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Autore: Hotaru_Tomoe    03/07/2007    5 recensioni
Oleander Silvestre, creatrice di oggetti magici, riceve suo malgrado l’incarico di inseguire un ladro che si è appropriato di un oggetto potenzialmente pericoloso e le sue indagini la condurranno a Hogwarts. Il primo impatto non sarà dei più positivi, perchè si scontrerà con il professore più burbero e odiato della famosa scuola di magia e stregoneria. I due sono diversissimi: lei ha un temperamento di fuoco, lui un carattere di ghiaccio. Riusciranno ad andare d’accordo?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Severus ed Oleander'
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CAPITOLO 6 – FORZA E FRAGILITA’

Il filo di fumo si era fermato al centro di una grossa stanza poco più in là, priva di lapidi a muro. Oleander non capì immediatamente cos’era quel vano, finchè non vide i binari che congiungevano quattro loculi ad una grande saracinesca di ferro, annerita dalla fuliggine. Sopra il vecchio forno crematorio una scritta recitava PULVIS ES ET IN PULVERE REVERTERIS [1]. “Davvero confortante.” mormorò. Comunque anche lì non vedeva di insolito: tutto perfettamente immobile e silenzioso.

Poi udì un crepitio, come un ciocco di legno nel camino… e non c’era forse odore di bruciato? Scosse la testa… impossibile, quel forno non era più in funzione da sessant’anni! Però seguirono altri crepitii, stavolta ben distinti, come pigne o castagne che scoppiettano nel fuoco. E qualcosa simile ad un lamento, provenire da dietro la saracinesca. La toccò: era molto calda, tanto da farle ritrarre la mano. Lungo il perimetro traboccava una intensa luce arancione. E di nuovo quel lamento. Il panico si impadronì di lei: ora era certa che qualcuno stesse bruciando vivo oltre quella barriera “Oh per tutte le streghe!” la donna prese a tempestare di pugni la saracinesca di ferro. "Alohomora, Alohomora, Alohomora!" strillava, ma non funzionava.

La porta d’ingresso del tempio crematorio si spalancò e Severus Piton scagliò uno schiantesimo contro qualcosa alle sue spalle. Oleander sbattè le palpebre un paio di volte: tutto era tornato normale: non c’era odore di bruciato, non c’erano più rumori sinistri né voci, la porta del forno era fredda. Alle sue spalle giaceva in pezzi una statua di marmo di un angelo della morte armato di falce bronzea, che stava per aggredirla. In un attimo si rese conto del rischio che aveva corso: il ladro doveva aver animato la statua che, dotata di poteri magici, l’aveva stregata con un sortilegio (probabilmente un Confundus) per indurle quella visione. L’immagine macabra di quell’arma conficcata in mezzo alle sue scapole le fece accapponare la pelle. Imbarazzata non riuscì a guardare Piton negli occhi: ora l’avrebbe derisa pesantemente per essersi fatta spaventare in quel modo e ne avrebbe avuto tutte le ragioni. L’uomo però la sorprese, perché le chiese soltanto “Sta bene?”

“Uh… s-sì.” farfugliò. Oleander era estremamente stupita, ma immediatamente notò che il professore aveva il vestito ed i capelli pieni di pezzetti di erba e petali di fiori avvizziti. L’ipotesi più probabile era che gli fosse stato rovesciato addosso un cestino dei rifiuti del cimitero “Immagino che lei non abbia avuto più fortuna di me.”

Piton non rispose ma la fulminò con gli occhi: da quando lo conosceva non lo aveva mai visto così infuriato. “Avrei dovuto avvertirla che si diverte con scherzi idioti. Sì, decisamente avrei dovuto farlo.”

In quel momento il filo di fumo che aveva seguito Oleander e quello di Piton si ricongiunsero, puntando verso l’ingresso, evitando, provvidenzialmente, un’altra accesa discussione.

