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Autore: SusanTheGentle    16/12/2012    12 recensioni
Un amore improvviso, due cuori che si incontrano ma che non riescono mai a toccarsi davvero come vorrebbero...almeno fino all'ultimo giorno. Nessuno sa. Forse nessuno saprà mai. Solo Narnia, unica testimone di quell'unico attimo di felicità.
Caspian e Susan sono i protagonisti di questa nuova versione de "Il Viaggio del Veliero". Avventura, amore e amicizia si fondono nel meraviglioso mondo di Narnia...con un finale a sorpresa.
"Se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo seguire la rotta senza esitazione, o non sapremo mai cos'è successo ai sette Lord e dove sono finite le Sette Spade"
Il compito affidatogli questa volta era diverso da qualsiasi altra avventura intrapresa prima. C'era un oceano davanti a loro, vasto, inesplorato; c'erano terre sconosciute alla Fine del Mondo; una maledizione di cui nessuno sapeva niente. Non era facile ammetterlo, ma era probabile che nessuno di loro sarebbe mai tornato. Stava a lui riportarli indietro.
Caspian si voltò a guardare Susan, la quale gli rimandò uno sguardo dolce e fiero, e all'improvviso capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, finché c'era lei al suo fianco, avrebbe sempre trovato la forza per andare avanti"

STORIA IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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8. Verso le Isole Solitarie
 

 
  Nella cabina di comando del Veliero dell’Alba, Caspian stava spiegando agli amici della sua decisione d’imbarcasri per mare.
«All’epoca in cui mio zio Miraz salì al trono, si sbarazzò di tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo» iniziò il giovane, seduto attorno al tavolo insieme a Edmund, Lucy e Drinian. A loro si era unito anche Ripicì.
«Alcuni di questi potenziali oppositori, secondo mio zio, erano i Sette Lord di Telmar, fedelissimi a mio padre. Miraz li mandò ad esplorare mari lontani con l’intenzione di non farli mai più tornare. Riuscì nel suo intento, purtroppo. I Sette navigarono oltre i confini conosciuti, ma da allora in poi non se né saputo più nulla. Quelli che vedete ritratti qui, sono loro».
Caspian si alzò e si avvicinò con aria grave a una parete, dov’erano appesi sette ritratti di uomini.
«Con la benedizione di Aslan, giurai perciò che, una volta ristabilito il regno di Narnia, sarei partito in cerca di quei valorosi uomini. Se mai li avessi trovati, mi promisi di ricondurli a casa, o nel peggiore dei casi, li avrei vendicati»
«Oltre i confini conosciuti…» mormorò Lucy, sfiorando con una mano la pergamena ruvida della mappa di navigazione. «Oltre le Isole Solitarie»
«Esatto» rispose Drinian. «Ma nessuno di noi sa cosa ci sia oltre quei confini»
«Molti avventurieri, nel passato, hanno già tentato spedizioni simili, ai tempi dei miei antenati» riprese Caspian. «Ma ricordo di aver letto che Caspian IV impedì di intraprendere altri viaggi del genere, per il bene di tutti»
«Che ne è stato di quelli che partirono?» chiese Lucy con il cure in gola, anche se in cuor suo credeva di sapere già la risposta.
«Molti non sono mai tornati» disse Drinian. «E quelli che ci sono riusciti hanno raccontato storie incredibili e spaventose, come la leggenda del grande serpente di mare»
«Serpente? Siete serio, capitano?» domandò Edmund facendo un sorriso sarcastico. Il giovane era alquanto scettico.
«Per quel che ho veduto nei miei viaggi, Sire, posso credere a tutto»
«Ci sarà molto più di questo negli ignoti mari dell’est» intervenne Ripicì con eccitazione, salendo sul tavolo e posando la zampa sulla cartina dove ancora nessun nome o disegno era stato vergato.
Caspian sorrise. «E’ vero, il nostro Rip ha uno scopo più alto in questo viaggio»
Tutti si voltarono verso il topo, che assunse un’aria d’importanza.
«Mi sono imbarcato su questa nave perché, come ben sapete, non c’è impresa dalla quale mi possa tirare indietro. Se il destino ci riserva queste straordinarie avventure, afferriamole e rendiamo grazie a chi le ha tracciate sul nostro cammino. Ma mi sono detto: perché non andare ancora più in là dei mari orientali? Perché non arrivare fino al limite estremo del mondo…alle Terre di Aslan»
Edmund e Lucy proruppero in un’esclamazione di sorpresa e ammirazione.
«Accidenti, Rip, è un’impresa enorme per un soldo di cacio come te» disse Edmund.
«C’è una spiegazione, Sire. Non è per amore dell’ego o della gloria che voglio far questo. Vedete, il fatto è che quand’ero un piccolo topo, una driade mi cantò una filastrocca. Faceva esattamente così:
 
