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Autore: Alexiel_Slicer    17/12/2012    4 recensioni
Aveva solo 17 anni e già sentiva che parte della sua vita era stata gettata al vento, sentiva che la stava sprecando.
Le sue coetanee avevano fatto tante di quelle esperienze e lei? Lei no. Si diceva che un giorno, quando sarebbe stata più grande e soprattutto lontano da quella casa lei avrebbe fatto tutte quelle cose che nella giovinezza aveva perso, se lo diceva, ma non ci credeva poi così tanto.
La vita era imprevedibile, la vita era così breve. Sarebbe davvero riuscita a recuperare tutti quegli anni andati perduti? Ne avrebbe avuto l'opportunità? Tutto quello era un grosso ed asfissiante punto interrogativo. Poteva succedere una disgrazia in qualsiasi momento, poteva andare a dormire e l'indomani non svegliarsi più e lei non avrebbe mai visto il mondo, tutto quello che per lei c'era.
Chiuse gli occhi e le lacrime iniziarono a scendere da sole: era la frustrazione. A volte desiderava davvero semplicemente morire. Chiudere gli occhi per sempre e lasciarsi alle spalle ogni problema, tutta la tristezza. Voleva, ma non ci riusciva. Più volte aveva tentato in momenti al culmine della disperazione di strapparsi quella vita di catene, senza riuscirci. Troppo vigliacca anche per quello.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II


La sua stanza era buia. Un buio freddo e soffocante che vibrava di negatività.
Melissa dormiva tranquillamente nel suo lettino, mentre Roxenne sentiva che qualcosa di brutto stava per accadere. Allungò una mano verso l'abat-jour, ma questa non si accese e la camera rimase immersa in quell'oscurità dai riflessi di uno strano bianco glaciale ed innaturale.
Improvvisamente un'ombra nera comparve al capezzale del suo letto ed iniziò a percuoterla senza che lei riuscisse a reagire.
Sentiva il dolore fisico torturarla, ma era incapace di difendersi, come se una forza esterna glielo impedisse costringendola a subire inerme. Anche se non ne vedeva il viso, riusciva a percepire la presenza di suo padre in quell'ombra.
Roxenne si nascose sotto le coperte in cerca di protezione, poi si svegliò costatando che era stato solo un incubo.
Si passò una mano sulla fronte madida di sudore, mentre il suo respiro era ancora accelerato: odiava quegli incubi, odiava gli incubi e basta.
Perchè non riusciva a sognare qualcosa di sereno, bello e colorato per una volta? Si sarebbe accontentata anche di sognare cose infantili come gli unicorni, non le interessava. Tutto fuorchè gli incubi, ma per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di allietare la sua mente prima di andare a dormire non ci riusciva.
Chiuse gli occhi e nascodendo la testa sotto il cuscino si sforzò di riaddormentarsi.

La sveglia suonò puntuale alle 7.00 come ogni mattina. Il suo suono insistente ed acuto la fece svegliare all'istante.
Da sotto il piumone decorato con motivi floreali sbucò una mano che spense l'aggeggio, poi ancora stralunata dal brusco risveglio si alzò controvoglia ed andò a lavarsi.
Il bagno era inondato di luce solare che attraversava la finestra e che al suo ingresso nella stanza l'accecò. Ridusse gli occhi in una sottilissima fessura e con una smorfia si piazzò davanti al grande specchio che troneggiava sopra il lavandino.
Lasciò inondare il viso d'acqua freddo con la quale si destò, lavò i denti e pettinò i capelli arruffati.
Quello per lei era solo un giorno come gli altri, un altro giorno da trascorrere come ieri, come l'indomani. Una parte di lei amava andare a scuola: per vedere visi diversi, per stare in compagnia, per ubriacarsi delle vite altrui e semplicemente per allontanarsi per qualche ora dalla sua prigione di vetro. Un'altra parte, invece, quella di ogni comune e rispettabile adolescente la odiava. Detestava alzarsi presto, detestava compiere tutte quelle azioni di routine: lavarsi, vestirsi, fare colazione, andare a scuola, stare seduti per sei ore e poi ritornare a casa.
Un quarto d'ora dopo uscì dal bagno, mentre la sorella ormai sveglia le dava il cambio.
