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Autore: MeMedesima    15/12/2012    7 recensioni
Ovvero cosa succede quando la star di Broadway Rachel Berry e Kurt Hummel, attore squattrinato, si scambiano la casa per le vacanze di Natale.
"Allora, Rachel, abbiamo un accordo?". Spedì il messaggio, incrociando le dita.
"Prima posso farti una domanda?".
Kurt imprecò a bassa voce. "Ma certo".
"Ci sono uomini nella tua città?".
Il ragazzo rise amaramente, pensando a tutti gli appuntamenti orribili che aveva dovuto sorbirsi negli ultimi quattro anni, e al ragazzo tutt’altro che perfetto che stava frequentando ora.
"Assolutamente nessuno".
[Ispirata al film "L'amore non va in vacanza"]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky, Finn Hudson, Kurt Hummel, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt, Dave/Kurt, Finn/Rachel, Jessie/Rachel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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19 dicembre 2017, Prairie Oaks, Columbus, Ohio

 

Rachel era arrivata in quella casa da appena sei ore, e già si annoiava. Forse l’Ohio non era stata una così buona scelta.

In quel momento era seduta sul divano con una tazza di cioccolata calda – la seconda della giornata, santi numi – e meditava sul da farsi.

Eppure quella mattina la situazione non le era sembrata così disperata. Era arrivata nel primo pomeriggio, ed era rimasta subito incantata dalla casa. Era un piccolo cottage dipinto di bianco, con un grande giardino ed una ghirlanda di agrifoglio appesa alla porta d’entrata. Era entrata ed aveva immediatamente disfatto le valigie, scoprendo con piacere che l’armadio di Kurt era di dimensioni circa uguali a quelle del suo – occupava un’intera parete.

Dopo aver sistemato i suoi vestiti, si era finalmente preparata a godersi il più che meritato relax.

Per prima cosa aveva preparato un bagno caldo con sali profumati alla lavanda, e mentre stava in ammollo si era passata uno strato di smalto color lampone alle unghie di mani e piedi.

Aveva acceso lo stereo a tutto volume – scoprendo con piacere una collezione impressionante di soundtrack di musical – e aveva cantato a squarciagola per circa trenta secondi prima di ricordarsi che le sue corde vocali erano assicurate per svariate migliaia di dollari. Aveva iniziato ed abbandonato due libri, ed aveva guardato tre puntate di Gossip Girl, sospirando per la bellezza dell’Upper West Side a Natale. Si era preparata la prima tazza di cioccolata ed aveva acceso il fuoco nel piccolo caminetto. Aveva addirittura considerato l’idea di avventurarsi per un’oretta di trekking fino al lago, ma le era bastato fare due passi fuori dal cancello del cottage per decidere che i suoi stivali non meritavano quel fangoso trattamento.

Ed ora era seduta a gambe incrociate davanti al focolare, sentendosi incredibilmente stupida per aver pensato che un’idea del genere potesse funzionare. Lei era una newyorker, e che cavolo.

Non era abituata a starsene in campagna con le mani in mano.

Sospirò fra sé e sé. “Che faccio adesso?”.

Proprio nel momento in cui iniziava a considerare l’idea di prenotare un biglietto aereo di sola andata per New York un rumoroso bussare alla porta la distrasse dai suoi pensieri. Balzò in piedi, improvvisamente all’erta.

E se fosse stato un ladro? Erano le nove di sera, certo, ma fuori era buio pesto e che ne sapeva lei delle abitudini dei criminali dell’Ohio?

«Chi è?», chiese con voce incerta.

«Kurt, sono io!», esclamò una voce dall’esterno. «Fammi entrare, si gela qua fuori».

Rachel si avvicinò alla porta e sbirciò dallo spioncino. Tutto quello che riuscì a vedere furono un enorme paio di spalle coperte da un giubbotto blu scuro.

«Un-un attimo!», strillò prima di recuperare il cellulare dal divano, digitando velocemente il numero di cellulare di Kurt.

«Pronto?», le rispose una voce sconosciuta dopo qualche squillo. Era parzialmente coperta dal suono di altre voci e dall’inconfondibile rumore del traffico di Manhattan. Rachel sospirò brevemente di nostalgia prima di rispondere.

