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Autore: marwari_    16/12/2012    4 recensioni
Male e Bene gareggeranno, di cui i figli paladini saranno.
Chi infine vincerà? Questo davvero non si sa.
[e se.. Biancaneve non fosse l'unica ad avere per figlia una salvatrice?]
TEMPORANEAMENTE SOSPESA - FINO A: DATA DA DEFINIRE
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6 - la figlia della regina
C'era un insolito viavai in quella strada. Quasi tutti gli abitanti di StoryBrooke avevano deciso si passare davanti all'ufficio del sindaco.. solo per una passeggiata.
Regina si alzò infastidita dall'ennesima occhiata che un passante curioso aveva rivolto  verso il primo piano dell'edificio, si mise davanti alla finestra ostentando un largo sorriso e chiuse le persiana con un gesto secco.
Leroy bofonchiò tornando sui suoi passi.
La donna abbassò la schiena sulla scrivania, apponendo la sua firma elegante sull'ultimo pezzo di carta. Prese in mano il plico di fogli, pareggiandolo, e lo ripose accuratamente in una cartellina nera, poi nel cassetto.
«Perdonami, erano questioni urgenti.» disse avvicinandosi al divano su cui si era seduta Armida.
La stanza era solo illuminata dal fuoco del camino e il calore di diffondeva irregolare ovunque.
«Non fa nulla.» la ragazza era seduta da un lato, rigida, le mani posate in grembo
«Non.. vuoi proprio raccontarmi la tua storia?» Regina la raggiunse, sedendosi al centro. Non voleva mostrarsi troppo distante, anzi, era quello che stava cercando di evitare, ma nemmeno troppo vicina, per non forzarla
«Non credo tu sia pronta.» ribatté atona, guardandosi le proprie dita tormentarsi tra di loro
«Allora quando?» incalzò la voce dell'altra, mentre guardava il suo profilo illuminato dai colori danzanti del camino. Armida sospirò profondamente, chiudendo per un attimo gli occhi.
«Non eravamo reali, o nobili, o tantomeno ricchi. Ma eravamo felici.. prima che scoprissi la verità. Quando aprii gli occhi, quel giorno.. cambiò tutto.» accennò ad una risata, e nel silenzio, tra lo scoppiettio dei ciocchi, apparve amara «Ti ho odiata per ventinove anni.. qui, quando il tempo si fermò.. e là, da quando scoprii la verità. Ti ho odiata a lungo. Ma il vero odio l'ho provato solo per poche ore.. il resto.. era..» Armida prese un respiro, sbattendo le palpebre, cercando di trovare la parola giusta per concludere «..paura.» sussurrò, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Regina distolse lo sguardo. Odio? Sì, l'aveva messo in conto. Paura? No, quella era una novità, mai avrebbe immaginato che provasse paura per lei.
«È un tuo diritto odiarmi.»
«L'ho fatto.» aggiunse subito la ragazza, quasi senza lasciarla terminare
«E poi cos'è successo?» la donna rivolse di nuovo lo sguardo verso lei. Armida prese a fissare il fuoco
«Ti ho vista.»
 
Si svegliò stropicciandosi gli occhi. Sentiva gli spifferi gelati entrare dalle imposte appannate, i fiocchi di neve che scivolavano contro il vetro grezzo.
Nonostante la spessa coperta di lana bianca, la ragazzina tremava nel suo letto, cercando di scaldarsi come poteva: il piccolo camino acceso, nell'altra parte della casetta, bastava a malapena per intiepidire il paiolo che conteneva la minestra annacquata.
Inspirò a lungo, prima di decidersi a tirarsi a sedere.
Si guardò attorno, mentre le immagini diventavano più lipide
«Buongiorno cara.» una donna si girò distogliendosi dalle sue faccende e le sorrise ampiamente «Buon compleanno.»
La ragazzina guizzò fuori dal letto e si tuffò tra le sue braccia «Non voglio andare.» singhiozzò. La donna le accarezzò la testa, sorpresa da quella reazione
«Andare dove?»
«A combattere gli orchi. Ho tredici anni, adesso.» la donna rise di gusto, lasciando cadere la testa all'indietro
«Non ci avrai creduto davvero, per tutto questo tempo!» due occhi marroni si spalancarono colmi di speranza «La guerra è finita da tempo, era solo una storia che utilizzava tuo padre per rabbonirti.» il viso della ragazza si imbronciò e la donna le accarezzò una guancia «Ora va' a vestirti. Sul tavolo c'è la colazione.»