Fuori dal tempio crematorio giacevano i resti di un putto alato in frantumi ed un contenitore di plastica tutto contorto, come colpito da un fulmine: “Allora avevo visto giusto.” pensò la maga. I due seguirono l’indizio fino al parcheggio del cimitero. “Eccolo là!” esclamò Oleander: dietro al lunotto posteriore di un’auto si vedeva un vaso bianco panciuto, di fine porcellana, decorato con una fantasia di edera e catenelle d’oro e chiuso da un coperchio nero. “Lo riconosco, quello è il vaso di Pandora di Schloss Berth.” In quel momento il motore della macchina si avviò e la stessa partì a razzo. “Accio scopa.” disse Oleander, ma Piton la fermò, afferrandole il polso “E’ impazzita? Vuole sfrecciare per le vie di York a cavallo di una scopa? Creerebbe un sacco di problemi al Ministero della Magia.”

La donna se ne rese conto “D’accordo, ha ragione.”

“Ci mancherebbe altro.” La rimbeccò Piton.

“Ma non lo lascerò scappare comunque.” insistette Oleander. Si avvicinò ad un’auto e tirò fuori qualcosa dalla tasca: era una forcina. La stregò con la bacchetta e la inserì nella serratura della portiera, facendola scattare.

“R-ruba un’automobile?” chiese Piton, allibito.

“No, la prendo in prestito: è diverso.”

“E’ inaudito.”

“Oh insomma – Oleander perse la pazienza – e la scopa no, e l’auto no, non le va bene niente!”

Il mago fissò con estrema diffidenza quel trabiccolo babbano, poi si risolse a salire dal lato del passeggero, borbottando “Mi auguro che sappia far funzionare questo aggeggio.”

“Non è obbligato a seguirmi!” disse Oleander alzando gli occhi al cielo.

“Si figuri se la lascio sola. Per Merlino, chissà che danni farebbe!”

“Comunque sì: so guidare, ed anche piuttosto bene. Si allacci la cintura.” Oleander mise in moto e si lanciò all’inseguimento del ladro, ma Piton non diede retta al suo consiglio “Non ho intenzione di legarmi ad un sedile come un salame.” le disse acido, ma cambiò idea quando Oleander si immise su una strada a due corsie in contromano ed evitò per un pelo di schiantarsi frontalmente contro un furgone e poi con diverse automobili che la schivarono strombazzando indignate. “E lei saprebbe guidare?” le chiese, più pallido del solito, mentre armeggiava con il nastro di stoffa che continuava a riavvolgersi nel suo alloggiamento, come se stesse lottando con un serpente gigante. La donna intanto pareva essere stata folgorata da un’intuizione e cambiò corsia “Scusi, scusi, non ci avevo pensato. E’ che non sono abituata alla guida a sinistra. Inglesi! Se non fate le cose al contrario non siete contenti. E guardi qui: questa macchina ha il cambio automatico. Ma dico io, come si fa a preferirlo a quello manuale? Toglie tutto il piacere della guida.”

Piton nel frattempo era riuscito a bloccare la sicura della cintura in un tripudio di volgarità e non sembrava dello spirito giusto per discorrere di equipaggiamenti delle automobili. Oleander in breve tempo raggiunse la Toyota rossa del fuggitivo, ma il suo autista se ne accorse, perché accelerò ben oltre i limiti di velocità, anche Oleander pigiò sul pedale del gas e gli stette incollata. La sua auto sbandò leggermente ad una curva, ma lei fu abile a non controsterzare e rimase in carreggiata: ora si trovavano su un vialone a scorrimento veloce. “Oh no!” disse la donna all’improvviso, puntando l’indice verso una costruzione. Piton guardò e capì al volo: un gruppo di ragazzine era appena uscito dalla piscina, il semaforo pedonale dava verde per loro, mentre per le auto scattò il rosso, ma la Toyota non diede segno di voler rallentare. Le ragazze parlottavano tra di loro, non la notarono e si apprestavano ad attraversare. “Le investe!” gemette Oleander.

“Stupeficium.” Piton le colpì e le ragazze caddero svenute sul marciapiede, evitando una morte certa.

“E questo non creerà problemi al Ministero della Magia?” chiese Oleander ironicamente.

“Maghi come Weasley esistono apposta per sistemare questi inconvenienti. Domani i giornali babbani parleranno di un calo di pressione collettivo o qualcosa di simile.”

