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Autore: Yangrine    15/12/2012    5 recensioni
Fiction partecipante alla seconda e terza edizione del “Nero Calendario dell’Avvento”, Natale 2011 e 2012. Cinque capitoli, in pubblicazione per il periodo Natalizio. Capitoli in genere oltre le 1000 parole. Genere banalmente narrativo. Non è che la mia personalissima interpretazione del meraviglioso Canto di Natale di Dickens. L’unico appunto? Confesso di aver sfoderato un pizzico della mia sottile vena dark…
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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A CHRISTMAS CAROL

Capitolo Quattro: Futuro, Conseguenze

Autore: Yangrine

Spazio dell’autore: Il Calendario dell’Avvento continua, Natale si avvicina, e come festeggiarlo se non con una bella fic NERA? Ringrazio sentitamente chi segue questa storia, chi mi è stato vicino nei momenti di difficoltà e chi mi ha minacciato di morte violenta se non l’avessi finita (ogni riferimento a cose e persone realmente esistenti è puramente casuale). Spero che vi piaccia anche quest’ultima mia fatica, la mia prossima partecipazione all’evento NERO dell’anno!

Note: Fiction partecipante alla terza edizione del “Nero Calendario dell’Avvento”, Natale 2012. Quarto capitolo di 5, in pubblicazione per il giorno 15 Dicembre 2012. 2090 (O.O) parole (conta parole di office). Genere banalmente narrativo. Non è che la mia personalissima interpretazione del meraviglioso Canto di Natale di Dickens. L’unico appunto? Confesso di aver sfoderato un pizzico della mia sottile vena dark…

Considerazioni: Questo, come ovvio che fosse, sarà il capitolo più duro della serie. Nell’originale si assiste ad una serie di scene strazianti che riportano il vecchio Scrooge alla ragione. Qui non potevo fare altrimenti, nonostante il categorico divieto di angst durante l’avvento. Ma non è proprio angst, in fondo. Lo chiamerei pathos! E lo considererei l’ennesima dimostrazione del fatto che anche le situazioni più oscure alla fine possono trovare un’uscita nella luce (nera 8D).

Dedica: Questo capitolo sul futuro vorrei dedicarlo a Cecilia, Sofia, Leonardo, Mattia o quale che siano i nomi delle creature che un giorno lontano cresceranno nel mio grembo. So che sarete la conseguenza di una scelta importantissima. La mamma è in ansia e vorrebbe già avervi con lei.

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“A Christmas Carol”

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Si accorse che il momento era arrivato prima ancora di vedere alcunché.

L’aria nella stanza si era fatta un poco più scura, come se una nuvola fosse passata davanti alla luna. Il freddo pungente che penetrava dal vetro della finestra si era fatto strada tra gli abiti e la pelle e aveva, alla fine, trovato le ossa.

Un brivido le scese lungo la schiena, ma lì, nella sua posizione rannicchiata addosso al muro, non aveva il coraggio di alzare il viso dalle braccia e guardare cosa accadeva intorno.

Fu il lungo silenzio a convincerla a sbirciare.

La luce della luna e delle luminarie in strada era stranamente fioca. Ciò che ne filtrava attraverso la finestra creava un lungo sentiero chiaro sul pavimento della stanza.

Proprio lì, dove la luce si ricongiungeva con l’ombra, stavano due bambini.

La ragazzina le dava le spalle. Da dove si trovava riusciva solo a vederne la schiena e due spettinati codini biondi. Dalla sua spalla sbucava la testolina mora di un neonato che, beatamente, dormiva tra le braccia della sua sorellina.

L’emozione forte che ebbe nel guardarli rispose ad ogni domanda.

Il suo respiro affannoso attirò l’attenzione della bambina che si girò a sbirciare da sopra la spalla. I suoi brillanti occhi color tortora la investirono di uno sguardo così freddo ed inespressivo da non farle quasi riconoscere, in quel taglio o quelle ciglia, gli occhi ben più profondi di Shikamaru Nara.

Restò a guardarla a lungo, mirandone i tratti delicati, i capelli biondo miele così simili ai suoi, le sopracciglia sottili, gli occhi a mandorla tipici dei Nara.

Poi si girò.

Ebbe il buon gusto di non distogliere lo sguardo o di non urlare a squarciagola perché, con suo sommo orrore, scoprì che le labbra della bambina erano cucite insieme da uno spesso filo nero, più simili ad una orrenda cicatrice che ad una morbida bocca infantile.

Dovette raccogliere a se tutto il suo coraggio per distogliere gli occhi da quella orribile mutilazione e portare lo sguardo altrove. Decise di osservare il neonato dormiente.