Dove cielo e mar si incontrano
Dove le onde dolci si infrangono
O valoroso Ripicì, non dubitare
Troverai tutto ciò che cerchi
A oriente, laggiù, di là del mare
 
«Non l’ho mai dimenticata, e sono sempre stato certo che avesse un significato profondo per me e per la mia vita. Vorrei scoprire quale»
«E tu credi che sarà possibile riuscire a navigare fin là?» chiese Lucy.
«Solo Aslan lo sa» sorrise Ripicì.
«Sempre che non incontriamo serpenti marini» aggiunse Edmund, scoccando un’occhiata a Drinian, ma il capitano non sembrava voler sorridere alla battuta.
Evidentemente, Drinian prendeva sul serio quei racconti, che probabilmente erano solo vecchie storie, superstizioni e niente di più.
Ormai era quasi ora di cena, ma i ragazzi si attardarono un poco per poter andare a trovare Eustace.
Lucy portò il suo cordiale per farglielo bere e aiutarlo a star meglio.
Gli alloggi dell’equipaggio erano
situati a poppa della nave. Erano costituiti da un grosso camerone dall’aspetto molto semplice, munito di brande e cuccette piuttosto comode.
Eustace si trovava nel punto più in fondo, con gli occhi chiusi, raggomitolato sulla branda che gli era stata assegnata dal buon Tavros, che era ancora al suo capezzale.
Dalle labbra di Eustace continuava a uscire un lamento strozzato.
«Ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi…Ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi… Ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi!!!!»
«Sta meglio» affermò Edmund quando entrarono.
«Non direi» disse Tavros. «Sembra piuttosto malmesso. Ho cercato di fargli bere una tisana, ma si rifiuta»
Lucy si inginocchiò accanto al cugino e stappò la boccetta di diamante che conteneva la pozione miracolosa.
Subito, nella stanza si propagò un aroma delizioso.
Eustace aprì un occhio per sbirciare, un po’ sospettoso e un po’ incuriosito.
«Se è un altro intruglio di quel bestione nero, non lo voglio»
Il Minotauro abbassò le orecchie sconsolato. Ripicì gli picchiettò amichevolmente sullo stivale (non arrivava più in alto di così).
«Non prendertela con Tavros, poverino. Ha solo cercato di aiutarti» disse Lucy con calma. «Ora però bevi questo, vedrai che ti farà star meglio»
«E come faccio a sapere che tu e la tua banda di matti non volete avvelenarmi?»
Nello sforzo di parlare, Eustace stava diventando verdognolo.
«Ma che sciocchezze! Certo che no!»
«Andate via! Lasciatemi solo col mio dolore!»
«Lo vedete?» disse Tavros. «Ed è stato così tutto il tempo. Continua a piangere ma non vuole aiuto»
«Non perder tempo con lui, Lucy, e tieni il cordiale per situazioni più gravi» disse Edmund. «Se ha la forza di lamentarsi in questo modo, non deve poi star tanto male»
«E invece sto male! Sto malissimo! Ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi-ohi!»
«Per favore, fai uno sforzo e bevi, ti farà passare tutto in un batter d’occhio»
«E va bene» disse Eustace alla fine. Così almeno se ne sarebbero andati.
Lucy gli porse la fiaschetta e fece scivolare nella bocca del cugino una goccia appena.
Eustace era già pronto a protestare, dato che secondo lui una sola non avrebbe dato alcun effetto. Di solito, con medicinali come quello, si dovevano prendere almeno cinque o dieci gocce per star meglio. Ma dovette tenere per sé le sue rimostranze, perché appena il liquido rosso scivolò giù nella gola, non solo si sentì immediatamente meglio, ma gli sembrò di aver assaggiato la bevanda più buona del mondo.
Incredibile, pensò, ma guai ad ammetterlo ad alta voce. Non avrebbe mai dato il merito di qualcosa a quella nanerottola di sua cugina Lucy, meno che mai della sua pronta guarigione.
Evidentemente, su quella bagnarola c’erano dei dottori capaci, ecco la vera spiegazione.
Eustace saltò in piedi, rassettandosi gli abiti e cominciando a insistere perché potesse sbarcare immediatamente.
«E voglio assolutamente vedere il console britannico!»
Caspian gli ripeté varie volte che era impossibile farlo scendere, e poi chiese che cos’era un console britannico.
Eustace si batté una mano sulla fronte. «Povero me! Che massa di ignoranti»
«Bada a come parli, giovanotto!» esclamò furioso Ripicì sfoderando la spada. «E’ al Re di Narnia che ti stai rivolgendo!»
«Aaaahhh!!! Aiuto, aiuto, è tornato il topastro!»
«Ma è sempre così simpatico?»
«Anche di più, Rip» assicurò Edmund, facendo una smorfia. «E non ha ancora dato il meglio»
Quando le scenate di Eustace furono concluse, finalmente andarono a cena.
I due Pevensie e il cugino avevano una fame da lupi.
Mangiarono un’ottima zuppa a base di pollo, orzo e porri, pesce cotto al forno, patate arrosto e bollite, e per dolce, budino al pane e burro.
Più tardi, Drinian ritornò al suo lavoro in cabina di comando, Eustace se ne ritornò a letto piagnucolando di voler tornare a casa, e Caspian, Ripicì, Edmund e Lucy fecero un nuovo giro del Veliero dell’Alba, chiacchierando allegramente. 
«Non vedo l’ora di arrivare alle Isole Solitarie. Che nostalgia» disse Lucy guardando il cielo stellato. «Edmund, quanto tempo è passato da quando ci siamo stati l’ultima volta?»
Lui ci pensò un attimo. «Ehm…dipende: vuoi sapere rispetto al tempo del nostro mondo o di questo?» domandò poi a sua volta.
Lucy guardò il fratello sorpresa e poi tutti risero. In effetti, era piuttosto difficile fare un calcolo preciso.
«Sapete dirmi perché le Isole Solitarie fanno parte del regno di Narnia?»
domandò Caspian. «Ho chiesto a molti, ma nessuno ha saputo darmi una risposta esauriente. Le ha conquistate il Re Supremo?»
«No» rispose Edmund. «Appartenevano già a Narnia quando noi fummo incoronati Sovrani. Forse le prese la Strega Bianca durante il suo dominio. Purtroppo, molte leggende si sono perse dopo il suo arrivo. Fece esattamente come tuo zio, cancellò la storia di Narnia per quella che era, in modo che nessuno sapesse che non poteva avere autorità sul regno, visto che non era umana»
«Raccontatemi la storia della Strega» li pregò Caspian, sedendosi con gli altri su una panca situata all’interno della coda di legno dorato del drago. «Vorrei sentire i particolari da voi che l’avete vissuta. E’ molto meglio udirla a voce, piuttosto che leggerla sui libri»
Passarono così la serata, parlando fino a notte tarda. Fu solo quando Lucy si addormentò, la testa appoggiata alla spalla di Edmund, che decisero finalmente di andare a dormire.
Forse, l'indomani, avrebbero già avvistato le Isole Solitarie.
 