«Kurt! Sono Rachel!».

«Chi-Oh, Rachel! Come va in Ohio?», rispose cordialmente il ragazzo.

La ragazza abbassò la voce man mano che si riavvicinava alla porta. «C’è uno sconosciuto che sta bussando alla tua porta e io non ho idea di chi sia ed è buio pesto fuori, se fosse un ladro o un rapinatore io-».

«Rachel», il ragazzo la interruppe con tono deciso. «Prima di tutto, non ci sono rapinatori a Prairie Oaks. A meno che non cerchino camicie di flanella e pentole di rame». Rachel si lasciò scappare una risatina suo malgrado. «E secondo, puoi descrivermi l’aspetto di questo sconosciuto, per favore?».

«Ah-ah». Rachel si avvicinò nuovamente allo spioncino. «Moro, carino, alto come la tua porta d’entrata».

Dall’altro capo del telefono arrivò una risata soffocata. «Dev’essere mio fratello, sapevo che si sarebbe scordato che ero partito. Lascialo pure entrare, avrà dimenticato a casa qualcosa, come al suo solito».

«Oh». Le spalle di Rachel si rilassarono, mentre la ragazza tirava un sospiro di sollievo. «Bene allora. Spero davvero che tu ti stia divertendo nella Grane Mela…».

«Puoi dirlo forte!», rispose Kurt in tono allegro. «È il sogno di una vita. Ora devo riattaccare, Rachel! Ci sentiamo presto!».

Rachel premette il bottone di fine chiamata, si diede una veloce sistemata ai capelli, ed aprì la porta.

Il ragazzo ora era fermo davanti alla soglia, tenendo fra le mani un cappello di lana rosa e osservandolo con aria confusa. «Ora, Kurt, lo so che dici sempre che nel mondo della moda non esistono generi ma questo cappello-», alzò lo sguardo, incontrando gli occhi della ragazza. «Oh!».

Rachel sorrise appena. “Questo Kurt doveva essere davvero interessante a giudicare dalle sue idee sulla moda. E anche carino, se ha ereditato gli stessi geni di suo fratello”.

«Oh», ripeté il ragazzo, spalancando gli occhi color nocciola. «Tu devi essere la ragazza di New York, giusto? Kurt mi aveva detto che sarebbe partito, ma-».

«Te ne sei scordato?», lo interruppe lei. Il ragazzo la guardò confuso. «Kurt mi aveva avvertito che sarebbe potuto succedere».

«Lui è sempre un passo avanti a tutti», commentò il ragazzo con un sorriso. Poi lo sguardo gli cadde sul cappello che aveva in mano. «Credo che questo sia tuo», disse tendendole l’indumento.

Rachel lo prese, sorridendogli di rimando. «Dev’essermi caduto mentre entravo in casa».

Finn annuì con aria comprensiva. «Capita sempre anche a me». Tese una mano verso Rachel. «In ogni caso è un piacere fare la tua conoscenza…?».

«Rachel», rispose lei, deliziata di poter finalmente presentarsi a qualcuno che non sapesse già il suo nome. «È un piacere anche per me, fratello di Kurt».

«Finn, Finn Hudson», rispose lui, senza smettere di sorridere.

Rachel alzò un sopracciglio. Non aveva intenzione di ficcare il naso, ma… «Credevo che il vostro cognome fosse Hummel?».

«Io e Kurt siamo fratellastri», spiegò Finn mentre entrava in casa ed appendeva il suo cappotto all’appendiabiti. «Ma per noi non è molto differente dall’essere fratelli di sangue. Mia madre e suo padre si sono sposati quando eravamo al liceo, e l’ho considerato il mio fratellino da quel momento in poi».

Rachel annuì, spiazzata dalla naturalezza di quel commento.

«Ah, giusto», disse Finn all’improvviso, sbattendosi una mano sulla fronte. «Sono venuto qui per recuperare una cosa- ti dispiace se salgo al piano di sopra? Entrerò solo nello studio, prometto di non frugare fra le tue cose».

«Ma certo», rispose Rachel con una scrollata di spalle. «Nessun disturbo».

«Grande». Finn le lanciò un ultimo sorriso e salì le scale a due a due.

