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Autore: _Any    16/12/2012    8 recensioni
Avete presente quelle storie dove una ragazza ribelle e contro la società incontra uno dei Green Day e se ne innamora?
Ecco.
SCORDATEVELE.
Alice è tutt'altro che perfetta. Non è una ribelle, è timida, impacciata, maldestra e si lascia manipolare troppo facilmente.
Ha una sorella gemella e nessun amico, eppure le va bene così.
Ma una telefonata anonima metterà seriamente in crisi il suo piccolo mondo.
E se ci fosse qualcosa di buono anche nell'oscurità che circonda la sua gabbietta dorata?
Varrà davvero la pena di uscire?
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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31 agosto 1988


«Io ancora non ci posso credere.» mormorò mia sorella scoraggiata in piedi davanti alla porta di casa mentre il nostro sconosciuto cugino raccoglieva la sua roba.

In effetti come darle torto?

Una persona mai vista prima ci aveva detto di essere nostro cugino e aveva chiesto ospitalità per un tempo indeterminato per motivi che si rifiutava di dire.

Certo, avremmo potuto dirgli di no, di andare a cercare “asilo politico” da un'altra parte, ma di fronte a questa risposta aveva reagito dicendo che allora sarebbe rimasto al 7-11 senza neanche prendere lontanamente in considerazione l'idea di tornare a casa.

E il fatto che fosse davvero qualcuno che ci conoscesse era certo, l'aveva dimostrato, non potevamo semplicemente abbandonarlo al suo destino come un oggetto.

Anche se ancora non sapevamo come si chiamava.

«Ecco la tua stanza.» disse mia sorella spingendo la porta di una delle camere per gli ospiti che avevamo.

Senza dire una parola lui entrò dentro e gettò senza troppa cura il suo borsone sul letto. Al contrario, mi colpì il fatto che avesse appoggiato con grande delicatezza quello che sembrava essere il fodero di una chitarra.

Calò un silenzio imbarazzante, sembrava che tutti volessero dire qualcosa, ma nessuno aveva il coraggio di farlo.

Guardai Evelyn negli occhi, anche per lei valeva lo stesso.

Improvvisamente, non so bene perché, si voltò e si allontanò anche lei senza dire nulla.

«Ehm... scusami...» iniziai senza sapere bene cosa dire.

«Sì?» mio cugino si voltò verso di me smettendo di riversare il contenuto del suo borsone sul letto.

«S-senti, so che ti sembrerò una stupida, ma... non è che potresti dirmi come ti chiami?» chiesi imbarazzatissima.

Dopotutto se le cose fossero continuate in quella direzione di sicuro non si sarebbe mai presentato, anche perché era convinto che sia io che mia sorella sapessimo il suo nome.

«Come?» mi guardò a metà tra il divertito e il perplesso. Poi scoppiò a ridere e il mio imbarazzo salì alle stelle.

Avevo serie difficoltà a capirlo.

Ero abbastanza convinta di essere arrossita.

In quel momento sembrava di ottimo umore, mentre pochi minuti prima sembrava nel più profondo sconforto.

Forse era semplicemente troppo diffidente per potersi aprire? Come un animaletto che è costretto a camminare su un terreno sconosciuto dovendo avere paura ad ogni passo.

«Né tu, né Evelyn vi ricordate il mio nome eppure mi ospitate in casa?»

«Pensavamo di poterci fidare dato che ci conosci.»

«Anche se fossi uno stalker potrei dimostrare di conoscervi.» mi ammonì.

«... Sei uno stalker?» chiesi ingenuamente.

«Dovrei essere uno stalker idiota per dirlo così. Anche se sono convinto che gli americani siano un popolo di idioti, io non arrivo a questi livelli.» ridacchiò.

Ero io l'americana idiota lì in mezzo.

«Scusa...» mormorai imbarazzata.

«Comunque sono tuo cugino Billie Joe.» mi rispose infine.

Billie Joe?