Roxenne riandò in camera sua ed infilò un paio di jeans a sigaretta, una larga felpa viola che le arrivava quasi alle ginocchia con al centro un grande funghetto, come quello di Super Mario, accompagnato dalla famosa scritta "1up".
Magari lei fosse stata un personaggio dei videogiochi: le sarebbe bastato un funghetto o premere il tasto "reset" per iniziare da capo una nuova vita.
In cucina prese un toast e tenendolo stretto tra le labbra uscì di casa dirigendosi verso la scuola.
Una volta arrivata davanti l'edificio la campanella suonò e lei entrò raggiungendo la sua classe. Si accomodò al suo solito posto, quello in fondo a destra vicino alla finestra ed aspettò che il professore varcasse la soglia per iniziare ufficialmente un'altra giornata scolastica.

Tornò a casa alle due del pomeriggio e approfittò di quel tempo libero e dell'assenza del padre per fare ciò che amava e che le era stato proibito: scrivere.
Si, perchè lei scriveva. Si dilettava in piccoli racconti fantasy con draghi, maghi, guerrieri temerari e popoli magici da salvare.
Era bello creare nella sua testa un altro mondo, un mondo di cui nessuno era a conoscenza e in cui nessuno poteva entrare. Quel mondo era solo suo e tutto ruotava attorno a lei.
La sera arrivò fin troppo presto e con essa anche quella figura. Poteva sembrare solo una coincidenza, ma agli occhi di Roxenne non lo era: calava il buio, arrivava lui. Quel particolare alimentava ancora di più la sua fantasia, tanto da farle pensare che potesse essere un buon antagonista di una delle sue storie.
La ragazza sentendolo salire le scale in fretta e furia prese tutti i foglietti con le bozze e cartacce e le nascose malamente nello zaino.
"Che stai facendo?".
Quella voce la fece sobbalzare e le strappò via il respiro.
"N-niente" mormorò.
L'uomo inarcò un sopracciglio guardando oltre le spalle della figlia, poi le si avvicinò e allontanandola con una mano si abbassò per prendere qualcosa che poi le sbattè in faccia: un foglio che era sfuggito alla frenetica presa di Roxenne.
"Niente? Mi prendi in giro? Ancora con queste stupidaggini? Che ti avevo detto, eh? Che non ti volevo più vedere scrivere!" disse minaccioso.
Lei non lo guardò in faccia e serrando i pugni lungo i fianchi rimase con gli occhi fissi sul pavimento, mentre il suo cuore batteva all'impazzata nel petto. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, era il nervoso, ma lei non poteva farle uscire, non doveva. Non era debole, non era una piagnucolona, lei non piangeva, soprattutto davanti a lui.
"Guardami quando ti parlo e rispondimi!" urlò strattonandola per un braccio "Pulisci la casa invece di perder tempo con queste schifezze, renditi utile, non fai mai niente!".
Roxenne era una testa calda. Lei rispondeva se una cosa non le andava bene, lei era orgogliosa, anche fin troppo, lei sfidava le persone. Lo faceva con tutti, ma con lui si tratteneva. Qualche volta la rabbia era talmente tanta che il suo autocontrollo si polverizzava e le usciva di bocca qualcosa che non doveva dire scatenando l'ira del padre che si sentiva beffato e sfidato al contempo. Ecco l'aria che si respirava lì dentro: la tensione. In quella casa era una continua lotta tra due tori, da una parte il capo famiglia asfissiante, violento, odioso, dall'altra parte c'era la figlia testarda, orgogliosa, uno spirito libero e ribelle che a volte aveva il coraggio di andare incontro a quel toro. Un vero e proprio ring.
Roxenne sbottò "La pulisci tu casa!" disse strattonandosi per liberarsi dalla presa del padre e correndo fuori di casa.
Scappò. Era la prima volta che lo faceva. Era la prima volta che usciva da quella casa correndo per sfuggirli come nei suoi sogni. Di solito quando gli rispondeva subiva le conseguenze, ma quella sera i suoi piedi le dicevano di correre e così lei aveva fatto.
Fuori il mondo continuava ad andare avanti, le persone passeggiavano sui marciapiedi, i negozi erano illuminati e le commesse all'interno accoglievano i clienti, un gruppo di coetanee passeggiava guardando le vetrine e le macchine passavano sulla strada indistubate, tutti ignari della sua fuga. In fondo la sua era solo una piccola realtà in un mondo che, forse, non la considerava nemmeno.
