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Autore: Hotaru_Tomoe    01/07/2007    4 recensioni
Oleander Silvestre, creatrice di oggetti magici, riceve suo malgrado l’incarico di inseguire un ladro che si è appropriato di un oggetto potenzialmente pericoloso e le sue indagini la condurranno a Hogwarts. Il primo impatto non sarà dei più positivi, perchè si scontrerà con il professore più burbero e odiato della famosa scuola di magia e stregoneria. I due sono diversissimi: lei ha un temperamento di fuoco, lui un carattere di ghiaccio. Riusciranno ad andare d’accordo?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Severus ed Oleander'
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CAPITOLO 5 – SEGNALI DI PACE

Il mese seguente trascorse abbastanza tranquillamente: tre volte Oleander dovette recarsi a Londra, Bristol e Glasgow per verificare degli eventi sospetti, ma non si trattava del ladro del vaso di Pandora: in un caso si trattava di un mago che aveva esagerato con un incantesimo “Gratta e netta”, rendendo la sua casa trasparente, negli altri due di ingressi non autorizzati dal Ministero della Magia di creature di un’altra dimensione spazio-temporale.

La stagione autunnale trascorse rapidamente: aceri e castagni videro le loro foglie mutare in un rosso ed un giallo acceso che incendiò di colori la brughiera, ma quando i colori si spensero, assumendo un’opaca tonalità marrone e le foglie iniziarono a cadere al suolo in una pioggia incessante, si intuì che l'inverno si stava avvicinando a grandi passi. Verso la metà di novembre i primi fiocchi di neve caddero su Hogwarts e gli allievi della scuola di magia erano sempre più elettrizzati, perché le vacanze di Natale si avvicinavano.

Da quando Oleander aveva riparato la scopa di Harry, la voce si era sparsa tra gli studenti e così, alla spicciolata, c'era chi andava da lei per un amuleto, una pietra magica o per far riparare qualche oggetto. Persino Ron vide la sua bacchetta magica tornare come nuova, dopo che una pianta carnivora della serra di Erbologia, particolarmente restia a farsi potare, gliela aveva mangiucchiata tutta, e lei stava facendo l’abitudine ai ritmi di quella vita.

La sola cosa che la disturbava erano le lettere che arrivavano periodicamente via gufo da Schloss Berth chiedendo notizie ed aggiornamenti in merito alla situazione. Anche da lontano si sentiva gli occhi di tutta la famiglia puntati addosso, lei non aveva ancora risultati concreti da mostrare e la cosa la innervosiva terribilmente, perché in fondo le sarebbe piaciuto risolvere il caso e poterli guardare trionfante dicendo: “Ce l’ho fatta!” Dimostrare, almeno una volta, che valeva qualcosa.

Ma poi le bastava entrare nella Sala Grande di Hogwarts e il suo malumore spariva: Silente e tutti gli altri professori erano molto gentili con lei. Tutti tranne Severus Piton, ovviamente: nonostante le buone intenzioni, i loro battibecchi non erano cessati, anche se ormai si era abituata anche a quelli. Anzi, si sentiva stranamente dispiaciuta se almeno una volta al giorno non aveva l'occasione di scambiare alcune battute caustiche con lui.

Le loro reciproche punzecchiature erano uno spasso per i colleghi, persino il sonnolento professor Rüf si animava ascoltandoli.

Anche Piton si era abituato alla sua presenza: se qualcuno gli avesse detto che la mattina scrutava l'ingresso della Sala Grande in attesa di veder spuntare una testolina dai corti capelli viola scuro, l'avrebbe incenerito all'istante, eppure era così. Perchè quando aveva occasione di parlare (o meglio di litigare) con lei, riusciva a dimenticare Voldemort e i suoi complotti, vivendo rari momenti di serenità.

Ma solo per poco: quella mattina, ad esempio, si svegliò di soprassalto dopo uno dei consueti incubi sul suo passato di Mangiamorte.

Si appoggiò alla scrivania respirando profondamente: si preannunciava una pessima giornata, tanto più che aveva lezione con quegli imbranati del primo anno di Tassorosso. Ma il suo umore migliorò non appena aprì la porta della sua stanza, lì davanti c'era il suo vecchio calderone, perfettamente riparato, con dentro un biglietto. Era bianco, ma con un tocco di bacchetta magica apparvero queste parole "Nell'attesa che un nuovo padrone si faccia avanti, potrebbe un esimio professore di pozioni conservarlo?" Piton ammise con se stesso di essere sorpreso, perché il profondo squarcio era scomparso senza lasciare traccia alcuna; ci fece scorrere sopra le dita: la superficie era perfettamente liscia e regolare: un lavoro pregevole, doveva esserle costato un bel po’ di fatica.