Il nome mi era familiare, ma com'era possibile che non ne ricordassi il volto? Dopotutto i suoi fratelli li ricordavo tutti.

Ci avrei pensato più tardi.

Comunque di sicuro era imparentato con la sottoscritta. Del restoriusciva a distinguere me e mia sorella senza problemi e conosceva il nome di nostro padre.

Nemmeno io, forse, lo avevo più pronunciato dopo la sua morte.


«Dobbiamo trovargli una sistemazione e risolvere in fretta questa faccenda.» concluse seccamente Evelyn.

«Trovargli una sistemazione? E dove? Non dire assurdità.»

«Non lo so... hai intenzione sul serio di tenerlo finché mamma non lo scoprirà?» alzò la voce Evelyn.

«Hai intenzione sul serio di abbandonarlo in mezzo alla strada?» risposi con lo stesso tono di voce innervosito.

Lei si interruppe per qualche secondo, cercando qualcosa da dire.

«... Hai ragione. Però tra un mese, quando mamma tornerà... Uff. Dobbiamo solo sperare che qualsiasi sia il suo problema si risolva entro il 30 settembre.» mormorò sconfortata.

«Magari se scoprissimo qual è potremmo aiutarlo.»

«Quasi non apre bocca, dubito che lo dirà anche perché ha detto molto esplicitamente che non ha intenzione di parlarne.» disse mia sorella tra sé e sé.

«In un mese c'è tempo abbastanza.» le sorrisi.

Dopotutto era solo un essere umano come me e mia sorella, riuscire a ragionare con lui non sarebbe stato impossibile, no?


1 settembre 1988


«Sei pronta per il primo giorno di scuola?» chiesi allegramente ad Evelyn.

«Certo!» mi sorrise mia sorella. «Quello non pronto più che altro sembra nostro cugino. Ancora non si è svegliato...» disse con tono di rimprovero mentre si portava alle labbra una tazza piena di latte.

In effetti anche io ero sveglia da almeno un quarto d'ora e il fatto che lui non accennasse minimamente a volersi alzare era un po' preoccupante.

«Forse dovremmo... svegliarlo?» chiesi incerta.

«Perché non lo fai tu? Dopotutto se non sbaglio vi siete parlati anche di più... e ho paura che mi possa sbranare.» rise Evelyn.


«Ehi... Billie Joe?» lo chiamai, ma ovviamente non mi arrivò nessuna risposta.

Ero entrata in camera sua cercando di non fare nessun rumore che potesse disturbarlo e solo in quel momento mi resi conto che era stata una stupidaggine dato che il mio obiettivo era proprio svegliarlo.

Lui non si muoveva di un millimetro.

Solo il respiro gli faceva alzare il petto a intervalli regolari.

Dormiva a pancia in su come Evelyn e teneva le braccia conserte sul torace.

Mi immobilizzai a fissarlo per qualche minuto.

Sospirai.

Così non andava bene, dovevo svegliarlo, non contemplarlo.

Mi decisi, così gli presi la spalla e lo scossi senza troppa violenza finché non aprì gli occhi infastidito.

«Che ore sono?» chiese col tono di chi vuole uccidere qualcuno.

«Le 6:30.»

«Perché così presto?»

«La scuola...»

«Oggi non vengo.»

«Ma è il primo giorno!» protestai sconvolta.

«E quindi?» rispose dandomi la schiena.

«Quindi il primo giorno devi venire. È importante.»

Lui si rigirò a guardarmi, poi si sedette fissandomi dritta negli occhi.

«Capirai. Fosse per me neanche ci andrei a scuola.» scandì bene le sillabe per farmi cogliere ogni minima sfumatura a due millimetri dal mio viso.

«Ma non è per te.» ribattei rigida.

«Quanto sei insistente.» sbuffò allontanandosi e lasciandosi cadere sulle lenzuola.

Dopo pochi secondi riaprì gli occhi e si rialzò.