Lui era in tutto e per tutto la copia perfetta di suo padre: ormai lo aveva capito, era inutile negarlo. Intuì che anche lui aveva gli occhi dei Nara, così come i capelli. La sua bocca non era cucita, ma probabilmente non sapeva nemmeno parlare. Dormiva con i pugni vicino al viso e la bocca leggermente aperta.

Quando ebbe esaminato ogni centimetro visibile di quello che un giorno sarebbe stato il suo secondogenito, tornò con gli occhi alla bambina.

Lei la guardava con rimprovero e sospetto, e stringeva tra le braccia il fratellino come se potesse proteggerlo da ogni male. O da lei.

Fece di nuovo appello a tutti gli anni di addestramento per trovare il coraggio di smuovere quella situazione. Cielo, quello sguardo era così straziante.

-       Sei qui per me?

Lo chiese cercando di essere il più dolce e conciliante possibile. La bambina strinse gli occhi con diffidenza, poi annuì.

-       Sai scrivere il tuo nome?

La guardò a lungo prima di fare cenno di no.

Temari sospirò, sconfitta. La guardò ancora cercando un qualche gesto, poi allungò le mani.

-       Portami dove vuoi.

La bambina strinse forte il suo fratellino al petto e si girò come per nasconderlo.

-       Non ho intenzione di farvi del male.

Lei la guardò con dubbio e le vide sul volto migliaia di domande inespresse. Poi mosse i primi passi, esitanti, nella sua direzione.

Quando le fu davanti si sedette a terra con somma educazione, poi le porse il neonato.

Temari lo guardò con timore quasi reverenziale.

-       Posso farti una domanda?

La piccola spalancò gli occhi e inclinò la testa di lato. Poi annuì.

-       Voi siete i miei figli?

Gli occhi della bambina si oscurarono per un istante. Temari pensò che era stato inutile chiederlo, l’aveva capito benissimo già da sola, ma non credeva di vedere in quella bambina uno sguardo tanto sofferente. La guardò annuire nuovamente ed abbassare lo sguardo al terreno. Poi porgerle di nuovo il bambino nella sua copertina.

Decise di non voler prolungare ancora l’agonia di quella creatura, quindi accettò il neonato.

Quando lo ebbe tra le braccia fu assalita da migliaia di emozioni contrastanti. Su tutte preponderava lo stupore. Rimase immobile come una statua a fissare il bambino dormiente, chiedendosi come avrebbe mai potuto generare qualcosa di così meraviglioso.

Ci mise un po’ a rendersi conto che non stava accadendo nulla.

Alzò lo sguardo interrogativo sulla bambina, che sembrò riscuotersi da un qualche pensiero. La guardò a lungo, poi scosse appena il fratellino.

Temari iniziò a sentirlo contorcersi nella copertina, mentre si riprendeva dal sonno. Alzò i pugni al viso e se lo stropicciò a lungo, sbadigliando sonoramente. Quindi aprì gli occhi.

Ebbe modo di notare solo per un istante i suoi perfetti occhi Nara, prima di affogare nel suo sguardo e perdere completamente contatto con la realtà.

Quando riacquistò lucidità, si ritrovò in un salottino ben curato. In un angolo della stanza stava un albero di Natale perfettamente addobbato e le mensole erano decorate con meticolosità. L’effetto complessivo era tanto preciso quanto freddo.

Sul tappeto del salotto stavano due bambini. Temari non si stupì di riconoscere in loro esattamente gli stessi che l’accompagnavano in quel momento. Il neonato succhiava con soddisfazione l’angolo della sua copertina. La bambina, sdraiata sulla pancia, colorava con attenzione un grande disegno.

Su una poltrona vicino al fuoco stava seduta la Temari del futuro.

Temari la guardò a lungo. Si vide poco cambiata nei lineamenti, probabilmente non dovevano essere passati troppi anni. Nella sua nuova mise di madre di famiglia aveva abbandonato l’acconciatura che portava in gioventù. Ora i suoi capelli erano pettinati con cura in una crocchia stretta alla base della testa. Indossava ancora gli abiti da lavoro, ma aveva abbandonato le scarpe sul tappeto e si stringeva in uno spesso soprabito di pile.

A parte la rigidità della scena, il tutto sembrava avere un tono discretamente rilassato.

Quando qualcuno bussò alla porta, la bambina saltò in piedi con uno strillo eccitato.

-       Kazeko!

La vide sussultare e osservare con timore la mamma e i suoi occhi fiammeggianti. Possibile che fosse diventata una madre così severa?

-       Vai ad aprire.

Il tono severo sembrò riecheggiare a lungo nella sala come uno schiaffo sonoro. La bambina si avviò alla porta con timore, come se ogni suo passo scomposto potesse meritare una sgridata.

Quando finalmente la piccola Kazeko aprì la porta, l’aria nella stanza cambiò radicalmente.

-       Tou-san!