Si allontanò da quel movimento e da quella frenesia. Le dava fastidio, stonava con il suo stato d'animo.
Continuò a correre fino a raggiungere una strada molto più calma, anzi deserta. Solo un uomo che portava a spasso il cane vi camminava.
Quella era una zona periferica della città, su entrambi i lati dell'asfalto vi era una grande distesa di erba secca ed arbusti, dove in lontananza si vedevano le case dei quartieri abitati. Sul lato destro della strada, però, c'era un edifio, l'unico per centinaia di metri: un enorme capannone di ferro da cui provenivano schiamazzi e qualche spiraglio di luce.
Roxenne ne aprì la porta incuriosita e si trovò in una grande arena al cui centro vi era un ring di boxe circondato da persone che urlando sventolavano i loro soldi per le scommesse sul vincitore ed incitavano i due pugili, uno di fronte all'altro nei rispettivi angoli.
All'angolo destro c'era un ragazzo calvo, una sottospecie di armadio, dai calzoncini neri, così come i suoi guantoni, all'angolo sinistro, invece, c'era un ragazzo dalla corporatura molto più minuta del suo avversario, ma muscolosa. Il suo torace era coperto da tatuaggi, aveva i capelli chiarissimi, quasi bianchi, rasati ai lati e morbidi al centro, aveva anche svariati piercing sul volto ed indossava dei pantaloncini blu con i guantoni rossi.
La campanella trillò, mentre sul ring passava una bionda dal bikini succinto con un cartellone in mano che segnava il primo round.
La ragazza entrò nel capannone e facendosi largo tra quell'ammasso di spettatori impazziti raggiunse la prima fila ed assorta guardò quel round ed i successivi.
Osservava il ragazzo dai calzoni blu e si stupiva di come riusciva a tenere testa a quell'energumeno pelato, inoltre, doveva ammettere che era carino e dai lineamenti troppo delicati per praticare uno sport talmente violento come la boxe.
Durante l'ultimo round il suo avversario sganciò un destro micidiale che lo colpì in pieno viso facendogli girare la testa da un lato e perdere la protezione per i denti.
Roxenne a quella scena si portò le mani sugli occhi coprendoli. Un secondo dopo la campana suonò annunciando la fine dell'incontro accompagnata dalle grida di gioia degli scommettitori.
Scoprì gli occhi e trovò il ragazzo dai tatuaggi con il braccio destro alzato in alto dall'arbitro in segno di vittoria, mentre sul suo volto livido e sudato vi era un gran sorriso.
La ragazza sgranò gli occhi per la sorpresa. Come aveva fatto a vincere contro ad un simile avversario e soprattutto dopo quel brutto colpo?
Lo seguì con lo sguardo scendere dal ring ed andare in un corridoio in fondo al capannone, finchè non scomparì.
Restò in piedi di fronte al grande quadrato con le corde ai lati, mentre gli spettatori lasciavano quel posto. Dopo minuti interminabili di esitazione decise di andare dal ragazzo per congratularsi della vittoria.
Andò verso quel corridoio e lo percorse a metà, fin quando non incontrò una porta su sui vi era appeso un foglio che riportava il nome "Bill Kaulitz".
Titubante aprì la porta trovando il ragazzo in jeans e felpa grigia che sentendo il cigolio dei cardini si girò.
"Oh, ciao! Non si usa più bussare?" disse.
Roxenne rimase imbambolata. Credeva che la sua altezza era data dal fatto che era sul ring, ma adesso che erano sullo stesso piano doveva ricredersi: lui era altissimo. Ed oltre ad essere più alto di quanto lei credeva era anche molto più bello.
Aveva degli occhi meravigliosi, di un castano così caldo. Per non parlare poi delle labbra, troppe belle, troppo perfette per essere deturpate da tagli e graffi conseguenze degli incontri di boxe, persino il suo naso lo era. Dritto, grazioso senza deviazioni o rotture che di solito hanno i pugili.
Il pugno del calvo aveva lasciato il segno sulla sua guancia sinistra un pò violacea che stonava con il colorito roseo della sua pelle.
"S-scusa...io, io volevo congratularmi con te..." mormorò imbarazzata. 

  
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