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Autore: margheritanikolaevna    22/12/2012    11 recensioni
Dal capitolo terzo: " “Ascoltami” disse Stella, con voce improvvisamente ferma “C’è una cosa che devi sapere: io non sono chi pensi che sia. Non sono la persona che credi di conoscere”.
La poliziotta era consapevole che un solo gesto avrebbe persuaso Mac più di mille parole, che lui avrebbe tenacemente bollato come sciocche credenze popolari, impossibili da credere: per questo, lesta come un fulmine s’impossessò della pistola che il collega teneva alla cintola e prima che lui - interdetto da quel gesto inaspettato - riuscisse a muovere un muscolo puntò l’arma verso il proprio petto ed esplose un colpo".
Racconto primo classificato al Goth Contest, indetto da CarmillaLilith su efp
Questo è il link: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10338285
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Con questo capitolo, nel quale a una prima parte più tipicamente CSI se ne contrappone una seconda di tono del tutto diverso, alcune cose saranno svelate. Per tutte le altre, a dopo Natale!
Le frasi evidenziate in grassetto sono la traduzione di alcuni versi della poesia “Le vampire” di C. Baudelaire, che facevano parte del pacchetto da me scelto.
Grazie infinite alle amiche che stanno continuando a leggere e a lasciare il loro parere: non avete idea di quanto mi siate di supporto.
E che il Natale sia per ciascuno di noi un’occasione da vivere con gioia e serenità.
 
 
Capitolo terzo
 
 
“È sempre una pena ritrovarsi sul tavolo una ragazza tanto giovane” disse il patologo Sid Hammerback al tenente Taylor, rivolgendo un ultimo sguardo al povero corpo che aveva appena finito di ripulire ed esaminare.
“Non aveva documenti con sé?” domandò, sfilandosi gli occhiali con un sospiro.
“No” rispose l’altro “ma abbiamo fatto diversi primi piani e preso le impronte digitali; ora le stiamo passando all’AFIS e se non dovessero darci esito positivo proveremo anche con i calchi dentali, sperando di riuscire a dare un nome a questa poveretta”.
“E Stella?” chiese a quel punto il dottore “Ho saputo che stamattina non stava bene”.
“Già!” replicò Mac, con una nota di preoccupazione nella voce che non sfuggì all’altro “Le ho dato la giornata libera e più tardi proverò a chiamarla per sentire come vanno le cose: ma vedrai che sarà stata solo un po’ di stanchezza. Torniamo a noi” aggiunse dopo un istante, recuperando il suo solito tono serio.
Sid annuì e afferrò il braccio del cadavere, facendo nel contempo segno all’amico di avvicinarsi.
“Da’ un’occhiata qui” disse, mostrando i profondi tagli che deturpavano le pelle bianca della ragazza “questi segni di morsi sono insoliti…”.
“In che senso?” chiese il poliziotto, improvvisamente incuriosito.
“Sembra che appartengano a un animale selvatico - un lupo o un coyote - ma” ribatté il medico “non ci sono gli strappi e le irregolarità dovute al trascinamento o allo smembramento, tipici delle ferite inferte dagli animali selvatici”.
“Insomma” proseguì, levando il viso verso il collega “se fosse possibile direi che li ha provocati un uomo. O comunque non un animale selvatico”.
“Ecco, i segni sul corpo sono di artigli, mentre quelli sul collo e la gola sono di morsi”.
“Un’altra cosa strana è che la causa della morte” proseguì “non sono state le ferite, né le lesioni alla carotide (che comunque l’avrebbero uccisa, ma nel giro di qualche minuto), bensì la massiccia perdita di sangue che ha provocato uno shock emorragico devastante, facendo fermare il suo cuore in pochissime decine di secondi.
In pratica questa ragazza aveva in corpo sì e no un terzo del volume sanguigno che avremmo dovuto trovare, data la sua corporatura”.
Il tenente fissò l’amico senza riuscire a reprimere un moto di sorpresa: ecco, questo era veramente singolare.
“Ma, Sid” sbottò “com’è possibile che un dissanguamento tanto violento sia avvenuto
in così poco tempo? E, soprattutto, come mai sulla scena del crimine non abbiamo trovato tutto il sangue che lei ha perso?”.
Il trillo insistente del cellulare costrinse il detective a rispondere, interrompendo l’analisi del dottore; ascoltò per qualche istante e Sid notò che la sua espressione si era improvvisamente incupita.
“Dove?” domandò solo. Poi, una volta ottenuta risposta, aggiunse brevemente: “Arrivo” e chiuse la comunicazione.
Trasse un respiro profondo e rispose alla domanda silenziosa che il patologo gli aveva rivolto: “Devo andare: hanno appena trovato un altro cadavere ridotto esattamente come questo qui”.
 