«Papà?»
«È a caccia.» la donna la osservò mentre si infilava la maglia di lana, il corpetto di pelliccia rattoppato, le calze pesanti e la bloccò, prima che si potesse infilare gli stivali «Non ci pensare nemmeno!» la minacciò con un mestolo «Fa' troppo freddo, oggi.»
«Ma perché? È primavera, non dovrebbe nevicare.» sbuffò la ragazzina, sedendosi al tavolo per mangiare da una scodella piena di latte e pane raffermo
«È la regina.» sospirò la donna «Sempre più freddo. Sempre più desolato. È un regno triste, questo.»
«E cosa ci guadagna?» la ragazzina portò al lavello la tazza completamente ripulita.
«Nulla, Amy. Non ci guadagna nulla. Quella donna ha solo perso molto, nella vita.» le sorrise, prendendole il mento tra le dita
«Posso raggiungere papà a caccia? Ti prego.» sbatté le lunghe ciglia ricurve e la donna si sciolse.
«D'accordo. Ma fai attenzione.» la ragazzina si infilò gli stivali ed il mantello, tirandosi su il cappuccio. Socchiuse appena la porta, scivolando all'esterno «Amy!»
«Sì?» si bloccò sull'uscio, cercando di coprirsi le mani con le maniche della maglia
«Prima di tornare fai un salto al pozzo e vedi se l'acqua non è ghiacciata.»
«Sì, mamma.» Amy chiuse la porta, agguantando il secchio vuoto vicino al muro esterno della piccola casa in legno.
 
Le era sempre piaciuta la neve, anche se il freddo che la accompagnava era un disastro, sempre, per tutti. I raccolti venivano rovinati, gli animali si rifugiavano nelle tane e l'acqua era difficile da recuperare; gli inverni erano sempre faticosi per il villaggio, e stavano diventando sempre più lunghi.
La neve era l'unica cosa che riusciva a rallegrarla: tutto diventava bianco, uniforme, irreale, come avvolto da un sogno. Si creavano sentieri dietro i suoi passi; nel silenzio più totale gli uccellini schizzavano fuori dai rami come frecce.. il cielo si sgretolava, per abbracciare tutti nei suoi delicati fiocchi d'acqua.
La ragazzina saltellò qua e là tra gli alberi, cercando di non schiacciare con passi goffi i rametti o le foglie secche. Il suo respiro, appena udibile, si manifestava in nuvole bianche, dense, davanti ai suoi occhi, mentre la punta del naso e le orecchie cominciavano a pizzicare. Freddo.
Passò il secchio vuoto da una mano all'altra, cercando di nascondere le dita rosse nella manica della blusa, e continuò a camminare, guardando gli alberi, osservando e ricordando le curve tracciate dai sentieri, anch'essi privati alla vista dalla coltre candida.
Amy guardò verso il cielo, tutto era bianco. L’orizzonte si confondeva con sé stesso, rendeva il paesaggio infinito, magico, bellissimo. I soli, silenziosi, abitati erano gli alberi scuri, i trochi sporchi di neve, le cortecce ruvide e graffiate, i rami spogli che di tanto in tanto, cedevano al peso dei fiocchi e lasciavano cadere pugni freddi al suolo. Uno di essi colpì la ragazzina sulla spalla, facendola sobbalzare.
Si girò, scrollandosi di dosso la neve. Era meglio non bagnarsi la testa, anche un banale raffreddore, di quei tempi, poteva essere fatale.
Doveva essere vicino ai terreni di caccia di suo padre. Gli uomini del villaggio erano soliti segnare i tronchi degli alberi in prossimità delle tane più frequentate o vicino a ruscelli in cui era possibile catturare dei pesci, se si era particolarmente fortunati.
Vento gelido scottò le guance della ragazza. Prese la direzione opposta dei graffi che indicavano la via per il ruscello e si diresse verso le tane dei conigli; forse avrebbe anche potuto vedere delle volpi.
O lupi.
Sentì dei passi felpati avvicinarsi. Sentì una rametto spezzarsi alle sue spalle.
Il fiato le si bloccò per un istante.
Che bel compleanno. Sbranata dai lupi.
Non le venne in mente altro. Non si voltò. Prese a correre. Senza meta.
Urtò alberi, strappò il mantello contro i rami, fece scappare gli uccelli dai rami quando il secchio vuoto colpì una roccia.
Corse a lungo, anche quando non udì più rumori alle sue spalle. Non pericolosi almeno.
