19
dicembre 2017, Prairie Oaks, Columbus, Ohio
Rachel era
arrivata in quella casa da appena sei ore, e già si
annoiava. Forse l’Ohio non
era stata una così buona scelta.
In quel
momento era seduta sul divano con una tazza di cioccolata calda
– la seconda
della giornata, santi numi – e meditava sul da farsi.
Eppure quella
mattina la situazione non le era sembrata così disperata.
Era arrivata nel primo
pomeriggio, ed era rimasta subito incantata dalla casa. Era un piccolo
cottage
dipinto di bianco, con un grande giardino ed una ghirlanda di
agrifoglio appesa
alla porta d’entrata. Era entrata ed aveva immediatamente
disfatto le valigie,
scoprendo con piacere che l’armadio di Kurt era di dimensioni
circa uguali a
quelle del suo – occupava un’intera parete.
Dopo aver
sistemato i suoi vestiti, si era finalmente preparata a godersi il
più che
meritato relax.
Per prima
cosa aveva preparato un bagno caldo con sali profumati alla lavanda, e
mentre
stava in ammollo si era passata uno strato di smalto color lampone alle
unghie
di mani e piedi.
Aveva acceso
lo stereo a tutto volume – scoprendo con piacere una
collezione impressionante
di soundtrack di musical – e aveva cantato a squarciagola per
circa trenta
secondi prima di ricordarsi che le sue corde vocali erano assicurate
per svariate
migliaia di dollari. Aveva iniziato ed abbandonato due libri, ed aveva
guardato
tre puntate di Gossip Girl,
sospirando per la bellezza dell’Upper West Side a Natale. Si
era preparata la
prima tazza di cioccolata ed aveva acceso il fuoco nel piccolo
caminetto. Aveva
addirittura considerato l’idea di avventurarsi per
un’oretta di trekking fino
al lago, ma le era bastato fare due passi fuori dal cancello del
cottage per
decidere che i suoi stivali non meritavano quel fangoso trattamento.
Ed ora era
seduta a gambe incrociate davanti al focolare, sentendosi
incredibilmente
stupida per aver pensato che un’idea del genere potesse
funzionare. Lei era una
newyorker, e che cavolo.
Non era
abituata a starsene in campagna con le mani in mano.
Sospirò
fra
sé e sé. “Che faccio adesso?”.
Proprio nel
momento in cui iniziava a considerare l’idea di prenotare un
biglietto aereo di
sola andata per New York un rumoroso bussare alla porta la distrasse
dai suoi
pensieri. Balzò in piedi, improvvisamente all’erta.
E se fosse
stato un ladro? Erano le nove di sera, certo, ma fuori era buio pesto e
che ne
sapeva lei delle abitudini dei criminali dell’Ohio?
«Chi
è?»,
chiese con voce incerta.
«Kurt,
sono
io!», esclamò una voce dall’esterno.
«Fammi entrare, si gela qua fuori».
Rachel si
avvicinò
alla porta e sbirciò dallo spioncino. Tutto quello che
riuscì a vedere furono
un enorme paio di spalle coperte da un giubbotto blu scuro.
«Un-un
attimo!», strillò prima di recuperare il cellulare
dal divano, digitando velocemente
il numero di cellulare di Kurt.
«Pronto?»,
le rispose una voce sconosciuta dopo qualche squillo. Era parzialmente
coperta
dal suono di altre voci e dall’inconfondibile rumore del
traffico di Manhattan.
Rachel sospirò brevemente di nostalgia prima di rispondere.
«Kurt!
Sono
Rachel!».
«Chi-Oh,
Rachel! Come va in Ohio?», rispose cordialmente il ragazzo.
La ragazza
abbassò la voce man mano che si riavvicinava alla porta.
«C’è uno sconosciuto
che sta bussando alla tua porta e io non ho idea di chi sia ed
è buio pesto
fuori, se fosse un ladro o un rapinatore io-».
«Rachel»,
il
ragazzo la interruppe con tono deciso. «Prima di tutto, non
ci sono rapinatori
a Prairie Oaks. A meno che non cerchino camicie di flanella e pentole
di rame».
Rachel si lasciò scappare una risatina suo malgrado.
«E secondo, puoi
descrivermi l’aspetto di questo sconosciuto, per
favore?».
«Ah-ah».
Rachel si avvicinò nuovamente allo spioncino.
