A CHRISTMAS CAROL
Capitolo Quattro: Futuro, Conseguenze
Autore:
Yangrine
Spazio dell’autore:
Il Calendario dell’Avvento continua, Natale si avvicina, e come festeggiarlo se
non con una bella fic NERA? Ringrazio sentitamente
chi segue questa storia, chi mi è stato vicino nei momenti di difficoltà e chi
mi ha minacciato di morte violenta se non l’avessi finita (ogni riferimento a
cose e persone realmente esistenti è puramente casuale). Spero che vi piaccia
anche quest’ultima mia fatica, la mia prossima partecipazione all’evento NERO
dell’anno!
Note: Fiction
partecipante alla terza edizione del “Nero
Calendario dell’Avvento”, Natale 2012.
Quarto capitolo di 5, in pubblicazione per il giorno 15 Dicembre 2012. 2090 (O.O) parole
(conta parole di office). Genere banalmente narrativo. Non è che la mia
personalissima interpretazione del meraviglioso Canto di Natale di Dickens. L’unico appunto? Confesso
di aver sfoderato un pizzico della mia sottile vena dark…
Considerazioni:
Questo, come ovvio che fosse, sarà il capitolo più duro della serie.
Nell’originale si assiste ad una serie di scene strazianti che riportano il
vecchio Scrooge alla ragione. Qui non potevo fare
altrimenti, nonostante il categorico divieto di angst
durante l’avvento. Ma non è proprio angst, in fondo.
Lo chiamerei pathos! E lo considererei l’ennesima dimostrazione del fatto che
anche le situazioni più oscure alla fine possono trovare un’uscita nella luce
(nera 8D).
Dedica:
Questo capitolo sul futuro vorrei dedicarlo a Cecilia, Sofia, Leonardo, Mattia
o quale che siano i nomi delle creature che un giorno lontano cresceranno nel
mio grembo. So che sarete la conseguenza di una scelta importantissima. La
mamma è in ansia e vorrebbe già avervi con lei.
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“A
Christmas Carol”
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Si
accorse che il momento era arrivato prima ancora di vedere alcunché.
L’aria
nella stanza si era fatta un poco più scura, come se una nuvola fosse passata
davanti alla luna. Il freddo pungente che penetrava dal vetro della finestra si
era fatto strada tra gli abiti e la pelle e aveva, alla fine, trovato le ossa.
Un
brivido le scese lungo la schiena, ma lì, nella sua posizione rannicchiata
addosso al muro, non aveva il coraggio di alzare il viso dalle braccia e
guardare cosa accadeva intorno.
Fu
il lungo silenzio a convincerla a sbirciare.
La
luce della luna e delle luminarie in strada era stranamente fioca. Ciò che ne
filtrava attraverso la finestra creava un lungo sentiero chiaro sul pavimento
della stanza.
Proprio
lì, dove la luce si ricongiungeva con l’ombra, stavano due bambini.
La
ragazzina le dava le spalle. Da dove si trovava riusciva solo a vederne la
schiena e due spettinati codini biondi. Dalla sua spalla sbucava la testolina
mora di un neonato che, beatamente, dormiva tra le braccia della sua sorellina.
L’emozione
forte che ebbe nel guardarli rispose ad ogni domanda.
Il
suo respiro affannoso attirò l’attenzione della bambina che si girò a sbirciare
da sopra la spalla. I suoi brillanti occhi color tortora la investirono di uno
sguardo così freddo ed inespressivo da non farle quasi riconoscere, in quel
taglio o quelle ciglia, gli occhi ben più profondi di Shikamaru Nara.
Restò
a guardarla a lungo, mirandone i tratti delicati, i capelli biondo miele così
simili ai suoi, le sopracciglia sottili, gli occhi a mandorla tipici dei Nara.
Poi
si girò.
Ebbe
il buon gusto di non distogliere lo sguardo o di non urlare a squarciagola
perché, con suo sommo orrore, scoprì che le labbra della bambina erano cucite
insieme da uno spesso filo nero, più simili ad una orrenda cicatrice che ad una
morbida bocca infantile.
Dovette
raccogliere a se tutto il suo coraggio per distogliere gli occhi da quella
orribile mutilazione e portare lo sguardo altrove. Decise di osservare il
neonato dormiente.
Lui
era in tutto e per tutto la copia perfetta di suo padre: ormai lo aveva capito,
era inutile negarlo. Intuì che anche lui aveva gli occhi dei Nara, così come i
capelli. La sua bocca non era cucita, ma probabilmente non sapeva nemmeno
parlare. Dormiva con i pugni vicino al viso e la bocca leggermente aperta.
Quando
ebbe esaminato ogni centimetro visibile di quello che un giorno sarebbe stato
il suo secondogenito, tornò con gli occhi alla bambina.
