Non sapete cosa fare in queste
tristi giornate invernali? Siete estremamente annoiati? Bene!
Venite pure al Grande
Tempio a scoprire cosa sta succedendo di così tremendo!
Yuhuhuhu.
Bene, visto che ho fatto
la stupida fino ad adesso, posso anche essere seria per un minuto.
Questo capitolo è nato come una cavolata e ho deciso di
continuarlo per vedere come va. Solitamente le mie storie si fermano al
capitolo 5, ma stranamente questa è arrivata un po'
più lontano.
Tenterò di
postare una-due volte a settimana, studio permettendo.
E' la prima volta che
scrivo dei Saint, anche se sono su Efp da più di un anno,
vorrei che mi diceste se sono IC, perché credo di essere
stata abbastanza fedele, ecco.
I primi capitoli sono di
introduzione e di comprensione, poi comincerà la vera e
propria storia, con tutti i misteri e le stregonerie del caso. Spero vi
divertiate e grazie moltissime a Sagitter no Tania per avermi dato
appoggio nei momenti di crisi!
Buona lettura!
"Dobbiamo andare.", sussurrò Primavera ghignando.
"Ma le porte? Chi penserà a chiudere le porte dell'Olimpo?
Carpo, dille qualcosa!", disse Estate con una smorfia rivolgendosi alle
due sorelle. Lei che era ligia al lavoro non poteva permettere che il
suo compito venisse trascurato.
"Sta zitta, Auso. Dobbiamo andare.", ribatté Primavera
prendendo la sorella per un polso.
"Tallo, lasciala andare, non ti pare di essere troppo manesca di questi
tempi?", sussurrò Autunno ridacchiando.
"Sorella, è necessario staccarla dai Cancelli dell'Olimpo
con la forza, guarda! Si è legata con una catena.",
esclamò Tallo continuando a tirare Auso.
"Sei o non sei una Dea, Tallo? Usa i tuoi poteri. Basta uno schiocco di
dita.", disse Carpo schioccando le dita. In pochi secondi la catena di
Auso si disintegrò e le tre divinità si presero
per mano.
"Nell'Isola di Pasqua nessuno disturberà i nostri piani.",
esordì Tallo sistemandosi i lunghi capelli neri sulla spalla
destra.
"Zeus e Athena la pagheranno per aver sottovalutato il nostro potere.",
Carpo chiuse il libro che aveva nella mano sinistra e con un debole
Stock, sparirono.
Un anno prima...
Aioria
se ne stava seduto sui gradini della sua Casa ad aspettare la
chiamata del Gran Sacerdote. Pensava ad Aiolos e a quanto quel luogo
fosse triste senza di lui. Era un traditore ma restava pur sempre suo
fratello.
Ricordava
di quando saliva quei gradini insieme a lui parlando della sua
prossima investitura a Cavaliere D'Oro. Non poteva che ricordare da
solo. Spesso pensava a cosa sarebbe successo se Aiolos non avesse
tradito Athena, se fosse rimasto al Grande Tempio insieme a lui.
Sicuramente lo avrebbe aiutato nei momenti peggiori, gli avrebbe
asciugato la fronte quando si allenava, ma la verità era che
Aiolos
era un traditore e oltre ad aver disonorato l'armatura del
Sagittario, aveva disonorato il loro sangue.
Quel
giorno la tranquillità che regnava al Tempio era fuori dal
normale,
non c'erano ragazzini che correvano in su e in giù, ai campi
d'addestramento vigeva il silenzio e Aioria si annoiava. Si chiese
dove fossero finiti tutti dato che, seppur passeggiando per tutto il
Tempio, non c'era nessuno in giro.
Scese
i gradini fino alla fine della scalinata delle Dodici Case e si
diresse verso il campo di addestramento conscio del fatto che
sicuramente avrebbe trovato qualcuno.
Sentiva
un lontano brusio provenire dall'Anfiteatro in cui si svolgevano gli
incontri. Lì, anni prima, aveva visto ragazzini in tenera
età
uccidersi a vicenda. Da quel giorno non era più tornato
nell'Anfiteatro. Possibile che vigesse ancora la legge del
più
forte? Che non ci fosse più compassione tra aspiranti
cavalieri? E
che ce ne fosse così poca da portare alla morte di giovani
ragazzi?
Aioria
non sapeva rispondere a queste domande.
Si
avvicinò con malavoglia e vide molti giovani seduti sulle
gradinate.
Al centro un Cavaliere lottava con un ragazzo. La maschera che
portava e l'armatura che indossava lo mostravano come donna, ma la
forza che aveva nelle sue gambe era pari a quella di un uomo. Si
muoveva scattante e veloce, non stancandosi anche dopo lunghi salti.