«Moro, carino, alto come la tua
porta d’entrata».
Dall’altro
capo del telefono arrivò una risata soffocata.
«Dev’essere mio fratello, sapevo
che si sarebbe scordato che ero
partito. Lascialo pure entrare, avrà dimenticato a casa
qualcosa, come al suo
solito».
«Oh».
Le
spalle di Rachel si rilassarono, mentre la ragazza tirava un sospiro di
sollievo.
«Bene allora. Spero davvero che tu ti stia divertendo nella
Grane Mela…».
«Puoi
dirlo
forte!», rispose Kurt in tono allegro.
«È il sogno di una vita. Ora devo
riattaccare, Rachel! Ci sentiamo presto!».
Rachel
premette il bottone di fine chiamata, si diede una veloce sistemata ai
capelli,
ed aprì la porta.
Il ragazzo
ora era fermo davanti alla soglia, tenendo fra le mani un cappello di
lana rosa
e osservandolo con aria confusa. «Ora, Kurt, lo so che dici
sempre che nel
mondo della moda non esistono generi ma questo cappello-»,
alzò lo sguardo,
incontrando gli occhi della ragazza. «Oh!».
Rachel
sorrise appena. “Questo Kurt doveva essere davvero
interessante a giudicare
dalle sue idee sulla moda. E anche carino, se ha ereditato gli stessi
geni di
suo fratello”.
«Oh»,
ripeté
il ragazzo, spalancando gli occhi color nocciola. «Tu devi
essere la ragazza di
New York, giusto? Kurt mi aveva detto che sarebbe partito,
ma-».
«Te ne
sei
scordato?», lo interruppe lei. Il ragazzo la
guardò confuso. «Kurt mi aveva
avvertito che sarebbe potuto succedere».
«Lui
è
sempre un passo avanti a tutti», commentò il
ragazzo con un sorriso. Poi lo
sguardo gli cadde sul cappello che aveva in mano. «Credo che
questo sia tuo»,
disse tendendole l’indumento.
Rachel lo
prese, sorridendogli di rimando. «Dev’essermi
caduto mentre entravo in casa».
Finn
annuì
con aria comprensiva. «Capita sempre anche a me».
Tese una mano verso Rachel. «In
ogni caso è un piacere fare la tua
conoscenza…?».
«Rachel»,
rispose lei, deliziata di poter finalmente presentarsi a qualcuno che
non
sapesse già il suo nome. «È un piacere
anche per me, fratello di Kurt».
«Finn,
Finn
Hudson», rispose lui, senza smettere di sorridere.
Rachel
alzò
un sopracciglio. Non aveva intenzione di ficcare il naso,
ma… «Credevo che il
vostro cognome fosse Hummel?».
«Io e
Kurt
siamo fratellastri», spiegò Finn mentre entrava in
casa ed appendeva il suo
cappotto all’appendiabiti. «Ma per noi non
è molto differente dall’essere
fratelli di sangue. Mia madre e suo padre si sono sposati quando
eravamo al
liceo, e l’ho considerato il mio fratellino da quel momento
in poi».
Rachel
annuì, spiazzata dalla naturalezza di quel commento.
«Ah,
giusto», disse Finn all’improvviso, sbattendosi una
mano sulla fronte. «Sono
venuto qui per recuperare una cosa- ti dispiace se salgo al piano di
sopra?
Entrerò solo nello studio, prometto di non frugare fra le
tue cose».
«Ma
certo»,
rispose Rachel con una scrollata di spalle. «Nessun
disturbo».
«Grande».
Finn le lanciò un ultimo sorriso e salì le scale
a due a due.
Non appena
fu sparito al piano di sopra, Rachel si fiondò in cucina.
Attenta a non fare il
minimo rumore, alzò il coperchio di un pentolino che
riposava sulla credenza.
Esultò
fra
sé e sé, notando che conteneva cioccolata calda
in abbondanza. Accese
velocemente uno dei fornelli e ci posò sopra il pentolino.
Se
c’era
qualcosa che i suoi papà le avevano insegnato era che il
cioccolato era sempre
un’ottima scusa. Si complimentò
con sé stessa per la magnifica idea.
Finn Hudson
era carino, simpatico e normale, ed era una vita che lei non aveva una
conversazione con una persona normale.
L’avrebbe fatto restare almeno una mezz’ora,
costasse quel che costasse.