«Oramai non ho neanche più sonno.» disse scendendo dal letto.

Senza rendermene conto sorrisi trionfante.


Fuori dai cancelli della scuola c'era un'enorme folla. Contrariamente alla maggior parte delle persone, avevo sempre trovato bellissima l'atmosfera che c'è prima di entrare il primo giorno di scuola.

Si incontrano persone che non si vedevano da mesi, c'è un'atmosfera di eccitazione e curiosità e sempre un grande ottimismo elettrico nell'aria.

Billie Joe si era allontanato per andare da un suo amico, così io ed Evelyn ci ritrovammo come al solito sole in fila per ritirare i nostri orari scolastici in segreteria.

Nostra madre faceva sempre in modo che avessimo lo stesso orario ogni anno, in modo che potessimo stare insieme a tutte le lezioni. Era sempre molto bello, studiare insieme, capirci all'istante...

Sarebbe stato un disastro se non fosse stato così.

«Ehi Evelyn! Alla prima ora abbiamo letteratura!» esclamai entusiasta all'idea di iniziare dalla nostra materia preferita.

«Come letteratura? Sul mio foglio c'è scritto che dobbiamo fare storia...» disse lei guardando il mio foglietto.

Li avvicinammo e una terribile certezza ci assalì: non avevamo neanche una sola materia in comune.

Fantastico.


La giornata era iniziata nel peggiore dei modi.

E sembrava non migliorare neanche lontanamente.

Al suono della campana io ed Evelyn ci separammo e fui subito assalita dal senso di solitudine.

Intorno a me c'erano solo gruppi di amici, persone che avevano qualcuno accanto a loro.

Nessuno era solo come me in quel momento.

Forse stavo solo esagerando il tutto, ma nella mia testa era così terribile, non ero abituata dopotutto.

Avevo mai fatto qualcosa senza mia sorella?

Probabilmente no e se mai era accaduto non ne avevo neanche memoria.

Forse era sbagliato, ma avevo un bisogno disperato di qualcuno a cui appoggiarmi.

Anche nell'aula dove ero appena entrata non c'era nessuno che conoscessi neanche lontanamente, così nonostante fossero tutti in piedi andai a sedermi nel fondo dell'aula incurvandomi sulla sedia, quasi come se volessi nascondermi.

La campanella suonò di nuovo ad indicare che i cinque minuti di tempo per raggiungere le aule erano terminati.

Dopo pochi istanti tutti gli studenti avevano preso posto e una donna sulla sessantina aveva fatto il suo ingresso in classe.

«Buongiorno.» salutò con la voce di chi non ha la minima voglia di lavorare. «Io sono la professoressa Harris e vi insegnerò letteratura. Adesso farò l'appello.» annunciò prendendo il registro.

Lesse poche righe poi si bloccò e guardò un punto indefinito dell'aula.

«Armstrong!» chiamò all'improvviso.

Sobbalzai.

«Come al solito non c'è... oh, ma guarda. Ce n'è un altro. Come se uno solo non ne bastasse.» disse guardando il registro. «Chi di voi è l'altro Armstrong?»

Ammetto che quella donna mi faceva un po' paura, sembrava particolarmente propensa all'isteria.

Alzai molto timidamente la mano.

«I-io...»

«Ah, sei tu? L'anno scorso che media avevi in letteratura?»

«A, professoressa...» dissi sempre più imbarazzata dato che tutti i presenti in classe avevano puntato gli occhi su di me.

Già qualcuno aveva iniziato a mormorare cose come “secchiona” o “ma chi si crede di essere?”.

«Bene, bene... questo sarà da verificare. Per caso conosci l'altro Armstrong? Non è che siete... imparentati?» lo disse con un tono confidenziale, quasi come se fosse stato un crimine da confessare.

Improvvisamente la porta della classe si aprì e io potei solo ringraziare dato che questo aveva spostato l'attenzione generale da me.