 
Pug era un mercante di schiavi. Il più delle volte lavorava da solo, con un paio di aiutanti, ma quando si presentava l’occasione di fare affari per ingenti somme di denaro, era più che disposto a prendere ordini invece di darli.
Queste grandi occasioni capitavano di rado, perché i nobili e i signori di Calormen (unico paese dove la schiavitù era ancora in voga), acquistavano gli schiavi tramite altri servi, e mai scomodandosi. La paga era buona in ogni caso, ma mai come quando il padrone si presentava di persona. E una cosa del genere era accaduta proprio a Pug.
Il mercante si trovava presso il gran palazzo di Tisroc, per concludere un affare e poi tornarsene nella sua modesta abitazione di Portostretto. Ma prima della partenza era arrivato un messaggio di un gran signore: il principe di Calormen in persona.
Lì per lì, Pug era rimasto perplesso: cosa mai poteva volere il principe da lui? Di sicuro aveva più schiavi lui solo di tutti i nobili tarkaan messi insieme.
Ad ogni modo, non poteva declinare un incontro simile, poiché il suo fiuto gli diceva che poteva anche ricavarci qualcosa di buono.
Così era stato.
Il principe lo aveva pagato bene, più di quanto si sarebbe aspettato; in cambio, Pug doveva procurargli nuovi lavoratori, sani e forti, non malaticci come la maggior parte di quelli che si trattavano nel sud. Al principe servivano braccia forti e schiene robuste, per lavorare al grande tempio che l'Imperatore di Calormen aveva ordinato di costruire proprio sulle Isole Solitarie.
«Altezza Reale, posso chiedervi come mai il grande Tisroc (possa egli vivere in eterno) vuole edificare un Tempio nelle Isole? Esse non sono parte dei domini di Narnia?»
«Narnia!» sbottò il principe, avvolto nella sua veste nera e argento, con i capelli lunghi e neri e l’aria austera. «Da quanto tempo Narnia non si interessa delle Isole Solitarie? Secoli e secoli. E’ venuto il momento che qualcun altro prenda in mano la situazione»
«E Vostra Signoria è sicuramente la persona più adatta» si era inchinato Pug riverente.
Non che gli affari di nobili e reali gli interessassero molto, più che altro aveva in mente l’oro che sarebbe andato nelle sue tasche. Più si mostrava ubbidiente, più il principe avrebbe ritenuto ottima la sua condotta e la sua efficienza, e forse avrebbe aumentato la somma come riconoscimento dei suoi servigi impeccabili. Pug era bravo a lavorarsi i clienti.
Così, dopo aver accettato, il mercante aveva preso con sé i suoi due aiutanti, ed erano saliti sulla nave che Tisroc aveva messo a disposizione del principe.
Sul cammino, non si erano fatti scappare l’occasione di ‘prendere a bordo’ anche qualche extra, ad esempio quei due piccoli naufraghi dallo stravagante abbigliamento.
Pug se ne stava ora solo, in un angolo della nave,
a fumare la pipa, rilassato. Si rigirava tra le mani un oggetto di forma allungata.
Aveva infine perquisito i due naufraghi, trovando addosso alla ragazza un corno da caccia in puro avorio. Di sicuro, rivendendolo al mercato di Portostretto, avrebbe aggiunto altre monete alle sue tasche.
Era un avaro, non ci si poteva aspettare altro da un uomo simile.
Due settimane in mare e il lavoro era quasi concluso. Ormai facevano rotta verso le Isole Solitarie. Verso casa. Una volta giunti lì, Pug avrebbe intascato i soldi che gli spettavano.
Ma c’era una cosa che non aveva ben chiara di tutta quella situazione: perché il principe dell’Impero del Sud aveva intrapreso quella spedizione? Per essere sicuro che gli schiavi fossero come li voleva, diceva lui, ma Pug non ci vedeva chiaro. Un principe- specialmente un principe di Calormen- non si scomoda per cose futili come quelle. Che cosa c’era sotto?
La sola risposta che gli veniva in mente-ancora una volta- era qualche imbroglio governativo.
Pug ci capiva poco e nemmeno voleva approfondire più del dovuto. Lui faceva solo il suo mestiere.
Spense la pipa e si rimise il corno d’avorio in tasca, per tenerlo al sicuro da occhi indiscreti. Nessuno sapeva di quell’oggetto e lui non l’avrebbe mostrato ad alcuno. Nossignore, era il suo bottino.
Si diresse verso gli alloggi dell’equipaggio, pronto per andare a dormire. L’indomani sarebbe stata una lunga giornata.
 
