Di
nuovo un saluto a tutti da TonyCocchi! Rieccoci ad un altro appuntamento con
questa serie di ucronie che vi sta parecchio deliziando e che mi ha dato
parecchie soddisfazioni! Ora che la stagione fredda è finalmente arrivata, non
c’è nulla di meglio che starsene al calduccio di casa propria, io a scrivere e
voi a leggere, vero? ^__^
Non
credo che anche quest’anno scriverò anche qualche fic a tema natalizio (ce ne
sono già un paio nella mia gallery, anche se non su Hetalia, chi è curioso
magari dia un’occhiata ^__°), ma spero comunque che i miei capitoli stiano
contribuendo, insieme con alberello e riscaldamento, a darvi il giusto
buonumore e la giusta spensieratezza in questo tempo di festa!
Quindi,
ancora una volta, buona lettura!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!
PPS:
Un ringraziamento a Darkshin, alias Rob, per il contributo all’ideazione di
questo capitolo! ^__^
“Ve,
meno male che America sta bene: quella botta è stata veramente forte.” –disse
Italia, seduto tra le altre due ex-potenze dell’asse.
“Ha
la testa dura quello lì.” –ostentò tranquillità Germania; la minore premura
mostrata rispetto all’amico derivava certo dal diverso carattere, e dalla
convinzione che tutti i cretini alla fine ce l’hanno la testa dura…
“Mh.”
–fece Giappone, senza sbilanciarsi troppo nel discorso, come sempre.
“Mi
chiedo chi farà la prossima domanda!”
Ludwig
guardò l’orologio: “Io mi chiedo se non ne abbiamo già fatte abbastanza.”
“Germania,
perché non provi tu? Potrebbe essere divertente!”
Il
biondo storse il naso e guardò altrove: “No, io… Non ho nemmeno una domanda da
fare, ecco.”
“Posso
suggerirtela io!” –alzò la mano lui, come un alunno volenteroso che non vede
l’ora di farsi interrogare dal “maestro”- “Perché non chiedi come sarebbe stato
se tu, io e Giappone avessimo vinto la Seconda Guerra Mondiale?”
“NEIN!”
–quel suggerimento gli provocò diversi effetti collaterali, tra cui shock, brividi,
sguardo sfuggente per evitare contatto visivo, espressione inorridita, e
ovviamente lo sbraito in lingua madre.
Purtroppo
Feli sembrava sottovalutare la categoricità di un “Nein!” urlato come si deve:
“Ve, ma perché? Non sarebbe bello se una volta tanto vincessimo? Se sei timido
glielo dico io ad Ame…”
Nessuno
mette in dubbio un “Nein!”, pena lo sguardo spaventoso e la forte mano di
Ludwig che ti preme sulla testa minacciando di ridurti in maccheroni quel tuo
cervello da sempliciotto: “Ho detto “Nein”, Italia… Non farmelo ripetere…”
Quando
un tedesco dice “Nein!” è “Nein!”…
“Veeeeee! Non ti arrabbiare!” –riuscì a malapena ad esclamare tanto tremava!
“Umpf!”
Peccato
che a Germania non interessasse, pensò carezzandosi i capelli schiacciati:
finora aveva visto che sarebbe successo se fosse rimasto fuori da quel
conflitto, vincerlo invece gli mancava. Magari sarebbe bastato che avesse
imparato un po’ prima a lanciare bene le granate e sarebbe andato tutto bene:
un po’ di colpa se alla fine il suo amico non ce l’aveva fatta era anche sua…
Però, visto che era inutile insistere, si tornava alla domanda di partenza: chi
poteva chiedere un’ucronia adesso?
<<
Non guardare da questa parte… Non
guardare da questa parte… Non guardare da questa… >>
“Giappone!”
<<
… Sigh! No, ti prego! Sono riuscito a starne fuori fino ad adesso! >>
“Giappone,
perché non vai tu? Non hai qualche curiosità da chiedere?”
“Ecco…”
Purtroppo, mentre ancora escogitava un piano per salvarsi dall’impiccione
italiano, arrivò America, che casualmente li aveva sentiti: “Giusto, Giappone! Avevo
giusto la sensazione che mancasse qualcuno di importante! Tu devi assolutamente
chiedere qualcosa alla mia macchina, non fare complimenti!”
“M-ma
a me piace fare complimenti!”
Quanti
complimenti avrebbe elargito, pur di non essere lì, con Italia da un lato ad
alternare “Ve!” e “Dai!” nel suo orecchio e America dall’altro ad stringerlo
con un braccio e incoraggiarlo a sua volta.
“Ah
ah ah! Giappone, conto su di te! Sei uno dei più popolari qui intorno, non puoi
non rendere onore alla mia meraviglia!”
“G-g-grazie, America, sono onorato, ma… Non dovevamo vedere la tua ucronia su
Vietnam?”
“Ti
cedo il posto, tranquillo!” –lo sentì rispondere iper-sbrigativo, ancora prima
che Vietnam cercasse con lo sguardo il suo remo (ricomposto nel frattempo con
un po’ di nastro adesivo!), anche se c’erano altri motivi in realtà…
“Il
pubblico non vuole me, Giappone, vuole te!”
Che
vergogna, di certo lo stavano fissando tutti! Eppure America doveva saperlo che
non gli piaceva essere messo in mezzo. Ma la via della fuga era sempre più
stretta, e l’unico modo per toglierselo di torno era diventato, ormai,
accontentarlo.
“Va
bene, se insisti chiederò…”
“Si?”
Non
gli veniva in mente nulla, e quel ritardo nel formulare la domanda gli stava
procurando ancora più imbarazzo!
Italia
provò a spronarlo un pochino: “Ve, Giappone, se sei troppo timido puoi dirlo a
me e poi io lo dico ad America.”
“Timido…”
–ripeté Giappone- “E-e-ecco! Ce l’ho!” –fece un inchino verso Alfred- “Perdona
la mia impreparatezza nel rispondere!” –poi si inchinò verso tutti gli altri… a
ripetizione- “Scusate… E scusate in anticipo se la mia ucronia non dovesse
piacervi.”
America
si asciugò un gocciolone e lo fermò prima che a furia di inchini gli venisse il
mal di schiena: “Questa domanda?”
“S-si!
