CAPITOLO 6 – FORZA E
FRAGILITA’
Il
filo di fumo si era fermato al centro di una grossa stanza poco
più in là,
priva di lapidi a muro. Oleander non capì immediatamente
cos’era quel vano,
finchè non vide i binari che congiungevano quattro loculi ad
una grande
saracinesca di ferro, annerita dalla fuliggine. Sopra il vecchio forno
crematorio una scritta recitava PULVIS ES ET IN PULVERE REVERTERIS [1].
“Davvero confortante.” mormorò. Comunque
anche lì non vedeva di insolito: tutto
perfettamente immobile e silenzioso.
Poi
udì un crepitio, come un ciocco di legno nel
camino… e non c’era forse odore di
bruciato? Scosse la testa… impossibile, quel forno non era
più in funzione da
sessant’anni! Però seguirono altri crepitii,
stavolta ben distinti, come pigne
o castagne che scoppiettano nel fuoco. E qualcosa simile ad un lamento,
provenire da dietro la saracinesca. La toccò: era molto
calda, tanto da farle
ritrarre la mano. Lungo il perimetro traboccava una intensa luce
arancione. E
di nuovo quel lamento. Il panico si impadronì di lei: ora
era certa che
qualcuno stesse bruciando vivo oltre quella barriera “Oh per
tutte le streghe!”
la donna prese a tempestare di pugni la saracinesca di ferro.
"Alohomora,
Alohomora, Alohomora!" strillava, ma non funzionava.
La
porta d’ingresso del tempio crematorio si spalancò
e Severus Piton scagliò uno
schiantesimo contro qualcosa alle sue spalle. Oleander
sbattè le palpebre un
paio di volte: tutto era tornato normale: non c’era odore di
bruciato, non
c’erano più rumori sinistri né voci, la
porta del forno era fredda. Alle sue
spalle giaceva in pezzi una statua di marmo di un angelo della morte
armato di
falce bronzea, che stava per aggredirla. In un attimo si rese conto del
rischio
che aveva corso: il ladro doveva aver animato la statua che, dotata di
poteri
magici, l’aveva stregata con un sortilegio (probabilmente un
Confundus) per
indurle quella visione. L’immagine macabra di
quell’arma conficcata in mezzo
alle sue scapole le fece accapponare la pelle. Imbarazzata non
riuscì a
guardare Piton negli occhi: ora l’avrebbe derisa pesantemente
per essersi fatta
spaventare in quel modo e ne avrebbe avuto tutte le ragioni.
L’uomo però la
sorprese, perché le chiese soltanto “Sta
bene?”
“Uh…
s-sì.” farfugliò. Oleander era
estremamente stupita, ma immediatamente notò che
il professore aveva il vestito ed i capelli pieni di pezzetti di erba e
petali
di fiori avvizziti. L’ipotesi più probabile era
che gli fosse stato rovesciato
addosso un cestino dei rifiuti del cimitero “Immagino che lei
non abbia avuto
più fortuna di me.”
Piton
non rispose ma la fulminò con gli occhi: da quando lo
conosceva non lo aveva
mai visto così infuriato. “Avrei dovuto avvertirla
che si diverte con scherzi
idioti. Sì, decisamente avrei dovuto farlo.”
In
quel momento il filo di fumo che aveva seguito Oleander e quello di
Piton si
ricongiunsero, puntando verso l’ingresso, evitando,
provvidenzialmente,
un’altra accesa discussione.
Fuori
dal tempio crematorio giacevano i resti di un putto alato in frantumi
ed un
contenitore di plastica tutto contorto, come colpito da un fulmine: “Allora avevo visto giusto.”
pensò la
maga. I due seguirono l’indizio fino al parcheggio del
cimitero. “Eccolo là!”
esclamò Oleander: dietro al lunotto posteriore di
un’auto si vedeva un vaso
bianco panciuto, di fine porcellana, decorato con una fantasia di edera
e
catenelle d’oro e chiuso da un coperchio nero. “Lo
riconosco, quello è il vaso
di Pandora di Schloss Berth.” In quel momento il motore della
macchina si avviò
e la stessa partì a razzo. “Accio
scopa.” disse Oleander, ma Piton la fermò,
afferrandole il polso “E’ impazzita? Vuole
sfrecciare per le vie di York a
cavallo di una scopa? Creerebbe un sacco di problemi al Ministero della
Magia.”