Che sciocca era stata. Forse era stato solo un animaletto innocuo, anzi, certamente, perché a quel punto, se fossero stati lupi, sarebbe stata già morta da un pezzo.
Rallentò gradualmente, il fiatone che si condensava e le toglieva quasi la vista. Aveva le mani congelate, il viso freddo e, paradossalmente, il resto del corpo in fiamme, era sudata, e se non si fosse precipitata a casa per cambiarsi, probabilmente, si sarebbe beccata una polmonite.. e quello sarebbe stato il suo ultimo inverno, il suo ultimo compleanno, la sua ultima neve.
«Corri veloce, sai?» Amy sobbalzò all’indietro, le sue caviglie incontrarono un tronco e si ritrovò per terra, tra la neve, mentre i suoi occhi cercavano di identificare la figura umana che era sbucata, all’improvviso, davanti a lei
«Papà?» l’uomo si levò il cappuccio dalla testa, rivalendo un’aria bonaria e divertita
«Potresti competere con i lupi, lo sai?» la ragazzina boccheggiò
«Pensavo di essere inseguita dai lupi! Mi hai fatto morire di paura.» si aggrappò alla mano che l’uomo le tendeva e si rialzò, scrollandosi di dosso la neve.
«Guarda qui!» sollevò davanti ai suoi occhi tre conigli stecchiti, legati per le zampe posteriori
«Ma che schifo!» rise lei quando glieli sventolò sotto il naso con aria trionfante
«Non credo avrai la stessa reazione quando finiranno nel tuo pancino e le loro pelli ti faranno una nuova casacca per l’inverno!» Amy rise di nuovo, guardandosi attorno.
Non riconosceva quei luoghi, non riconosceva le valli, le colline innevate.. e si era spinta fin lì per sfuggire all’assalto inesistente di suo padre.
«Ma dove siamo finiti?» l’uomo si guardò attorno e sospirò aguzzando gli occhi
«Siamo.. ai confini della foresta. Sono i terreni della regina. Se ci trovano con questi in mano, ci rinchiudono a vita nelle galere… o verremo giustiziati.» le mani callose dell’uomo si depositarono sulle spalle della ragazza e la rivoltarono «Quindi, suggerirei di tornare a casa.. e in fretta.» la ragazzina annuì, tornando sui suoi passi sotto il braccio dell’uomo. Non doveva più avere timore della foresta né tantomeno dei lupi. Si sentiva protetta e al sicuro.. non stava vagando senza meta nella neve, non stava andando allo sbaraglio nel freddo. Suo padre l’aveva trovata e la stava riportando a casa.
«Shhht. Ferma.» ad un certo punto l’uomo si bloccò. Amy venne colta alla sprovvista, ma riuscì ad imitarlo quasi subito, senza fare domande. Lui faceva così solo in prossimità di una preda da catturare, e il loro bottino era già al sicuro nella borsa di cuoio che lui portava a tracolla. Cosa c’era lì davanti?
Entrambi si misero in ginocchio e gattonarono fino alla sporgenza della collinetta sulla quale si erano inerpicati, nonostante la neve.
Ai loro piedi c’era una piccola radura e, più in là, tra le nuvole basse e due montagne altissime, tutte bianche, spuntavano con prepotenza le appuntite torri del castello.
La ragazzina rimase a guardarlo estasiata, non l’aveva mai visto, l’aveva solo immaginato. Possibile si fosse spinta così lontano nella foresta?
Suo padre le indicò con l’indice la radura ai loro piedi. Una piccola armata a cavallo di cavalieri oscuri stavano scortando la carrozza attraverso i passi di montagna, sui sentieri più grandi.
Quando furono nella radura, si bloccarono. Amy rimase in silenzio, quasi senza respirare. Perché si erano arrestati? Avevano visto lei e suo padre? Li avrebbero presi?
«Dove stanno andando?» chiese con un filo di voce
«Suppongo.. al palazzo esitvo.» rispose l’uomo a tono.
Amy continuò ad osservare e, con suo stupore, vide la carrozza aprirsi.
Un cavaliere si affrettò a riparare la regina sotto un ombrello nero mentre lei, con fare altezzoso, si sistemava il prezioso vestito in velluto cremisi e si avvicinava ad un cavallo dal manto nero come la notte.