Non appena fu sparito al piano di sopra, Rachel si fiondò in cucina. Attenta a non fare il minimo rumore, alzò il coperchio di un pentolino che riposava sulla credenza.

Esultò fra sé e sé, notando che conteneva cioccolata calda in abbondanza. Accese velocemente uno dei fornelli e ci posò sopra il pentolino.

Se c’era qualcosa che i suoi papà le avevano insegnato era che il cioccolato era sempre un’ottima scusa. Si complimentò con sé stessa per la magnifica idea.

Finn Hudson era carino, simpatico e normale, ed era una vita che lei non aveva una conversazione con una persona normale. L’avrebbe fatto restare almeno una mezz’ora, costasse quel che costasse.

Probabilmente non sarebbe stato facile, perché un tipo così carino sarebbe stato sicuramente impegnato con i suoi amici di sabato sera. O forse con la sua ragazza.

«Ecco qua!», la voce di Finn e il suono dei suoi passi sulle scale la strapparono dalle sue fantasticherie. «Rachel?».

Rachel si affrettò a spegnere il gas, mentre i passi si dirigevano in cucina.

«Cosa ci fai qui?», sorrise Finn, affacciandosi all’entrata. A Rachel venne quasi da ridere notando che la cima della sua testa sfiorava appena l’architrave della porta. Quel ragazzo era davvero alto.

«Hai- hai trovato quello che cercavi?».

Finn alzò una scatola di pennarelli colorati con aria trionfante. «Sì! Sarei stato perso senza questi».

Rachel alzò un sopracciglio e decise di non indagare. «Sai, stavo pensando…», tolse il coperchio al pentolino, lasciando che l’odore di cioccolato si diffondesse per tutta la cucina. «Stavo bevendo una tazza di cioccolata calda, e per caso me n’è avanzata un po’. Ti andrebbe di unirti a me?».

Contrariamente a tutte le sue aspettative, Finn sorrise ed annuì.

«Certo, perché no?».

 

Passò poco tempo prima che Rachel dovesse ammettere con sé stessa di essersi sbagliata sul conto di Finn. Non sulla parte che riguardava l’essere carino, gentile ed anche normale, fortunatamente.

Ma se prima pensava che la loro conversazione sarebbe durata quei miseri venti minuti necessari ad esaurire tutti gli argomenti di conversazione, ora si trovava costretta a riconoscere che era da più di un’ora che parlavano senza interruzione, scambiandosi pensieri ed opinioni su tutto.

Entrambi avevano adorato l’ultimo romanzo di J. K. Rowling ed amavano segretamente i libri per adolescenti. Ad entrambi piaceva la musica dei Journey, nonostante la band avesse praticamente il doppio dei loro anni. Ed entrambi condividevano una malsana ed inspiegabile passione per i film di Bruce Willis. Parlarono e risero per ore.

Quando la cioccolata finì Rachel preparò un thè. E quando il thè finì Finn recuperò una vecchia bottiglia di vino.

Fu così che si trovarono alle undici e mezza di notte stesi sul tappeto del salotto a discutere i pregi di Edward Cullen contro quelli di Jacob Black.

«Jacob era realista», constatò Finn, trascinando appena le parole. «Edward invece era troppo mellifluo, non mi piaceva. E poi la spiava dalla finestra. Mentre dormiva». Scosse la testa, bevendo un altro sorso di vino.

«Io lo trovo romantico», disse Rachel in tono sognante, riempiendosi di nuovo il bicchiere.

«Io lo trovo inquietante», ribatté Finn, facendo una smorfia nella sua direzione. «Di certo mi spaventerei se qualcuno mi guardasse mentre dormo».

«Me lo segnerò», ridacchiò Rachel, prima di rendersi conto di aver detto una cosa piuttosto sciocca. «Ehi, aspetta. Ma noi non dobbiamo mica dormire insieme».

Finn la guardò, aggrottando le sopracciglia. «No! Me lo ricorderei se avessi dormito con una carina come te». Subito dopo aver pronunciato quelle parole si sbatté una mano sulla bocca. «Oh Dio, scusa, sono stato davvero-».