Con loro sollievo l’auto del ladro si stava portando fuori città, lontana da altre potenziali vittime, anche se in campagna la nebbia era più fitta che mai e a un certo punto i fari posteriori dell’auto davanti alla loro scomparvero nel nulla. Non si vedeva ad un palmo di naso. “E’ il caso di rallentare.” Suggerì Piton, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.

“Non ci penso nemmeno, non voglio perderlo.” Ma non si avvide che la strada disegnava un brusco tornante verso destra e non fece in tempo a frenare, uscendo di strada e scivolando giù per un pendio erboso che terminava in un bel laghetto, così i due si procurarono un bagno gelido fuori stagione. Quando riuscirono a guadagnare la riva si accorsero che la Toyota giaceva inerte poco distante, vuota. Le portiere erano chiuse, ma il lunotto posteriore era sfondato e del vaso non c’era più traccia. Oleander era di nuovo al punto di partenza.

Tornarono a Hogwarts senza scambiarsi una parola. Davanti alla stanza della donna, Piton udì la voce di Gazza che cercava Mrs. Purr ed entrò anche lui: l’ultima cosa che desiderava era farsi vedere dal vecchio custode ridotto in quello stato. Usò subito una magia per asciugarsi gli abiti, mentre Oleander andò a sedere sul davanzale della finestra, guardando fuori. A quel punto non ce la fece più e partì con la sua arringa “Tutto questo non sarebbe successo se lei mi avesse dato ascolto, razza di testa calda! Ma lei nooo, deve sempre fare di testa sua. In vita mia non ho mai conosciuto una persona più impulsiva; ogni tanto potrebbe anche riflettere prima di agire, sa? Se mi verrà una polmonite sarà tutta colpa sua. E, ciliegina sulla torta, non abbiamo concluso niente.”

“Lo so benissimo da me.” Proruppe Oleander, la voce stridula. Era sull’orlo delle lacrime e Piton ne fu sorpreso, non si aspettava che reagisse così.

“Sono perfettamente conscia della mia inettitudine, mi creda. Ne sono consapevole da tutta la vita.” Gli gettò la sua bacchetta e la manica del suo vestito schizzò gocce di acqua dappertutto. “La guardi bene, perché non ce n’è una uguale in tutto il mondo. Già di solito le bacchette non si fabbricano così. Ma io che ne sapevo? Avevo solo undici anni quando la misi insieme.”

Piton la raccolse, ma non disse nulla.

“Sa come si diventa allievi della scuola di magia a Schloss Berth? C’è un rito molto semplice: i ragazzi vengono posti di fronte ad un cesto pieno di bacchette magiche. Ci stendono sopra la mano ed una bacchetta levita verso di loro: è il segno che sono stati accettati e possono frequentare le lezioni e quella diventa la loro bacchetta per la vita. In undici anni da quel dannato cesto nessuna bacchetta è mai venuta verso di me – si morse il labbro inferiore, ricacciando indietro a fatica le lacrime – mentre tutti mi passavano davanti, anche i miei cugini più piccoli. Ed ogni volta gli stessi sguardi, quel misto tra disapprovazione, rassegnazione e scherno. Mio padre sospirava, chiedendosi dove avesse sbagliato con me e persino la governante, Miss Roth, mi biasimava. Alla fine mi lasciarono perdere: tanto ero un caso disperato. Il massimo che ottenevo erano degli sguardi di compatimento: la povera, inutile Oleander! Eppure io ho sempre fatto del mio meglio, stendevo la mano su quel cesto desiderando disperatamente che qualcosa accadesse.”

Di nuovo si lasciò cadere pesantemente sul davanzale di pietra “Mia madre era l’unica che mi accettava per ciò che ero. Lei non mi disse mai nulla, nei suoi occhi c’erano solo amore e fiducia quando mi guardava, diceva che non era importante, che avrei trovato da sola la mia strada per la magia, anche se non sarebbe stato lì. Ma quando avevo undici anni si ammalò e morì ed a quel punto io sentii che nulla più mi legava a quel posto. Mi costruii la mia bacchettina, feci i bagagli e chiesi di poter frequentare la scuola di magia in Italia dove era andata la mamma: lì non c’erano prove di ammissione. Venni accontentata senza alcuna protesta; tanto non sarei mai stata alla loro altezza della mia famiglia. E come vede, è ancora così: sei mesi a rincorrere un semplice ladro e cosa ho concluso? Niente, niente! Semplicemente continuo a confermare l’idea che loro hanno di me e questo mi fa una rabbia che lei nemmeno immagina!”

