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Autore: londonici    15/12/2012    1 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Forse avrebbe piovuto. Vedevo delle nuvole dalla finestra della cucina, seduta al tavolo.

Volevo liberarmi di quel dannato gesso. Non solo era un ingombro, ma adesso quelle sette lettere stampate a caratteri cubitali mi davano la nausea.

Balle. Tutte balle, schifosissime e verissime balle.

La porta di ingresso si aprì. Bryan apparve con una faccia un po' infastidita.

«Allora?», mi chiese con un cenno della testa.

Mi distesi sulla sedia e feci una smorfia come per dire “tutto okay, perché me lo chiedi?”. Ma avevo gli occhi piccoli per i pianti di qualche minuto prima. E di fatto non parlavo.

«Stavo per fare una stronzata, sai», mi disse sedendosi di fronte a me.

Scrollai le spalle a mo' di incitamento.

«Sono andato a casa sua, ma per fortuna non c'era. E sai perché era una stronzata? Perché non è un problema mio, Hayley. E poi non avrei risolto niente».

Mi sentivo in coma.

Annuii a malapena.

«Cosa pensi?», chiese infine. Feci un bel sospiro, assicurandomi che la voce non mi sarebbe venuta meno.

«Penso a quanto tempo ci impiegherai a far sparire anche questo problema che non è tuo», risposi controvoglia.

Sorrise malinconico. «Hayley, e se io fossi stato via?». Avvicinò la sedia al tavolo per guardarmi meglio. «Okay, adesso hai sedici anni, e sebbene il mio impulso di salvarti da questa situazione sia praticamente irrefrenabile, mi vedo costretto a dirti di risolvere il tuo problema senza il mio aiuto. Insomma, non sarò sempre qui a intervenire sul mio cavallo bianco. Tu credi che sia io a risolverti i problemi, ma non è così. Io consolo e do appoggio, non risolvo un bel niente. Adesso voglio proprio vedere come te ne uscirai, signorina. Dimostrami che sei mia sorella, Hayley. Sai cos'hai e sai cosa puoi affrontare. E questo, lo sappiamo bene entrambi, non è niente. Non voglio vederti buttata giù, al tappeto, per questo. È la fine del mondo nella tua testa, ma fidati: basta prenderci le distanze e reagire. Fammi vedere quanto sai essere reattiva, okay? È un favore che ti chiedo io».

Deglutii e lo guardai negli occhi. Erano uguali ai miei.

Volevo davvero deludere me stessa? Deludere Bryan?

Insomma, non garantivo niente.

«Devo proprio crescere adesso?», piagnucolai inespressiva. Bryan sorrise di più e si alzò per darmi un bacio in fronte.

«Vedrai che non è poi così male, piccola microba». Mi strinse per le spalle per darmi un briciolo di conforto. Forse quell'input sarebbe bastato. O forse no.

 

Non sapevo esattamente come dimostrare di essere reattiva, ma di certo starmene a casa in camera mia non avrebbe dato la giusta impressione.

Così, uscii. Presi gli occhiali da sole (per camuffare le occhiaie che non avevo avuto voglia di correggere) e dissi a Bryan un semplicissimo “io esco, ciao”. Non aspettai nemmeno una sua reazione.

Mi imposi di non guardare dall'altra parte del marciapiede. Restai impalata dietro il mio cancelletto per un po', lo sguardo basso e i capelli davanti alla faccia.

Dove diamine sarei andata?

In un posto che non aveva nulla a che fare con me, ecco dove.

Sgambettai con l'I-Pod nelle orecchie e i Paramore a tutto volume fino a raggiungere il set del film dove Jenna stava lavorando come make up artist.

Non fu facile dimostrare che ero davvero la figlia di Jenna e non una ragazzina scatenata fan impazzita di un certo Derek Non So Cosa.

Riuscii a raggiungere mia madre. Era incredibile che fosse davvero la stessa donna che conoscevo io.

Era seria, professionale, concentrata al massimo. Stava truccando una ragazza splendida, con i capelli nerissimi, corti e sparati in aria. Gli occhi di questa ragazza erano l'incarnazione del buio, erano pece vera e propria. E glieli invidiai tantissimo.

Solo quando si alzò mi ricordai di conoscerla – di vista, ovvio. Era un'attrice che avevo già visto in un film horror qualche mese addietro. Ero andata al cinema con i gemelli e (sì, anche lui) Jess. Era stata brava con le sue grida da fanciulla spaventata.

