra circostanza sicuramente me ne sarei innamorato...lei è vitale, intelligente, solare, un'ottima pianista e inoltre è anche una buona forchetta" sorrise inconsapevolmente pronunciando le ultime parole.
"Tu...tu come puoi dire questo di lei?...Tu non la conoscevi...".
"Già, non la conoscevo...comunque sia volevo solo dirle che anche se non sono dietro le sbarre di una cella io sto pagando la mia colpa e forse sto pagando ancor più di marcire in galera. Dal giorno dell'incidente i sensi di colpa mi perseguitano, sogno Emily tutte le notti, a volte mi sembra quasi di viderla e per questo mio fratello crede che io stia male, che sia pazzo...è convinto che andare da una psicologa che mi imbottisce di farmaci sia la soluzione giusta...mi creda, non c'è peggior punizione che sapere che il proprio fratello, una persona talmente cara ti creda folle...non so se questo la può far sentire meglio...era tutto quello che volevo dirle, arrivederci e mi scusi per il disturbo". Detto quello uscì di casa.
Non poteva di certo dirle che lui riusciva a vedere il suo fantasma, non poteva dirle che sua figlia scorazzava nella sua villa, mangiava e dormiva nel suo letto, suonava il suo pianoforte come una persona fatta di carne ed ossa. Non poteva dirglielo. Quella povera donna aveva già sofferto abbastanza e udendo quell'assurda notizia l'avrebbe intesa come una ignobile presa in giro, cosa di cui Bill poteva farne benissimo a meno.
Al suo ritorno Tom ancora non c'era e per lui era un sollievo.
Doveva abituarsi a quell'enorme casa vuota. Emily non c'era più, aveva risolto la sua faccenda in sospeso e se n'era andata per sempre. Non l'aveva neanche potuta salutare. Tutta colpa della sua dannata esitazione.
Salì in camera e con gli occhi rivolti al pavimento chiuse la porta dietro di sè.
"Ti aspettavo".
Una voce lo fece sobbalzare. Alzò lo sguardo e trovò Emily. La sua trasparenza era sparita, adesso i suoi colori erano accessi, vivi, sembrava fosse fatta davvero di carne ed ossa.
"E-Emily" mormorò sorpreso "Non dovevi aver raggiunto la luce bianca o cose del genere?".
"Lo credevo anch'io, ma dopo aver rivisto mia madre ed averle parlato, anche se lei non poteva sentirmi, sono scomparsa e riapparsa qua...chissà, forse sei tu la mia luce bianca..." disse sorridendo.
Bill le si avvicinò consapevole che ormai era la fine di tutto. In quell'istante, dopo un'ora o forse l'indomani lei sarebbe potuta scomparire definitivamente dalla sua vita.
L'abbracciò "Mi mancherai Emily, mi mancherai" mormorò.
"Ma io sono ancora qui".
Il ragazzo la baciò. Le sue labbra erano fredde.
"Ti amo...avrei voluto incontrarti in un'altra circostanza..." disse Bill rauco sorridendo amaramente.
"Anch'io ti amo...è da un pò che provo questo sentimento per te...ti scrutavo di nascosto nella tua quotidianità e più ti vedevo più sentivo del calore dentro al petto...".
"Io non voglio che te ne vai".
"Non lo vorrei neanch'io, ma purtroppo devo...tu mi starai accanto durante il trapasso, vero?".
"Certo".
Emily si appoggiò al suo petto "Adesso sono tanto stanca, è stata una giornata intensa" mormorò.
Si sdraiarono sul letto, lei tra le braccia di lui e si addormentarono.
Quando Bill riaprì gli occhi era notte fonda e lei non c'era più: aveva raggiunto finalmente quella pace che si meritava. 

FINE


  
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