Probabilmente
non sarebbe stato facile, perché un tipo così
carino sarebbe stato sicuramente
impegnato con i suoi amici di sabato sera. O forse con la sua ragazza.
«Ecco
qua!»,
la voce di Finn e il suono dei suoi passi sulle scale la strapparono
dalle sue
fantasticherie. «Rachel?».
Rachel si
affrettò a spegnere il gas, mentre i passi si dirigevano in
cucina.
«Cosa
ci fai
qui?», sorrise Finn, affacciandosi all’entrata. A
Rachel venne quasi da ridere
notando che la cima della sua testa sfiorava appena
l’architrave della porta.
Quel ragazzo era davvero alto.
«Hai-
hai
trovato quello che cercavi?».
Finn
alzò
una scatola di pennarelli colorati con aria trionfante.
«Sì! Sarei stato perso
senza questi».
Rachel
alzò
un sopracciglio e decise di non indagare. «Sai, stavo
pensando…», tolse il
coperchio al pentolino, lasciando che l’odore di cioccolato
si diffondesse per
tutta la cucina. «Stavo bevendo una tazza di cioccolata
calda, e per caso me
n’è avanzata un po’. Ti andrebbe di
unirti a me?».
Contrariamente
a tutte le sue aspettative, Finn sorrise ed annuì.
«Certo,
perché no?».
Passò
poco
tempo prima che Rachel dovesse ammettere con sé stessa di
essersi sbagliata sul
conto di Finn. Non sulla parte che riguardava l’essere
carino, gentile ed anche
normale, fortunatamente.
Ma se prima
pensava che la loro conversazione sarebbe durata quei miseri venti
minuti
necessari ad esaurire tutti gli argomenti di conversazione, ora si
trovava
costretta a riconoscere che era da più di un’ora
che parlavano senza interruzione,
scambiandosi pensieri ed opinioni su tutto.
Entrambi
avevano adorato l’ultimo romanzo di J. K. Rowling ed amavano
segretamente i
libri per adolescenti. Ad entrambi piaceva la musica dei Journey,
nonostante la
band avesse praticamente il doppio dei loro anni. Ed entrambi
condividevano una
malsana ed inspiegabile passione per i film di Bruce Willis. Parlarono
e risero
per ore.
Quando la
cioccolata finì Rachel preparò un thè.
E quando il thè finì Finn recuperò una
vecchia bottiglia di vino.
Fu
così che
si trovarono alle undici e mezza di notte stesi sul tappeto del salotto
a
discutere i pregi di Edward Cullen contro quelli di Jacob Black.
«Jacob
era
realista», constatò Finn, trascinando appena le
parole. «Edward invece era
troppo mellifluo, non mi piaceva. E poi la spiava dalla finestra.
Mentre
dormiva». Scosse la testa, bevendo un altro sorso di vino.
«Io lo
trovo
romantico», disse Rachel in tono sognante, riempiendosi di
nuovo il bicchiere.
«Io lo
trovo
inquietante», ribatté Finn, facendo una smorfia
nella sua direzione. «Di certo
mi spaventerei se qualcuno mi guardasse mentre dormo».
«Me lo
segnerò», ridacchiò Rachel, prima di
rendersi conto di aver detto una cosa
piuttosto sciocca. «Ehi, aspetta. Ma noi non dobbiamo mica
dormire insieme».
Finn la
guardò, aggrottando le sopracciglia. «No! Me lo
ricorderei se avessi dormito
con una carina come te». Subito dopo aver pronunciato quelle
parole si sbatté
una mano sulla bocca. «Oh Dio,
scusa,
sono stato davvero-».
«Lo
trovo
molto lusinghiero», mormorò Rachel, avvicinandosi
di più a lui. Una parte della
sua mente era cosciente di essere piuttosto ubriaca, ma in fondo che
male
c’era? Il fuoco era ormai un cumulo di braci, la stanza era
gelida e Finn era
così caldo.
«Sai»,
disse
all’improvviso bevendo un sorso di vino, «Non ci
sono ragazzi come te a New
York».
Finn scosse
la testa. «Lo so, dovrò sembrarti un ragazzo di
campagna al confronto».
«Tu
sei più
simpatico», lo contraddisse Rachel. «E meno
gay».
«Sono
molto
più gay ora di quanto lo fossi al liceo»,
commentò Finn con aria pensierosa.