 
Chiusi nello scomodo deposito sottocoperta, Peter e Susan non riuscivano a prendere sonno, benché fossero stanchi e affamati.
Il chiavistello della porta cigolò. Entrò un marinaio con la cena per i prigionieri: zuppa, pane raffermo e acqua. Nient’altro.
Nessuno si lamentò, ed ognuno mangiò fino all’ultima briciola in religioso silenzio.
Li avevano perquisiti, e Susan si era vista portare via il corno d’avorio senza poter far niente.
Aveva tentato di riprenderselo appena l’uomo di nome Pug glielo aveva strappato di mano, ma Peter l’aveva fermata. Non dovevano assolutamente dargli il sospetto di avere tra le mani qualcosa di più importante di quel che credeva, e che avrebbe potuto tradire la loro identità.
«Probabilmente non ha affatto capito di cosa si trattasse» disse il ragazzo. «Né la sua origine, né la sua provenienza»
«E se invece fosse andato a dirlo al suo padrone?” chiese Susan preoccupata.
«No, non credo. Ci avrebbero già trascinati al suo cospetto, chiunque egli sia, invece siamo ancora qui»
Susan sospirò e si portò le ginocchia fino al mento, circondandosele con le braccia.
«Hai freddo?»
Lei scosse il capo. «No»
Si erano tolti i cappotti, ma i loro vestiti non erano ancora del tutto asciutti, ed ora gli si appiccicavano fastidiosamente addosso.
Peter si era anche levato il maglione e stava in maniche di camicia.
Avrebbero voluto scambiare parola con qualcuna delle altre persone, ma non sapevano se fidarsi o no. Inoltre, alcuni lanciavano loro strane occhiate che a Peter non piacevano per nulla.
«Secondo me, dovremmo tentare» suggerì Susan, quando si furono di nuovo seduti nel loro angolo. «Forse ci possono aiutare»
«Susan, guardali: sono schiavi, non è nel loro stile di vita. Sono stati troppo abituati ad obbedire e dire sempre sì. Non si ribellerebbero mai»
«Ma noi dobbiamo uscire, Peter! Dobbiamo trovare Edmund e Lucy!»
Peter, appoggiato con la schiena alla parete di legno, guardò la sorella alla debole luce della lampada a olio appesa al soffitto.
«Tu pensi che stiano bene, vero?» chiese la ragazza ansiosa.
Peter sospirò, gettando la testa all’indietro e poi tornando a guardarla.
«Non lo so. Non chiedermelo ogni dieci secondi»
«Scusa, è che sono così preoccupata…Spero solo che se la siano cavata meglio di noi»
«Staranno benone, vedrai”
Peter le mise un braccio attorno alle spalle e Susan si appoggiò alla sua spalla.
«Sì, hai ragione. Probabilmente a quest’ora saranno a Cair Paravel con…» la ragazza si interruppe un istante. Le venne in mente Caspian, ma non riuscì a pronunciarne il nome.
Pensare a lui faceva troppo male al cuore.
«Con tutti gli altri amici» concluse poi.
«Volevi dire con Caspian» disse Peter. Non era una domanda.
Susan non rispose, né incrociò il suo sguardo.
Lo fece di proposito. Non aveva mai ammesso davanti ai fratelli, tanto meno davanti a Peter, di essere innamorata di Caspian.
«Stavi pensando a lui, vero? Andiamo Susan, vi siete baciati davanti a tutti. Non è certo un segreto»
Lei sorrise appena.
«No, non lo è»
«Non te l’ho mai chiesto, e se non vuoi rispondermi non importa, ma sono tuo fratello e mi preoccupo per te»
Susan si voltò a guardarlo in viso e attese.
«Lo ami?»
Quasi immediatamente, lei rispose con un sicuro «Sì»
«E lui?» chiese ancora il giovane con un vago cipiglio. «Perché se così non fosse, se sapessi che stai soffrendo per un uomo che non ti merita, io…»