Infatti negli ultimi giorni, le mani della donna non avevano più vesciche e spellature del solito?

Lo rimirò ancora un attimo, poi rientrò in camera, prese la penna d'oca e scrisse un messaggio per Hagrid: aveva bisogno che andasse in un posto per conto suo a prendere una cosa. Certe cortesie andavano ricambiate.

Due giorni dopo Oleander stava confortando Harry dopo che aveva preso un brutto voto in Storia della Magia... beh, veramente in quel momento stava ridendo di gusto "Se il professor Rüf non fosse già morto, l'avresti stecchito tu con questa risposta. Non posso credere che tu abbia scritto davvero che gli untori milanesi spargevano la peste, Harry!" Si appoggiò al muro per riprendere fiato.

"Dovevo recuperare pozioni e ho trascurato i capitoli di storia internazionale... ho inventato la prima cosa che mi è venuta in mente… l’avevo letto qualche anno fa, su un libro di mio cugino Dudley…" mormorò il ragazzo, a mo’ di giustificazione.

"La prossima volta vieni da me, ti darò delle ripetizioni. Ammetto che gli untori non hanno mai goduto di una buona fama, per Merlino! quell’unguento che usavano aveva un odore terrificante: all’Istituto Mediolanensis ne conservano dei campioni e quando li aprono c’è da scappare a gambe levate. Ma in realtà erano dei maghi veggenti e cospargevano di unguento le porte delle case dove sapevano che la peste avrebbe colpito, per allontanare il male. Salvarono molte vite."

"Allora quelli che vennero messi a morte furono dei martiri."

Di nuovo la risata di Oleander risuonò per il corridoio "Harry, nessun vero untore è mai stato tanto scemo da farsi catturare. Quei poveretti che finirono impiccati o arsi sul rogo erano solo persone comuni vittime di un equivoco, specie Gian Giacomo Mora, che ebbe la sfortuna di nascere sotto l’influenza di Perdita [1]. Quella luna sì che ha un’influenza nefasta, altro che Saturno!"

Giunti davanti alla porta della sua stanza, Oleander vide una piccola scatola posata a terra, con sopra un biglietto bianco. Alzandolo in modo che fosse al riparo dai verdi occhietti curiosi del ragazzo, agitò la bacchetta facendo comparire il messaggio "Questa è una cosa che potrebbe aiutarla nella sua caccia. Se ha voglia di stare ad ascoltare un esimio professore di pozioni, oggi pomeriggio le spiegherò come."

"Buone notizie...?" azzardò Harry, vedendo che a stento tratteneva una risatina.

"Harry Potter, non hai gli allenamenti di quidditch adesso?" e liquidò il ragazzo. Non appena fu sparito dalla vista, Severus Piton si staccò dall’androne dietro al quale si era nascosto e le andò incontro a passo di marcia, protestando “Quest’ala dell’edificio è riservata ai professori, gli studenti non possono accedervi liberamente. Avrei dovuto togliere 20 punti a Grifondoro.”

“Stavamo parlando di materie scolastiche.”

“Lei ci prova gusto, vero?” Piton la guardò storto.

“A far cosa?” domandò la maga, con aria da innocentina.

“A contraddirmi, sempre e comunque.”

“Che vuole, noi umili manovali ci divertiamo con poco.” E aprì la porta. Piton si guardò attorno: la stanza rifletteva la personalità di Oleander ed era esattamente come se l’era immaginata, ossia molto disordinata. Fogli, pergamene, appunti, penne d’oca e d’aquila occupavano ogni superficie piana, un grosso corvo nero dromicchiava nella sua gabbia, mentre in un angolo la donna aveva spostato tutti i mobili per mettere in piedi un piccolo laboratorio di riparazioni per gli studenti: attualmente l’unico paziente era la Ricordella di Neville Paciock, immersa in una soluzione riparatrice per una crepa. “Male, molto male! Gli alunni della scuola dovrebbero esercitarsi ad utilizzare l’incantesimo Reparo, invece di chiedere aiuto a lei.”

“Andiamo, lo sa meglio di me che dei semplici studenti non sono in grado di utilizzare quell’incantesimo su oggetti magici o stregati, ma solo su quelli normali. E’ di livello M.A.G.O. e oltre.”

“Tutte scuse: dovrei togliere altri 10 punti a Grifondoro.”

“Ora so cosa regalarle per Natale: un pallottoliere.” disse la donna, divertita, poi si sedette sul letto ed aprì la scatola.

