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Autore: Alaire94    21/12/2012    2 recensioni
Avete mai pensato a una vita senza emozioni? A come sarebbe se il cuore non battesse più e non foste più di un involucro freddo e apatico? Lottereste per conservare quel piccolo frammento di umanità rimasto in voi o vi abbandonereste alla sorte?
Cercheranno di farti credere che la loro è una giusta causa, ti prometteranno ignobili punizioni, ma non sempre ciò che luccica è oro e non sempre nel buio c'è il male. Benvenuti a Edentia, nel paradiso che forse paradiso non è.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Edentia

 

Aprii gli occhi lentamente, compiendo uno sforzo immane. Una forte luce penetrava fra le ciglia tutte le volte che tentavo di sollevare le palpebre, rendendomi estremamente difficoltoso quel semplice gesto.

Quando ci riuscii, subito capii da dove proveniva quella luce tanto forte: il sole, ovviamente. Quei raggi parevano molto più potenti del solito, o forse non ne ero più abituata?

Non ricordavo molto di ciò che era accaduto prima di risvegliarmi. Se ci pensavo, vedevo solo un buio soffocante.

Era senz'altro per questo: ero passata troppo velocemente dall'oscurità alla luce.

D'altronde il sole non poteva spostarsi. E se avesse cominciato a farlo, allora il mondo sarebbe andato a rotoli. Era una certezza matematica.

Mi alzai a sedere e guardai attorno a me con curiosità. Mi trovavo in un letto di narcisi bianchi, al centro di un'aiuola bordata di cespugli di rosa gialla.

Quel luogo era perfetto, come uscito da un film o da uno di quei sogni da cui non vorresti mai svegliarti.

Si trattava di un giardino che pareva estendersi all'infinito in un tripudio di colori allegri. Vi erano aiuole come quella in cui mi trovavo, vialetti di fine ghiaia, alcuni ombreggiati da stupendi ciliegi in piena fioritura, fontane zampillanti dall'acqua cristallina.

Mi alzai in piedi e, dopo aver scavalcato con attenzione la siepe di rose, mi immettei in uno dei vialetti.

Soltanto in quel momento, quando cominciai a camminare incerta, mi accorsi di quanta gente popolasse il giardino e mi stupii di come non l'avessi notata subito.

La maggior parte era vestita normalmente, con t-shirt e jeans scoloriti, altri invece portavano lunghe tuniche bianche con ricami dorati. Ciò, però, che più saltava all'occhio erano i loro capelli: candidi come nuvole, si illuminavano d'argento ai raggi del sole.

Mentre accennavo qualche passo lungo il viale, guardandomi attorno con gli occhi sgranati, la gente arrivava nel senso opposto, lanciandomi qualche sguardo.

Se fino a quel momento ogni cosa di quel luogo mi era parsa allegra e paradisiaca, come una visione celeste, quando incrociai i volti di quelle persone, quell'idea si disperse in un alito di vento.

I loro visi erano statici, scolpiti nel granito. Non avevano espressione emozione, avevano perso ogni calore umano. Gli occhi erano spenti, come palle di vetro colorato infilate a forza nelle orbite.

Mi ricordavano quelle teste di animali imbalsamati appese nelle sale dei grandi castelli; mi avevano sempre inquietata, quando le osservavo provavo lo stesso vuoto allo stomaco che percepivo guardando negli occhi di quella gente.

Come per chi ammazzava a sangue freddo gli animali per averne la testa sopra il camino, provai disprezzo per coloro che li avevano ridotti a quel modo.

Feci ancora qualche passo, andandomi a sedere su una panchina di legno di fronte a una fontana. Non sapevo se definire tutto ciò un sogno o un incubo. L'unica cosa di cui ero sicura era che volevo svegliarmi il più in fretta possibile, aprire gli occhi nella mia camera da letto e vivere la mia vita normale. Magari non me ne sarei neanche più ricordata.

Appoggiai la schiena alla panchina, buttando gli occhi in alto verso il cielo di un azzurro intenso; neanche una nuvola lo attraversava. Tutta quella perfezione cominciava a darmi su i nervi, quasi mi opprimeva.

Chiusi gli occhi, stringendo con forza le palpebre. Adesso mi sveglio a casa, adesso mi sveglio a casa, ripetevo mentalmente in continuazione.

Quando stavo per alzare le palpebre per verificare che il mio desiderio si fosse avverato, una voce mi fece sobbalzare.

«Devi essere Gioia».

Aprii gli occhi di scatto, accorgendomi con disgusto di essere ancora in quel giardino.

Annuii leggermente.

«Salve, io sono Harry», disse lo sconosciuto porgendomi la mano.

Era un ragazzo alto, dai corti capelli candidi e indossava una di quelle tuniche bianche. Il suo volto, tempestato da qualche lentiggine, era granitico come quello di tutti gli altri.

Gli presi la mano, titubante. «Gioia, piacere».

Harry sospirò. «Su, alzati! Ho molte cose da spiegarti prima di lasciarti cominciare il tuo lavoro».

Serrai i pugni, sentendo i nervi tirarsi come le corde di un violino. Mi alzai in piedi di scatto, senza alcuna intenzione di fare ciò che diceva quel tipo. «Che lavoro? E dove cavolo sono?», strillai in un tono che non celava la rabbia.

Harry sospirò ancora, scuotendo la testa. «Matricole!», esclamò.

Mi appoggiò una mano pallida sulla spalla. «Tranquilla, le pulsioni umane ti perseguiteranno ancora per poco».

La rabbia aumentò ancora di più, spingendomi a liberarmi della sua stretta. «Allora? Mi vuoi rispondere?».

«Certo, era proprio di quello che ti volevo parlare. Permettimi di accompagnarti in perlustrazione», rispose, con un gesto galante che calmò in parte la mia irritazione.

Lo seguii lungo il vialetto, dove una leggera brezza gli faceva sventolare la veste. «Questa è Edentia, quello che voi umani potreste definire "aldilà"».

Lo fissai con gli occhi sgranati, non riuscendo a metabolizzare appieno ciò che mi aveva appena detto. C'era qualcosa che mi sfuggiva.

«Come posso fare per tornare a casa?».

Harry prese un altro profondo respiro. «Non tornerai a casa».

Mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Dovevo assolutamente tornare a casa: papà, Lorenzo, Debora avevano bisogno di me e io di loro. Non potevo restare, qualsiasi cosa questo tizio volesse da me.

«Io ci devo tornare».

Harry scosse la testa. «Temo che non sia possibile, Gioia. Ormai sei una Harveil, una protettrice, l'Oracolo ti ha scelta proprio per questo».

«Non mi interessa un fico secco di questo Oracolo e di quello che vuole da me, ma io devo tornare a casa, dalla mia famiglia e dai miei amici», affermai, mentre l'irritazione prendeva nuovamente possesso di me.

«Non c'è un modo semplice per dirtelo. Non puoi tornare a casa perché...». Prese un altro respiro. «Perché sei morta».

***

Angolo autrice 

Grazie a coloro che hanno letto e commentato il primo capitolo! Spero che anche questo sia gradito! So che è un po' corto, ma ho ritenuto opportuno suddividere la storia in questo modo, abbiate pazienza: il prossimo sarà più lungo! :) 

   
 
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