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Autore: Horrorealumna    17/12/2012    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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DUE MADRI PER DUE FIGLI
 

“Cos’era quella cosa?”
Erano state queste le parole che Travis mi aveva rivolto al nostro primo incontro... ma nell’Otheworld, appena ucciso un mostro, una creatura ripugnante, senza braccia, viso o altre fattezze normali, dal cui petto faceva fuoriuscire una specie di acido ustionante. Come avevo fatto a crearlo? Probabilmente infestava i miei incubi e quelli di Travis. Insieme.
Aveva raccolto il primo pezzo ed ero arrivata io... a metterlo a dormire.
Lo feci svegliare lontano da lì, nella “realtà”. Anzi, fu Lisa Garland a svegliarlo, in sala d’attesa.
Lisa... Travis... non li vedevo male quei due. Ma Lisa sembrava quasi assente, distaccata.
E Travis parecchio imbarazzato, in effetti non aveva molta esperienza con le ragazze. Poi Lisa era decisamente carina per i suoi diciassette anni: una giovane ragazza, formata, bella, sorridente... ma sempre con quell’aria sognante.
Travis le chiese di me, naturalmente. Lisa mantenne il segreto, esattamente come Kaufmann le aveva comandato di fare: rispose all’uomo che io, Alessa, ero morta qualche giorno fa nell’incendio in periferia. Finse bene, ma Travis non le credette. E come poteva? Era stato lui a salvarmi!
Lisa alla fine lo congedò, scusandosi che il dottor Kaufmann desiderava incontrarla al manicomio, e che se faceva tardi l’avrebbe sgridata. Palese bugia: cosa avevano intenzione di fare, quei due nella mia dimensione nebbiosa, in un manicomio, ora vuoto, visto che erano circondati solo da mostri?
Droga? Probabilmente.
Anche Travis non la bevve; in verità era chiarissimo che Lisa stesse nascondendo qualcosa. Perciò la seguì e aiutandosi con la mappa raggiunse il “CEDAR GROVE SANITARIUM”.
Un manicomio. Lo stesso manicomio dove fu chiusa sua madre, quando impazzì e cercò di uccidere il suo unico figlio col gas. Lo sapeva, aveva dei ricordi? Probabilmente no, visto che il nome non gli risultava familiare. Ecco perché dovevo aiutarlo a ricordare.
In più, “sentivo” la presenza di un altro frammento di Flauros nell’edificio.
Due piccioni con una fava. Perfetto.
 
L’atmosfera lugubre, anche all’interno, faceva da padrona. Un silenzio... per me. Ma ero sicurissima che Travis riuscisse ancora a sentire il bisbigliare di mille persone.
I suoi piedi andavano, senza fermarsi. Perlustrava i corridoi, raccolse una pistola per sicurezza, esaminò cassetti e armadi, e soprattutto cercava l’infermiera.
Ma invece della dolce biondina, ebbe un incontro molto più spiacevole.
Mia madre, Dahlia, lo incrociò per un lungo corridoio. Travis la riconobbe senza indugi e le rivolse la parola:
- Tu eri presente quella notte, all’incendio! Ti ho vista!
Forse cercava testimonianze per confermare la mia non-dipartita.
Dahlia gli sorrise:
- Certo, era casa mia quella... che bruciava. E mia figlia, Alessa.
Dahlia, Kaufmann e Lisa in un posto isolato e vuoto, quasi.
L’Ordine. E la PTV.
Travis ridusse gli occhi a delle fessure; potevo quasi sentire il suo cervello ronzare, a ricordare.
- Tu... sei l’uomo che l’ha salvata - continuò la donna.
Una persona normale l’avrebbe ringraziato, e forse era anche quello che si aspettava Travis. Ma niente. La sua era stata un’osservazione.
- Sì! - esclamò il ragazzo - Ed era tua figlia? Perché l’hai lasciata là dentro, sola, a morire? Perché nessuna le ha dato una mano? Avete lasciato quella bambina bruciare!
Era rabbia. E confusione.
Diceva che ero morta. Ma non poteva spiegarsi il motivo per cui continuava a vedermi riflessa negli specchi.
- Ed è così che è stato, e così che doveva andare! - rispose Dahlia - Il mondo è più strano di quanto tu possa pensare...
- Sei pazza. Dov’è? So che è viva.
Il corpo di Dahlia ebbe un fremito di paura e sorpresa.
Se continuava così, Travis mi avrebbe fatto scoprire! Cosa stava facendo? Dahlia sapeva che il corpo di sua figlia riposava sottoterra, ma non aveva idea che io, anima, fossi uscita da quella stanza, da quella carne ustionata, per guidarlo.
Ora avrebbe avuto strani sospetti... o già li aveva. Sorrise. Come sempre. Un sorriso che avevo imparato ad odiare.
- So che è viva, l’ho vista. Ma Lisa mi ha detto che è morta. Cosa le è successo veramente? - continuò.
- Alessa? Alessa è insieme a coloro che tengono a lei - disse lei.
Lo sapeva. Ora.
Ero vicino a Travis. Lo guidavo, lo sorvegliavo, li seguivo. Ero al suo fianco.
Dahlia fece per svoltare l’angolo quando aggiunse:
- Non fidarti di lei, Travis. Non sa quello che sta facendo.
Travis sussultò:
- Come conosce il mio nome?! Ehi!
Ma la donna era sparita nelle ombre, di lei non c’era più traccia.
 