Piton continuava la sua ispezione: l’unico spazio ordinato della stanza era rappresentato da un basso tavolino rotondo coperto da una cartina della Gran Bretagna, sulla quale era sospeso un pendolino radiestetico che oscillava in piccoli cerchi, emanando una luce giallastra: era stato tarato per rilevare fenomeni magici senza spiegazione.

“Cos’è?” chiese Oleander, indicando l’ampolla che aveva trovato nella scatola. Tolto il tappo, si sprigionava uno spesso filo di fumo che restava a galleggiare sopra il collo della bottiglia.

“E’ una pozione che le ho preparato: il fumo reagisce alla presenza del liquido del vaso di Pandora: quando aprirà la boccetta, il fumo si dirigerà verso il liquido e quindi verso il ladro che sta inseguendo.”

“Strabiliante! Ma come ha fatto?”

Inorgoglito ed anche lievemente imbarazzato da quella manifestazione di ammirazione così spontanea, minimizzò, come se fosse una cosa da nulla “Mi sono fatto portare da Hagrid i carrelli dell’incidente a King’s Cross: erano stati fatti sparire e portati al Ministero della Magia, ho cercato tracce residue del liquido e ho studiato un po’. Il resto è stato facile.”

“Parli per lei! Io ci ho messo tre settimane solo per elaborare e mettere insieme il mio reagente. D’altronde non sono mai stata una cima in pozioni.” Mormorò a mezza voce.

“Sì, lo si può capire semplicemente guardando questa stanza – Piton incrociò le braccia sul petto – scommetto che lei era molto approssimativa, sia nell’affettare gli ingredienti, che nel dosarli. E li conservava alla rinfusa, confondendoli. Il disordine è il nemico naturale di una pozione ben fatta.” Dalla faccia della donna, passata con rapidità dalla sorpresa ad una riluttante ammissione, Piton capì di aver fatto centro.

“L’ordine è faticoso da mantenere, mi sottrae energie vitali. Che vuole – allargò le braccia in un gesto teatrale – a ognuno la sua strada: lei è un esimio e ordinatissimo professore di pozioni, io sono solo un’umile e incasinatissima manovale.” Poi si spostò verso un fornelletto da campeggio posato nel camino, dandogli le spalle ed accese il fuoco.

Piton sospirò esasperato “Non la finirà mai con questa storia, vero?”

“Non sono io che ho iniziato.” Fece notare la donna.

Qualche minuto dopo, Piton udì un borbottio proveniente da un piccolo marchingegno metallico posato sul fornello e poi la stanza fu invasa da un aroma forte, di qualcosa di bruciato, ma nient’affatto sgradevole. Si avvicinò incuriosito e sbirciò da sopra la spalla della donna: vide un liquido denso e scuro risalire lungo un beccuccio del marchingegno “Cos’è?” pensava fosse un nuovo modello di distillatore per pozioni.

“La caffettiera. – disse Oleander tranquillamente, ma davanti all’espressione smarrita dell’uomo dovette spiegarsi meglio – E’ uno strumento babbano che serve per preparare il caffè, io non viaggio mai senza, perché per me è una specie di droga. E, badi bene, solo quello fatto nella caffettiera è degno di questo nome, non quella insulsa brodaglia all’americana che cercano di propinarti fuori dall’Italia. Andrebbe proibita con una risoluzione dell’O.N.U..”

Al di là della filippica della donna, di cui non aveva capito molto, Piton era combattuto: l’odore di quel ‘caffè’ era invitante, ma non voleva mostrare un aperto interesse per la cosa. Non ci fu bisogno di chiedere, comunque, perché Oleander gliene porse una tazza “Ecco, assaggi.”

Accettò con evidente riluttanza, allora la donna si posò una mano sul cuore “Le do la mia parola d’onore che non è avvelenato.” E poi bevve.

Piton la imitò, stupendosi per il sapore di quella bevanda: non aveva mai assaggiato nulla del genere, faceva impallidire il miglior succo di zucca delle cucine di Hogwarts. Dal forte sapore di bacche tostate, intenso e amaro, ma anche aspro in fondo alla gola. Decisamente buono. Si accorse che due occhi castani lo fissavano divertiti da dietro i grandi occhiali “Allora?”

“Passabile.” concesse Piton.

Oleander scoppiò a ridere “Immagino che tradotto in linguaggio comune, significhi che le è piaciuto.”

Che impertinente faccia tosta!

“Lo immaginavo, comunque: il caffè le si addice.”

“Perché è amaro?” chiese l’uomo, sarcastico.

“Ma in fondo è buono, no?” disse lei con naturalezza.