«Lo trovo molto lusinghiero», mormorò Rachel, avvicinandosi di più a lui. Una parte della sua mente era cosciente di essere piuttosto ubriaca, ma in fondo che male c’era? Il fuoco era ormai un cumulo di braci, la stanza era gelida e Finn era così caldo.

«Sai», disse all’improvviso bevendo un sorso di vino, «Non ci sono ragazzi come te a New York».

Finn scosse la testa. «Lo so, dovrò sembrarti un ragazzo di campagna al confronto».

«Tu sei più simpatico», lo contraddisse Rachel. «E meno gay».

«Sono molto più gay ora di quanto lo fossi al liceo», commentò Finn con aria pensierosa.

Rachel lo fissò. Cercò di concentrarsi sul suo viso, ma lo sguardo le scivolò suo malgrado sulle sue labbra, sulle spalle larghe e muscolose, sulle braccia e no, era una brutta idea vero?

Una pessima, pessima idea-

«Sai», ragionò ad alta voce, per zittire l’ultima parte coscienziosa del suo cervello. «Forse dovremmo farlo».

«Uh? Cosa?».

«Dormire insieme».

Finn la guardò con espressione sorpresa. «Intendi…», deglutì mentre arrossiva leggermente. «Dormire o dormire dormire?».

Rachel colmò quei pochi centimetri che separavano i loro corpi e gli prese il viso fra le mani.

«Non ti fisserò mentre dormi, te lo prometto», sussurrò prima di baciarlo con passione.

 

20 dicembre 2017, Upper West Side, New York

 

Kurt Hummel si stiracchiò e fece una smorfia mentre i ricordi del giorno precedente gli tornavano in mente. Era stato tutto un sogno, giusto? Cose del genere non succedevano davvero, tanto meno a lui.

Sospirò amaramente e cercò a tentoni l’interruttore per accendere la luce di camera sua. Nulla.

Aggrottò le sopracciglia, passando la mano di nuovo la mano sul muro. Nulla di nulla.

Possibile che…?

Sbatté le palpebre, mettendo a fuoco una stanza che, poco ma sicuro, non era la sua.

«Oh mio Dio», sussurrò nel silenzio della camera di Rachel. La camera di Rachel che si trovava a New York. «Allora è successo davvero».

Scalciò via le coperte e corse a spalancare una delle finestre, il cuore che gli martellava nel petto.

La vista gli bloccò quasi il fiato. Metri e metri di case che si sovrapponevano l’un l’altra, cisterne d’acqua che facevano capolino fra i tetti e un angolo di Central Park appena visibile tra le pareti degli edifici. Senza perdere altro tempo corse dalla parte opposta della casa, finendo in cucina, e aprì un’altra finestra. L’Hudson River illuminato dalla debole luce del mattino, un’altra distesa di case e se si sporgeva solo un pochino…

«Oh, al diavolo», esclamò ad alta voce, salendo sul pianerottolo della scala antincendio in calzini e pigiama. Si aggrappò ai pioli e salì qualche scalino, finché non riuscì a scorgere un pezzetto di Broadway Avenue.

«Non posso crederci», mormorò fra sé e sé, aumentando la stretta sulla scala. Due giorni prima era assolutamente convinto che avrebbe passato le vacanze da solo, ignorato dal proprio quasi-ragazzo e molestato dal proprio fratello. E invece era a New York, a dieci minuti da Broadway.

Sentì l’euforia del giorno prima risalirgli la schiena mentre scendeva la scala e rientrava in cucina – una delle cucine più sofisticate in cui fosse mai entrato.

Chiuse la finestra e si diede un’occhiata intorno. Doveva ancora familiarizzare con l’appartamento – il giorno prima vi era rimasto il minimo indispensabile, catapultandosi a prendere la metropolitana verso Times Square appena finito di disfare i bagagli – ma doveva ammettere che era una casa davvero fantastica, soprattutto per gli standard di New York.

«Dovrei chiederle chi è il suo designer…», si disse mentre osservava i quadri del soggiorno, perfettamente abbinati con l’arredamento.

Una volta trovata la porta del bagno fece una doccia calda, programmando l’itinerario per quel giorno. Il pomeriggio prima aveva semplicemente camminato per le strade di Manhattan, ammirando i grattacieli e le decorazioni natalizie appese per le strade, ma aveva una lista pressoché infinita di cose da vedere e posti da visitare.