C'era da ammettere che non ne ricordavo il nome, ma dobbiamo anche riconoscere che quando alcune foto (che mi ritraevano con il Nobel per l'ipocrisia) erano spuntate su Internet, io ne ero rimasta allo scuro fino alla grazia divina di Dana & Co. Quindi.

La ragazza si alzò dalla sua sedia. E mi passò la voglia di ricordarmi il suo nome. Una piccola clone, una come tutte le altre: “Sono bella e famosa, io sono tutto, tu niente”. Ecco la tipica star hollywoodiana. Maltrattò un paio di persone e sparì.

Sospirai e mi avvicinai a Jenna.

«Tesoro, ciao!», mi salutò entusiasta. «Che ci fai qui?».

«Ero nei dintorni», mentii. E se ne accorse.

«Vuoi parlare della festa di ieri?», fece apprensiva. Era successo solo ieri? «Mi hanno detto che hai avuto qualche divergenza di qua e di là».

Mi schiarii la gola. «Jenna, non ero nei dintorni. Non voglio pensare a ieri sera, né a stamattina, né alla prossima settimana o al prossimo anno. Devo fare qualcosa. Puoi aiutarmi?».

Mi guardò pensierosa, poi annuì decisa. «Tu puoi aiutare me. Prendi tutto il materiale che vedi lì su quel tavolo e vai a prepararmi quel ragazzo. Arrivo subito. Okay, tesoro?».

Sospirai per il sollievo e senza pensarci troppo mi tolsi gli occhiali per fare come mi aveva detto.

Non appena vidi chi era “quel ragazzo” me li rimisi immediatamente.

Mossa inutile.

«Tu sei quella di ieri», iniziò vedendomi arrivare, «quella che cercava Hitch».

Contai fino a millecinquecentosettantacinque.

«E tu quello a cui avrei tanto voluto dire “te l'avevo detto io”. Ciao». Sorrise e si mise comodo sulla sedia. Pensavo che il mio tono non fosse stato così accomodante. Comunque.

«Allora? L'hai trovato, eh?».

Contai fino a settecentomilioniduecentoquarantamilatrecentoventinove.

«No», sbottai. Il suo sorriso smagliante si trasformò in un “ah, ho capito, scusa”.

«È così stronzo come sembra dai suoi video?», scherzò. Mamma, che fatica. Essere reattivi era davvero sfiancante.

Scrollai le spalle. «Allora, sei un attore», ricominciai. «Ecco perché non mi risultavi una faccia nuova».

«Sì, già», fece divertito da chissà cosa. «Anche tu non sei una faccia nuova, rossa sconosciuta». Ammiccò.

Di nuovo? Di nuovo, no, eh. Proprio no.

«Magari su PerezHilton.com. Ci sono finita una volta». Mi sedetti accanto a lui.

«Sei una cantante emergente?». Risi di gusto.

«Oh, no, no. Direi proprio di no», dissi tra le risate.

«E allora cosa ci fai qui? Un'attrice? Una stylist? Una controfigura?». Era in difficoltà.

«Nah», mi limitai a rispondere. Quando lo vidi intento a fissarmi un po' troppo intensamente, aggiunsi: «Sono solo la figlia della make up artist, tutto qua».

«E che ci facevi allora su PerezHilton.com?». Mentre poneva la domanda si stava già dando la risposta. Infatti, si corresse subito dopo con un “ah, ho capito, scusa”. Solo che stavolta lo disse ad alta voce.

«Posso chiederti comunque il tuo nome?», fece galante.

Guardando da un'altra parte risposi: «Hayley. E tu?».

Rise come se gli avessi raccontato la barzelletta più spassosa della galassia. Quando capì che stavo dicendo sul serio, che davvero io non sapevo chi fosse con esattezza, sembrò scendere dalle nuvole.

«Oh. Sei seria», constatò. «Scusami», proseguì, «è solo che era da un po' che qualcuno non mi chiedeva il nome. Io sono Derek».

Stavolta fui io a fare la faccia eloquente. «Aaaah». Mi tolsi gli occhiali, così magari avrebbe desistito dal provarci con me. «Insomma, roba grossa», proseguii.

Di nuovo. Sembrava che ragazzi non famosi non fossero più disponibili per Hayley.

«Già», ammise. Mi scrutò a fondo. «Roba grossa anche io».