Aiolia
fu attirato da un ragazzino che conosceva di vista e si
avvicinò
cauto.
“Maiolos,
chi sono i due che si stanno affrontando?”,
domandò indicando il
centro dell'Anfiteatro.
“Aioria,
che piacere! Quei due, dici? Il ragazzo è Taro, un ragazzo
pragmatico, mentre l'altra... Non ne ho idea. E' arrivata stamattina
da chissà dove e Taro l'ha sfidata per la sua armatura. E'
bella non
trovi? Quei colori si confondono con il paesaggio quando
corre.”,
disse il ragazzino sorridendo.
Aioria
capì che aspirava ad un'armatura bella come quella della
sconosciuta. La guardò per qualche secondo e la riconobbe
come
l'armatura di Bronzo della Lince.
La
ragazza sferrava colpi sicuri e forti, simbolo di un duro
allenamento. Il colpo fatale arrivò all'improvviso e
ammutolì la
folla.
“Non
ti finirò, aspirante Cavaliere. In me vige l'onore datomi da
quest'armatura.”, esclamò lei cominciando a salire
le gradinate
per l'Anfiteatro.
“Ora,
se qualcuno vuole dirmi dove posso trovare la Casa del Leone, ne
sarei molto contenta.”
Aioria
sorrise pensando che quella ragazza cercava proprio lui. Che volesse
sfidarlo?
Con
passo svelto tornò alla sua casa e si sedette sui gradini
con fare
annoiato.
Pochi
minuti dopo la ragazza dell'Anfiteatro si presentò al suo
cospetto,
inchinandosi debolmente.
“Aioria
del Leone?”, domandò sotto la maschera.
“Proprio
io. Cosa ti porta alla mia casa, giovane Cavaliere?”
Aioria
la guardò bene, le gambe erano corte ma magre, allenate e
scattanti
come quelle di un felino. Era bassa e aveva lunghi capelli color
nocciola. La maschera che le copriva il volto era metà
bianca e metà
rossa, così come l'armatura.
“Non
mi riconosci con la maschera, vero?”
La
domanda spiazzò Aioria che non aveva minimamente pensato di
conoscere quella strana ragazza. Pensò a fondo a quante
ragazze
Cavaliere conoscesse, ma nessuna di esse portava un'armatura di color
rubino.
“Dana,
ti dice qualcosa?”, disse la ragazza levandosi la maschera.
Aioria
si aprì in un sorriso. La guardò intensamente. I
suoi lineamenti
non erano più quelli di una bambina ma di una giovane
ragazza in
pieno sviluppo. I muscoli delle braccia e delle gambe rivelavano il
suo duro allenamento ma gli occhi, quelle due perle verdi, erano
rimasti gli stessi.
“Dana...”,
balbettò. Ancora non riusciva a muoversi per lo shock.
“Sono
proprio io. E non guardarmi con quella faccia da schiaffi!
Abbracciami Cavaliere D'Oro del Leone!”, intimò la
ragazza aprendo
le braccia.
Aioria
ci si tuffò dentro e la sollevò da terra. Pesava
sempre poco, come
quando era partita.
“Mi
sei mancata da morire, vorrei che tu non fossi mai partita. E' stato
un inferno senza di te.”, disse Aioria immergendo il naso nei
suoi
capelli.
“Anche
tu. Non sai quanto è stato duro il mio allenamento. Pensavo
di non
poter tornare più ad Atene.”, confessò
la ragazza carezzandolo
dolcemente.
“Devi
raccontarmi tutto, Dana. Andiamo.”, disse Aioria spingendola
verso
la casa.
“Questa
quindi è la casa di Leo, giusto?”
“Giusto.”
Dana
sorrise, entrando dalla grande porta. Non vedeva Aioria da
più di
due anni e ne sentiva la mancanza quando si trovava a Tenerife,
l'isola spagnola in cui aveva conquistato la sua armatura. Lui
non era cambiato affatto, portava i soliti capelli scompigliati che
somigliavano tremendamente alla criniera del suo segno, il Leone. Dana
si guardò intorno ed osservò la grande casa.
Molte colonne
reggevano le salde mura e altrettante porte d'avorio costellavano la
parete come stelle.
“Casetta
accogliente, io l'avrei fatta più grande.”,
asserì ridacchiando.
“Sempre
la solita spiritosa. Andiamo a sederci, così mi racconti del
tuo
viaggio.”, disse Aioria scortandola verso il tavolo basso del
salone.