Lei
la guardava con rimprovero e sospetto, e stringeva tra le braccia il fratellino
come se potesse proteggerlo da ogni male. O da lei.
Fece
di nuovo appello a tutti gli anni di addestramento per trovare il coraggio di
smuovere quella situazione. Cielo, quello sguardo era così straziante.
- Sei qui per me?
Lo
chiese cercando di essere il più dolce e conciliante possibile. La bambina
strinse gli occhi con diffidenza, poi annuì.
- Sai scrivere il tuo nome?
La
guardò a lungo prima di fare cenno di no.
Temari
sospirò, sconfitta. La guardò ancora cercando un qualche gesto, poi allungò le
mani.
- Portami dove vuoi.
La
bambina strinse forte il suo fratellino al petto e si girò come per
nasconderlo.
- Non ho intenzione di farvi
del male.
Lei
la guardò con dubbio e le vide sul volto migliaia di domande inespresse. Poi
mosse i primi passi, esitanti, nella sua direzione.
Quando
le fu davanti si sedette a terra con somma educazione, poi le porse il neonato.
Temari
lo guardò con timore quasi reverenziale.
- Posso farti una domanda?
La
piccola spalancò gli occhi e inclinò la testa di lato. Poi annuì.
- Voi siete i miei figli?
Gli
occhi della bambina si oscurarono per un istante. Temari pensò che era stato
inutile chiederlo, l’aveva capito benissimo già da sola, ma non credeva di
vedere in quella bambina uno sguardo tanto sofferente. La guardò annuire nuovamente
ed abbassare lo sguardo al terreno. Poi porgerle di nuovo il bambino nella sua
copertina.
Decise
di non voler prolungare ancora l’agonia di quella creatura, quindi accettò il
neonato.
Quando
lo ebbe tra le braccia fu assalita da migliaia di emozioni contrastanti. Su
tutte preponderava lo stupore. Rimase immobile come una statua a fissare il
bambino dormiente, chiedendosi come avrebbe mai potuto generare qualcosa di
così meraviglioso.
Ci
mise un po’ a rendersi conto che non stava accadendo nulla.
Alzò
lo sguardo interrogativo sulla bambina, che sembrò riscuotersi da un qualche
pensiero. La guardò a lungo, poi scosse appena il fratellino.
Temari
iniziò a sentirlo contorcersi nella copertina, mentre si riprendeva dal sonno.
Alzò i pugni al viso e se lo stropicciò a lungo, sbadigliando sonoramente.
Quindi aprì gli occhi.
Ebbe
modo di notare solo per un istante i suoi perfetti occhi Nara, prima di
affogare nel suo sguardo e perdere completamente contatto con la realtà.
Quando
riacquistò lucidità, si ritrovò in un salottino ben curato. In un angolo della
stanza stava un albero di Natale perfettamente addobbato e le mensole erano
decorate con meticolosità. L’effetto complessivo era tanto preciso quanto
freddo.
Sul
tappeto del salotto stavano due bambini. Temari non si stupì di riconoscere in
loro esattamente gli stessi che l’accompagnavano in quel momento. Il neonato
succhiava con soddisfazione l’angolo della sua copertina. La bambina, sdraiata
sulla pancia, colorava con attenzione un grande disegno.
Su
una poltrona vicino al fuoco stava seduta la Temari del futuro.
Temari
la guardò a lungo. Si vide poco cambiata nei lineamenti, probabilmente non
dovevano essere passati troppi anni. Nella sua nuova mise di madre di famiglia
aveva abbandonato l’acconciatura che portava in gioventù. Ora i suoi capelli
erano pettinati con cura in una crocchia stretta alla base della testa.
Indossava ancora gli abiti da lavoro, ma aveva abbandonato le scarpe sul
tappeto e si stringeva in uno spesso soprabito di pile.
A
parte la rigidità della scena, il tutto sembrava avere un tono discretamente
rilassato.
Quando
qualcuno bussò alla porta, la bambina saltò in piedi con uno strillo eccitato.
- Kazeko!
La
vide sussultare e osservare con timore la mamma e i suoi occhi fiammeggianti.
Possibile che fosse diventata una madre così severa?
- Vai ad aprire.
Il
tono severo sembrò riecheggiare a lungo nella sala come uno schiaffo sonoro. La
bambina si avviò alla porta con timore, come se ogni suo passo scomposto
potesse meritare una sgridata.
Quando
finalmente la piccola Kazeko aprì la porta, l’aria nella stanza cambiò
radicalmente.
- Tou-san!
Le
braccia del papà erano troppo occupate per accogliere la figlioletta
entusiasta, ma lei si strinse comunque addosso alle sue gambe, mettendo in
serio pericolo la stabilità della pila di pacchetti colorati che quasi gli
oscurava la faccia.
- Buonasera, mendokuse-chan.