Mi sentii in imbarazzo totale. Sapevo con certezza che ero arrossita. «In che senso?».

«Sì, insomma... In un posto come Beverly Hills, è normale che una bella ragazza come te venga presa di mira da giovani rapper e da giovani attori. Non è giusto, però, che venga presa di mira solo per divertimenti passeggeri». Ammiccò di nuovo.

Okay. Mi stavo davvero scaldando. Questo credeva di aver capito tutto, ma non aveva capito una sola virgola.

«No, guarda, ne sai troppo poco per permetterti di sparare a zero su di me o su di lui», risposi tagliente. Subito si mise sulla difensiva.

«Dico solo che non mi sembra giusto. Insomma, guardati. Così bella, eppure così triste. Non è giusto». Attore di merda.

Sbuffai e mi alzai. Quel tizio mi stava facendo salire il sangue al cervello.

«Ma sentilo. Beh. Caro Derek, vorrei dirti che è stato un piacere conoscere un attore della tua portata, ma non è affatto così. Perciò adesso me ne andrò, farò finta di non averti mai rivolto la parola e mi sentirò meglio senza dubbio».

«Paura di un altro divertimento passeggero?», mi prese in giro divertito. «Andiamo, dai, dammi il tuo numero, così quando posso ti faccio uno squillo». Quando posso.

Risi sarcastica. «Facciamo così: perché non ti sposti dall'orbita che il tuo ego ha tracciato nel raggio di venti miglia, scendi dal piedistallo e te ne vai a fanculo?!», sibilai furiosa. Inforcai gli occhiali e non stetti abbastanza a lungo da vedere la sua faccia da “ma io sono famoso, ottengo sempre quello che voglio”. Me ne andai.

Almeno, ci provai.

Mi fermò da una spalla. «E dai, su», sorrise finto, «non fare la preziosa. Quando ti ricapita un'occasione come questa?».

«Sei proprio il peggio del peggio». Scrollai via la sua mano dalla mia spalla. «E, se proprio vuoi saperlo, è già la seconda “occasione” che mi capita. E mi fa ribrezzo molto più della prima». Smontai del tutto il suo sorriso quando conclusi con un: «Ricordati di questo giorno, perché è il giorno in cui una comune mortale ha dato un bel calcio nel culo al tuo ego da due soldi».

Uscita scenica.

Cala il sipario.

Saluta la faccia confusa di Jenna.

Applausi nella mia mente.

Ma adesso meglio tornare a casa.

Non sono poi così reattiva come pensavo.

 

Quando aprii la porta trovai Bryan in compagnia di Jamie e Travis. Giocavano a Guitar Hero e Bryan stava massacrando tutti.

«Ciao a tutti», salutai chiudendo la porta.

«Già di ritorno?», fece Bryan senza staccare gli occhi dal televisore. Percepivo una nota di rammarico nella sua voce camuffata da “impegno nel gioco”.

«Seh. Da Jenna era una palla colossale. Sono andata via subito, o i miei nervi avrebbero ceduto».

«Tu non dovevi proprio nascere a Beverly Hills», disse Travis, e Jamie concordò con una risata.

«Suppongo di no». Mi avvicinai al frigorifero e presi quattro birre. «Volete?».

Nessuno alzò gli occhi verso di me. «VOLETE?!», urlai come una mamma arrabbiata.

Jamie fece un salto dal divano e mi fissò stravolto, Travis lanciò un'imprecazione e Bryan mi sorrise plastico.

«Cara sorellina, l'impianto acustico vorrei metterlo verso la vecchiaia, non ora. Sono ancora giovane».

Feci spallucce. «Ho detto: volete?». Sbatacchiai le lattine di fronte a loro.

Annuirono e smisero di giocare. Si lanciarono un'occhiata che non identificai.

«Senti un po', Hay...», cominciò Jamie.

«Oh-oh», gemetti.

«Ci chiedevamo – anzi, mi chiedevo – tu ci vieni al ballo d'Autunno?».

Mi uscì un verso gutturale che doveva significare un “ma scherzi?”. Jamie capì.

«Facciamo così, mettiamola sullo sportivo – più o meno».

«Oh-oh. Cosa avete architettato?».

«Senti qua: partita a Guitar Hero. Se vinci tu, fai quello che vuoi. Vince uno di noi, e tu vieni al ballo».

«Ma non esiste proprio!», scattai.

