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Autore: ravencraw    17/12/2012    1 recensioni
"Un giorno speciale in fin dei conti, e per Izumi lo era ancora di più, era il suo compleanno e per questo motivo il padre decise di chiamarla primavera, non credo ci sia un nome più appropriato"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO 3 HAIIRO NO ASUFARUTO

 

Era ormai passato un mese dalla morte di sua madre, le esequie si svolsero in modo formale nel piccolo villaggio di Nikko, a cui presero parte quasi tutti gli abitanti; Izumi si trovava in prima fila sulle eburnee gradinate del tempio, vicino al padre...già, il padre...

Non era più lui in quel periodo, aveva smesso di chiamarla Doki, era molto più rigido e spesso non tornava a casa.

La nonna gli diceva che era normale, e che sarebbe stata solo questione di tempo, prima che le cose avessero ripreso il loro corso, ma non fu così;

Le ingenti tasse ospedaliere avevano risicato fino all'osso le finanze della famiglia Inamoto, aggravate dal fatto che il padre di Izumi preferiva uscire a bere piuttosto che a curare l'orto e la ragazza non poteva di certo mandare avanti una famiglia di quattro persone da sola e contemporaneamente sanare i debiti fiscali, decise a suo malincuore di dover partire verso una metropoli, per trovare un lavoro e magari continuare gli studi, per migliorare la propria condizione di vita e un giorno tornare così tra le sue amate montagne.

Sarebbe partita da lì a due giorni, prese il tempo necessario per salutare i parenti, e si raccomandò alla nonna perchè stia vicino a suo padre, ne aveva bisogno in quel particolare momento...

Salutò le sue colline, i suoi fiori e i suoi alberi, ad uno ad uno invocandoli e poggiando i palmi sulla grezza corteccia, con quel gesto che tanto amava fare, non si dimenticò nemmeno di salutare i suoi animali, ce vivevano nelle radure limitrofe, e che col tempo e con la dolcezza innata della ragazza, avevano imparato a non averne paura.

Fatti i bagagli, non restava che partire, camminò lungo la valle per il piccolo sentiero battuto dal tempo, sotto i peschi in fiore, che con la loro pioggia di petali auguravano la buona sorte alla piccola che dovette diventare grande.

Il viaggio fu abbastanza piacevole per Izumi, non era la prima volta che prendeva un treno, anche se l'ultima volta che lo fece era molto più piccola e sua madre era..ancora in vita.

Si accordò per sistemarsi in casa con una sua prozia da parte di padre, nella periferia della capitale, dove, visto l'accaduto, si premurò anche di trovarle un lavoretto nella sua tavola calda, cosa che non dispiacque affatto a Izumi, felice di non doversi occupare di burocrazia come facevano i "grandi".

Il treno sferragliò sui binari un'ultima volta prima di posarsi dolcemente sul lastricato di acciaio della stazione centrale di Tokio, Izumi fu travolta da una marea di persone che fluivano all'interno del mezzo e cercò di evitare di scontrarsi con quelli che invece cercavano di salire, scusandosi ad ogni piccolo urto, cosa che passò inosservata agli eddoko e che li infastidiva in qualche modo, loro dopotutto erano avvezzi alla mera ipocrisia dell'ideale gerarchico, e non avevano tempo per le buone maniere.

La ragazza stonava completamente con quella flotta di camice grige che pervade le strade asfaltate con una crescente frenesia, fin da subito capì che non c'era posto per il suo berretto rosa, per il suo maglione cobalto e per i suoi stivali con i pon-pon, tutto doveva essere lobocotomizzato e conforme alla "carriera", ma lei cercò di non pensarci, non avrebbe mai permesso che le portassero via il suo "io".

Sembravano tutte uguali le persone in quel luogo dal suo punto di vista, cercò vanamente di salutare e augurare buona giornata senza che nessuno la degnasse di uno sguardo, si chiese se avesse trovato qualche albero in mezzo a tutto quel cemento e catrame, istintivamente cercò anche il cielo, grigio, spento, visibile solo per alcuni tratti, dato che il campo visivo era coperto da quei mastodonti dell'architettura; Izumi non si era sentita mai così smarrita.

Arrivò con fatica al palazzo dove abitava sua zia, dato che non c'erano piante o colline per orientarsi, non c'erano suoni o odori che permettessero di camminare ad occhi chiusi, come faceva spesso a casa quando giocava con i sensi, c'era sempre qualche brezza al profumo di loto, che le facesse capire che si trovava nei pressi del ruscello, o il tipico odore di incenso e oli del tempio...

Sistemò i bagagli, sua zia non era in casa ancora, ma questo lo sapeva, doveva lavorare molto;

Izumi era stanca e spossata per il tragitto, ma ebbe la forza di scrivere a sua madre, estrasse il suo quadernino viola, lo accarezzò amorevolmente un paio di volte e scrisse:

scrisse della città, scrisse degli eddoko, e scrisse delle sue speranze di trovare qualcuno con cui parlare o fare amicizia, cosa che la spaventava molto...rimanere da sola.

 

 

Ecco il terzo capitolo,...spero sia di vostro gradimento, se c'è qualcosa che non va, o semplicemente avete dei consigli scrivete pure, grazie in anticipo per la lettura.

  
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