Non riuscì a vederla in viso, ma immaginò che la sua bellezza andasse di pari passo con la paura che suscitava in tutti. Anche se non era vicina, anche se la regina non sapeva nemmeno della sua esistenza, Amy si sentiva vuota, nuda, come se i suoi occhi, che non aveva visto, le stessero scrutando l’anima. Molti tra i suoi sudditi dicevano che fosse una strega, una potente ammaliatrice, una donna spietata che non si fermava di fronte a niente e a nessuno pur di raggiungere il suo agognato obiettivo: la vendetta di cui nessuno sapeva l’origine.
Non capiva. Non capiva davvero perché volesse rinunciare al tepore della carrozza che la stava ospitando, per immergersi in quell’oceano di gelo sul dorso di un destriero.
«Perché?» chiese la ragazzina «Ha una carrozza, perché non la usa?»
«È la regina.» la risposta arrivò tagliente, anche se poteva essere una motivazione poco sensata «Non teme il freddo. Passerà dal sentiero di montagna più frequentato, incontrerà contadini e allevatori, mercati.. tutte povere anime che si trascineranno tra il fango e la neve mentre lei li guarderà uno ad uno, dall’alto, inginocchiati ai lati del sentiero per farla passare.» l’uomo gattonò all’indietro, imitato poco dopo dalla ragazzina «Lei è la regina: ci possiede tutti.» Amy lo fissò a lungo, una volta rimessasi in piedi.
«La rivedremo?»
«Non penso.» saltarono un tronco a terra «Lei sarà costretta a seguire il sentiero mentre noi saremo a casa a goderci i nostri conigli.» l’uomo abbozzò un sorriso, ma la ragazzina capì che non era sincero. Era solo un sorriso tirato che aveva piegato le sue labbra per confonderla, per tenerla all’oscuro di qualcosa che, molto probabilmente, era meglio non sapere.
Ci vollero parecchi minuti per ritornare nella parte di foresta conosciuta. I vecchi alberi, i vecchi sentieri sommersi dai fiocchi, i soliti rami caduti che nessuno aveva la voglia né la forza di spostare
«Papà, devo andare al pozzo.» Amy si guardò attorno «Per di qua, giusto?» segnò la strada che voleva percorrere con il braccio teso e l’uomo annuì
«Ci vediamo tra poco, allora. Fai in fretta che si gela, qui fuori.» la ragazzina annuì. Lo osservò per qualche istante, finché la sua testa non scomparve oltre la collina.
Si girò e prese a saltellare allegramente sui passi di altri che, prima di lei, si erano diretti al pozzo per l’acqua. Forse sarebbe anche stato inutile, poiché, sicuramente, l’acqua sarebbe stata completamente gelata.
Il piccolo pozzo era stato costruito su di una graziosa collinetta con pietre squadrate, il tetto era fatto di legno scricchiolante che reggeva la corda e il secchio per miracolo. A breve, sarebbe stato necessario cambiarlo.
Amy legò il secchio all’estremità della corda e si sporse sul bordo per cercare di vedere fino infondo. Nulla.
Calò il suo secchio per alcuni secondi, finché non sentì una botta grave e la corda che si allentava. Attese un po’ e fece forza per tirare su il secchio, ma le sue braccia non dovettero sforzarsi più di tanto e, quando recuperò il cilindro di legno, capì che quel tonfo era stato il secchio che urtava il ghiaccio.
Così non andava bene. L’acqua serviva.
Si guardò attorno accigliata. Una sasso. Un sasso abbastanza grande.
Lo raccolse e si appoggiò al bordo del pozzo, lasciandolo cadere all’interno.
Silenzio.
Poi il tonfo. Il ghiaccio crepitò e lasciò passare il sasso. Sentì l’acqua smovesi, agitarsi.
Con entusiasmo calò di nuovo il secchio e lo tirò fuori, colmo d’acqua e qualche pezzo di ghiaccio che galleggiava in superficie.
«Ingegnosa!» Amy fece in tempo a sollevare gli occhi, prima di cadere all’indietro, di nuovo, nella neve. Non era stato suo padre, non era un lupo, era un essere strano, dalla pelle luccicante, che stava seduto sul bordo del pozzo con un singolare sorrisetto sulle labbra
«Co-cosa siete?»
«Cosa, cosa, cosa? Sei proprio uguale a tua madre.» l’essere scese a piedi uniti, rimanendo dritto davanti alla ragazzina «Io, sono un “chi”.» chiuse gli occhi in un gesto teatralmente offeso, ponendosi una mano sul petto
«Perdonatemi.» la ragazzina si rialzò, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua pelle dorata
«Tremotino è il mio nome.» fece un profondo inchino, spalancando le braccia. Amy gli rivolse un piccolo ossequio
«Io mi chiamo Amy.» piegò leggermente le ginocchia, ma lo stregone le rivolse una smorfia poco convinta
«Non ne sarei tanto sicuro.»