***
 
“Si dice che i lupi dell’isola di Manhattan fossero talmente feroci che le leggende sui licantropi nacquero tra gli indiani e solo in seguito si diffusero tra i coloni europei…”.
Don Flack lesse ad alta voce dal giornale che aveva comprato andando in ufficio e poi, con un gesto stizzito, lo gettò nel cestino.
“Puah!” esclamò disgustato “Ci mancavano solo i lupi mannari!”.
“I media si sono già scatenati dopo il primo omicidio” replicò Mac, bevendo un sorso dall’ennesima tazza di caffè che aveva contribuito a tenerlo sveglio durante tutta la nottata appena trascorsa.
“E quando c’è stato il secondo, quegli avvoltoi hanno colto la palla al balzo per costruirci sopra una storia horror: panico assicurato e migliaia di copie in più vendute ogni giorno”.
Si sfregò gli occhi e represse a fatica uno sbadiglio.
“Piuttosto” domandò all’amico “tu hai notizie di Stella? Non risponde al cellulare e non è venuta in ufficio nemmeno oggi: certo che in momenti come questi la sua mancanza si sente particolarmente! Tra l’altro il secondo corpo è stato trovato in un vicolo a poche centinaia di metri in linea d’aria da casa sua”.
Il detective scosse la testa e rispose: “No, Mac, mi dispiace. Non ne so nulla; certo che non è da lei sparire così, ma magari ha avuto qualche problema personale…”.
“Bah” esalò l’altro, fissando il telefonino come se in tal modo potesse estorcergli qualche informazione sulla collega.
 “Sarebbe la prima volta in tanti anni. Anzi, mi correggo, la seconda volta” aggiunse  dopo aver riflettuto un istante. Non furono necessarie spiegazioni, dato che anche Flack aveva compreso esattamente il riferimento alla brutta avventura vissuta da Stella alcuni anni prima con il suo ex fidanzato Frankie, che l’aveva sequestrata e picchiata brutalmente.
“Sei preoccupato?” domandò allora il poliziotto “Vuoi che mandi una pattuglia a casa sua?”.
“No, Don, grazie” rispose l’altro alzandosi in piedi e afferrando la giacca “Ci vado io, tanto qui le indagini sono a un punto fermo”.
 
***
 
Stella scese la scala buia e incrostata di muschio, appoggiando una mano alla parete di pietra per non scivolare e cercando di reprimere la sensazione di disagio che le provocava trovarsi in quel luogo umido e fetido.
Giunta alla fine dei gradini, oltrepassò l’arco e la porta di metallo tutta arrugginita che chiudeva la cripta e una corrente d’aria gelida la colpì in volto facendola rabbrividire; nonostante il sentore di corruzione che promanava da quel luogo spettrale le desse la nausea, s’inoltrò all’interno della piccola sala sotterranea, rischiarata solo dalla luce proveniente dal finestrino situato in alto.
Il pavimento di lastroni di pietra grigia consunti dal tempo e dall’umidità s’interrompeva dove, al centro della sala, s’innalzavano degli scalini che portavano a un sarcofago di marmo chiaro, ornato di raffinate volute; Stella avanzò vacillando nella semioscurità e salì i gradini, accorgendosi subito che la lastra che copriva il sepolcro era stata spostata lateralmente, in modo da rivelare il contenuto della tomba.
Ancora prima di guardarvi dentro era certa di ciò che avrebbe visto: nel sarcofago giaceva infatti la stessa fanciulla che aveva già scorto, l’abito imbrattato di sangue e il bel volto deformato da un piacere disumano, accosciata sul pavimento della villa in mezzo al bosco. Lei, proprio lei, perfida e bellissima.
I suoi lineamenti, nonostante fosse distesa in una tomba, possedevano ancora il colore della vita; il suo petto si sollevava e si abbassava per una tenue, ma chiara, respirazione e dalla bara non esalava alcun odore di cadavere.
Il cuore batteva debolmente, le membra apparivano intatte e flessibili, la pelle elastica; nel sepolcro fluttuavano circa venti centimetri di sangue, entro il quale il corpo era immerso.
Stella si chinò sulla creatura, che in quell’esatto istante aprì gli occhi e la guardò.
 