Lei
sorrise radiosa e gli si attaccò alla giacca con affetto.
Shikamaru
Nara si fece avanti portando sotto l’albero i doni. Osservò le impeccabili
decorazioni, poi si girò verso sua moglie.
- Hai addobbato la casa.
Lei
si strinse nelle spalle con sufficienza.
- Me l’avevi chiesto.
Si
guardarono per un lungo istante, l’aria che si faceva sempre più pesante.
- Ti ringrazio.
Lei
alzò di nuovo le spalle e si strinse ancora di più nel suo soprabito.
Kazeko
era felice a livelli inimmaginabili.
Saltellava
intorno all’albero emozionatissima, cercando di riconoscere i kanji del suo nome tra le targhette dei regali.
Temari
la guardava con tenerezza, ma vide la se stessa del futuro fissarla con
rimprovero. Perché la guardava con tanta durezza? Era una bambina così
adorabile.
- Tou-san, questo è per me?
La
piccola Kazeko alzò un pacchetto dalla pila e lo porse al padre, che la guardò
con affetto.
- Credo proprio di sì.
Lei
cominciò a scuotere la scatola con curiosità. Il neonato iniziò a piangere
sentendosi ignorato, e Shikamaru lo raccolse da terra. Lo strinse al petto ed
andò a sedersi sull’altra poltrona vicino al camino. Il bambino si rilassò di
nuovo e torno a succhiare la copertina.
- Posso aprirlo?
Shikamaru
sghignazzò divertito, poi scosse la testa.
- Certo che no, mendokuse-chan. Babbo Natale si è raccomandato di aspettare
la mattina di Natale. Altrimenti lì dentro troverai solo carbone!
La
bambina lo guardò stralunata, come se stesse dicendo una enorme sciocchezza.
- Ma, tou-san,
Babbo Natale non esiste.
Il
sorriso di Shikamaru si congelò in un istante. Fissò lo sguardo incuriosito
della sua bambina poi, con lentezza esasperante, si voltò verso sua moglie che
lo guardava con freddezza.
- Ha cinque anni.
Temari
soppresse il brivido freddo che le scese lungo la schiena al vedere i propri
occhi rimandare uno sguardo così sprezzante.
- Non crederai davvero che io
voglia che mia figlia si illuda di credenze tanto sciocche, vero?
Lo
sguardo di Shikamaru passò dal freddo del ghiaccio al bruciore del fuoco in
meno di un istante.
- Questo è veramente troppo.
Temari
guardò se stessa alzare le sopracciglia con sufficienza, poi il bambino che
stringeva tra le braccia iniziò ad agitarsi e a muovere freneticamente i pugni.
La
scena davanti ai suoi occhi sembrò correre veloce.
Vide
Shikamaru alzarsi, la bambina prendere il suo fratellino e nascondersi dietro
l’albero. Udì urla indistinte e vide se stessa alzarsi e urlare contro il suo
uomo.
- Kazeko, mettiti la giacca e
vesti anche Shikashi, per favore.
La
bambina fece capolino da dietro l’albero e guardò il suo papà. Lui non la degnò
di uno sguardo, troppo impegnato a squadrare con durezza la moglie, che lo
guardava con identica forza.
- Fai quello che ti ho
chiesto. Andiamo dalla nonna. Adesso.
La
bambina uscì timorosa dal suo nascondiglio e andò a preparasi nella sua
cameretta, tenendo tra le braccia il fratellino urlante.
La
Temari del futuro seguì con lo sguardo i suoi figli finché non li vide sparire
dietro la porta. Il suo sguardo vacillò per la prima volta. Quando aprì le
labbra la sua voce era poco più di un sussurro.
- Cos’hai intenzione di fare?
Gli
occhi di Shikamaru mandavano solo disprezzo.
- Me ne vado. E porto i
bambini con me.
Temari
guardò se stessa sbiancare e quasi perdere i sensi. Si vide appoggiarsi alla
poltrona e prendersi la testa tra le mani.
- Perché?
Gli
occhi di Shikamaru erano tanto determinati quanto addolorati. Si vedeva
chiaramente la sua sofferenza in quella scelta.
- È da quando ti conosco che
provo a darti tutto ciò che potrebbe aiutarti. Ti ho amata più di quanto avrei
mai pensato di poter fare. Ho sopportato ogni tua bizzarria e ogni tuo
malumore. Ho cercato di capire il dolore che ti portavi dietro e in ogni modo,
IN OGNI MODO ho cercato di portarti fuori da quel circolo vizioso che era stata
la tua esistenza. Ti ho offerto tutto quello che potevo darti, ti ho dato una
famiglia e tu l’hai data a me. Eppure, ogni volta, questo non bastava mai. Ogni
anno, ad ogni Natale, ritorniamo su questo e finiamo sempre per rinfacciarci
cose che forse non pensiamo nemmeno. Ora basta.