«Sì, Peter» disse Susan seria, posando una mano sul braccio del fratello. «Caspian mi ama»
Peter sembrò rilassarsi. Espirò profondamente, poi si riappoggiò alla parete.
«Lui non ti piace, lo so» aggiunse la ragazza con un sorriso malinconico.
«E’ vero» ammise lui. «Non saprei dirti perché, ma non siamo mai andati troppo d’accordo. Credo che sia una questione di pelle, non so se capisci ciò che intendo»
«Credo di sì. Ma vedila così: probabilmente non lo rivedrò. O almeno, non tanto presto»
«Comunque, sei qui per lui, vero? Sei voluta tornare a Narnia per questo»
Susan annuì. «Se non sono passati altri mille anni, nel frattempo. C’è anche questa possibilità»
Peter non rispose e per molto tempo nessuno dei due disse più nulla. Poi, il ragazzo fece una nuova domanda che spiazzò non poco Susan.
«C’è stato altro?»
«Come?» lei alzò la testa e lo guardò perplessa.
«Tra te e lui»
Le guance di Susan divennero bollenti.
Per fortuna, alla poca luce della lampada Peter non poté vederla chiaramente, ma conosceva fin troppo bene sua sorella, e capì dal modo in cui si irrigidì che la domanda l’aveva messa a disagio.
«Probabilmente ho sottovalutato il vostro rapporto, però il fatto che tu abbia sofferto in quel modo, le lacrime che hai versato per lui…»
«Peter, io…»
«Ce ne siamo accorti tutti, anche se tu l’hai mascherato piuttosto bene»
«Peter…»
«Mi sento obbligato a sapere che cosa è successo veramente. Perché se è come credo, dovrà venire da me e chiederti in moglie, o giuro che stavolta un bel pugno non glielo toglie nessuno»
Susan si lasciò un poco andare e fece una risata leggera.
«Se la metti in questi termini, non posso risponderti»
«Se non mi rispondi, penserò che è come immagino»
«Se già lo sai perché me lo chiedi?»
Anche Peter sorrise, poi abbassò la testa. La frangia color dell’oro andò a coprirgli gli occhi.
«Non dirmelo se non vuoi. Scusa, è troppo personale»
«Se tu soffrissi per una ragazza, io vorrei sapere che cosa è successo, quindi ti risponderò». Susan fece un nuovo gran respiro, poi si decise. «Ho amato Caspian con tutta me stessa»
Glielo doveva, Peter era il suo punto di riferimento, la sua guida, e poi non doveva rimanere un segreto per sempre. Lei per prima non lo voleva. Amava Caspian, e l’amore che provava per lui non doveva essere motivo di imbarazzo o altro.
«Vuoi dire che…ti sei…concessa a lui?»
«Sì»
«Allora dobbiamo uscire in fretta da qui e raggiungere Narnia. Ora ti deve sposare per forza»
Susan gli gettò le braccia al collo, ridendo, e Peter ricambiò l’abbraccio.
Quella notte lo sognò, come sempre. Il viso bello e sorridente, l’accoglieva a braccia aperte, ma il sogno di solito finiva sempre nello stesso modo…tranne quella notte.
C’era qualcosa di diverso, come una strana nebbia che avvolgeva il tutto, e una voce sussurrante. Una voce che da un sussurro sinistro divenne brusca e profonda e svegliò Susan nel cuore della notte.
Si sentì tirare in piedi. Qualcuno l’aveva afferrata di malo modo per un braccio.
Sbatté le palpebre, ancora assonnata, quando si vide davanti il viso di Pug, l’uomo che le aveva sottratto il corno d’avorio.
«In piedi»
«Cosa…?»
«Non fare domande e cammina»
Pug la trascinò fuori dalla cella prima che lei avesse tempo di voltarsi verso Peter, che non si accorse di nulla fino al mattino seguente.