«Che intendete dire?»
«Conosci il tuo nome come conosci tua madre.» quelle parole giunsero strane alle sue orecchie. Tremotino le si avvicinò cautamente e cominci a modulare la voce
«Era un giorno nevoso come questo. Faceva freddo… quando tua madre venne da me.» Amy rimase immobile mentre l’uomo le girava attorno «Voleva proteggerti.. e vi ha condannate entrambe. Io conosco il futuro, conosco i vostri destini ed è mio preciso compito.. farli avverare.» la ragazzina aggrottò le sopracciglia
«Ho sentito parlare di fate che esprimono desideri, non di maghi dalla pelle dorata che conducono le persone verso il loro destino.»
«Hai mai sentito parlare..» Tremotino si avvicinò all’orecchio della ragazza «..dell’Oscuro?»
«Voi siete l’Oscuro?» Amy inspirò profondamente, mentre i suo cuore accelerò. La sua mente le gridava di scappare, di fuggire lontano da quell’essere e le sue gambe erano pietrificate
«Quasi quattordici anni sono passati, da quando lei, proprio in quella radura al confine della foresta, si perse per cercarmi. Quasi quattordici anni sono passati da quando le sue orecchie hanno udito queste parole, guerriera.» non le diede il tempo di replicare, di domandare, nemmeno di ragionare, che cominciò a saltellarle attorno, canticchiando divertito la filastrocca. Quelle parole le si scolpirono in testa, lettera dopo lettera.
Battaglie. Amori. Paladini. Figlie perdute. Regine e principesse.
«Cosa dovrebbe dire?»
«Dillo tu a me, Senza Nome.» le arricciò una ciocca di capelli tra le dita, che lasciò dopo pochi istanti
«Non sono quella bambina. Non sono chi credi che io sia.»
«Ti sbagli, mia cara. Sei tu che non sai chi sei.»
«Nella culla c’è una bambina, è la figlia della regina.»
«Basta, hai già pronunciato queste menzogne!»
«Tante sono le avversità, che con ella spartirà. Due le facce della stessa magia, che una volta riunite diranno “battaglia sia!”» Amy si portò le mani alle orecchie, chiudendo gli occhi, ma a poco servì. La voce di Tremotino penetrava ancora la sua mente, forte, tagliente e decisa «Ruoli invertiti tra madre e figlia, ecco lo strano di questa famiglia. Prima divise, poi ritrovate, alla salvezza entrambe aspirate! Nel giorno finale, in cui lotta sarà, per proteggere lei.. la figlia cadrà.»
«Non sono la figlia della regina!» disse con voce ferma «E di sicuro non darò la vita per una strega che uccide i suoi sudditi nel gelo e nelle carestie.»
«Lo sei, cara, e lo farai. Perché è il tuo destino.»
«No.» i suoi occhi si velarono di lacrime. Se l’Oscuro diceva la verità, la sua vita dunque era costruite su effimere verità, su beffe, su bugie.
«Chiedi alle persone che ti hanno cresciuta. Chiedi di un ciondolo. Chiedi del luogo in cui ti hanno trovata.»
«Dimmi tu, chi sono.. cosa sono.»
«Scoprirai la tua natura, guerriera, quando… li ucciderai.»
«Cosa?» Amy sbandò all’indietro, la bocca spalancata. Ucciderli? Per quale assurdo motivo?
«Perché? Perché mi stai dicendo tutto questo? Cosa ci guadagni?» Tremotino le si avvicinò in un lampo, prendendole il viso in una mano mentre, con l’altra, le asciugava le lacrime
«Perché è il tuo destino. Ed io, un giorno, ci guadagnerò.»
«Chi sono?» gli urlò, quando la presa sul suo viso si sospese
«Sei una guerriera.»
«Io sono una guerriera.» ripeté con la mente vuota, incredula. Tremotino si portò dietro il pozzo, sorridendo.
«Ora sì che si ragiona.» piegò il busto in un altro, profondo inchino. «Incantato.»
Amy sbatté le palpebre e in quel minimo tempo l’Oscuro svanì.
Di lui non rimaneva nulla, nemmeno delle impronte tra la neve. Gli occhi sembravano gelare e le guance infiammarsi per il freddo che si attaccava alle lacrime che rigavano il suo volto.