«Ah... Armstrong. Stavamo giusto parlando di te. Anche il primo giorno arrivi in ritardo?» disse la professoressa infastidita.

Billie Joe non rispose, ma dopo un rapido sguardo alla classe, a grandi falcate venne a sedersi accanto a me.

Com'era prevedibile non aveva un buon rapporto con i professori.

Per fortuna la professoressa non ebbe l'idea di riprendere a tormentare uno di noi due, ma pensò che era meglio iniziare la lezione.

«La Harris ti ha dato fastidio?» mi chiese di punto in bianco.

«Beh... no, mi ha solo un po' spaventata.»

«Adesso ti punterà fino al primo test per via del tuo cognome, Alice Armstrong.»

Fantastico.

Chissà perché lo sospettavo.

La giornata continuava in maniera sempre peggiore.


«Ehi! Ma io ti conosco!» esclamò davanti a me un ragazzo imponente due ore dopo nell'aula di matematica.

«Come?»

«Sì, ti conosco. Non so dove ci siamo incontrati ma di sicuro ti conosco. Aspetta, forse ti ho vista quando...»

La campanella lo interruppe, anche se non ne aveva per niente voglia andò a prendere posto e così feci io.

In effetti anche a me il suo viso non era totalmente nuovo, ma evidentemente avevo una pessima memoria, non riuscivo a ricordarmi chi fosse.

Sembrava che fosse rimasto concentrato su di me fino alla fine dell'ora, quando subito venne nella mia direzione.

Non sentii neanche cosa aveva da dire che subito mi confusi tra la folla e sgattaiolai fuori dall'aula.

Non era per niente un buon metodo per fare amicizia, ma in quel momento non me ne importava nulla.

Volevo solo stare con Evelyn, non m'importava nient'altro!

Sapevo che stavo per avere una crisi di panico, possibile che da sola sapessi resistere così poco?

Quanto ero stupida all'epoca.


La mensa era affollatissima.

Avevo appena iniziato ad abituarmi all'assenza di Evelyn proprio in quel momento in cui stare con lei.

La cercai con gli occhi ma non vidi nessun volto conosciuto.

Anzi no, due volti conosciuti mi vennero incontro. Uno era quello di mio cugino e l'altro era quello di quel ragazzo che sosteneva di conoscermi.

«Ehi tu!» mi puntò immediatamente il dito contro. «Mi sono ricordato di dove ti ho vista.» annunciò con solennità.

«Davvero?»

«Scusa... vi conoscete?» chiese Billie Joe al ragazzo.

«In verità no, non so neanche come si chiama.» disse lui. «Però ieri mi ha chiesto informazioni per il 7-11 e l'ho accompagnata insieme alla sua sorella gemella.»

Lo guardai meglio.

Cavoli, come avevo fatto a non accorgermene? La crisi d'astinenza da Evelyn era così forte da farmi perdere totalmente la memoria?

«Ah... È vero. Grazie mille per ieri.» gli sorrisi con gentilezza.

«Figurati! Io sono Frank, ma puoi chiamarmi Tré.» mi sorrise lui avvicinandosi un po' troppo alla sottoscritta.

«Ehm... Piacere, Frank!» dissi cercando di allontanarmi indietreggiando.

Immediatamente il ragazzo si rivolse a Billie Joe.

«Mi ha chiamato Frank nonostante le abbia detto di chiamarmi Tré. Che carina! Possiamo tenerla?»

Ma cosa...?

«Guarda che non è un cane. È mia cugina e al momento è lei che tiene me.» gli rispose Billie Joe ridendo.

«Oh... quindi è lei la famosa cuginetta. Ti va di mangiare con noi oggi?»

«Ehm... ecco... dovrei andare da mia sorella. Grazie comunque.» tentai di andarmene da quella situazione mentre cercavo con gli occhi Evelyn.

Dove diamine era?

Improvvisamente la vidi che mi veniva incontro.

«Alice! Vieni, ho fatto amicizia con dei ragazzi!» mi sorrise trionfante.