Allora… Come tutti sapete, io sono sempre stato un tipo calmo e riservato,
silenzioso, in una parola molto introverso… C’è stato un periodo della mia vita
in cui mi sono addirittura chiuso al resto del mondo, pensando solo alla quiete
di casa mia e non accettando visite da nessuno, salvo poche eccezioni…”
“Io
ero una di queste.” –chiarì Olanda- “Commerciava unicamente con me, ma se
volevo passare a trovarlo dovevo avvisarlo con almeno una settimana d’anticipo
per permettergli di prepararsi psicologicamente all’incontro.”
Prussia
rise: “Ah ah ah, ma fai sul serio? Questo non è molto magnifico da far sapere
in giro, sai?”
“Beh,
non è completamente da biasimare se non si fidasse di voi occidentali.” –si levò
a difenderlo Cina, che l’aveva cresciuto sin da piccolo- “A quel tempo il
vostro passatempo preferito era spartirmi tra di voi! Naturale che avesse un
po’ di paura, è sempre stato un bambino sensibile lui.”
Giappone
arrossì e nascose il viso: col senno di poi riusciva ad ammettere di essersi un
po’ lasciato andare alle sue paranoie in quel periodo!
Uno
schiocco di dita lo riportò alla realtà.
“Ci
sono!” –fece America- “Ho capito dove vuoi arrivare! Vuoi chiedere come sarebbe
stata la tua storia se fossi stato un tipo diverso, più aperto, più frizzante,
più amichevole e genuino… Più come me insomma!”
Nella
nuvoletta che si formò sopra la sua testa, Giappone assistette ad uno
spettacolo raccapricciante: vide sé stesso, col bomber di America e i capelli
in gelatinati all’insù che parlava all’assemblea delle nazioni strafogandosi di
un onigiri dopo l’altro, farfugliando e facendo strani (ed equivoci) gesti con
l’altra mano!
“Ai-ya!
È diventato più bianco di Shinatty-chan!” –si spaventò Cina, e non solo lui!
“NO!
NONONONONONO! Non è questo che voglio chiedere!” –dovettero poi aspettare un
minuto che riprendesse fiato, prima che potesse continuare!- “Non è che a me dispiaccia
essermi aperto, anzi, ringrazio America per l’aiuto che mi ha dato all’epoca.”
America
accolse i ringraziamenti ribadendo quanto era mitico: “Esatto, è stato l’eroico
sottoscritto a sottrarre Giappone dall’isolamento in cui si era rinchiuso!
Umpf!”
“Davvero? E come hai fatto?” –chiese Italia.
“Semplice!
Sono passato da lui diverse volte per invitarlo ad un bel barbecue in amicizia
e convincerlo così a fare la conoscenza anche di Inghilterra e degli altri, ma
per quanto ci provassi ha sempre rifiutato il mio invito… Finché un bel giorno
non mi sono presentato sotto casa sua con delle navi da guerra minacciando di
fare un pandemonio se non veniva fuori a farsi quello stramaledettissimo
barbecue!”
“……”
“E così l’ho convinto!”
“Da
lì presi la decisione di modernizzarmi e divenni una grande potenza, e adesso
sono contento di avere molti amici. Però vorrei sapere che fine avrei fatto se
America non fosse intervenuto; voglio dire, sarei riuscito ad uscire con le mie
sole forze da quella solitudine? Sarei riuscito comunque a farmi degli amici
senza quella “spintarella”? Era questo che volevo chiedere.”
“Ve,
io sono sicuro di si! Cucini bene, quindi tutti avrebbero voluto essere tuoi
amici!”
“Un
po’ riduttivo, Italia, non penso basti il cucinare bene…” –disse America- “Però
è vero, tu piaci alla gente! Cosa sarebbe il mondo senza Godzilla?”
“O
lo yaoi!” –aggiunse Ungheria.
“Bene,
facciamo partire la domanda allora! Però, Giappone, posso chiederti un piccolo
favore?”
“Che cosa, America?”
Alfred
congiunse le mani e pensò ad un hot-dog senza ketchup per farsi venire gli
occhioni tristi: “Ti prego, almeno tu che sei un amico vai nell’ucronia in
prima persona! Da quando tutti sanno della modalità spettatore nessuno più ha
voluto farsi risucchiare (almeno volontariamente), ed è un grande spreco! Tu
adori la tecnologia e la realtà virtuale come me, quindi puoi capirmi!”
“M-ma
io volevo restare qui veramente! Mi vedranno tutti sullo schermo! E-e poi con
la mia domanda voglio sapere se ce l’avrei fatta a diventare un po’ più
socievole con le mie sole forze, se ci vado da me che l’ho chiesto che senso
ha?”
“Ti
preeeeeeeeego!” –lo supplicò pensando ad un cowboy a cui hanno rubato tutti i
vitellini.
“Ecco…
Va bene, se è così importante per te…”
<<
Giappone è troppo ben educato per
scontentarlo… >> -pensò Italia…
<<
America è troppo stupido per capirlo… >>
-pensò Germania.
Così,
a patto che il risucchio avvenisse in modo decoroso (tutto in una volta, senza
teste mangiate comicamente), Giappone andò a sperimentare sulla propria pelle
gli effetti che avrebbe avuto su di lui un più lungo distacco dal mondo
esterno; sarebbe stato ugualmente bene
per conto suo, dimostrandosi ancora una volta un tipo solitario, e che si può
bastare a sé stessi, o avrebbe trovato conferma che è meglio abbracciare il
mondo anziché snobbarlo?
Grazie
alla sua pratica nelle arti marziali, cadde nella sua storia alternativa con
agilità, piegandosi su un ginocchio. Si sollevò e aprì gli occhi. Fu una vista
piacevole, constatò con sollievo.
“Stupendo!”
–esclamò, vinto dall’emozione- “Questo è… Il vecchio Giappone di una volta!”
Era
al centro di una via, tra due file di edifici di legno bassi e dai tetti
spioventi tipici di casa sua e di Cina; c’erano mercanti che contrattavano
fuori dalle loro botteghe, manovali che si sforzavano sotto il peso delle
merci, bambini che giocavano, donne di casa e geisha che svolgevano le loro
commissioni, e tutti, proprio tutti, vestiti dei suoi abiti tradizionali:
kimono per gli uomini, yukata per le signore, e i sandali di legno geta ai
piedi dei passanti erano un concerto che lo riempiva di una ridente nostalgia.
Lo
superò un gruppetto di tre uomini dai capelli rasati davanti e raccolti in
crocchie dietro; indossavano lo jinbaori e il portamento fiero si spiegava con
ciò che portavano al fianco. Fodere lucide e laccate che risplendevano alla
luce non meno delle eccezionali katane che contenevano: samurai, samurai
autentici. Da quanto tempo non ne vedeva.