L’osservazione spiazzò Piton completamente, che non seppe come rispondere.

In quel momento un gufo picchiò col becco contro il vetro della finestra ed Oleander si rabbuiò all’istante. Raccolse il messaggio e lo buttò su una poltrona senza aprirlo. Piton notò che sul sigillo di ceralacca era impresso lo stemma del Casato Von Athala. “Non lo legge?”

“Tanto so già cosa c’è scritto: “Ci sono novità? Tutti noi attendiamo con ansia buone notizie e la cattura di questo ladro che tanto discredito sta gettando sul nostro casato, eccetera, eccetera…” si tormentò nervosamente un polsino della camicia. “Ed io sono ancora a zero.”

In quel momento il pendolo smise di agitarsi e piombò sulla cartina: Oleander corse a vedere: indicava il cimitero maggiore di York. “Qualcuno è entrato in azione, devo andare!" Raccolse velocemente la boccetta di Piton ed uscì di corsa.

Si materializzò all'interno del cimitero cittadino pochi minuti dopo le sei. Il suono di una campana avvisava i visitatori di affrettarsi ad andarsene, perchè era arrivato l'orario di chiusura.

La giornata era stata serena ma molto fredda ed una volta tramontato il sole iniziò a formarsi una fitta nebbia, che avvolgeva le cappelle private e le statue funerarie, rendendole pallide e sfocate. Qua e là brillavano tenui i lumini e le candele, come sospesi nel vuoto. Il lungo viale che si srotolava verso l'ossario centrale sembrava venir inghiottito da quella densa coltre biancastra. Pigramente un fantasma uscì da una cappelletta che riproduceva in piccolo un antico tempio egizio e andò a bussare sulla vetrata di quella a fianco, che invece assomigliava ad una cattedrale gotica "George, vecchio mio, ci sei? Finiamo la nostra partita a backgammon?"

Oleander si massaggiò le mani e le braccia intirizzite dal freddo, rimproverandosi per essere uscita così precipitosamente, senza nemmeno saggiare la temperatura esterna e come sempre, ora era tardi per rimediare. Abbandonò il viale centrale e si inoltrò per i dedali di sentieri che si snodavano nel cimitero, però per il momento non c'era nulla di strano. Un paio di volte le parve di scorgere un movimento furtivo, ma erano solo le ultime ombre della sera proiettate dagli alti cipressi.

Si udiva solo il rumore dei suoi passi sui piccoli sassi scuri dei vialetti; camminava lenta, quasi dimentica del motivo per cui era lì, soffermandosi a guardare le statue di bronzo e di marmo, che riproducevano donne affrante in preghiera, madonne dal viso imperturbabile circondate da angeli, cani accoccolati ai piedi delle tombe [2], bambini con i loro balocchi prediletti e soldati in pose da eroe. Man mano che procedeva verso la parte più antica della struttura, le lapidi diventavano sempre più sporche e trascurate, invase da erbacce e muschio, con le lettere bronzee ossidate dal tempo.

I cimiteri le mettevano sempre una certa malinconia. Si ritrovò a chiedersi in che stato fosse la tomba della mamma: da quando aveva lasciato Schloss Berth, dopo i funerali, non vi aveva più fatto ritorno. Chissà se Peter Von Athala se ne prendeva cura o era all'abbandono come una di quelle? Ma no, al di là dei freddi rapporti che aveva col genitore, era ben consapevole che suo padre aveva amato molto Ortensia ed aveva sofferto almeno quanto lei quando era morta. Ed il dolore inconsolabile di suo padre, non era anche in parte colpa sua? Sentì la vergogna bruciarle dentro.

Distratta, allungò la mano per scostare un tenace rampicante da una grossa croce celtica. Le foglie del rampicante, strusciando fra di loro, fecero un discreto rumore, ma quando Oleander lo lasciò andare, fu certa di aver udito il rumore di passi, che si erano fermati all'improvviso. Fece finta di non essersene accorta e proseguì a camminare lentamente, ma giunta all'altezza di una massiccia cappella squadrata, svoltò l'angolo e si allontanò velocemente, nascondendosi dietro una croce di marmo nero. Maledisse in cuor suo quella nebbia e l'oscurità che era calata troppo velocemente... non riusciva a vedere nulla, solo volute di nebbia sospinte da una brezza lieve ma gelida. Guardò alla sua destra: c'era una statua raffigurante una donna a grandezza naturale, con in mano una tavolozza di colori ed un pennello e le venne un'idea. Operò una trasfigurazione sulla statua, trasformandola in se stessa: l'avrebbe usata come esca per far uscire il suo uomo allo scoperto; tornò a nascondersi dietro alla croce di marmo e attese. Udì chiaramente dei passi venire verso di lei e puntò la bacchetta: tremava leggermente. Il cuore le batteva forte ed una goccia di sudore le scivolò lungo il collo, nonostante la temperatura rigida. Balzò fuori da dietro il suo nascondiglio, ma immediatamente qualcuno gridò "Expelliarmus!" e la sua bacchetta volò lontano; Oleander gridò spaventata. Dalla nebbia emerse una figura a lei familiare, avvolta in un lungo mantello nero che ondeggiava ad ogni suo passo "Credeva davvero di poter mettere nel sacco qualcuno con quel trucchetto?"