Rachel lo
fissò. Cercò di concentrarsi sul suo viso, ma lo
sguardo le scivolò suo
malgrado sulle sue labbra, sulle spalle larghe e muscolose, sulle
braccia e no,
era una brutta idea vero?
Una pessima,
pessima idea-
«Sai»,
ragionò ad alta voce, per zittire l’ultima parte
coscienziosa del suo cervello.
«Forse dovremmo farlo».
«Uh?
Cosa?».
«Dormire
insieme».
Finn la
guardò con espressione sorpresa.
«Intendi…», deglutì mentre
arrossiva
leggermente. «Dormire o dormire
dormire?».
Rachel
colmò
quei pochi centimetri che separavano i loro corpi e gli prese il viso
fra le
mani.
«Non
ti
fisserò mentre dormi, te lo prometto»,
sussurrò prima di baciarlo con passione.
20 dicembre 2017,
Upper West Side, New York
Kurt Hummel si
stiracchiò e fece una smorfia mentre i ricordi del giorno
precedente gli
tornavano in mente. Era stato tutto un sogno, giusto? Cose del genere
non
succedevano davvero, tanto meno a lui.
Sospirò
amaramente e cercò a tentoni l’interruttore per
accendere la luce di camera
sua. Nulla.
Aggrottò
le
sopracciglia, passando la mano di nuovo la mano sul muro. Nulla di
nulla.
Possibile
che…?
Sbatté
le
palpebre, mettendo a fuoco una stanza che, poco ma sicuro, non era la sua.
«Oh
mio Dio»,
sussurrò nel silenzio della camera di Rachel. La camera di
Rachel che si
trovava a New York.
«Allora è
successo davvero».
Scalciò
via
le coperte e corse a spalancare una delle finestre, il cuore che gli
martellava
nel petto.
La vista gli
bloccò quasi il fiato. Metri e metri di case che si
sovrapponevano l’un
l’altra, cisterne d’acqua che facevano capolino fra
i tetti e un angolo di
Central Park appena visibile tra le pareti degli edifici. Senza perdere
altro tempo
corse dalla parte opposta della casa, finendo in cucina, e
aprì un’altra
finestra. L’Hudson River illuminato dalla debole luce del
mattino, un’altra
distesa di case e se si sporgeva solo un pochino…
«Oh,
al
diavolo», esclamò ad alta voce, salendo sul
pianerottolo della scala
antincendio in calzini e pigiama. Si aggrappò ai pioli e
salì qualche scalino,
finché non riuscì a scorgere un pezzetto di
Broadway Avenue.
«Non
posso
crederci», mormorò fra sé e
sé, aumentando la stretta sulla scala. Due giorni
prima era assolutamente convinto che avrebbe passato le vacanze da
solo,
ignorato dal proprio quasi-ragazzo e molestato dal proprio fratello. E
invece
era a New York, a dieci minuti da Broadway.
Sentì
l’euforia del giorno prima risalirgli la schiena mentre
scendeva la scala e
rientrava in cucina – una delle cucine più
sofisticate in cui fosse mai
entrato.
Chiuse la
finestra e si diede un’occhiata intorno. Doveva ancora
familiarizzare con
l’appartamento – il giorno prima vi era rimasto il
minimo indispensabile, catapultandosi
a prendere la metropolitana verso Times Square appena finito di disfare
i
bagagli – ma doveva ammettere che era una casa davvero
fantastica, soprattutto
per gli standard di New York.
«Dovrei
chiederle chi è il suo designer…», si
disse mentre osservava i quadri del
soggiorno, perfettamente abbinati con l’arredamento.
Una volta
trovata la porta del bagno fece una doccia calda, programmando
l’itinerario per
quel giorno. Il pomeriggio prima aveva semplicemente camminato per le
strade di
Manhattan, ammirando i grattacieli e le decorazioni natalizie appese
per le
strade, ma aveva una lista pressoché infinita di cose da
vedere e posti da
visitare.
Si
asciugò
velocemente, decidendo di testare la cucina di Rachel e di preparare
dei
pancakes per colazione, lasciando a dopo la scelta del suo outfit.
Infilò
velocemente un paio di jeans ed una canottiera e si mise al lavoro,
riempiendo
una caffettiera e posandola su uno dei fornelli prima di iniziare a
preparare i
pancakes. Stava proprio per aggiungere le gocce di cioccolato
all’impasto
quando qualcuno bussò alla porta.