“Ah,
i vecchi tempi, prima che l’occidente irrompesse da noi... Questo Giappone qui
è rimasto così giapponese… Uh?”
Si
accorse che anche i suoi vestiti si erano adeguati all’ambiente: indossava un
kimono blu, coperto da un haori chiaro, sotto il quale c’era un hakama, la
gonna-pantalone dai bordi pieghettati, di colore scuro. La sua fida katana era
ovviamente lì, assicurata alla cintura dal sageo annodato alla perfezione; ma
in fondo, spadone a parte, ai festival continuava ad indossare vestiti del
genere, quindi la sorpresa maggiore parevano essere piuttosto i capelli.
Li
portava lunghi, raccolti dietro in un cilindro da cui spuntavano e scendevano
giù sulla schiena come una selvaggio crine nero come la notte.
“Mhm…”
Non
era da lui farsi dei complimenti da solo, e non se ne lasciò scappare ad alta
voce… Ma dentro gli piaceva davvero molto non portare più la solida scodella in
testa! Come se una macchina creata da America gli avesse fatto il favore di
donargli un look più tosto!
Iniziò
a camminare e a sorridere inconsciamente, rispondendo ad ogni inchino di saluto
con cui veniva onorato strada facendo. Come Inghilterra, anche lui era
ritornato indietro fino a tempi d’oro: i suoi erano i tempi dei grandi
guerrieri e dei daimyo, dei fascinosi e oscuri ninja e delle graziose
suonatrici di koto nelle osterie, dei kami e dei kappa nel laghetto sotto casa,
che tempi!
<<
Fantastico, mi sembra un sogno! E io che
avevo troppa paura per chiedere un’ucronia, ma devo dire che non è così male!
>>
I
suoi occhi brillarono vedendo i templi shintoisti nel loro antico splendere e i
grandi castelli di roccia bianca ancora solidissimi sulle loro radici di
pietra.
Col
fiato mozzo, si portò le mani davanti al petto per afferrare… il vuoto!
<<
Oh, già! Eh eh, niente macchine
fotografiche… >>
Forse
era tornato troppo indietro? Probabilmente no, anzi, forse molto poco. Se
l’isolamento era proseguito di più in quel mondo, probabilmente erano già state
inventate, solo che lì non erano mai pervenute, o se c’erano erano rare e le
portava Olanda quei pochi giorni in cui era disponibile ad avere contatti con
l’esterno.
<<
Peccato, ma non si può avere tutto.
>> -la prese con filosofia- << Voglio
andare un po’ a casa mia adesso. >>
Casa
sua era sempre stata un posto quieto, ma aveva dimenticato quanto potesse
esserlo senza il rumorio lontano della vita moderna oltre i muretti di pietra
che contornavano il giardino. Anche il tè, che Kiku si gustò inginocchiato sul
patio con vista sul laghetto di koi, gli sembrava più buono e rasserenante del
solito, merito anche dell’aria che respirava, non inquinata dall’industria.
D’altra
parte, aveva anche dovuto fare i conti con l’assenza di qualunque tipo di
elettrodomestico o apparecchio tecnologico, chiaramente l’altra faccia della
medaglia. Anche la consapevolezza che quella soave pausa non sarebbe stata
interrotta da nessun visitatore troppo affettuoso, con occhiali, riccioletti o
altro, che gli faceva piacere oltre ogni immaginazione, aveva il suo risvolto
in uno strano, lontano senso di vuoto al centro del petto.
Solitudine,
si disse, anche i tipi che stanno bene da sé non ne sono immuni, specie se
hanno sperimentato il significato di avere intorno persone tanto diverse (e
molto meno rigide) con cui confrontarti.
Giappone
in ogni caso era famoso per mantenere il raziocinio in ogni situazione: a
differenza degli altri nelle loro ucronie, non si sarebbe lasciato illudere e
irretire dai vantaggi che l’alternativa sembrava avergli portato, spesso
rivelatisi fallaci, né si sarebbe lasciato abbattere da ciò che invece gli
aveva tolto, ben sapendo che altrimenti non avrebbe avuto senso in primo luogo
chiedere un cambiamento, e comunque di poter ritrovare ogni cosa com’era, una volta
uscito da quel mondo altrettanto fasullo. L’importante era mantenere il giusto
equilibrio, analizzando la sua vita attuale al confronto con quella alternativa
con la dovuta accortezza.
Si
rialzò e si sgranchì le ginocchia: “Quello che ci vuole dopo un bel tè è una
bella lettura all’aperto. Mi ci vuole un manga!”
Le
persone rigorose sono anche abitudinarie di solito, e infatti Giappone aveva
bisogno della sua lettura di mezzo pomeriggio. Se non fosse per un dettaglio
che aveva trascurato…
“……”
Sulla sua libreria non c’era neppure un libro, al massimo rotoli di pergamena
con ideogrammi ed esercizi di calligrafia, e di certo nemmeno un solo volumetto
a fumetti!
“I
miei manga… La mia magnifica collezione!”
Frugò
un po’, ma il massimo che poté trovare fu qualche illustrazione, molto
artistica e di gran valore culturale certo, ma di grandi occhi lucenti, linee
cinetiche, capigliature improponibili, battaglie mozzafiato e commedie
scolastiche neppure l’ombra! Dopotutto i manga erano esplosi solo dopo il suo sviluppo
economico e tecnologico, ed era poi stato il successone riscosso dalla sua
cultura all’estero a renderli tanto evoluti per la gioia di milioni di lettori
nel mondo: peccato che qui i giapponesi non avessero alcuna intenzione di far
conoscere la propria cultura a genti che sembravano loro così distanti e
infide.
“Tutti
i miei manga… Spariti… Che dolore indicibile che sento…”
E
non era mica finita: perché i suoi manga non erano mica tutti lì!
Appena se lo ricordò, corse al lato opposto della stanza, scostò un tatami e
frugò in uno scomparto segreto, accorgendosi che non c’era proprio nulla da
frugare!
“No!
La mia collezione di hentai! È sparita anche que… !!!”
Il
pensiero che decine di occhi lo stavano guardando in quel preciso istante su
uno schermo gli fermò la lingua: non abbastanza in fretta perché non
comparisse, a seconda dei casi, un rossore o un sorrisetto sul viso di tutte le
nazioni che conoscevano il significato della parola “hentai”…
<<
Hai capito il nostro Giappone!