Dove fuggire? Dove scappare?
Lasciò il secchio a bordo del pozzo, la vista annebbiata, e corse giù per la collinetta, scavalcando rami e girando per alberi senza nemmeno guardare. Era la sua foresta, aveva giocato tra quegli arbusti, era cresciuta tra quei tronchi. Sua, ma di chi, se non conosceva nemmeno la verità su sé stessa?
Suo padre le aveva rivelato che tutti i sudditi di quel reame erano possesso della regina, ma se tutta la storia dell’Oscuro era vera, lei, era una sua proprietà a tutti gli effetti.
Riconobbe i contorni sfumati della sua casa, attraversò il villaggio di corsa, l’odore dei minestroni di verdure messi sul fuoco impregnava l’aria. Con quel gelo si erano tutti rifugiati nelle abitazioni e lei era l’unica persona che sfrecciava tra le case illuminate dai deboli fuocherelli.
Bloccò la sua corsa sfrenata contro la porta di legno, i palmi spalancati contro le ruvide assi, una guancia appoggiata ad esse, gli occhi chiusi, le lacrime che si mischiavano con la neve.
Sentì l’appoggio svanire sotto di sé. Aprì gli occhi di corsa, quando la porta venne spalancata
«Amy?» no. Non era quello il suo nome. La ragazzina affondò tra le braccia della donna solo per pochi istanti
«No! Dimmi la verità, voglio sapere chi sono.» la donna rimase interdetta. Tredici anni erano passati, quella storia era stata quasi dimenticata, sostituita da altre, dal sapore tanto più dolce che menzognero
«Che verità?» il padre sopraggiunse. Affrettandosi a chiudere la porta alle sue spalle.
«Tr-Tremotino..» singhiozzò. «Lui mi ha detto..» la donna non le permise di continuare. Le mise un braccio sulle spalle, conducendola verso il letto matrimoniale. Aperse lo scrinino che giaceva accanto ad esso da tempo immemore e prese nel palmo una piccola piastrina luccicante
«Portevi al collo questa.. quando ti trovammo nel bosco.» Amy la prese tra le mani. Passò i polpastrelli sulla “A” incisa in corsivo da un lato e rimase a fissare con stupore e amara tristezza il simbolo della famiglia reale
«Quindi è tutto vero?» la donna sospirò, prendendo la fine catenella e mettendola al collo della ragazza
«Lo stemma regale è di solito dato alla regina per simboleggiare che ella appartiene al re e a lui soltanto. Donandolo a te..»
«Mi ha reso una sua proprietà.»
«È solo un simbolo. Non significa nulla… la regina ti ha lasciata, ha fatto la sua scelta.»
«Perché mentire?» le lacrime ripresero a bagnarle il viso
«Per non lasciarti condizionare! ..e per proteggerti!» sbottò l’uomo, cercando di levarle la placchetta, ma la ragazzina scartò all’indietro, stringendola nella mano «Quella donna è una strega. Se la gente venisse a sapere chi sei ti temerebbero, o peggio, ti ucciderebbero solo per il legame di sangue che condividi con lei!»
Seguì un silenzio che durò per minuti, che sembrarono ore.
L’intera sua vita era crollata sotto i suoi piedi. Non aveva più appoggi. Aveva solo menzogne e storielle, non sapeva dove iniziava la verità e dove la bugia.
Tredici anni. Era sempre stata un’età temuta da tutti. E lei pensava che, arrivato quel giorno, avrebbe dovuto affrontare battaglie, fuggire da spietati orchi, morire sacrificando la propria vita al cielo irrorato di sangue.
Non doveva fuggire dagli orchi. Non doveva nemmeno fuggire dalla regina.
Doveva fuggire da sé stessa.
«Voglio rivederla.» mormorò con lo sguardo fisso sulle assi sconnesse del pavimento «Voglio vederla in volto.»
«Fuori discussione.» l’uomo si interpose avvicinandosi «Quella donna è malvagia.. e anche se non vogliamo considerarla tale, ti ha lasciato nel bosco da sola. Un motivo ci dovrà pur essere.»
«Voglio vederla.» ripeté con più convinzione
«Amy..» la donna provò ad avvicinarsi
«Non è il mio nome!» aperse gli occhi sgomentata. Aveva appena afferrato il polso di sua madre e lei si era allontanata tenendosi stratta la mano. Le impronte delle dita della ragazzina erano state come marchiate a fuoco sulla pelle.