«Un giorno riuscirò al mangiare col mio cagnolino.» sbuffò Frank imbronciato.

Mia sorella lo guardò interrogativa per qualche secondo, poi mi prese per mano.

«Dai, andiamo.» mi sorrise rassicurante, così mi lasciai alle spalle le preoccupazioni.


«Eccomi Aileen. Ti presento mia sorella Alice.» disse Evelyn a una ragazza seduta al tavolo dove mi aveva portata.

«Siete davvero identiche!» mi strinse la mano.

«Ciao. Felice di conoscerti.» la salutai, poi mi sedetti di fronte a lei.

Sul suo volto c'era più trucco che pelle scoperta, ma non risultava troppo sgradevole. Effettivamente mi sembrava veramente bellissima e mi sentii un po' a disagio di fronte a lei.

Un altro ragazzo chiamò Evelyn, che mi lasciò da sola con la sconosciuta.

Di nuovo.

I suoi capelli biondo platino e mossi contornavano con dolcezza un volto perfetto dove i suoi occhi celesti risplendevano come piccole gemme.

«Beh, raccontami un po' di te.» esordì appoggiandosi al tavolo.

«Non ho molto da dire...»

«Ah, no? Non hai un hobby, un genere musicale che ti piace...?»

«No, non ascolto molta musica. A volte sento un po' la radio, ma non ho mai avuto un CD o una cassetta.»

«E i ragazzi? Che ragazzi ti piacciono?»

Mi colse decisamente alla sprovvista.

«Ehm... non saprei!»

«Come no? Non ti sei mai messa con qualcuno?»

«No...»

«Ehi, guarda che sei grande oramai. Hai 15 anni, no?»

Sinceramente non pensavo che a 15 anni una persona fosse grande per fidanzarsi.

«Però ho visto che frequenti la gang di Two-Dollar Bill.»

La gang dello scontrino da due dollari? Che diamine voleva dire?

«... Non so di cosa tu stia parlando...» mormorai imbarazzata.

«Il tuo amichetto.» disse indicando alle mie spalle. Mi voltai e vidi un tavolo con sedute cinque persone: mio cugino, il suo amico Frank, due altri ragazzi di cui non conoscevo il nome e una ragazza.

Mi voltai di nuovo verso Aileen.

«Spaccia canne. A due dollari l'una. Tutti nella scuola lo chiamano Two-Dollar Bill.» pronunciò quelle parole lentamente con un tono di voce quasi confidenziale. «Ti converrebbe lasciarli perdere, sai? Insomma, a meno che tu non voglia diventare una punk evitata da tutti.»

Quelle parole mi colpirono come una pugnalata.

Certo, non mi ero ancora legata così tanto a mio cugino, ma sentirne parlare così mi fece male. Quel giorno tutto era più grande di me.

Non avrei dovuto sentirmi così vuota, stavamo parlando solo di Billie Joe, no? Però in lui c'era qualcosa di strano che non riuscivo a capire razionalmente.

Però nella mia stupida, inutile debolezza, tutto quello che potei fare fu solo annuire in silenzio.

___________________________________Authoress' words

In questo capitolo non succede molto, però se l'avessi saltato, fidatevi, avrei solo fatto un errore.

Sapete, scrivere una storia è un po' come suonare: bisogna prendersi i tempi giusti. Non bisogna correre, non bisogna rallentare, ma bisogna mantenere il tempo e a volte prendersi delle pause per poi riattaccare con la solita energia.

Sì, ho scritto tutto ciò solo per giustificarmi. Ahahahah!

Beh, che dire? Grazie di cuore a tutti quelli che hanno letto e ora dirò una cosa che mi ero dimenticata di dire nel capitolo precedente:

Questa storia è dedicata a Lally_Weasley, che mi ha fatto sganasciare dalle risate davanti al PC a leggere i suoi messaggi e che mi ha involontariamente consigliato.

Grazie!

   
 
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