>>
“V-vo-volevo
dire…” -sbatté con forza inaudita il tatami al suo posto- “Nel caso qualcuno mi
stesse ascoltando, che non ho detto collezione di hentai, ho detto collezione…
di pagliai! Si, proprio così, colleziono pagliai, si…”
<<
Come no, e li tieni lì sotto?
>> -fecero gli altri, fissando il lago di sudore formatisi intorno a lui!
“F-forse
posso rilassarmi con qualche videogame…”
Nell’angolo
c’era una scacchiera da go, ma la grafica era così obsoleta… Per non dire
assente!
“Forse
potrei progettare qualche nuovo robot…”
Con
quali materiali, quali chip e quali computer?
Come
in crisi da astinenza, iniziò a strizzarsi i capelli del codino: “Tutti i miei
hobby moderni non esistono! Tutti i miei robot non esistono, e le mie
invenzioni, i miei action-figures, i karaoke, le idol…”
Gli
era sempre mancato il caro vecchio Giappone, ma in effetti il Giappone
“corrotto” dal nuovo, e a sua volta portatore di novità per il mondo intero,
non era poi così male a ripensarci.
Praticò qualche esercizio di respirazione: “D-d-devo calmarmi… Io non mi
scompongo mai, al massimo davanti a Godzilla… Dopotutto, non è detto che tutte
queste cose non verranno inventate lo stesso in seguito: mi basterebbe
schiacciare avanti sul telecomando e controllare!”
Lo
pescò dalla tasca interna del kimono, ma il suo indice si ritrovò a indugiare
sul tasto per via del tremore che lo scuoteva: “E… E se invece non le
inventano? Se fosse così sarebbe un colpo ancora più terribile! N-non so se ho
il coraggio di vedere un mondo senza manga, e senza fanfiction, e senza cosplayer,
e senza il Natale che io festeggio come festa degli innamorati, e senza
baseball, e senza pagliai…”
<<
Ancora con questi pagliai? >>
Deglutì…
Avrebbe osato premere?
“Giappone-sama!”
“Uh?”
Corse
fuori sul patio, vedendo venirgli incontro due uomini altrettanto di fretta con
le armi strette in pugno: “Giappone-sama, i demoni stranieri ci stanno
invadendo! La loro flotta ha bloccato il porto!”
Ovviamente
la sua volubile nostalgia venne subito accantonata dinanzi la serietà della
situazione: “Chi sono?”
“Sono
venuti da nord, non sappiamo a che clan di stranieri appartengano.” –rispose
lui; chiaramente non poteva avere nessuna conoscenza di quelli di là fuori- “Stanno
per sbarcare a terra!”
“Tutti
a raccolta e prepariamoci alla battaglia, non c’è un minuto da perdere; quanti
cannoni abbiamo a disposizione?”
“Cannoni?”
“Noi
non usiamo quel genere di disonorevoli armi!”
“…
Ah, no?” –chiese, col suo spirito battagliero a cui erano d’un tratto cascate
le braccia per la sorpresa.
“Le
armi da fuoco non sono armi da samurai! Con quelle qualunque vile può uccidere
un valoroso che tanto si è addestrato nell’arte della spada! Difatti sono i
cani occidentali senza onore ad utilizzarle.” –fece disgustato il primo
guerriero.
“Noi
ci affidiamo solo al nostro valore e alla nostra abilità, per proteggere il
nostro signore e il nostro paese fino alla morte! Siamo fedeli alla spada e ai
principi del bushido, la via del guerriero!” –levò alta la lancia il secondo.
“Solo
armi bianche… Fa… Fantastico…”
Non
era una triste battuta la sua: Giappone aveva adorato quel discorso, e in un
altro contesto si sarebbe persino commosso. Purtroppo, sebbene idealmente desse
loro ragione su tutto, sapeva anche prevedere le conseguenze pratiche del
rifiuto del suo incredibile popolo ad abbassarsi ad usare armi che altri non
disprezzavano affatto…
Indossata
l’armatura, giunse al porto alla testa del suo esercito di samurai, variopinto
per armature, armamentario e bandiere, e vi trovò ad accoglierlo delle
gigantesche e corazzate navi da guerra con gli enormi pezzi d’artiglieria
puntati su di loro; le sue giunche al confronto sembravano barchette
giocattolo. Inoltre, se i suoi non avevano idea di chi li stesse attaccando,
lui era in grado di riconoscere la bandiera che sventolava su quei pennoni…
“Oh,
poveri noi… Russia…”
I
soldati nemici, tutti in uniforme e col fucile carico al petto si erano
schierati su una lunga fila, sull’attenti, mentre il loro comandante scendeva
lungo il ponticello dalla corazzata al molo, canticchiando come avesse già
vinto.
“Ciao,
Giappone!” –lo salutò appena lo vide- “Alla fine anche se sei tanto scortese
con tutti sono passato comunque a trovarti! Non sono una brava persona?”
“Russia,
lasciaci in pace: viviamo isolati, vogliamo essere lasciati in pace e lasciamo
in pace gli altri, non vi abbiamo di certo fatto nulla per giustificare
quest’aggressione, no?”
“Perché, le aggressioni si giustificano?” –rise lui- “Avevo solo voglia di
espandere un po’ i miei domini, tutto qui!”
Kiku
strinse i pugni, ma non era nelle condizioni di intimorirlo, e i suoi uomini
sembravano sottovalutare quei guerrieri che troppo a lungo avevano ignorato
oltre i loro confini, così infimi e di poco valore.
“Via
gli stranieri dalle nostre isole!” –gridò qualcuno, e i samurai sollevarono le
naginata e sguainarono le spade, urlando tutti insieme contro i russi e quei
loro fucili che così poco rispetto avevano delle loro lealtà, onore, rispetto
per l’avversario, e delle loro armature…
Russia
si sgranchì le nocche: “Oh, che bello, mi piace schiacciare avversari
battaglieri! Allora, Giappone, diamo il via alle danze?”
Kiku
era tutto una smorfia di preoccupazione: non c’era modo di resistere a Russia e
ai suoi con le loro armi. Sarebbe stato un massacro! Non era nel suo carattere
arrendersi senza combattere, ma se accettava lo scontro, generazioni di eroici
guerrieri sarebbero state umiliate.
Russia
sguainò la sciabola per ordinare la carica e Giappone sguainò… il suo dito
indice!
“S-solo
un momento!”
“Si?”
“Ecco…
Io… Vorrei evitare lo scontro se possibile…”
“EEEEEEH?!?!?”