Le braccia del papà erano troppo occupate per accogliere la figlioletta entusiasta, ma lei si strinse comunque addosso alle sue gambe, mettendo in serio pericolo la stabilità della pila di pacchetti colorati che quasi gli oscurava la faccia.

-       Buonasera, mendokuse-chan.

Lei sorrise radiosa e gli si attaccò alla giacca con affetto.

Shikamaru Nara si fece avanti portando sotto l’albero i doni. Osservò le impeccabili decorazioni, poi si girò verso sua moglie.

-       Hai addobbato la casa.

Lei si strinse nelle spalle con sufficienza.

-       Me l’avevi chiesto.

Si guardarono per un lungo istante, l’aria che si faceva sempre più pesante.

-       Ti ringrazio.

Lei alzò di nuovo le spalle e si strinse ancora di più nel suo soprabito.

Kazeko era felice a livelli inimmaginabili.

Saltellava intorno all’albero emozionatissima, cercando di riconoscere i kanji del suo nome tra le targhette dei regali.

Temari la guardava con tenerezza, ma vide la se stessa del futuro fissarla con rimprovero. Perché la guardava con tanta durezza? Era una bambina così adorabile.

-       Tou-san, questo è per me?

La piccola Kazeko alzò un pacchetto dalla pila e lo porse al padre, che la guardò con affetto.

-       Credo proprio di sì.

Lei cominciò a scuotere la scatola con curiosità. Il neonato iniziò a piangere sentendosi ignorato, e Shikamaru lo raccolse da terra. Lo strinse al petto ed andò a sedersi sull’altra poltrona vicino al camino. Il bambino si rilassò di nuovo e torno a succhiare la copertina.

-       Posso aprirlo?

Shikamaru sghignazzò divertito, poi scosse la testa.

-       Certo che no, mendokuse-chan. Babbo Natale si è raccomandato di aspettare la mattina di Natale. Altrimenti lì dentro troverai solo carbone!

La bambina lo guardò stralunata, come se stesse dicendo una enorme sciocchezza.

-       Ma, tou-san, Babbo Natale non esiste.

Il sorriso di Shikamaru si congelò in un istante. Fissò lo sguardo incuriosito della sua bambina poi, con lentezza esasperante, si voltò verso sua moglie che lo guardava con freddezza.

-       Ha cinque anni.

Temari soppresse il brivido freddo che le scese lungo la schiena al vedere i propri occhi rimandare uno sguardo così sprezzante.

-       Non crederai davvero che io voglia che mia figlia si illuda di credenze tanto sciocche, vero?

Lo sguardo di Shikamaru passò dal freddo del ghiaccio al bruciore del fuoco in meno di un istante.

-       Questo è veramente troppo.

Temari guardò se stessa alzare le sopracciglia con sufficienza, poi il bambino che stringeva tra le braccia iniziò ad agitarsi e a muovere freneticamente i pugni.

La scena davanti ai suoi occhi sembrò correre veloce.

Vide Shikamaru alzarsi, la bambina prendere il suo fratellino e nascondersi dietro l’albero. Udì urla indistinte e vide se stessa alzarsi e urlare contro il suo uomo.

-       Kazeko, mettiti la giacca e vesti anche Shikashi, per favore.

La bambina fece capolino da dietro l’albero e guardò il suo papà. Lui non la degnò di uno sguardo, troppo impegnato a squadrare con durezza la moglie, che lo guardava con identica forza.

-       Fai quello che ti ho chiesto. Andiamo dalla nonna. Adesso.

La bambina uscì timorosa dal suo nascondiglio e andò a preparasi nella sua cameretta, tenendo tra le braccia il fratellino urlante.

La Temari del futuro seguì con lo sguardo i suoi figli finché non li vide sparire dietro la porta. Il suo sguardo vacillò per la prima volta. Quando aprì le labbra la sua voce era poco più di un sussurro.

-       Cos’hai intenzione di fare?

Gli occhi di Shikamaru mandavano solo disprezzo.

-       Me ne vado. E porto i bambini con me.

Temari guardò se stessa sbiancare e quasi perdere i sensi. Si vide appoggiarsi alla poltrona e prendersi la testa tra le mani.

-       Perché?

Gli occhi di Shikamaru erano tanto determinati quanto addolorati. Si vedeva chiaramente la sua sofferenza in quella scelta.

-       È da quando ti conosco che provo a darti tutto ciò che potrebbe aiutarti. Ti ho amata più di quanto avrei mai pensato di poter fare. Ho sopportato ogni tua bizzarria e ogni tuo malumore. Ho cercato di capire il dolore che ti portavi dietro e in ogni modo, IN OGNI MODO ho cercato di portarti fuori da quel circolo vizioso che era stata la tua esistenza. Ti ho offerto tutto quello che potevo darti, ti ho dato una famiglia e tu l’hai data a me. Eppure, ogni volta, questo non bastava mai. Ogni anno, ad ogni Natale, ritorniamo su questo e finiamo sempre per rinfacciarci cose che forse non pensiamo nemmeno. Ora basta.