Si asciugò velocemente, decidendo di testare la cucina di Rachel e di preparare dei pancakes per colazione, lasciando a dopo la scelta del suo outfit. Infilò velocemente un paio di jeans ed una canottiera e si mise al lavoro, riempiendo una caffettiera e posandola su uno dei fornelli prima di iniziare a preparare i pancakes. Stava proprio per aggiungere le gocce di cioccolato all’impasto quando qualcuno bussò alla porta.

«Rachel!», esclamò una voce maschile dal pianerottolo. «Rachel, sono io, aprimi!».

Kurt si bloccò con il cucchiaio a mezz’aria e si diede una rapida occhiata. I capelli erano a posto. I pantaloni pure…

«Rachel non provarci nemmeno. Non voglio stare qui impalato per venti minuti come l’ultima volta!».

“Maglietta, dannazione, mi serve una maglietta”. Corse il più velocemente possibile in camera, iniziando a cercare una t-shirt o una camicia che si abbinasse ai jeans che portava in quel momento.

«Rachel andiamo», continuò la voce, alzando il volume. «Non puoi semplicemente saltare le prove ogni volta che hai delle crisi esistenziali. Mercedes sta già spadroneggiando sul cast e sai che tutti la lasciano fare. Non hai rispetto per i nervi di Adam? È vecchio, Rachel».

Kurt estrasse una maglietta blu scuro dall’armadio e cercò di infilarla mentre correva verso l’entrata. La voce intanto continuava a sproloquiare.

«Senza contare che per arrivare qui ho fatto dieci isolati a piedi e non è che sia molto caldo in questo periodo dell’a-».

Kurt aprì la porta, interrompendo il monologo. Il ragazzo piantato davanti alla soglia fece un verso sorpreso, mentre arrossiva leggermente.

«Io- scusi devo aver sbagliato appartamento», balbettò in tono imbarazzato.

«Non hai sbagliato», replicò Kurt facendo un cenno verso la targhetta di fianco alla porta. «Rachel e io ci siamo scambiati le case per le vacanze. Lei è in Ohio ora, quindi non credo ce la farà a venire alle prove», aggiunse, cercando di trattenere una risata.

Il ragazzo sospirò con aria scoraggiata. «Oh, non importa, mi ero già rassegnato a dover parlare a vuoto con la porta. Lavorare con lei è un vero incubo, a volte», si passò una mano fra i riccioli scuri, poi parve ricordare che anche Kurt era lì. «Oh, io- mi dispiace moltissimo di averti svegliato. Rachel è sempre in piedi alle sei, quindi non mi sono fatto problemi a-».

«Ero già sveglio», lo interruppe Kurt. Esitò un momento poi scrollò le spalle. «Anzi, a dire la verità stavo preparando la colazione. Dopo dieci isolati a piedi sarai affamato, ti andrebbe di…?», indicò la porta aperta dietro di lui con un cenno della testa.

Il ragazzo gli rivolse un enorme sorriso, annuendo. «Sarebbe fantastico. Mi chiamo Blaine, comunque». Tese la mano verso di lui.

«Kurt», il ragazzo gliela strinse con un piccolo sorriso e si spostò per farlo entrare in casa.

Ignorò l’istinto che gli ripeteva di non far entrare in casa uno sconosciuto – Quel ragazzo aveva l’aspetto di chi non avrebbe fatto del male ad una mosca. E anche se Rachel non aveva nominato nessun Blaine, per mettersi ad urlare davanti alla sua porta dovevano essere piuttosto in confidenza, quindi-

Un momento. In effetti Rachel aveva nominato un ex ragazzo durante il loro scambio di e-mail.

“Ma non puoi essere tu vero? Sei davvero troppo carino per essere etero”.

Riproponendosi di scoprirlo al più presto – il suo gayradar non era mai stato particolarmente recettivo – tornò in cucina, seguito a ruota da Blaine.

«Come ti sembrano i pancakes con le gocce di cioccolato?», chiese mentre riprendeva a mescolare l’impasto.

«Divini», rispose l’altro sedendosi su uno sgabello di fronte a Kurt.

Il ragazzo annuì, mentre versava la prima cucchiaiata di impasto in una padella.