–fecero i samurai mentre le loro mandibole cascavano a terra.
“Hai…
qualche richiesta che vorresti farci per evitare che qualcuno si faccia male?”
Russia
ne fu parecchio rattristato: “Sicuro? A me piace quando qualcuno si fa male…
Sigh…” –poi rialzò la testa con un maxi-sorriso- “Oh, beh, ho vinto comunque!
Quindi voglio che mi dai un sacco di soldi, che firmi un mucchio di contratti
commerciali vantaggiosi solo per me, e che togli Corea dalla tua sfera
d’influenza perché mi interessa farlo mio… Ah, e stai alla larga anche dalla
Kamchatka: io adoro la Kamchatka, la prendo sempre quando gioco a risiko!”
Giappone
finse un sorriso e si costrinse all’inchino: “Bene! Sono richieste accettabili!
Vero, gente?”
“……”
–un mare di facce incavolate nere come la pece!
Un
samurai si avvicinò con la mano aperta (e battendo il piede a terra con fare di
rimprovero)… Kiku, sospirando, gli consegnò katana e wakizashi: avrebbe dovuto
faticare per esserne di nuovo degno! Se non altro Russia era stato soddisfatto…
“Bene,
allora noi andiamo! Ci rivediamo alla prossima, caro il mio primitivo vicino!”
Per
il momento…
“Sigh!”
Nella
sala, Polonia mollò una gomitata al vicino Lituania: “Ti pareva, chi poteva
essere tipo il cattivo della storia se non lui?”
“Ssssh! Polonia!”
“Russia
è sempre il solito bullo anche nelle ucronie, vero Lituania? Per non parlare in
quella dove era padrone del mondo, ma tanto era solo una finzione, giusto? Ah ah
ah!”
“Abbassa
la voce, Russia potrebbe sentirti!”
Il biondino deglutì: “Tipo, questo non mi piacerebbe!”
I due si guardarono attorno, come se il mostro dovesse arrivare da un secondo
all’altro…
“Fiuuu! Meno male, Liet, quel bestione non mi ha sentito! Ah ah! Però è vero, è
il solito bullo, in qualunque realtà!”
“Abbassa
la voce, Polonia…” –lo rimbeccò di nuovo, pensando che Ivan non fosse seduto
poi molto lontano per non sentire quel discorso…
Non
puoi permetterti di restare indietro, per giunta volontariamente, nel duro
mondo delle nazioni. America lo aveva costretto ad accettare di far parte del
mondo con la forza, ma almeno quando la minaccia di Russia si era presentata
anni dopo, aveva saputo farvi fronte. Ora invece era stato lasciato in pace, ma
arretrato e incapace di competere era finito dritto nel piatto di
quell’insaziabile; come biasimarlo poi, un paese come il suo doveva apparire un
facile bocconcino non solo per lui, ma per chiunque volesse approfittarsene: di
quel passo sarebbero arrivati altri a contenderselo come un bocconcino, come
era successo con Cina, che come lui, dall’alto dei suoi tanti secoli di
prosperità e superiorità, aveva scioccamente sottovalutato i barbarici
occidentali e la loro sconfinata avidità, passando così uno dei periodi più
brutti della sua vita.
“La
storia deve seguire il suo corso a quanto pare…” –si disse specchiandosi nella
sua armatura e tagliandosi via coda, tornando (anche se non senza un po’ di
dispiacere) alla sua piatta e a prima vista innocua scodella. In realtà nei
suoi occhi già ardeva un irresistibile voglia di rivalsa.
“Anche
in questo mondo devo procurarmi i mezzi per resistere e non fare la stessa fine
di Cina, e io so esattamente dove trovarli… PURTROPPO! SIGH!”
AMERICA!
La
terra dei liberi e la patria dei valorosi, dicevano… Uno assordante inferno,
pensava invece lui: i clacson, i rombi dei motori, l’aria inquinata, la musica
jazz ad alto volume, i mitra dei gangster, le urla dei venditori di hot-dog e
il dolore ai timpani gli stavano già facendo cambiare nuovamente idea!
“GIAPPONE!”
Se
non gli fosse arrivato alle spalle avrebbe avuto il tempo di atterrarlo con una
tecnica di judo, invece Alfred era riuscito a mettergli le mani addosso e ad
abbracciarlo!
“T-ti prego, America! Io non sono pratico di “effusioni”! Lasciami prima che ti
chieda di sposarmi!”
Lo
lasciò, ma solo per dargli una super-pacca sulla schiena: “Quando mi hai
scritto dicendo di voler diventare mio amico e di volere il mio aiuto per
modernizzarti non riuscivo a crederci per la contentezza!”
“A-anch’io
sono contento di diventare tuo amico… credo… Ho avuto dei problemi con Russia,
e ho pensato che tu magari avresti potuto essere così gentile da…”
“Ma
certo!” –gli urlò nell’orecchio, per poi, tenendolo ben stretto per un braccio,
trascinarlo via con sé a passi lunghi- “Io sono gentile e sono qualunque
aggettivo positivo che potrai mai pensare! Vieni con me, ti mostrerò tutte le
meraviglie che il paese più avanzato del mondo possa offrire ai campagnoli come
te!”
“Campagnoli?”
Durante
il giro per le esposizioni, Kiku aveva dovuto cercare di non ridere quando gli
aveva mostrato, vantandosene a non finire, gli ultimi modelli di lavapanni,
aspirapolvere e frigoriferi, i nuovi elettrodomestici che facevano gioire le
casalinghe e che per lui erano invece datatissimi e somigliavano a cassonetti rumorosi
e scassati.
Ordinò
comunque un prodotto di ogni tipo, e, dopo un assaggio di torta di mele
preparata dallo stesso Alfred, poté tornare al porto ad imbarcare sulla propria
obsoleta nave di legno tutti i nuovi acquisti e le nuove tecnologie che
avrebbero aiutato il suo paese a migliorare la propria pur fascinosa vita
semi-medioevale.
“E
qui ci sono le istruzioni per la ferrovia! Con due chilometri di binari omaggio
che ho già fatto caricare a bordo!”
America
poggiò anche quel volume sulla pila di libri che ormai superava la testa di
Giappone: diventare moderno voleva dire studiare parecchio!
“È
stato un piacere fare affari con te, Giappone! Appena riesci ad installare il
telefono chiamami e dimmi come ti trovi con le mie meraviglie! Ah, e ricordati
che ora devi concedermi di sfruttarti economicamente almeno un pochino come
pegno d’amicizia, eh?”