Si
sedettero su due sedie d'avorio e Dana sorrise pensando alla
ricchezza che si ostentava in quella casa. Sicuramente l'arredamento
non era opera di Aioria, lui avrebbe optato per qualche mobile in
legno e qualche soprammobile tanto per dare senso di accoglienza e
calore.
“So
cosa pensi. Non sono stato io a scegliere l'avorio.”, disse
Aioria,
come se le avesse letto nella mente.
Dana
sorrise, si conoscevano così bene da poter anticipare l'uno
i
pensieri dell'altro.
“Insomma,
dimmi, com'era Tenerife?”
“Rocciosa.”,
disse lei levandosi i bracciali dell'armatura.
“Rocciosa?
Solo questo?”
“Calda
e rocciosa. Mi hanno costretto ad allenarmi sotto il Chinyero, il
vulcano, faceva un caldo pazzesco e c'era puzza, molta
puzza!”,
enfatizzò mentre si slacciava il corpetto e la cintura.
“Il mare,
non c'è che dire, splendido, se solo avessi avuto il tempo e
la
fortuna di farci un tuffo, non sai quanto gioia in più
avrei.”
“Ti
hanno proprio distrutto, laggiù.”,
sospirò Aioria poggiando i
gomiti sul tavolo. Dana portava una veste greca con le gambe coperte
dal body nero e il busto dalla tunica color panna.
“Perché
a te qui hanno fatto la carità?”
“Effettivamente
no.”
Aioria
ripensò al suo duro allenamento, alla mancanza di Aiolos
quando ne
aveva più bisogno e si ritrovò immancabilmente a
pensare al suo
tradimento. Si chiese se fosse un avvertimento, come a dirgli che non
ci si deve fidare nemmeno del proprio sangue.
Il
suo sguardo divenne triste e pensieroso, bloccato a terra da voragini
aperte all'interno del suo animo.
Dana
se ne accorse e lo fissò per qualche secondo. Era sempre il
solito
Aioria ma aveva qualcosa che mancava: credeva meno in se stesso e
nelle persone che lo circondavano.
“Come
stai, Aioria?”, domandò a bruciapelo.
“Sto.
Non riesco a perdonarlo.”
“Aiolos
era un ragazzo con la testa, non avrebbe mai fatto niente senza una
motivazione valida e giusta. Era sotto la protezione di Sagitter.
Sono sicura che c'è dell'altro dietro a questa storia, ma se
non
vuoi indagare tu per primo, chi sono io per costringerti?”,
disse
lei prendendogli la mano.
“Grazie,
Dana. Grazie di essere di nuovo qui.”, le sorrise dolcemente.
“Bene,
bene, una donna dentro la casa del Sacro Leo, e per di più
senza
maschera.”
A
quelle parole i due si girarono di scatto. Un ragazzo in armatura
d'oro avanzava lentamente verso di loro. Aveva un mantello che
penzolava ad ogni movimento e un'andatura fiera. I capelli di un nero
cupo facevano risaltare i verdi occhi. Dietro di lui un altro ragazzo
dai lunghi capelli scuri lo seguiva.
I
due si avvicinarono e guardarono Dana.
“Milo,
Shura, ben arrivati.”, disse Aioria alzandosi e lasciando la
mano
calda della compagna.
“Costei
non indossa la maschera come è di regola.”,
sussurrò Milo
indicando Dana con sguardo severo.
“Ha
il mio permesso. Piuttosto voi due che ci fate qui?”, chiese
Aioria.
“Volevamo
sapere se hai notizie del Grande Sacerdote.”
“Shura,
tu presiedi una delle case più vicine al Grande Tempio e
vieni a
chiedere a me?”
“La
mia casa è solo una mera vicinanza, tu vieni chiamato
più spesso di
tutti noi e pensavamo che potessi sapere qualcosa. Sono giorni che
non ci sono novità.”, disse il ragazzo che doveva
essere Shura.
Dana
guardò tra le braccia del ragazzo e notò l'elmo
d'oro. Due lunghe
corna affusolate si poggiavano sulla base tonda del copricapo.
“Caprone.”,
sussurrò all'orecchio di Aioria. Il Cavaliere dovette
trattenere le
risate anche se i sussulti si notavano dalle sue spalle.
“Effettivamente
la ragazza ha ragione.”, disse Milo guardando il compagno con
un
sorriso.
“Caprone?
Stupida donna, infrangi le regole del Tempio e in più dici
blasfemie
sulla mia costellazione? Dovresti essere punita.”, disse
Shura
leggermente irritato.
“Posso
sapere, Aioria, chi è costei?”, domandò
Milo evitando il discorso
caprone per non far scoppiare un duello che la ragazza avrebbe perso.
“E'
mia sorella Dana.”