Sulla
sua poltrona, la Temari del futuro si strinse le ginocchia al petto,
infinitamente dolorante. La Temari del presente stringeva il neonato urlante
come se potesse darle conforto. Ma ancora non era finita.
- Fino a che le tue maledette
convinzioni ferivano me e chi mi stava intorno, ho fatto finta di niente. Ma adesso
stai superando ogni limite e non permetterò che i mostri della tua infanzia
rovinino anche la vita dei MIEI figli! KAZEKO!
La
bambina uscì dalla camera perfettamente imbacuccata, così come il piccolo
Shikashi che ancora piangeva. Grossi lacrimoni
scendevano anche sulle guance arrossate della piccola e si perdevano tra le
pieghe della pesante sciarpa di lana.
Suo
padre le porse la mano e lei l’accettò subito, dopo avergli lasciato il
fratellino.
La
trascinò di malagrazia verso la porta, senza curarsi di prendere il cappotto.
Kazako
guardò la mamma per tutto il tragitto fino alla porta. Non si curò di
nascondere gli occhi grondanti o il naso gocciolante.
- Kaa-san!
La
porta venne sbattuta con violenza. Il silenzio nella stanza era disturbato solo
dal pianto disperato del piccolo spirito che Temari ancora teneva tra le
braccia.
Osservò
se stessa stringersi, rannicchiarsi e poi piangere tutte le sue lacrime.
Kazeko
la fissò con rimprovero, poi non riuscì a fermare le lacrime. Le lunghe scie
umide le percorsero le guance e si infilarono tra le maglie strette della sua
bocca cucita. Shikashi urlava inconsolabile.
Per
un periodo che le sembrò crudelmente lungo, gli spiriti la costrinsero ad
osservare la scena di se stessa che si distruggeva.
Nel giro di poco, iniziò a
piangere anche lei.
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Incredibilmente puntuale, nonostante i mille problemi tecnici che si sono
posti sul mio cammino, dopo una settimana esatta sono QUI! E aggiorno
nuovamente, con l’ultimo dei capitoli centrali! Io lo dico, non è stato affatto
facile scrivere quello che avevo in mente, e ammetto di aver anche indorato un
pochino la pillola, dato che avevo pensato a ben di peggio, ma l’angst era vietato! Stavolta, non ho davvero nulla da dire,
perché credo che risponderò alle domande direttamente nell’ultimo capitolo, per
cui se qualcosa non è chiaro, fatevi sotto!
Mi rendo conto di essermi cimentata in una impresa ben più grande di me.
Inaspettatamente l’esperimento sembra riuscire, e le mie amate commilitone mi
sono vicine e mi sostengono con perizia!
Chiarisco subito che fin dall’inizio lo scopo era di arrivare a questo. Ovvero
il divorzio.
Per la mia indole materna scrivere di questi bambini sofferenti è stato
un colpo al cuore, ma spero di aver reso l’idea abbastanza da renderla
credibile. Per me è stata dura. Davvero.
Come dicevo alla mia degna prole qualche giorno fa, il discorso delle
mutilazioni agli spiriti ha un senso ben preciso. Rispettivamente, il passato
non PUÒ vedere, il presente non VUOLE sentire e il futuro non DEVE parlare. Per
cui il passato ha una malformazione genetica, se vogliamo dire così,
indipendente dalla volontà di chiunque, poiché, in effetti, il passato non
potrà mai vedere ciò che è dopo. Il presente ha le orecchie mutilate e, anche
se non l’ho detto, le ha per propria scelta, perché nel presente è Temari
stessa a non voler sentire ciò che le accade intorno. Il futuro non deve
vedere, e le labbra cucite della povera Kazeko sono la violenza di ‘qualcuno’
che non vuole che il futuro si riveli a ciò che è stato prima. Nello specifico
il ‘qualcuno’ non è altro che il continuum temporum. Non avrebbe senso nessuna
situazione diversa da quelle illustrate e a Temari è stata offerta una
possibilità unica nel poter sbirciare uno dei suoi possibili avvenire.
Detto questo, aspetto domande, dubbi e perplessità nel caso in cui
qualcosa non fosse chiaro, perché dietro a questa storia, la mia mente ha
creato un universo assurdo. Mi sentirò sola quando sarà finita.
PS: stavolta non l’ho riletta! Ero in ritardassimo e avevo mille
problemi di linea! Non ho proprio avuto tempo. Quando sarà la riprenderò in
mano e la sistemerò come si deve, perché mi sono affezionata a questo
componimento e non mi va di lasciarlo pieno di casini, errori e distrazioni!
PPS: passate al forum NERO! Il calendario dell’avvento continua e
cerchiamo di rendere questo Natale il più NERO di sempre!
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Merry Black Christmas
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