«Allora», iniziò mentre regolava il fornello a fiamma bassa. «Parlami di Rachel. È così strano abitare in casa di una persona che non conosco affatto».

Blaine rise, poggiando il mento su una mano. «Da dove iniziare?», disse in tono divertito. «Non la conosco da molto, quindi non sono la persona più adatta a discutere di questa cosa. Posso dirti che è innamorata del suo lavoro, però. È un’attrice», aggiunse all’occhiata interrogativa di Kurt.

Il ragazzo sentì una fitta di gelosia mentre faceva scivolare su un piatto il primo pancake.

«Dev’essere molto brava per riuscire a mantenersi qui a New York», commentò mestamente. «E non se la passa nemmeno male», aggiunse, agitando il cucchiaio ad indicare l’enorme cucina e l’appartamento in generale.

«È determinata, su questo non c’è dubbio», concordò Blaine. «E anche competitiva. Lascia, faccio io», disse, quando Kurt fece per togliere dal fuoco la moca del caffè. Aprì uno degli armadietti e ne tirò fuori due tazze. «Dicono che la sua furia quando le hanno rifiutato la parte di Elphaba sia stata leggendaria, ma grazie al cielo ho iniziato a frequentarla quando l’avevano appena presa nel cast di Evita», aggiunse, versando lentamente il caffè.

Kurt lo guardò con tanto d’occhi. «È stata nel cast di Evita? E chi interpretava?».

«Evita, ovviamente», Blaine scosse la testa e recuperò la zuccheriera. «Non voleva accontentarsi di meno».

Il cervello di Kurt fece qualche rapido collegamento. “Evita. Rachel? Oh mio Dio”.

«Blaine. Come hai detto che fa Rachel di cognome?», chiese in tono incerto.

Il ragazzo ci mise un attimo a rispondere, impegnato a zuccherare il suo caffè.

«Berry. Rachel Berry», disse infine.

Kurt respirò profondamente e cercò di apparire assolutamente calmo. A giudicare dall’occhiata di Blaine stava fallendo miseramente.

«Immagino che tu non abbia osservato bene il tavolino del soggiorno», aggiunse Blaine con un’occhiata divertita.

«Io- potresti…?», fece un cenno verso il pancake che si stava cuocendo e Blaine annuì, afferrando il manico della padella mentre Kurt si fiondava in soggiorno.

“Cosa può esserci di tanto sconvolgente in quel tavolino? È solo un normalissimo tavo-”.

Il suo cuore mancò un battito quando lo vide.

«Blaine?», chiese a voce alta. «Non sarà mica un Tony Award, questo?».

«Lo è!», gli rispose la voce del ragazzo dall’altra stanza.

«Dio», borbottò Kurt, incapace di pronunciare altro. Tornò in cucina appena in tempo per vedere Blaine che girava un pancake facendogli fare una perfetta giravolta.

«Non ci posso credere!», borbottò Kurt mentre si sedeva su uno degli sgabelli della cucina.

«Ma niente commenti sull’aver dormito nel letto di Rachel Berry quando tornerai a casa», scherzò Blaine agitando il cucchiai nella sua direzione.

Kurt sbuffò. «Credo sarebbero più sorpresi che abbia dormito con una donna per concentrarsi su chi sia la fortunata», commentò mentre aggiungeva dello zucchero al suo caffè e tornava a sedersi sul suo sgabello.

«Quindi», iniziò Blaine dopo un attimo di silenzio. «Devi essere un appassionato di Broadway per conoscere il nome di Rachel. Non è così famosa…».

«Puoi dirlo forte», commentò Kurt, osservandolo mentre faceva scivolare altri due pancake sopra ai primi. «Ho frequentato un corso di musical al college».

«Oh, davvero?», chiese Blaine, sinceramente interessato. «Ho sentito dire che il corso dell’OSU è fantastico».

«Per l’Ohio forse, ma non per New York», replicò Kurt scuotendo la testa.

Per un attimo sembrò che Blaine volesse dire qualcosa, poi scosse leggermente la testa e sorrise di nuovo. «Beh, ora che sei qui a Broadway…», fece cadere nella padella l’ultima cucchiaiata di impasto. «…c’è qualche musical in particolare che ti piacerebbe vedere?».