“Certo,
America, grazie di tutto.” –si inchinò- “Però… Come ti dicevo, devo badare che
Russia non mi reputi così tanto indifeso, quindi non è che potresti…”
Il
sorriso di America divenne più “cattivello” e negli occhiali si accese un lampo
bianco: “Oh, capisco che vuoi dire… Tieni questa!”
Gli
mise tra le mani un revolver, anche questo con l’omaggio di sette proiettili.
Giappone si finse contento, ma provò lo stesso senso di vergogna e di
rinnegamento di sé avvertiti quel giorno lontano in cui gli avevano mostrato le
armi da fuoco, decidendo presto di non usarle mai più. Così come in seguito era
poi tornato sui suoi passi, relegando la fedele lama a cerimonie e parate, nemmeno
in quel mondo era riuscito a salvarsi dalla lotta per la sopravvivenza.
Ma
anche in quel mondo era riuscito a decidere di trovare un amico.
“Ti
ringrazio ancora.” –e stavolta voleva farlo all’occidentale, porgendogli la
mano per una stretta, che lo sorprese e rese di nuovo innocente il suo sorriso.
Qualche
miglioramento c’era stato, pensò dopo aver premuto il tasto avanti per vedere
il risultato della sua pur ritardata apertura al mondo.
Ancora
niente videogiochi o anime strepitosi, ma in fondo erano solo gli anni
cinquanta: se non altro adesso poteva sorseggiare il suo tè ascoltando un
concerto per shamisen alla radio, e si disegnava da sé i manga che poi leggeva
la sera.
Era
soddisfatto, ma anche dubbioso. Vero, si era aperto per sua scelta stavolta, ma
pur sempre una scelta dettata dalla necessità: è dunque qui la tanto decantata
amicizia e il bisogno di altri oltre che di sé stessi? Lui, non essendo il vero
Giappone ucronico, ma interpretandolo soltanto, conosceva già da tempo America
e il suo carattere: l’altro si sarebbe ugualmente rivolto a lui, o chiunque
altro, dopo la batosta contro Russia? Inoltre, in quell’ucronia in cui solamente
più tardi si era aperto a quel così amichevole mondo esterno, lui e il suo
popolo si erano risparmiati un conflitto mondiale essendo troppo deboli per
parteciparvi, e di conseguenza due angosciose giornate di agosto…
Stava
forse a significare che era un bene essere almeno il più isolato possibile?
Anche se, incredibile a dirsi, a volte era stato contento degli abbracci di
Italia?
Posò
pennello e tazzina e chiuse gli occhi, deciso a meditare su quell’argomento
tanto arduo.
Ma
la sua concentrazione venne presto rotta da dei colpi sulla sua porta.
“Oh?
Cina. Che sorpresa.”
“Ehm,
si, ciao Giappone, è parecchio che non passo a trovarti, vero?”
“Beh,
ero un recluso per scelta fino a qualche decennio fa, non lo metto in dubbio.”
-disse, notando però un imbarazzo forse eccessivo in Cina, di solito più
composto davanti a qualcuno come lui, che aveva praticamente allevato da sé.
“Posso…
entrare?”
“Qualcosa non va?”
“Purtroppo si…”
“Priviet!”
–fece il testone di Russia comparendo dietro di lui.
“AAAARGH!
RUSSIA?! Che-che ci fai tu qui?” –arretrò Giappone, dando modo ai due di
entrare.
“Oh,
niente di speciale! Sai, io e America stiamo discutendo su chi sia la migliore
superpotenza e stavo pensando a un modo per dimostrare la mia forza: così,
visto che Cina è un mio satellite (lo comando a bacchetta insomma) ed abita
tanto vicino a te, ho pensato bene di “convincerlo” ad invaderti!”
Cina,
sebbene ancora indipendente, era passato sotto il suo dominio: non avendo
trovato un Kiku potentissimo e in ascesa a sbarrargli la strada, come nella
storia del suo mondo, l’ambizioso Ivan aveva avuto potuto allungare il suo
braccio più a fondo nell’Asia.
“Sigh,
mi spiace Giappone! Purtroppo devo fare quello che mi dice: è lui il mio capo…”
“Urgh!”
–Giappone guardò verso la porta che conduceva alla stanza dove c’era la sua
armatura, ma Ivan svelto sbarrò la strada con la sua finta espressione
rassicurante e il suo tubo che di rassicurante non aveva alcunché.
“Tranquillo
Giappone, starai bene sotto il mio controllo, e grazie a te potrò impedire che
America faccia troppo il gradasso qui in Asia e nel pacifico.”
Davanti
a lui intanto Cina aveva messo mano al wok: cercava di trasmettere tutto il
rammarico possibile, ma non cambiava il fatto che l’avrebbe attaccato da un
momento all’altro.
<<
Germania e Italia non verranno ad
aiutarmi, non ho nessun vero alleato… Dovevo lasciarmi aprire con la forza e
rinunciare a me stesso per sopravvivere, o restare un emarginato per diventare
lo schiavo di Russia? Sembra che entrambe le scelte siano sbagliate. >>
E
forse sbagliato era anche stare a pensare così tanto mentre rischiava di grosso
in fondo. Eccoli che arrivavano!
STRAAAAAAP!
“?!?!?”
“Ta-daaa!
L’eroe arriva sempre all’ultimo momento!”
E lo fa sfondando come un vandalo le pareti di carta della mia bellissima
abitazione, aggiunse Kiku nella sua mente!
“Umpf!
Giappone, non permetterò a Russia di farti alcun male: sei pur sempre mio
amico.”
“America…”
Un punto per l’amicizia!
“E
poi devo mettergli i bastoni fra le ruote ogni volta che posso per conservare
il mio predominio anche da queste parti, ah ah ah!”
“……”
Un
punto per l’emarginazione!
Russia,
accigliatosi per un attimo, fronteggiò America in tutta sicurezza: “Che cosa
vorresti fare, America? Se mi tocchi scatenerai la Terza Guerra Mondiale, e non
sarà una cosa bella, lo sai…”
“Oh,
infatti non ho la minima intenzione di torcerti un capello, mio caro bastardo!”
–sghignazzò lui- “Vedi, io farò soltanto così… YAAAAAAA!”
“AI-YA!”
Urlando
come un forsennato si gettò su Cina placcandolo a terra in stile football
americano (appunto…) e tenendolo fermo col proprio peso!
“E
se Cina finirà in mezzo sarà soltanto colpa sua!”