Lacrime calde iniziarono a scorrere sulle sue gote ed Oleander le asciugò con rabbia e ferocia “Perciò vede, non c’è alcun bisogno che lei mi ricordi la mia incapacità. E se urlo e strepito e faccio le cose senza riflettere è perché sono sopraffatta dall’ansia di ottenere un qualsiasi risultato, sentirmi un po’ più forte e un po’ meno… inadeguata…” chinò la testa sul petto, piangendo, le spalle sottili scosse da deboli singhiozzi, oltre che dal freddo che le accapponava la pelle, a causa del vestito ancora fradicio che indossava. Si sentiva amareggiata, si sentiva stupida e si sentiva morire di vergogna per essersi lasciata andare così apertamente. Poi, davanti a un uomo che possedeva una lingua affilata come un rasoio, che poteva finire di farla a pezzi con poche parole. E lei gli aveva offerto l’occasione su un piatto d’argento. Fantastico, peggio di così non poteva andare…

Non sentì né vide Severus Piton avvicinarsi a lei finchè non si accorse di stare guardando le sue scarpe. Una mano le si posò sulla testa ed in gesto brusco, quasi violento, le sollevò il capo. Ma non c’era traccia di collera sul viso dell’uomo, né di disprezzo o di scherno. Era un’espressione strana, molto seria, ma anche esitante.

In effetti Piton era rimasto spiazzato da quel fiume in piena di rancore e di tristezza. Non immaginava che Oleander nascondesse tanto dolore dentro di sé: l’aveva sempre giudicata una persona senza troppe preoccupazioni per la testa, irruenta e poco riflessiva. Si era sbagliato.

Vederla così lo faceva sentire a disagio ed allo stesso tempo lo irritava: quella non era la donna che aveva imparato a conoscere e non la voleva vedere in quello stato! La preferiva quando era vitale ed esuberante, gli piacevano il suo entusiasmo, la sua energia, tanto genuini che persino uno come lui ne percepiva chiara la forza. Così come gli piaceva l’amore della donna per il suo lavoro di artigiana e l’orgoglio che le brillava negli occhi quando creava un oggetto o lo riparava: aveva trovato la sua via per la magia ed era una via di cui andare fieri. Ma ora sapeva che dietro a tutto questo c’era stata molta sofferenza: la vita non era stata tenera con lei, aveva dovuto superare molti ostacoli, aveva dovuto lottare contro tutti, da sola, contando solo su se stessa.

Non avrebbe dovuto stare così male: era forte, ma non se ne rendeva conto. Perciò in quel momento le servivano delle parole di incoraggiamento. Era questo che lo faceva esitare.

Già, perché cosa poteva dirle lui? Lui che era stato un portatore di morte, lui che non aveva mai avuto parole di conforto per nessuno, lui che non si curava mai dei sentimenti degli altri, lui che gli altri li guardava solo se gli intralciavano il passaggio.

Eppure sentiva di comprendere questa donna e la sua frustrazione; per un istante smise di essere il freddo e posato professor Severus Piton e lasciò che fosse l’uomo, che in gioventù era stato il dileggiato Snivellus [2], a parlare, a pronunciare parole che venivano dal cuore e che forse avrebbe voluto sentire anche lui, nella sua disastrata adolescenza. “E loro nella tua situazione che avrebbero fatto? Sarebbero arrivati fin dove sei arrivata tu? Sarebbero stati in grado di costruire qualcosa con le loro sole forze? No, io credo di no. Ma tu, da sola, sei diventata una persona di cui dovresti andare orgogliosa. Perciò non devi permettergli di farti sentire così. Cammina sempre a testa alta, Oleander. Sei una delle poche persone che io conosca degne di farlo.”