«Rachel!»,
esclamò una voce maschile dal pianerottolo.
«Rachel, sono io, aprimi!».
Kurt si
bloccò con il cucchiaio a mezz’aria e si diede una
rapida occhiata. I capelli
erano a posto. I pantaloni pure…
«Rachel
non
provarci nemmeno. Non voglio stare qui impalato per venti minuti come
l’ultima
volta!».
“Maglietta,
dannazione, mi serve una maglietta”. Corse il più
velocemente possibile in
camera, iniziando a cercare una t-shirt o una camicia che si abbinasse
ai jeans
che portava in quel momento.
«Rachel
andiamo», continuò la voce, alzando il volume.
«Non puoi semplicemente saltare
le prove ogni volta che hai delle crisi esistenziali. Mercedes sta
già
spadroneggiando sul cast e sai che tutti la lasciano fare. Non hai
rispetto per
i nervi di Adam? È vecchio,
Rachel».
Kurt
estrasse una maglietta blu scuro dall’armadio e
cercò di infilarla mentre
correva verso l’entrata. La voce intanto continuava a
sproloquiare.
«Senza
contare che per arrivare qui ho fatto dieci isolati a piedi e non
è che sia molto
caldo in questo periodo dell’a-».
Kurt
aprì la
porta, interrompendo il monologo. Il ragazzo piantato davanti alla
soglia fece
un verso sorpreso, mentre arrossiva leggermente.
«Io-
scusi
devo aver sbagliato appartamento», balbettò in
tono imbarazzato.
«Non
hai
sbagliato», replicò Kurt facendo un cenno verso la
targhetta di fianco alla
porta. «Rachel e io ci siamo scambiati le case per le
vacanze. Lei è in Ohio
ora, quindi non credo ce la farà a venire alle
prove», aggiunse, cercando di
trattenere una risata.
Il ragazzo
sospirò con aria scoraggiata. «Oh, non importa, mi
ero già rassegnato a dover
parlare a vuoto con la porta. Lavorare con lei è un vero
incubo, a volte», si
passò una mano fra i riccioli scuri, poi parve ricordare che
anche Kurt era lì.
«Oh, io- mi dispiace moltissimo di averti svegliato. Rachel
è sempre in piedi
alle sei, quindi non mi sono fatto problemi a-».
«Ero
già
sveglio», lo interruppe Kurt. Esitò un momento poi
scrollò le spalle. «Anzi, a
dire la verità stavo preparando la colazione. Dopo dieci
isolati a piedi sarai
affamato, ti andrebbe di…?», indicò la
porta aperta dietro di lui con un cenno
della testa.
Il ragazzo
gli rivolse un enorme sorriso, annuendo. «Sarebbe fantastico.
Mi chiamo Blaine,
comunque». Tese la mano verso di lui.
«Kurt»,
il
ragazzo gliela strinse con un piccolo sorriso e si spostò
per farlo entrare in
casa.
Ignorò
l’istinto che gli ripeteva di non far entrare in casa uno
sconosciuto – Quel ragazzo
aveva l’aspetto di chi non avrebbe fatto del male ad una
mosca. E anche se
Rachel non aveva nominato nessun Blaine, per mettersi ad urlare davanti
alla
sua porta dovevano essere piuttosto in confidenza, quindi-
Un momento. In
effetti Rachel aveva nominato un ex ragazzo durante il loro scambio di
e-mail.
“Ma
non puoi
essere tu vero? Sei davvero troppo carino per essere etero”.
Riproponendosi
di scoprirlo al più presto – il suo gayradar non
era mai stato particolarmente recettivo
– tornò in cucina, seguito a ruota da Blaine.
«Come
ti
sembrano i pancakes con le gocce di cioccolato?», chiese
mentre riprendeva a
mescolare l’impasto.
«Divini»,
rispose l’altro sedendosi su uno sgabello di fronte a Kurt.
Il ragazzo
annuì, mentre versava la prima cucchiaiata di impasto in una
padella.
«Allora»,
iniziò mentre regolava il fornello a fiamma bassa.
«Parlami di Rachel. È così
strano abitare in casa di una persona che non conosco
affatto».