La
donna se ne rese conto “D’accordo, ha
ragione.”
“Ci
mancherebbe altro.” La rimbeccò Piton.
“Ma
non lo lascerò scappare comunque.” insistette
Oleander. Si avvicinò ad un’auto
e tirò fuori qualcosa dalla tasca: era una forcina. La
stregò con la bacchetta
e la inserì nella serratura della portiera, facendola
scattare.
“R-ruba
un’automobile?” chiese Piton, allibito.
“No,
la prendo in prestito: è diverso.”
“E’
inaudito.”
“Oh
insomma – Oleander perse la pazienza – e la scopa
no, e l’auto no, non le va
bene niente!”
Il
mago fissò con estrema diffidenza quel trabiccolo babbano,
poi si risolse a salire
dal lato del passeggero, borbottando “Mi auguro che sappia
far funzionare
questo aggeggio.”
“Non
è obbligato a seguirmi!” disse Oleander alzando
gli occhi al cielo.
“Si
figuri se la lascio sola. Per Merlino, chissà che danni
farebbe!”
“Comunque
sì: so guidare, ed anche piuttosto bene. Si allacci la
cintura.” Oleander mise
in moto e si lanciò all’inseguimento del ladro, ma
Piton non diede retta al suo
consiglio “Non ho intenzione di legarmi ad un sedile come un
salame.” le disse
acido, ma cambiò idea quando Oleander si immise su una
strada a due corsie in
contromano ed evitò per un pelo di schiantarsi frontalmente
contro un furgone e
poi con diverse automobili che la schivarono strombazzando indignate.
“E lei
saprebbe guidare?” le chiese, più pallido del
solito, mentre armeggiava con il
nastro di stoffa che continuava a riavvolgersi nel suo alloggiamento,
come se
stesse lottando con un serpente gigante. La donna intanto pareva essere
stata
folgorata da un’intuizione e cambiò corsia
“Scusi, scusi, non ci avevo pensato.
E’ che non sono abituata alla guida a sinistra. Inglesi! Se
non fate le cose al
contrario non siete contenti. E guardi qui: questa macchina ha il
cambio
automatico. Ma dico io, come si fa a preferirlo a quello manuale?
Toglie tutto
il piacere della guida.”
Piton
nel frattempo era riuscito a bloccare la sicura della cintura in un
tripudio di
volgarità e non sembrava dello spirito giusto per discorrere
di equipaggiamenti
delle automobili. Oleander in breve tempo raggiunse
“Stupeficium.”
Piton le colpì e le ragazze caddero svenute sul marciapiede,
evitando una morte
certa.
“E
questo non creerà problemi al Ministero della
Magia?” chiese Oleander
ironicamente.
“Maghi
come Weasley esistono apposta per sistemare questi inconvenienti.
Domani i giornali
babbani parleranno di un calo di pressione collettivo o qualcosa di
simile.”
Con
loro sollievo l’auto del ladro si stava portando fuori
città, lontana da altre
potenziali vittime, anche se in campagna la nebbia era più
fitta che mai e a un
certo punto i fari posteriori dell’auto davanti alla loro
scomparvero nel
nulla. Non si vedeva ad un palmo di naso. “E’ il
caso di rallentare.” Suggerì
Piton, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.
“Non
ci penso nemmeno, non voglio perderlo.” Ma non si avvide che
la strada
disegnava un brusco tornante verso destra e non fece in tempo a
frenare,
uscendo di strada e scivolando giù per un pendio erboso che
terminava in un bel
laghetto, così i due si procurarono un bagno gelido fuori
stagione. Quando
riuscirono a guadagnare la riva si accorsero che
Tornarono
a Hogwarts senza scambiarsi una parola. Davanti alla stanza della
donna, Piton
udì la voce di Gazza che cercava Mrs. Purr ed
entrò anche lui: l’ultima cosa
che desiderava era farsi vedere dal vecchio custode ridotto in quello
stato.