"P-professor Piton? Ha rischiato che la schiantassi."

"A me non sembra." le disse l'uomo, nel consueto tono pacato.

"Accidenti a lei, mi ha fatto prendere uno spavento incredibile." Disse a voce alta per l’agitazione, poi si sedette su un basso muretto, facendosi aria davanti al viso. "Che ci fa qui?"

"Volevo verificare di persona l'efficacia della mia pozione, ma ho visto che lei preferisce fare un giretto panoramico."

"Non stavo facendo nessun giretto. – gridò la donna – Stavo solo perlustrando."

L’uomo alzò gli occhi al cielo “La prego di contenersi, si rammenti dove siamo. Lei deve sempre essere così irruenta?” sibilò stizzito.

“E lei deve essere sempre così glaciale?” Dopodiché la donna si nascose il viso tra le mani e starnutì rumorosamente due volte. In un gesto quasi automatico, Piton si sfilò il mantello, posandoglielo sulle spalle.

La donna abbassò gli occhi, sistemandolo meglio. Sentì immediatamente un piacevole calore… e sospettava non fosse dovuto solo alla pesantezza dell’indumento, ma anche a quel gesto cavalleresco così inaspettato "G-grazie. Ok - si tirò in piedi ed estrasse la boccetta, cambiando bruscamente argomento - vediamo se funziona."

Il filo di fumo grigio si sollevò, restò sospeso a danzare a mezz'aria, poi si divise in due segmenti, che si spostavano lentamente in due direzioni opposte "Deve aver già usato il liquido su qualche oggetto e poi è andato da un’altra parte."

"Dividiamoci." propose Piton. Oleander seguì il suo filo di fumo, che era diretto verso il vecchio tempietto crematorio (in disuso dal 1940 - avvisava un cartello) e si infilò sotto la porta, chiusa da un grosso lucchetto. Oleander utilizzò un Alohomora ed il lucchetto scattò, poi fece una magia per rendere più luminosi i ceri che ardevano sulle pareti del sacrario, ma anche così la luce era tremula e creava sinistre ombre sui muri, sulle urne cinerarie e sulle statue. Le vecchie fotografie su ceramica parevano guardarla con occhio malevolo. I suoi passi rimbombarono rumorosamente sul freddo pavimento di marmo e l’eco si moltiplicò lungo l’alta cupola che chiudeva l’edificio. Quel posto metteva i brividi. L’essersi ricordata all’improvviso della trama de “La notte dei morti viventi” di certo non aiutava.

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[1] = è il nome di una delle lune di Urano; il nome è preso da una commedia di Shakespeare “Il racconto d’inverno”, è il nome della figlia di Leontes ed Hermione. Quando l’ho letto sono rimasta folgorata e ho scelto questo satellite.

[2] = il cane è molto usato nell’arte funeraria perché è simbolo di fedeltà.

Ringraziamenti e commenti:

Gran parte della descrizione del cimitero di questo capitolo è ispirata dal Cimitero Monumentale di Milano, un luogo davvero suggestivo. Ora, so che sembra un suggerimento davvero da sciroccati, ma se vi capita visitatelo, è un luogo che colpisce l’immaginazione.

@MistralRapsody: non ci crederai, ma anch’io ho delle bacchette cinesi sulla scrivania (sì, assieme ad un quantitativo industriale di paccottiglia varia) e mentre stavo scrivendo il capitolo mi è caduto l’occhio lì e ho pensato di usarle nella storia. La cosa avrà un seguito ed una spiegazione nel prossimo capitolo.

@Leonella: no, no, nulla di così tragico, ma in fondo si può far molto male ad un bambino anche senza mettergli le mani addosso. Ad esempio ignorandolo o facendolo sentire inutile. Anche questo aspetto della storia sarà approfondito meglio nel prossimo capitolo, che tra l’altro segna una cambio di registro nella storia, che si fa più seria.

   
 
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