Travis sorrise. «Pagare, prego», disse rivolto a Bryan.

«Aspetta, aspetta. Conosco mia sorella, non è detta l'ultima parola», rispose lui.

Eh? Non capivo niente.

«Jamie, io al ballo non ci vengo proprio. È una delle cose che farei solo se l'alternativa fosse buttarsi sotto un treno in corsa. E non ne sono del tutto certa al cento per cento».

«Okay», mi rispose pacato Jamie. «Allora facciamo che la partita a Guitar Hero che dovrebbe decidere la tua sorte sarà solo contro di me. Io sarò il tuo avversario, nessun altro. Hayley contro Jamie. Andata?».

Alzai le sopracciglia. Stava scherzando?! Lui era una schiappa colossale a Guitar Hero. Travis era il campione, ma Bryan era ancora meglio.

Scossi la testa dopo un attimo di silenzio.

«Nah. Io non ci vengo al ballo».

«E dai!», scattò Jamie. Travis tirò un sospiro di sollievo verso mio fratello, che – rassegnato – gli allungò una banconota da venti dollari in mano. Avevano scommesso su di me?

«Sei una cagasotto. Hai paura di perdere contro di me?», fece Jamie provocandomi.

«Ovvio che no. Tu sei una schiappa. È solo una cosa senza senso», dissi facendo spallucce.

«No: è una sfida che tu non hai accettato. Una sfida facile che hai snobbato, facendo la figura di quella che si tira indietro», precisò Bryan. Evidenziò le parole giuste per farmi sentire punta nell'orgoglio.

«Io non mi tiro indietro!», piagnucolai come una mocciosa.

«Allora accetta la sfida. Se vinci, niente ballo. Se perdi, ci vieni. Eccome». Jamie mi fece l'occhiolino.

«Jamie, andiamo... Non ho nemmeno l'accompagnatore», trovai una scusa all'ultimo secondo.

Accentuò il suo sorriso tremendo. «Invece sì. Vienici con me, Hay. Dai, sarà uno spasso!».

Scoppiai a ridere per la faccia di Jamie. Incorreggibile.

Sbuffai un pochino, ma in realtà sapevo di aver già accettato la sfida da un pezzo. Da quando Bryan aveva dato venti dollari a Travis per aver scommesso sulla mia “combattività”.

Fissai Travis. «Molla i venti verdoni a Bryan, uomo di poca fede».

 

Pazzesco. Irreale. STUPIDO.

Avevo perso. Perso all'ultimo minuto.

No.

Ma no! Porca miseria, no!

Avevano architettato tutti i modi possibili per distrarmi e... dannazione, avevo perso!

Jamie se la rideva mentre salivamo in camera mia. Bryan era rimasto al piano di sotto, a organizzare partenze per chissà dove.

Mi lanciai sul letto, ancora lamentandomi della cospirazione contro di me.

Però una cosa straordinaria era successa: per quel poco tempo non avevo più pensato ad Adam. Grazie a Bryan, Travis e soprattutto Jamie.

Era più che un amico, più che un migliore amico. Un fratello vero e proprio.

Mi cadde lo sguardo sulla scrivania. Una bottiglia di – come si chiamava? Ah, sì: patis – mi stava fissando minacciosa. Tenerla in camera non era una buona idea.

«Mi servirebbe un favore», dissi senza guardare nessuno dei due fratelli. Mi diressi alla scrivania e presi un foglietto bianco. Iniziai a scriverci sopra. Lo attaccai alla bottiglia e porsi il tutto al primo che allungò la mano: Jamie.

«Di' pure».

«Gliela portereste?». Sapevano a chi. «Non la voglio in camera. Era per lui, non deve restare qui». Sarebbe stato meglio tagliare tutti i contatti, darci un bel taglio netto.

«Certo che sì», rispose Travis, mentre Jamie mi fissava pensieroso.

«Ne sei sicura?», mi chiese apprensivo.

Feci un bel sospiro. «Sì».

«Allora va bene». Prese la bottiglia e non tentò nemmeno per sbaglio di leggere il bigliettino. «Però a una condizione», fece all'ultimo secondo, quando già era sulla soglia insieme al fratello.

«E cioè?», risposi sorpresa.

Si aprì in un sorrisone meraviglioso. «Quando torno, devi aver già scelto cosa metterai al ballo. Voglio accompagnare una vera Principessa, io».

   
 
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