Usò subito una magia per asciugarsi gli abiti, mentre
Oleander andò a sedere
sul davanzale della finestra, guardando fuori. A quel punto non ce la
fece più
e partì con la sua arringa “Tutto questo non
sarebbe successo se lei mi avesse
dato ascolto, razza di testa calda! Ma lei nooo, deve sempre fare di
testa sua.
In vita mia non ho mai conosciuto una persona più impulsiva;
ogni tanto
potrebbe anche riflettere prima di agire, sa? Se mi verrà
una polmonite sarà
tutta colpa sua. E, ciliegina sulla torta, non abbiamo concluso
niente.”
“Lo
so benissimo da me.” Proruppe Oleander, la voce stridula. Era
sull’orlo delle
lacrime e Piton ne fu sorpreso, non si aspettava che reagisse
così.
“Sono
perfettamente conscia della mia inettitudine, mi creda. Ne sono
consapevole da
tutta la vita.” Gli gettò la sua bacchetta e la
manica del suo vestito schizzò
gocce di acqua dappertutto. “La guardi bene,
perché non ce n’è una uguale in
tutto il mondo. Già di solito le bacchette non si fabbricano
così. Ma io che ne
sapevo? Avevo solo undici anni quando la misi insieme.”
Piton
la raccolse, ma non disse nulla.
“Sa
come si diventa allievi della scuola di magia a Schloss Berth?
C’è un rito
molto semplice: i ragazzi vengono posti di fronte ad un cesto pieno di
bacchette magiche. Ci stendono sopra la mano ed una bacchetta levita
verso di
loro: è il segno che sono stati accettati e possono
frequentare le lezioni e
quella diventa la loro bacchetta per la vita. In undici anni da quel
dannato
cesto nessuna bacchetta è mai venuta verso di me –
si morse il labbro
inferiore, ricacciando indietro a fatica le lacrime – mentre
tutti mi passavano
davanti, anche i miei cugini più piccoli. Ed ogni volta gli
stessi sguardi, quel
misto tra disapprovazione, rassegnazione e scherno. Mio padre
sospirava,
chiedendosi dove avesse sbagliato con me e persino la governante, Miss
Roth, mi
biasimava. Alla fine mi lasciarono perdere: tanto ero un caso
disperato. Il
massimo che ottenevo erano degli sguardi di compatimento: la povera,
inutile Oleander!
Eppure io ho sempre fatto del mio meglio, stendevo la mano su quel
cesto
desiderando disperatamente che qualcosa accadesse.”
Di
nuovo si lasciò cadere pesantemente sul davanzale di pietra
“Mia madre era
l’unica che mi accettava per ciò che ero. Lei non
mi disse mai nulla, nei suoi
occhi c’erano solo amore e fiducia quando mi guardava, diceva
che non era
importante, che avrei trovato da sola la mia strada per la magia, anche
se non
sarebbe stato lì. Ma quando avevo undici anni si
ammalò e morì ed a quel punto
io sentii che nulla più mi legava a quel posto. Mi costruii
la mia bacchettina,
feci i bagagli e chiesi di poter frequentare la scuola di magia in
Italia dove
era andata la mamma: lì non c’erano prove di
ammissione. Venni accontentata
senza alcuna protesta; tanto non sarei mai stata alla loro altezza
della mia
famiglia. E come vede, è ancora così: sei mesi a
rincorrere un semplice ladro e
cosa ho concluso? Niente, niente! Semplicemente continuo a confermare
l’idea
che loro hanno di me e questo mi fa una rabbia che lei nemmeno
immagina!”