Ero nei guai.
Ma potevo ancora farcela, se giocavo bene le mie carte.
 
Infermiere demoniache.
Cercarono più volte di uccidere Travis, ma non erano in grado di ferirlo, grazie ai suoi riflessi pronti e alla capacità d’attaccare. L’uomo utilizzava qualsiasi cosa per colpire: pezzi di legno, cacciaviti, metallo, coltellini, porta flebo. E i mostri in pochi secondi crollavano ai suoi piedi. Erano sue e mie paure, le sconfiggeva anche per me e le ero grata.
Comunque, arrivati nella sezione femminile del manicomio, Travis cominciò a sentirsi debole e dolorante, non per stanchezza. Ma a causa di voci. Voci che riuscivo a sentire anch’io.
 
“Ti ho sempre odiato! Te e quel demone di tuo figlio!”
“Helen, no! Non andare, no!”

 
Come faceva a non ricordare? Travis si limitava ad accasciarsi e ad aspettare che i suoni cessassero.
Non ero io a farlo stare così, era Silent Hill stessa, ma tutto ciò facilitava il mio lavoro.
Altre voci... sempre più vicini alla cella d’internamento di Helen Grady.
Un dottore e lei, sicuramente.
 
“Cosa, Helen?”
“Dovevo farlo.”
“Doveva farlo? Fammi capire... “
“E’ così che ci si comporta con la gente cattiva.”
“Ed è così che ti sei comportata tu. Era stato cattivo?”
“Oh, sì che lo era. Lo è sempre stato. Ho cercato di far finta che non lo fosse... Ma loro erano là per assicurarsi che non me lo dimenticassi mai.”
“Loro?”
“Le persone dello specchio. Loro vedono tutto. Ciò che succede... “
“Ed è stata una loro idea?”
“Sì. Hanno visto il diavolo dentro di lui. Dovevo ammazzarlo. Io, la responsabilità era mia. Mia carne, mio sangue. Io l’ho dato alla luce, l’ho messo al mondo... quindi dovevo essere io a togliercelo! Anche i ventri buoni possono partorire figli cattivi, dicono loro. So che pensa che ciò che ho fatto sia sbagliato.”
“Voglio solo capire... Helen...”
“No. Lei vuole tenermi rinchiusa qui, dottore. Ma non può; io esco quando mi pare. Posso attraversare lo specchio ed entrare nel loro mondo. Questo mondo è solo un sogno ad occhi aperti.”
“Helen... “
“Quando mi porteranno il mio bambino?”