Sulla sua poltrona, la Temari del futuro si strinse le ginocchia al petto, infinitamente dolorante. La Temari del presente stringeva il neonato urlante come se potesse darle conforto. Ma ancora non era finita.

-       Fino a che le tue maledette convinzioni ferivano me e chi mi stava intorno, ho fatto finta di niente. Ma adesso stai superando ogni limite e non permetterò che i mostri della tua infanzia rovinino anche la vita dei MIEI figli! KAZEKO!

La bambina uscì dalla camera perfettamente imbacuccata, così come il piccolo Shikashi che ancora piangeva. Grossi lacrimoni scendevano anche sulle guance arrossate della piccola e si perdevano tra le pieghe della pesante sciarpa di lana.

Suo padre le porse la mano e lei l’accettò subito, dopo avergli lasciato il fratellino.

La trascinò di malagrazia verso la porta, senza curarsi di prendere il cappotto.

Kazako guardò la mamma per tutto il tragitto fino alla porta. Non si curò di nascondere gli occhi grondanti o il naso gocciolante.

-       Kaa-san!

La porta venne sbattuta con violenza. Il silenzio nella stanza era disturbato solo dal pianto disperato del piccolo spirito che Temari ancora teneva tra le braccia.

Osservò se stessa stringersi, rannicchiarsi e poi piangere tutte le sue lacrime.

Kazeko la fissò con rimprovero, poi non riuscì a fermare le lacrime. Le lunghe scie umide le percorsero le guance e si infilarono tra le maglie strette della sua bocca cucita. Shikashi urlava inconsolabile.

Per un periodo che le sembrò crudelmente lungo, gli spiriti la costrinsero ad osservare la scena di se stessa che si distruggeva.

Nel giro di poco, iniziò a piangere anche lei.

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Incredibilmente puntuale, nonostante i mille problemi tecnici che si sono posti sul mio cammino, dopo una settimana esatta sono QUI! E aggiorno nuovamente, con l’ultimo dei capitoli centrali! Io lo dico, non è stato affatto facile scrivere quello che avevo in mente, e ammetto di aver anche indorato un pochino la pillola, dato che avevo pensato a ben di peggio, ma l’angst era vietato! Stavolta, non ho davvero nulla da dire, perché credo che risponderò alle domande direttamente nell’ultimo capitolo, per cui se qualcosa non è chiaro, fatevi sotto!

Mi rendo conto di essermi cimentata in una impresa ben più grande di me. Inaspettatamente l’esperimento sembra riuscire, e le mie amate commilitone mi sono vicine e mi sostengono con perizia!

Chiarisco subito che fin dall’inizio lo scopo era di arrivare a questo. Ovvero il divorzio.

Per la mia indole materna scrivere di questi bambini sofferenti è stato un colpo al cuore, ma spero di aver reso l’idea abbastanza da renderla credibile. Per me è stata dura. Davvero.

Come dicevo alla mia degna prole qualche giorno fa, il discorso delle mutilazioni agli spiriti ha un senso ben preciso. Rispettivamente, il passato non PUÒ vedere, il presente non VUOLE sentire e il futuro non DEVE parlare. Per cui il passato ha una malformazione genetica, se vogliamo dire così, indipendente dalla volontà di chiunque, poiché, in effetti, il passato non potrà mai vedere ciò che è dopo. Il presente ha le orecchie mutilate e, anche se non l’ho detto, le ha per propria scelta, perché nel presente è Temari stessa a non voler sentire ciò che le accade intorno. Il futuro non deve vedere, e le labbra cucite della povera Kazeko sono la violenza di ‘qualcuno’ che non vuole che il futuro si riveli a ciò che è stato prima. Nello specifico il ‘qualcuno’ non è altro che il continuum temporum. Non avrebbe senso nessuna situazione diversa da quelle illustrate e a Temari è stata offerta una possibilità unica nel poter sbirciare uno dei suoi possibili avvenire.

Detto questo, aspetto domande, dubbi e perplessità nel caso in cui qualcosa non fosse chiaro, perché dietro a questa storia, la mia mente ha creato un universo assurdo. Mi sentirò sola quando sarà finita.

PS: stavolta non l’ho riletta! Ero in ritardassimo e avevo mille problemi di linea! Non ho proprio avuto tempo. Quando sarà la riprenderò in mano e la sistemerò come si deve, perché mi sono affezionata a questo componimento e non mi va di lasciarlo pieno di casini, errori e distrazioni!

PPS: passate al forum NERO! Il calendario dell’avvento continua e cerchiamo di rendere questo Natale il più NERO di sempre!

The Black Parade

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Merry Black Christmas

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