 
Il principe di Calormen era comodamente seduto sulla poltrona della sua sontuosa cabina.
Quel viaggio era quasi alla fine, dopo le Isole Solitarie avrebbe lanciato finalmente la sua sfida a Narnia, poi sarebbe tornato a casa in attesa di partire per il nord a dar battaglia.
Ciò che aveva in mente era un attacco a sorpresa, e con il Re lontano, i nobili di Telmar che erano ancora scettici nei confronti del nuovo e giovane sovrano, avrebbero preso decisioni per proprio conto. Il reggente di Re Caspian X, il nano rosso Briscola, contava meno di zero. Nessuno che fosse un po’ assennato si sarebbe mai rivolto a lui.
Solo uno sciocco ragazzino di nemmeno vent’anni come Caspian, avrebbe potuto mettere il regno nelle mani di una creatura come quella. Aveva ancora molto da imparare su come si governa un paese, ma i suoi giorni da Re sarebbero finiti ancor prima che fosse terminato il suo viaggio per mare.
Nani e driadi, fauni e centauri. Demoni con l’aspetto di animali. Questa era la maledetta terra sulla quale governava.
Quelle creature andavano sterminate una dopo l’altra. Erano il male. E anche Caspian era un Re che serviva il male.
Il principe del sud rammentava una storia raccontatagli da suo padre Tisroc: per colpa del demone che si nascondeva sotto l’aspetto del Leone Aslan, i loro antenati erano stati allontanati più volte dal nord. Uno dei più grandi principi mai esistiti a Calormen, Rabadash I- in seguito divenuto il quindicesimo Tisroc- era stato tramutato in asino. Una vergogna e un affronto.
E quelle assurde favole del Grande Leone erano progredite pian piano anche verso il deserto. Sempre maggiori erano i cittadini di Calormen che migravano al nord, anche per via del clima migliore, per l’abbondanza d’acqua, la bellezza e ricchezza di campi e foreste che davano i buoni frutti della terra.
Calormen era una terra desertica, dove poca vegetazione cresceva, e a volte la siccità era così alta da creare ingenti problemi.
Inoltre, sempre più persone riconoscevano il Leone come unico e solo sovrano di tutti i mondi, tradendo il grande Tash.
Quest’ ultima cosa, sopra ogni altra, impensieriva l’Imperatore Tisroc, che si vedeva privare dei suoi fedeli sudditi.
Tutto ciò era inammissibile. Quegli infedeli sarebbero bruciati all’inferno e Tash in persona li avrebbe puniti.
Da tempo immemore Calormen voleva vedere distrutta Narnia, e quale occasione migliore ora che l’Imperatore si sentiva minacciato in prima persona dalla perdita della fedeltà suo popolo? Quale migliore possibilità di assoggettare il regno ora che il Re era via?
Ergere il Tempio di Tash sulle Isole Solitarie era il primo passo. Il guanto di sfida. Quando i narniani l’avessero saputo- quando Caspian l’avesse saputo- ormai le Isole sarebbero state in mano altrui.
Con una buona dose di fortuna e un esercito preparato dalla sua, il principe di Calormen avrebbe conquistato Narnia prima di un mese. Forse avrebbe persino ottenuto l'obbedienza dei nobili di Telmar.
Quella terra era veleno, e andavano presi provvedimenti prima che contagiasse tutto il mondo.
Era troppo bella perché non fosse frutto di una qualche stregoneria. Non poteva essere perfetta, le cose perfette non esistevano e lui, Rabadash XVIII, diretto discendente di Rabadash I, principe di Calormen, primogenito di Tisroc XXXII, destinato a divenire Tisroc XXXIII, avrebbe dimostrato a tutti che Narnia non era invincibile e Aslan nemmeno.