Blaine rise,
poggiando il mento su una mano. «Da dove
iniziare?», disse in tono divertito. «Non
la conosco da molto, quindi non sono la persona più adatta a
discutere di
questa cosa. Posso dirti che è innamorata del suo lavoro,
però. È un’attrice»,
aggiunse all’occhiata interrogativa di Kurt.
Il ragazzo
sentì una fitta di gelosia mentre faceva scivolare su un
piatto il primo
pancake.
«Dev’essere
molto brava per riuscire a mantenersi qui a New York»,
commentò mestamente. «E
non se la passa nemmeno male», aggiunse, agitando il
cucchiaio ad indicare
l’enorme cucina e l’appartamento in generale.
«È
determinata, su questo non c’è dubbio»,
concordò Blaine. «E anche competitiva.
Lascia, faccio io», disse, quando Kurt fece per togliere dal
fuoco la moca del
caffè. Aprì uno degli armadietti e ne
tirò fuori due tazze. «Dicono che la sua
furia quando le hanno rifiutato la parte di Elphaba sia stata
leggendaria, ma
grazie al cielo ho iniziato a frequentarla quando l’avevano
appena presa nel
cast di Evita», aggiunse,
versando
lentamente il caffè.
Kurt lo
guardò con tanto d’occhi. «È
stata nel cast di Evita? E chi
interpretava?».
«Evita,
ovviamente», Blaine scosse la testa e recuperò la
zuccheriera. «Non voleva
accontentarsi di meno».
Il cervello
di Kurt fece qualche rapido collegamento. “Evita. Rachel? Oh
mio Dio”.
«Blaine.
Come hai detto che fa Rachel di cognome?», chiese in tono
incerto.
Il ragazzo
ci mise un attimo a rispondere, impegnato a zuccherare il suo
caffè.
«Berry.
Rachel Berry», disse infine.
Kurt
respirò
profondamente e cercò di apparire assolutamente calmo. A
giudicare
dall’occhiata di Blaine stava fallendo miseramente.
«Immagino
che tu non abbia osservato bene il tavolino del soggiorno»,
aggiunse Blaine con
un’occhiata divertita.
«Io-
potresti…?», fece un cenno verso il pancake che si
stava cuocendo e Blaine
annuì, afferrando il manico della padella mentre Kurt si
fiondava in soggiorno.
“Cosa
può
esserci di tanto sconvolgente in quel tavolino? È solo un
normalissimo tavo-”.
Il suo cuore
mancò un battito quando lo vide.
«Blaine?»,
chiese a voce alta. «Non sarà mica un Tony Award,
questo?».
«Lo
è!», gli
rispose la voce del ragazzo dall’altra stanza.
«Dio»,
borbottò Kurt, incapace di pronunciare altro.
Tornò in cucina appena in tempo
per vedere Blaine che girava un pancake facendogli fare una perfetta
giravolta.
«Non
ci
posso credere!», borbottò Kurt mentre si sedeva su
uno degli sgabelli della
cucina.
«Ma
niente
commenti sull’aver dormito nel letto di Rachel Berry quando
tornerai a casa»,
scherzò Blaine agitando il cucchiai nella sua direzione.
Kurt
sbuffò.
«Credo sarebbero più sorpresi che abbia dormito
con una donna per concentrarsi
su chi sia la fortunata», commentò mentre
aggiungeva dello zucchero al suo
caffè e tornava a sedersi sul suo sgabello.
«Quindi»,
iniziò Blaine dopo un attimo di silenzio. «Devi
essere un appassionato di
Broadway per conoscere il nome di Rachel. Non è così famosa…».
«Puoi
dirlo
forte», commentò Kurt, osservandolo mentre faceva
scivolare altri due pancake sopra
ai primi. «Ho frequentato un corso di musical al
college».
«Oh,
davvero?», chiese Blaine, sinceramente interessato.
«Ho sentito dire che il
corso dell’OSU è fantastico».
«Per
l’Ohio
forse, ma non per New York», replicò Kurt
scuotendo la testa.
Per un
attimo sembrò che Blaine volesse dire qualcosa, poi scosse
leggermente la testa
e sorrise di nuovo. «Beh, ora che sei qui a
Broadway…», fece cadere nella
padella l’ultima cucchiaiata di impasto.
«…c’è qualche musical in
particolare che
ti piacerebbe vedere?».
«Chicago», rispose
immediatamente Kurt.