«Chicago», rispose immediatamente Kurt. «So il film a memoria e al terzo anno delle superiori il nostro Glee Club ha fatto anche una produzione scolastica».

«E che ruolo interpretavi?».

Il ragazzo fece una smorfia. «Amos Hart. Non esattamente la parte dei miei sogni, ma almeno ho avuto un assolo».

«Sei davvero sprecato come Amos», commentò Blaine prima di lanciargli un’occhiata maliziosa. «I tuoi professori dovevano essere pazzi».

Kurt deglutì, pregando di non arrossire. “Decisamente non etero, allora”.

I ragazzi rimasero in silenzio mentre Blaine divideva i pancake in due piatti e ne posava uno davanti a Kurt.

«Grazie di aver finito di cucinare», commentò il ragazzo prendendo la forchetta che Blaine gli porgeva.

«Non c’è problema. Anzi ti dirò di più». Gli puntò contro la forchetta, dove aveva infilzato un pezzetto di pancake. «Oggi è il nostro giorno libero, quindi niente prove, ma se domani pomeriggio hai un’ora di tempo, passa al Nederlander Theatre, e chiedi di Blaine Anderson. Al cast farebbe piacere conoscere il ragazzo che gli ha tolto dai piedi Rachel per due settimane, e riuscirei anche a procurarti i biglietti per Chicago ad un prezzo stracciato».

Kurt spalancò la bocca mentre Blaine gli faceva un occhiolino.

«Ti sarei debitore per l’eternità».

Il ragazzo scosse la testa, infilzando un altro pezzetto di pancake.

«Credimi, per questi pancakes non è nemmeno abbastanza».

 

Prima che uno dei due finisse i suoi pancakes Kurt aveva scoperto che Blaine non solo adorava i musical, ma aveva anche un abbonamento mensile a Vogue e un cassetto pieno di papillon.

“Cento per cento gay”, si disse Kurt mentre lo accompagnava alla porta. “E il suo ragazzo dev’essere anche fortunato”, aggiunse mentre lo sguardo gli scivolava per un attimo sul suo sedere.

Blaine recuperò il proprio cappotto ed uscì, girandosi per salutare il ragazzo.

«A domani pomeriggio allora», lo salutò Kurt cercando di non sorridere troppo.

«Ci conto», rispose Blaine con un cenno della testa.

Kurt stava per chiudere la porta quando la voce di Blaine risuonò per le scale.

«Kurt!».

Il ragazzo tornò sulla soglia. Blaine gli stava sorridendo dal pianerottolo più in basso.

«Goditi New York».

Kurt annuì, guardandolo scendere il resto delle scale e scomparire con un ultimo cenno di saluto.

Sospirò profondamente, chiudendo la porta e appoggiandosi contro di essa con la schiena.

Solo allora si ricordò di non aver chiamato David da due giorni.

 

20 dicembre 2017, Prairie Oaks, Columbus, Ohio

Rachel Berry aprì lentamente gli occhi, riconoscendo immediatamente il mal di testa e le fitte allo stomaco come postumi di una leggera sbronza.

Oh beh. C’erano modi peggiori di iniziare le vacanze.

Si rigirò fra le lenzuola, stiracchiando le braccia- e solo allora si rese conto di non avere niente addosso, e di non essere sola nel letto.

Premette il viso nel cuscino per non imprecare ad alta voce, e richiuse gli occhi.

“Fantastico”.

 

A/N:

Eeeeed ecco il primo capitolo, gente ;)

La Klaine e la Finchel si sono incontrate *gasp*, Rachel è intrappolata in un fangoso sobborgo dell’Ohio (l’ha detto lei, non io) e Kurtie sta danzando per le strade di New York.

Cosa succederà ai nostri eroi??

Ringrazio le persone che mi hanno lasciato una recensione – fate meraviglie per la mia autostima! – e che hanno inserito la mia storia fra le seguite.

Il prossimo capitolo sarà pubblicato in una data indefinita fra lunedì e mercoledì della settimana prossima.

Meno dieci giorni a Natale! <3

MM

Ps: Qualcuno ha pianto guardando l’ultimo episodio di Glee?? ç_____ç

  
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