“Mhmm…
Bella mossa…”
“Urgh! Giappone, ora non devi più preoccuparti per me!” –gioì Cina, preoccupato
ora piuttosto che il suo fisico un po’ esile reggesse il blocco di quel panzone
di Alfred!
“Si,
ma io ho giocato le mie carte…” –fece questi diventando serio- “Sta a te ora!”
La
situazione non era migliorata molto però: lui, bassino di costituzione,
praticamente scompariva davanti quel Golia biondo. Però disarmato non era…
Estrasse
la pistola di America: “Stai indietro!”
“Oh!
Vedo che ti sei civilizzato, che bravo.”
Civilizzato?
Solo per essersi dotato di un più efficace strumento per infliggere morte e
sofferenza? E che ne era delle sue poesie, della sua arte e della sua musica,
delle sue lunghe riflessioni guardando i ciliegi perdere i petali, e degli
ideali di sacrificio e abnegazione a cui si vota ogni uomo degno? La mano che
stringeva quell’arma gli prudeva come stesse impugnando ortica.
Non
centrava civilizzato o meno, ben armato o meno.
Meglio
morire da orientale che combattere e magari vincere come un occidentale. Gettò
la pistola.
“Che
fai?!” –sbiancò America.
“Umpf!
Ti arrendi di nuovo?”
Non
aveva più una katana vera da quando aveva perduto il suo onore, ma aveva ancora
il bokken, la spada di legno, per riconquistarlo: veloce, corse a prenderla dal
suo sostegno e si posizionò nella guardia da kendo. Russia lo puntò col suo
tubo d’acciaio.
“Giappone!
Non fare cavolate!” –si strappò i capelli il pesante eroe alla riscossa.
“Aru!
Mettiti a dieta!”
L’aria
si riempi di tensione, nella stanza e in tutta la casa, mentre Russia e Giappone
si fronteggiavano, respirando così piano da sembrare statue, aspettandosi l’un
l’altro, fino al momento decisivo. L’acqua del laghetto koi si smosse, agitata
anch’essa da quello scontro imminente.
Alla
fine scattarono entrambi nello stesso istante.
“KIAI!”
America
sbatté le palpebre provando a capire: era bastato un lampo e ora Giappone e
Russia si erano scambiati di posto, dandosi le spalle come si fa al nemico
ormai battuto. Ma chi era stato battuto?
Giappone
ripose il bokken nell’obi che aveva alla vita come una katana nel fodero.
Russia
sorrise: “Però… Bravo il nostro asiatico.”
Il
tubo cadde a terra con timbro metallico, seguito dalle sue ginocchia e dal
resto del corpo.
Kiku
espirò e rilassò finalmente ogni muscolo.
“GRANDE!”
Peccato che subito dopo arrivò America a stritolarlo e si fece di pietra!
“Giappone,
amico mio, è stata la figata più pazzesca che abbia mai visto! Voi giapponesi
siete un popolo mitico!”
Sorrise:
l’opinione che era riuscito a dargli di sé in fondo era la stessa che aveva pure
l’America reale.
Cina
poté finalmente rialzarsi, indolenzito, ma contento: “Congratulazioni Giappone,
ti sei fatto valere-aru!”
“Grazie Cina, un giorno ci riuscirai anche tu.”
“Aru!”
“Sarà,
ma nel frattempo resta con me.” –disse Russia mentre si spazzava via la polvere
dal cappotto come se nulla fosse successo!
<<
QUESTO QUI È UN MOSTRO! >>
“Questa
battaglia l’hai vinta tu America; ma ci saranno altre sfide e mi riscatterò con
gli interessi.”
“Quando
vuoi!”
Fatto
tanto di cappello a Giappone, Russia si ritirò insieme a Cina, lasciando
America libero di smanacciare l’austero padrone di casa quanto volesse.
“Magnifico!
Stupendo! La tensione palpabile, poi l’attacco, la suspance, e lui che dopo un
po’ si accascia… Era tutto così… strafigo! Vorrei conoscerti un po’ meglio!
Anzi, tutti dovrebbero conoscerti: sei un tipo interessante, con un sacco di
fegato e belle idee!”
Probabilmente
l’ultima si riferiva ai progetti di automobili che gli aveva spedito una volta
via posta…
“Stai
con me amico, e ti farò diventare una potenza moderna e rispettata da tutti in
quattro e quattr’otto! Che ne dici?”
Giappone
disse grazie con le dita al bokken con cui era riuscito a sconfiggere Russia,
anche se con il grande aiuto di America. Alla fine il vecchio e il nuovo
l’avevano aiutato in quella brutta situazione, e non era poi nulla di diverso
da come era in realtà.
Ogni
cosa aveva seguito il suo corso; ora era chiaro.
Rispose
con un rispettoso inchino: “Grazie del tuo aiuto, America, ma mi basta così.”
Kiku
restò divertito dal modo curioso in cui Alfred osservò il telecomando, senza
sospettare che l’aggeggio a cui apparteneva l’aveva inventato lui stesso.
Finché sfumò nel bianco, insieme a tutto il resto.
“Eccomi
qui.” –salutò tutti con un ennesimo inchino uscendo dalla macchina.
Si
era lasciato alle spalle un America, ed eccone un altro arrivare col suo carico
di eccessivo entusiasmo: “Mi piacciono un sacco questi duelli con la spada,
sono belli come i miei duelli da far-west! O quasi… Sapevo che dovevo assolutamente
farti chiedere un’ucronia, il botteghino avrà di sicuro buone notizie!”
Grazie
al cielo arrivò anche Inghilterra con dei discorsi più sensati: “Allora
Giappone, che cosa ne pensi? Com’è stata questa avventura?”
“Un’esperienza
decisamente nuova, e io non ne faccio molte, quindi…” –scherzò lui, con tono di
ammissione.
“Eh eh, già! Ma l’importante è che ti sia piaciuta.”
“Si
infatti…” –si toccò la nuca Giappone, forse nostalgico della sua precedente
acconciatura- “Devo dire di averla trovata molto edificante come esperienza.”
“E
anche gratificante, dico bene?” –lo punzecchiò America- “Hai potuto fare un
figurone contro Russia davanti a tutti! Yeah!”
“E
lascialo parlare, America!”
Nel
frattempo, qualche fila dietro di loro, Polonia e Lituania perdevano un battito
all’udire una voce ben conosciuta dietro le loro spalle.
“Allora, voi due…”
“R-Russia!”
–fecero i due, rischiando di cascare dalle sedie.