Oleander non riusciva più a distogliere gli occhi da quelli neri e profondi di Severus, “Lo farò.” disse piano, ma convinta.

Severus fece asciugare il suo abito con la magia e poi le lasciò la testa, facendo scivolare la mano lungo il suo viso, in quella che voleva essere solo una fugace carezza. Ma Oleander spinse la gota sulla sua mano e, sorridendo, chiuse gli occhi, per un lungo istante, fragile e meraviglioso. Piton restò lì, come paralizzato, il cervello completamente bianco e incapace di formulare pensieri, mentre sentiva un tepore nascere nel centro del suo petto; come attirato da una calamita, inconsciamente, lentamente iniziò a sporgersi verso di lei.

Una nuova lacrima scivolò giù dagli occhi di Oleander, ma questa volta era di gioia.

Solo che quando cadde sulla mano di Piton, l’uomo si ritrasse bruscamente, come scottato. Cosa stava facendo? Non doveva nemmeno pensarci… quante altre lacrime avrebbe potuto farle versare un ex Mangiamorte? Tante da riempire l’oceano.

Oleander lo stava guardando perplessa, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di male. Lei non sapeva quello che gli si agitava dentro. Ed era meglio così. Le rivolse solo un rapido cenno del capo a mo’ di buonanotte e uscì dalla stanza quasi di corsa.

La maga non capiva: era la seconda volta che Piton si mostrava turbato, dopo un gesto di gentilezza. Si ritrovò a pensare per l’ennesima volta che era un uomo enigmatico: avere a che fare con lui era come trovarsi in una stanza sconosciuta e immersa nelle tenebre più profonde, nella quale bisognava avanzare cautamente, a tentoni per orientarsi.

Ma quella notte le parve di aver colto un piccolo frammento dell’essenza di quell’uomo.

Ciò che aveva intravisto le piaceva, le piaceva molto.

Ed ora voleva conoscere meglio il vero Severus Piton.

Perché il vero Severus Piton era un uomo di cui si sarebbe potuta innamorare.

Sorrise nel buio, d’un tratto dimentica del suo sfogo e della sua rabbia, d’un tratto euforica al punto che si sarebbe messa a ballare per la stanza.

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[1] = sei polvere e tornerai alla polvere.

[2] = so che in italiano è stato tradotto come “Mocciosus”, però è un termine che non ho mai potuto sopportare, quindi uso l’originale, che mi piace molto di più.

Ringraziamenti e commenti:

@MistralRapsody: il tuo commento mi ha fatto enormemente piacere, perché una delle cose a cui tengo molto è riuscire a mantenermi in linea con lo spirito dei libri della Rowling, mi fa piacere se riesco effettivamente a trasmettere questa sensazione. E anche se riesco a farti apprezzare, almeno un po’, Severus Piton. Capisco bene che è un personaggio difficile e complicato, di quelli che ami o odi alla follia senza riserve. Personalmente ne sono rimasta affascinata fin dal primo rigo de “La pietra filosofale”, ma io non faccio testo: ho una predilezione in generale per i personaggi misteriosi ed oscuri.

@Arabesque: ohi, ohi, speriamo che la tua prof di italiano abbia un buon senso dell’umorismo, altrimenti ce la ritroviamo secca come Rüf. Riguardo a quel lungo mantello svolazzante, che dire? Sembra fatto apposta per un gesto così galante, non ti pare?

@Tweety chan: sono proprio contenta che Oleander ti piaccia. Ho cercato di crearla come un personaggio normale, quindi con dei difetti molto comuni (credimi, non sei l’unica a fare le cose senza riflettere).

@ Jessica P: Sì, tranquilla: tra Oleander e Severus non ci saranno solo battibecchi, anche se questi sono un po’ il sale del loro rapporto, ci saranno anche momenti romantici (grazie soprattutto al tuo tono minaccioso! ^^ no, scherzo!). Mi fa piacere che hai sottolineato la scena del fazzoletto: in effetti Oleander inizia a guardare Severus con occhi diversi proprio da lì.

   
 
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