Lacrime
calde iniziarono a scorrere sulle sue gote ed Oleander le
asciugò con rabbia e
ferocia “Perciò vede, non c’è
alcun bisogno che lei mi ricordi la mia
incapacità. E se urlo e strepito e faccio le cose senza
riflettere è perché sono
sopraffatta dall’ansia di ottenere un qualsiasi risultato,
sentirmi un po’ più
forte e un po’ meno…
inadeguata…” chinò la testa sul petto,
piangendo, le
spalle sottili scosse da deboli singhiozzi, oltre che dal freddo che le
accapponava la pelle, a causa del vestito ancora fradicio che
indossava. Si
sentiva amareggiata, si sentiva stupida e si sentiva morire di vergogna
per
essersi lasciata andare così apertamente. Poi, davanti a un
uomo che possedeva
una lingua affilata come un rasoio, che poteva finire di farla a pezzi
con
poche parole. E lei gli aveva offerto l’occasione su un
piatto d’argento.
Fantastico, peggio di così non poteva andare…
Non
sentì né vide Severus Piton avvicinarsi a lei
finchè non si accorse di stare
guardando le sue scarpe. Una mano le si posò sulla testa ed
in gesto brusco, quasi
violento, le sollevò il capo. Ma non c’era traccia
di collera sul viso
dell’uomo, né di disprezzo o di scherno. Era
un’espressione strana, molto
seria, ma anche esitante.
In
effetti Piton era rimasto spiazzato da quel fiume in piena di rancore e
di tristezza.
Non immaginava che Oleander nascondesse tanto dolore dentro di
sé: l’aveva
sempre giudicata una persona senza troppe preoccupazioni per la testa,
irruenta
e poco riflessiva. Si era sbagliato.
Vederla
così lo faceva sentire a disagio ed allo stesso tempo lo
irritava: quella non
era la donna che aveva imparato a conoscere e non la voleva vedere in
quello
stato! La preferiva quando era vitale ed esuberante, gli piacevano il
suo
entusiasmo, la sua energia, tanto genuini che persino uno come lui ne
percepiva
chiara la forza. Così come gli piaceva l’amore
della donna per il suo lavoro di
artigiana e l’orgoglio che le brillava negli occhi quando
creava un oggetto o
lo riparava: aveva trovato la sua via per la magia ed era una via di
cui andare
fieri. Ma ora sapeva che dietro a tutto questo c’era stata
molta sofferenza: la
vita non era stata tenera con lei, aveva dovuto superare molti
ostacoli, aveva
dovuto lottare contro tutti, da sola, contando solo su se stessa.
Non
avrebbe dovuto stare così male: era forte, ma non se ne
rendeva conto. Perciò in
quel momento le servivano delle parole di incoraggiamento. Era questo
che lo
faceva esitare.
Già,
perché cosa poteva dirle lui? Lui che era stato un portatore
di morte, lui che
non aveva mai avuto parole di conforto per nessuno, lui che non si
curava mai
dei sentimenti degli altri, lui che gli altri li guardava solo se gli
intralciavano il passaggio.
Eppure
sentiva di comprendere questa donna e la sua frustrazione; per un
istante smise
di essere il freddo e posato professor Severus Piton e
lasciò che fosse l’uomo,
che in gioventù era stato il dileggiato Snivellus [2], a
parlare, a pronunciare
parole che venivano dal cuore e che forse avrebbe voluto sentire anche
lui,
nella sua disastrata adolescenza. “E loro nella tua
situazione che avrebbero
fatto? Sarebbero arrivati fin dove sei arrivata tu? Sarebbero stati in
grado di
costruire qualcosa con le loro sole forze? No, io credo di no. Ma tu,
da sola,
sei diventata una persona di cui dovresti andare orgogliosa.
Perciò non devi
permettergli di farti sentire così. Cammina sempre a testa
alta, Oleander. Sei
una delle poche persone che io conosca degne di farlo.”
Oleander
non riusciva più a distogliere gli occhi da quelli neri e
profondi di
Severus, “Lo
farò.” disse piano, ma
convinta.