Si guardò la mano. Non c’era nulla di strano. Eppure aveva bruciato la pelle, come fossero state incandescenti.
Strega, disse a sé stessa, nella mente. Strega.
«Fuori!» la ragazzina si volse. Suo padre la stava tenendo a distanza con un forcone.
I suoi occhi presero a lacrimare incontrollati
«Non volevo..»
«Sei pericolosa. Sei una strega come lei.»
«Può imparare, non possiamo abbandonarla come ha fatto lei tredici anni fa!» la madre cercò di avvicinarsi, ma l’uomo la raggiunse, mettendo il forcone tra loro e la ragazzina
«Forse è il motivo per cui l’ha abbandonata!»
«Non essere sciocco, è Amy!»
«Papà..»
«Strega!» la testa della ragazzina sembrò scoppiarle per un istante. Non era una strega non voleva fare del male. Era magia? Magia nera? Le sue mani non erano addestrate per compiere simili malefici. No, cosa le stava succedendo.
Strega. Le parole di suo padre rimbombarono nella testa. Vide fiamme.
Quando riaperse gli occhi i vestiti che indossava l’uomo avevano preso fuoco.
No! Cosa stava facendo? Era davvero pericolosa, dunque?
Le fiamme lo avvolsero, lo consumarono, lo mangiarono. Finché non crollò a terra e le assi della casetta presero fuoco. Non riusciva a controllarsi, non riusciva a capire.
Era pietrificata e sua madre la guardava con il terrore negli occhi.
Il fumo si espandeva, accecava, soffocava.
«Non.. volvevo…» la donna le scivolò accanto lentamente, dirigendosi verso la porta, senza parole da rivolgerle. Non poteva lasciarla sola. Non poteva. «Non andare.» la supplicò. Ora che era lì, sola, chi poteva proteggerla e confortarla? Non era una strega, era solo una ragazzina.
La donna non si fermò. Sgusciò fuori. La ragazzina tese la mano per fermarla, e ci riuscì anche troppo bene.
L’aveva gelata completamente. La sua figura giaceva immobile, circondata da un alone azzurro di freddo ghiaccio.
Lei era ancora nella casetta, tra le fiamme, con la mano tesa, mentre sua madre era una statua appena fuori la porta.. e il villaggio stava accorrendo verso di loro, allarmato dal fumo e dal fuoco.
«Strega! Strega!» ripetevano tutti. Le donne le puntavano le dita contro, i bambini scappavano nelle case seguiti dagli uomini, che uscivano con i forconi stretti in pungo.
Era un incubo. Voleva solo svegliarsi.
Era la sua gente, come potevano avere paura di lei? Per tredici anni aveva vissuto con loro, fianco a fianco nei campi, sotto il sole, tra il gelo. Dopotutto avevano avuto paura i suoi genitori, come poteva biasimarli?
«Al rogo! Al rogo!» la ragazzina corse fuori dall’abitazione un secondo prima che collassasse. Senza rendersene conto, urtò la statua di ghiaccio che, ruzzolando a terra, finì in mille frammenti.
Scansò alcuni forconi lanciati, costeggiò le abitazioni più vicine e prese, ancora una volta, i sentieri dei boschi
«Via, via strega! Non tornare mai più!» furono gli ultimi saluti che il suo villaggio le rivolse.
Non era una strega. Era un mostro? Cos’era? Cos’era diventata?
Era davvero il suo destino oppure se non avesse conosciuto la verità, nulla di tutto quello sarebbe accaduto?
Ma di chi era la colpa? Non sua, non dei poveri sciagurati caduti sotto la sua magia, non della regina, non di Tremotino. Di chi? E a cosa servava incolpare qualcuno?
Non aveva nemmeno più lacrime da piangere.
Era la figlia della regina, di una strega, lo era anche lei. Perché? Chi doveva decidere della sua vita? E quella foresta, che l’aveva sempre custodita, dal giorno della sua nascita, perché non la lasciava andare? Perché la stava imprigionando tra i suoi alberi?
Corse ancora, lungo i sentieri scivolosi. Tra rami lunghi come dita che le afferravano il mantello e uccelli neri che schizzavano fuori dalle fronde per indicarle vie disgiunte e la neve, soffice e bianca, che la bloccava in sé stessa, facendola cadere più e più volte.
Era quella la guerriera che aveva nominato l’Oscuro?
Non voleva essere una strega, non voleva possedere magia, non voleva essere la guerriera della donna che l’aveva condannata.