Ci ho messo tanto, ma finalmente l'ottavo capitolo è pronto.
Mi piace dividerli in pezzi, anche perchè sarà necessario d'ora in poi, perchè si vedranno tanti personaggi diversi.
E così, uno dei due nuovi personaggi ha rivelato di essere il principe di Calormen. Ho usato sempre il nome Rabadash perchè mi piaceva, così mi sono aiutata con i numeri romani per distinguerlo dal Rabadash de "Il cavallo e il ragazzo". (un pò come la stirpe dei Caspian, no? Tra nobili si usa).
Vi piace questo capitolo? Sì? No? Fatemelo sapere con una recensione. Grassssieeeee XD
Spero di essere riuscita a descrivere bene tutto, a volte ho l'impressione di fare le cose male e di fretta, per questo ci metto secoli a pubblicare, perchè non sono mai contenta ^^'
Bè, che dire se non grazie a:


Per le seguite: Babylady, FrancyNike93, GossipGirl88, IwillN3v3rbEam3moRy, JLullaby, piumetta, Poska, SerenaVdW, Smuff LT e SweetSmile
 
Per le preferite: Charlotte Atherton, LittleWitch_, piumetta, e tinny
 
Per le ricordate: Angie_V (grazie per aver commentato il video, cara^^)
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Angie_V, Babylady, Charlotte Atherton, IwillN3v3rbEam3moRy, LittleWitch_, piumetta, SerenaVdW e tinny
 
Vi ricordo che siete in ordine alfabetico, così non faccio torti a nessuno ^^
 
Ragazze, io vi devo dire GRAZIE un milione, anzi, un miliardo di volte, perché nello scorso capitolo avete superato voi stesse con i commenti! Vi adoro care amiche di Narnia!!!
Voi non sapete quanto sia bello accendere il pc e sapere che ci siete, che mi seguite e apprezzate quello che scrivo. Voi rendete migliori le mie giornate, dico davvero.
Quindi, sia che recensiate, sia che la leggete e basta, o anche solo a chi passa di qui e legge appena una riga: GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE!
Un bacio infinito,
Susan<3

 
 
   
 
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