Severus
fece asciugare il suo abito con la magia e poi le lasciò la
testa, facendo
scivolare la mano lungo il suo viso, in quella che voleva essere solo
una
fugace carezza. Ma Oleander spinse la gota sulla sua mano e,
sorridendo, chiuse
gli occhi, per un lungo istante, fragile e meraviglioso. Piton
restò lì, come
paralizzato, il cervello completamente bianco e incapace di formulare
pensieri,
mentre sentiva un tepore nascere nel centro del suo petto; come
attirato da una
calamita, inconsciamente, lentamente iniziò a sporgersi
verso di lei.
Una
nuova lacrima scivolò giù dagli occhi di
Oleander, ma questa volta era di
gioia.
Solo
che quando cadde sulla mano di Piton, l’uomo si ritrasse
bruscamente, come
scottato. Cosa stava facendo? Non doveva nemmeno pensarci…
quante altre lacrime
avrebbe potuto farle versare un ex Mangiamorte? Tante da riempire
l’oceano.
Oleander
lo stava guardando perplessa, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di
male. Lei
non sapeva quello che gli si agitava dentro. Ed era meglio
così. Le rivolse
solo un rapido cenno del capo a mo’ di buonanotte e
uscì dalla stanza quasi di
corsa.
La
maga non capiva: era la seconda volta che Piton si mostrava turbato,
dopo un
gesto di gentilezza. Si ritrovò a pensare per
l’ennesima volta che era un uomo enigmatico:
avere a che fare con lui era come trovarsi in una stanza sconosciuta e
immersa
nelle tenebre più profonde, nella quale bisognava avanzare
cautamente, a
tentoni per orientarsi.
Ma
quella notte le parve di aver colto un piccolo frammento
dell’essenza di
quell’uomo.
Ciò
che aveva intravisto le piaceva, le piaceva molto.
Ed
ora voleva conoscere meglio il vero Severus Piton.
Perché
il vero Severus Piton era un uomo di cui si sarebbe potuta innamorare.
Sorrise
nel buio, d’un tratto dimentica del suo sfogo e della sua
rabbia, d’un tratto
euforica al punto che si sarebbe messa a ballare per la stanza.
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[1]
= sei polvere e tornerai alla polvere.
[2]
= so che in italiano è stato tradotto come
“Mocciosus”, però è un
termine che
non ho mai potuto sopportare, quindi uso l’originale, che mi
piace molto di
più.
Ringraziamenti
e commenti:
@MistralRapsody:
il tuo commento mi ha fatto enormemente piacere, perché una
delle cose a cui
tengo molto è riuscire a mantenermi in linea con lo spirito
dei libri della
Rowling, mi fa piacere se riesco effettivamente a trasmettere questa
sensazione. E anche se riesco a farti apprezzare, almeno un
po’, Severus Piton.
Capisco bene che è un personaggio difficile e complicato, di
quelli che ami o
odi alla follia senza riserve. Personalmente ne sono rimasta
affascinata fin
dal primo rigo de “La pietra filosofale”, ma io non faccio testo: ho
una predilezione in generale
per i personaggi misteriosi ed oscuri.
@Arabesque:
ohi, ohi, speriamo che la tua prof di italiano abbia un buon senso
dell’umorismo, altrimenti ce la ritroviamo secca come
Rüf. Riguardo a quel
lungo mantello svolazzante, che dire? Sembra fatto apposta per un gesto
così
galante, non ti pare?
@Tweety
chan: sono proprio contenta che Oleander ti piaccia. Ho cercato di
crearla come
un personaggio normale, quindi con dei difetti molto comuni (credimi,
non sei
l’unica a fare le cose senza riflettere).
@
Jessica P: Sì, tranquilla: tra Oleander e Severus non ci
saranno solo
battibecchi, anche se questi sono un po’ il sale del loro
rapporto, ci saranno
anche momenti romantici (grazie soprattutto al tuo tono minaccioso! ^^
no,
scherzo!). Mi fa piacere che hai sottolineato la scena del fazzoletto:
in
effetti Oleander inizia a guardare Severus con occhi diversi proprio da
lì.