Deviò dai sentieri, prendendo a correre senza meta attraverso gli alberi.
Aveva sempre avuto paura dei tredici anni, aveva sempre avuto paura della guerra degli orchi. Sarebbe stata una guerriera, avrebbe combattuto battaglie con la magia e.. dalla parte del male. Non era lei, non avrebbe mai immaginato un futuro simile.
Ma chi era infondo?
E se fosse stato veramente quello il suo dentino fin dal principio?
Sentì dei umori in lontananza, ma non ci fece tanto caso. Anzi, forse il suo orecchio non li percepì nemmeno. Voleva gridare, far levare tutti gli uccelli in cielo, coprirlo di nero, com’era la sua mente in quel momento.
Invece, attorno a lei, tutto era bianco, immobile, fermo, immacolato.
I suoi occhi annebbiati dalle lacrime scorsero la fine della collonetta sulla quale si era inconsapevolmente avventurata. C’era un burrone, il vuoto.
Non fermò nemmeno la sua corsa e continuò, verso quel baratro, senza pensare alle conseguenze. Saltò quando il suo piede si appoggiò nel vuoto.
Era un burrone non tanto alto e si ritrovò a rotolare nel fango di un sentiero abbastanza grande. C’erano persone ai lati della strada.
Erano tutte in fila, gli occhi puntati su di lei.
Fece forza sulle braccia, sollevandosi quel poco che le permise di voltare il viso.
Le guardie. I cavalieri neri della regina.
Uno di loro le afferrò il braccio, prendendola e portandola di peso ad uno dei due lati colmi di gente dagli occhi vuoti e dalle guance scavate
«Inchinati!» le urlò nelle orecchie «Inchinati alla regina!» e tutte le persone si chinarono con le ginocchia nel fango e lo sguardo basso.
La regina passò di fronte a loro guardandoli uno ad uno; solo due occhi sostennero i suoi e lei, dall’alto del suo destriero, dipinse un sorriso sulle labbra quando la guardia la colpì in viso.
«Non sei degna di guardare la regina.»
Il corteo passò, tutte le persone se ne andarono lentamente per le due parti del sentiero. La ragazzina rimase in ginocchio finché non fu di nuovo sola.
Perché non riusciva ad odiarla? Sarebbe stato tutto più semplice.
Forse perché era il loro destino.. ritrovarsi, un giorno. E lei, anche se non era degna di guardare nei suoi occhi, forse, un giorno, sarebbe stata degna di proteggere quella donna, quella.. strega, che possedeva lei e la sua vita, che non aveva paura di niente, che regnava ed era temuta.
Chiuse gli occhi, e le sue lacrime si cristallizzarono al suolo.
Non aveva, davvero, più lacrime da versare. Non aveva motivo per farlo.
Quando riaperse quegli oceani scuri e profondi che erano i suoi occhi, la neve cadeva ancora.
 
«Mi dispiace..»
«No, non è vero.» Armida la fissò in volto. Poteva essere cambiata, cresciuta, non essere più la Regina di quella terra. Adesso, ma prima lo era stata. «Non ti dispiaceva. Eri la regina, eri potente.. eri temuta e quindi rispettata. È da quel momento che ho smesso di odiarti.. perché capii che non sarebbe servito a nulla. Non potevo sconfiggerti e non avevo nemmeno un motivo valido per farlo.. ero comunque tua figlia, odiavo esserlo, ma non odiavo te.»
«Che hai fatto?» Regina ingoiò un boccone amaro
«Sono scappata, nella foresta. Mi trovarono. Mi addestrarono. Volevo diventare il tuo cavaliere oscuro.»
 
 
 
 

 
 
 
angolo autrice: scusate per il ritardo ma non ho avuto un secondo libero e.. questo capitolo doveva essere fatto bene (ecco perché l'ho scritto in due giorni xD) e non trovavo la giusta ispirazione. Poi la neve è scesa e BOOM, le parole si sono inserite una dopo l'altra!
Volevo ringraziare tutti i visitatori silenziosi, chi lascia una recensione, chi ricorda e chi mette tra le preferite questa mia sclerata (siete in 5 *^*) vi amo tutti!!

Ancora una volta, vorrei ringraziare di cuore McHardcore, che ha creato questa magnifica immagine!!

http://i.imgur.com/Lb8C0.jpg



Grazie a tutti e alla prossima!! ...si prospetta una settimana faticosa, almeno per me, quindi.. faccio a tutti un 'in bocca a Ruby' ;D
 
   
 
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