Un
vero maestro nelle entrate spaventose…
“Alla
fine il solito cattivone Russia ha avuto quello che meritava, non è così? Immagino
siate contenti adesso voialtri.”
“V-veramente
noi, tipo… Quello che volevo dire prima era…”
Qualunque
cosa avesse voluto dire, Russia se ne era già andato.
“Fiuuuu!
L’abbiamo scampata bella! Forse oggi non è in vena, tipo…”
Lituania
sulle prime aveva reagito al suo stesso modo, ma al contrario dell’amico non
riusciva a lasciarsi andare al sollievo e basta, senza rifletterci su. Conoscendolo
un po’ meglio di Polonia, quel comportamento era strano, così poco da Russia;
gli aveva trasmesso una vaga, annoiata indifferenza mentre osservava la loro
reazione, come non gli interessasse sul serio minacciarli né far prendere loro
un bello spavento tanto per gioco.
“Perché
pensi sia stata molto educativa?” –domandò Arthur.
“Vedete,
ho fatto la mia domanda per cercare di conoscere meglio me stesso e il senso
dei rapporti con gli altri, se possono essere autentici o solo dettati
dall’interesse, se ne ho bisogno anch’io o se resto pur sempre un solitario
fiero dei suoi spazi: forse potevo capirlo appunto approfittando della
straordinaria macchina di America per un confronto. Ma alla fine la mia
risposta è stata che non avevo bisogno di alcuna domanda.”
La
risposta non era una sola, ma tutte e due le sue facce, quella che voleva
restare sola a godersi il tè in silenzi e quella che nel profondo adorava il
carattere degli altri malgrado i modi, gli usi e le tante altre cose che invece
lo sconvolgevano. Lui era e poteva essere entrambe: dopotutto non era forse lui
il paese in cui il nuovo e la tradizione andavano a braccetto? Perché scegliere
nuovamente se era e poteva essere entrambe le cose?
“Non
ha senso chiedere se sarebbe andata diversamente, se fossi stato diverso da ciò
che sono, perché qualunque cosa mi sia capitata o mi capiterà, in qualunque
modo vada la storia, alla fine dei conti io resterò sempre me stesso…”
E
sempre avrebbe scelto una katana, anche di legno, dinanzi una pistola, in
qualunque mondo si fosse trovato a vivere.
“Ho
deciso che non fa alcuna differenza se sarei stato meglio con un carattere più
aperto o con uno più chiuso. Io sono così come sono, e non desidero essere in
alcun altro modo.”
“Ben
detto! Assolutamente ben detto!” –approvò Arthur, affascinato come sempre dalla
saggezza che erano in grado di sfoderare gli asiatici.
“Miiitico…”
–fu la reazione di Alfred, a volume basso per la meraviglia- “Tiri fuori certi
discorsi da saggio! Hai ragione, sai? Uno dovrebbe essere fiero di sé stesso
per così com’è, in ciò che hai di buono e ciò che hai che non va, senza
guardarsi indietro e rimpiangere quel che poteva essere!”
Subito
dopo Kiku passò dalla fierezza all’arrossire: “Ci terrei poi a dirvi ancora una
volta che, per quanto possa essere un tipo un po’ difficile da prendere, un’altra
cosa che non mi fa rimpiangere l’isolamento è per stare insieme a tutti voi…”
America
sprizzò cuoricini e fece per gettarglisi addosso a braccia aperte: “Oh, ma
sentilo quanto è carino!”
SBAM!
Senza
farsi cogliere impreparato stavolta, l’asiatico gli aveva afferrato per la
manica e lo aveva sbattuto al tappeto: “… malgrado l’eccesso di effusioni.” –finì
il discorso rilassato e impeccabile come gli si addiceva!
America,
con la schiena a pezzi, supplicò una mano per rialzarsi ad Arthur, il quale lo
accontentò al prezzo di una risata da “ben ti sta!”…
“Ah
si, Inghilterra? Ti faccio notare che la mia ucronia è stata definita dal qui
presente Giappone “molto educativa”! Che hai da dire ora, mister “America
inventa solo cretinate”?”
Inghilterra
affilò la lingua: “Eh eh eh, si ma ha detto anche che fare domande alla tua
invenzione in fin dei conti è inutile, e lo hai confermato tu stesso anche
prima se ci ripensi!”
“Quando
mai?! Io…”
“Cito:
<< senza guardarsi indietro e
rimpiangere quel che poteva essere >>.”
“……
AAAAAARGH! È VERO!”
<<
Muahahahahahah! >> -Inghilterra
soffocò nella sua testa la potente risata: vincitore ancora una volta!
America
si accasciò a piangere sul tavolo: “Sigh! Giappone! Come hai potuto? Hai dato
una cattiva pubblicità alla mia invenzione davanti a tutti! Buaaaah!”
“Urgh!
Non fare così America… Que-quella era solo la conclusione a cui sono giunto,
solo la mia opinione…”
“Sigh!
Allora vuol dire che non ti è piaciuta la mia invenzione?”
“Mi-mi
è piaciuta! Cioè, è comunque straordinaria e fa cose incredibile, dovresti
andarne fiero in ogni caso!”
Si
rialzò velocemente come avesse fatto solo finta di deprimersi: “Ih ih ih,
magari potresti provare a farti perdonare, Giappone! Ad esempio… Ora che so che
la tua collezione di hentai è sotto il terzo tatami a destra della tua stanza,
magari potresti lasciarmela sfogliare un po’! Uh uh uh!”
“Sono
per la maggior parte yaoi, America…”
Alfred
divenne verde: “Urgh! Lasciamo perdere, dai…”
Giappone si girò in modo da nascondere l’espressione felina e sorniona di
vittoria!
<<
Te l’ho fatta… Gli yaoi saranno solo un
terzo o poco più! >>
Giappone
ha difeso la sua collezione di fumetti con le unghie e come i denti come un
vero samurai, non è vero? XD
La
sua è stata una storia ricca di pensieri profondi e analisi interiore ed
esteriore, un capitolo in tutto e per tutto degno di lui quindi: spero che
anche voi la pensiate così ^___^
La
macchina di America ne esce un po’ ridimensionata adesso, ma è comunque grazie
a lei se le nazioni (e i lettori) potranno imparare un’importante lezione.
Piaciuta?
O magari volevate vedere il Giappo-America divorare onigiri e fare il tamarro
con tutti? XD A voi la parola con i commenti!
Al
prossimo aggiornamento, e ancora una volta buone feste a tutti voi!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!