 
Ma fu Travis a venire da lei, ad intrufolarsi senza il consenso paterno nel manicomio per arrivare da sua madre. Non dette retta al padre, non accettò la sua morte. Ed aveva ragione.
Un po’ come stava capitando ancora, nei miei confronti però.
 
Davanti alle cellette femminili dell’Otherworld, c’era Lisa, seduta su uno sgabello, con la mano sulla fronte e sguardo assente.
Travis dovette chiamarla più e più volte per disincantarla.
- Lisa! Lisa? Rispondimi. E’ importante: anche tu vedi... questi... questa... roba? E’ tutto buio, pieno di ruggine e voci anche per te?
Lo era sicuramente...
Tornata lucida, Lisa borbottò:
- Io... oh, è così triste. Non possono fare niente per lei. E’ seduta lì, a non far niente. Rivuole il suo ragazzino, così disperatamente.
- Chi? Lisa, chi? Di chi parli? - chiese lui agitato puntando la porta al fianco della ragazza, i ricordi che cominciavano probabilmente ad affiorare - Alessa? C’è Alessa là dentro?
Lisa ebbe un cambiamento d’umore: s’alzò in piedi, furiosa guardando negli occhi Travis.
- No! NO! Tu sai chi c’è dentro! - gridò fuori di sé, prima di lasciarsi tutto alle spalle ed uscire dalla stanza.
 
Non le bastavano le transizioni tra realtà deserta e realtà mostruosa. O il suo cervello cominciava a dare i primi segni di cedimento. O Kaufmann l’aveva sgridata.
Lisa non era quella che conobbi qualche tempo fa, per strada.
 
Travis...
Nella cella... c’era sua madre. E la trovò... non come si sarebbe aspettato.
 
Un ammasso di carne puzzolente e marcia, dentro una gabbia da cui spuntavano aculei di ferro, roventi ed appuntiti. La creatura aveva ancora quasi le sembianze di una donna. E un buco, su quello che doveva essere il viso, era la sua bocca.
 
- Mamma... papà dice che sei morta - sussurrò un bambino della mia stessa età, al mio fianco. Aveva i capelli scuri e portava un berretto.
- Non sono morta, amore. Solo lontana. Lontana dagli occhi, dai pensieri. Ma non morta - disse il mostro con voce mielosa - Ho detto allo specchio di portarmi il mio bambino e...
- ... mamma.
- Vieni, piccolo. Lascia che mamma ti dia uno sguardo...

 
Travis cercò l’uscita ma la porta si era come volatilizzata.
Helen era pochi metri da lui, minacciosa e spaventosa.
 
L’affrontò.
Fu uno sforzo tremendo, fu anche ferito. Ma riuscì ad evitare i colpi con tenacia, proprio come mi aveva dimostrato, e la mise in stallo, in un angolo, riempendola di pallottole.
Lo faceva senza battere ciglio, sapeva che era la cosa giusta da fare. Certo, uccideva la sua paura nei confronti della madre... ma chissà se l’illusione di star uccidendo la sua vera madre si era insinuata nella sua mente.
 
Quando la gabbia crollò e il mostro lanciò il suo ultimo grido di dolore, il pavimento cominciò a tremare.
Paura affrontata e sconfitta.
Pezzo di Flauros.
Davanti a lui.
 
Con le mani rosse di sangue lo raccolse e lo avvicinò al viso sudato.
- E’ come prima - sussurrò sospettoso.
Mi resi visibile finalmente ai suoi occhi, come l’altra volta. E l’osservai.
Ci era riuscito.
Mi osservò furioso... anche lui sospettava:
- Cosa sta succedendo, eh? Quella cosa... che ho visto e... non è possibile! E’ causa tua? Sei tu che mi stai facendo tutto questo?
Rimasi zitta.
La sirena suonò: si torna nel mio regno, Travis.
Iniziò a barcollare:
- No, non an-cora... devo... sapere...
E cadde a terra svenuto, ai miei piedi, con la piramide stretta in pugno.
 
Ora... il terzo pezzo.
- Si và a teatro - sussurrai.
 
 
 
   
 
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