«So il film a memoria e al terzo anno delle superiori il
nostro Glee Club ha fatto
anche una produzione scolastica».
«E che
ruolo
interpretavi?».
Il ragazzo
fece una smorfia. «Amos Hart. Non esattamente la parte dei
miei sogni, ma
almeno ho avuto un assolo».
«Sei davvero sprecato come Amos»,
commentò
Blaine prima di lanciargli un’occhiata maliziosa.
«I tuoi professori dovevano
essere pazzi».
Kurt
deglutì, pregando di non arrossire. “Decisamente
non etero, allora”.
I ragazzi
rimasero in silenzio mentre Blaine divideva i pancake in due piatti e
ne posava
uno davanti a Kurt.
«Grazie
di
aver finito di cucinare», commentò il ragazzo
prendendo la forchetta che Blaine
gli porgeva.
«Non
c’è
problema. Anzi ti dirò di più». Gli
puntò contro la forchetta, dove aveva
infilzato un pezzetto di pancake. «Oggi è il
nostro giorno libero, quindi
niente prove, ma se domani pomeriggio hai un’ora di tempo,
passa al Nederlander
Theatre, e chiedi di Blaine Anderson. Al cast farebbe piacere conoscere
il
ragazzo che gli ha tolto dai piedi Rachel per due settimane, e
riuscirei anche
a procurarti i biglietti per Chicago
ad un prezzo stracciato».
Kurt
spalancò la bocca mentre Blaine gli faceva un occhiolino.
«Ti
sarei
debitore per l’eternità».
Il ragazzo
scosse la testa, infilzando un altro pezzetto di pancake.
«Credimi,
per questi pancakes non è nemmeno abbastanza».
Prima che
uno dei due finisse i suoi pancakes Kurt aveva scoperto che Blaine non
solo adorava
i musical, ma aveva anche un abbonamento mensile a Vogue
e un cassetto pieno di papillon.
“Cento
per
cento gay”, si disse Kurt mentre lo accompagnava alla porta.
“E il suo ragazzo
dev’essere anche fortunato”, aggiunse mentre lo
sguardo gli scivolava per un
attimo sul suo sedere.
Blaine
recuperò il proprio cappotto ed uscì, girandosi
per salutare il ragazzo.
«A
domani
pomeriggio allora», lo salutò Kurt cercando di non
sorridere troppo.
«Ci
conto»,
rispose Blaine con un cenno della testa.
Kurt stava
per chiudere la porta quando la voce di Blaine risuonò per
le scale.
«Kurt!».
Il ragazzo
tornò sulla soglia. Blaine gli stava sorridendo dal
pianerottolo più in basso.
«Goditi
New
York».
Kurt
annuì,
guardandolo scendere il resto delle scale e scomparire con un ultimo
cenno di
saluto.
Sospirò
profondamente, chiudendo la porta e appoggiandosi contro di essa con la
schiena.
Solo allora
si ricordò di non aver chiamato David da due giorni.
20
dicembre 2017, Prairie Oaks, Columbus, Ohio
Rachel Berry
aprì lentamente gli occhi, riconoscendo immediatamente il
mal di testa e le
fitte allo stomaco come postumi di una leggera sbronza.
Oh beh.
C’erano modi peggiori di iniziare le vacanze.
Si
rigirò
fra le lenzuola, stiracchiando le braccia- e solo allora si rese conto
di non
avere niente addosso, e di non essere sola nel letto.
Premette il
viso nel cuscino per non imprecare ad alta voce, e richiuse gli occhi.
“Fantastico”.
A/N:
Eeeeed ecco
il primo capitolo, gente ;)
La Klaine e
la Finchel si sono incontrate *gasp*, Rachel è intrappolata
in un fangoso
sobborgo dell’Ohio (l’ha detto lei, non io) e
Kurtie sta danzando per le strade
di New York.
Cosa
succederà ai nostri eroi??
Ringrazio le
persone che mi hanno lasciato una recensione – fate
meraviglie per la mia autostima!
– e che hanno inserito la mia storia fra le seguite.
Il prossimo
capitolo sarà pubblicato in una data indefinita fra
lunedì e mercoledì della
settimana prossima.
Meno dieci
giorni a Natale! <3
MM
Ps:
Qualcuno
ha pianto guardando l’ultimo episodio di Glee?? ç_____ç