Stavolta la poliziotta lanciò un grido e si portò una mano dinanzi alle labbra in un gesto di terrore; si levò a sedere sul letto, di scatto balzò in piedi e meccanicamente attraversò la camera giungendo davanti alla finestra, dalla quale filtrava la tenue luce del pomeriggio. Era nella sua stanza, eppure non trasse alcun conforto dalla vicinanza degli oggetti che le erano familiari.
Sarebbe inutile cercare di spiegare l’orrore che le aveva suscitato quella nuova visione, che le richiamava alla mente un passato di cui credeva di essersi liberata e che, al contrario, stava tornando a tormentarla con tutta la sua atroce forza. Non era un terrore transitorio, come quelli che seguono gli incubi; era piuttosto una paura che sembrava diventare più forte via via che il tempo passava, tanto che la stanza - perfino i mobili e le pareti - ne pareva essa stessa intrisa.
Rimase immobile a fissare le pesanti tende scure che le impedivano di guardare fuori, fino a che un fievole baluginio metallico proveniente dal basso attirò la sua attenzione, costringendola a spostare lo sguardo sul davanzale di marmo biancastro: inesprimibile fu il suo orrore quando Stella si accorse che lì dove fino a qualche minuto prima - quando aveva chiuso gli occhi nel vano tentativo di riposare un po’- non vi era assolutamente nulla, invece adesso scintillava nella penombra un calice d’argento.
Già l’evento in sé era inspiegabile, ma ciò che maggiormente la sconvolse fu rendersi conto che esso era colmo fino all’orlo di un liquido vischioso color cremisi che non ebbe alcuna difficoltà a identificare all’istante: sangue, sangue vivo. Il suo odore dolciastro e ferroso le riempì le narici, provocandole una fitta di desiderio nelle viscere: da troppo tempo si costringeva a spegnere la sua sete con insulsi surrogati del sangue umano, che non avevano mai potuto regalarle quella meravigliosa sensazione di ebbrezza e di potere che solo il caldo liquido strappato dalla vene di una creatura vivente portava con sé.
Quel sangue voleva dire forza, potenza e immortalità, e suggerlo significava riempire se stessa con la vita che allo stesso tempo abbandonava la sua vittima, riducendola a una misera spoglia svuotata di ogni energia vitale.
Stella annusò con piacere selvaggio quel sentore che da tanti anni aveva rinunciato ad assaporare e, senza interrogarsi sulle conseguenze, allungò una mano per afferrare il calice.
In quell’istante udì un suono fin troppo familiare riempire l’oscurità della stanza: era una voce umana, ma dal timbro strano, distorta come se per giungere fino a lei avesse percorso distanze inimmaginabili.
 
“Tu sei mia, non dimenticarlo.
Tu mi appartieni. È la tua natura e alla propria natura non si può sfuggire”.
 
La donna sussultò e istintivamente ritirò la mano.
Poi, senza voltarsi verso l’angolo buio dal quale proveniva la voce, rispose: “Tu, essere infame, dopo tanti anni sei riuscito a trovarmi! Torna nell’oscuro baratro dal quale sei riemerso, perché il tuo viaggio è stato inutile: io sono cambiata, ho scelto di seguire un destino diverso e non tornerò indietro!
Non sarò mai più la tua schiava”.
Una risata stridula, senza alcuna allegria, fece eco alle parole della detective.
 
Ti illudi… ti illudi di potermi allontanare, adesso che ti ho ritrovata! Tu sei legata a me come è legato ai ferri il criminale, lo strenuo giocatore alla roulette, l’ubriaco alla bottiglia di vino. Come la carogna all’abbraccio del verme… tu sei mia da quella notte lontana, in cui scegliesti di seguirmi per salvarti. È solo questione di tempo, ma alla fine cederai: il richiamo del sangue è troppo potente perché tu possa ignorarlo” ripeté la voce, tenebrosa e allo stesso tempo insinuante come una serpente.
“No!” urlò a quel punto Stella, con tutte le sue forze “Hai ucciso tu quella povera ragazza, non è vero? L’ho capito subito che eri stato tu, non appena ho visto com’era ridotta…”.
 
“Io devo nutrirmi e anche tu hai bisogno di farlo: è il nostro destino e lo sai. Noi siamo immortali, eterni, creature superiori: attraversiamo il tempo e lo spazio e se solo lo volessimo potremmo dominare il mondo. Non lo facciamo perché non ci importa, gli esseri umani solo cibo per quelli come noi.
Adesso fingi di odiare ciò che ho fatto, ma non puoi dimenticare che tu stessa l’hai fatto insieme a me un’infinità di volte!”.
 
La voce ora pareva attraversata da una sfumatura diversa, che non era più di comando ma di tenerezza:  la blandiva, la tentava, richiamandole alla mente ciò che un tempo lontano era stata.
 
“Sei potente, Asteria (2), anche se hai scelto di disconoscere i tuoi poteri in nome di una sciocca e inutile pietà verso i mortali, e io non posso costringerti a seguirmi. Devi sceglierlo tu, liberamente, e quando lo farai saremo insieme per sempre. Come una volta.
Rimarrò qui e non mi fermerò fino a che non avrai deciso di riprendere il tuo posto accanto a me”.
 
“No!”ripeté Stella con voce tremante Vattene, va’ via di qui!Che tu sia maledetto, oggi e sempre!” .
Con un gesto repentino afferrò il calice e lo scagliò contro il muro, dove si rovesciò imbrattando la parete di sangue fresco; la donna contemplò con lo stomaco che le si torceva il liquido vermiglio colare lungo la parete fino alla moquette marrone. Deglutì per inghiottire la saliva che le riempiva la bocca e strinse i pugni: mentre l’ombra si dissolveva e si spegneva l’eco delle sue ultime parole di sfida, si lasciò scivolare sul pavimento.
Si sentiva esausta, come svuotata: adesso sapeva che i suoi timori più oscuri si erano avverati, giacché Lui l’aveva trovata. Evidentemente era bastato usare una sola volta, dopo così tanto tempo, i suoi poteri per salvare se stessa e Mac da quei tre balordi, affinché i sensi raffinatissimi dei quello che era stato il suo padrone la ritrovassero e  il mostro attraversasse un oceano per tornare da lei.
Aveva iniziato a uccidere a New York e la colpa era sua: alla fine aveva seminato l’orrendo contagio anche nel paese che l’aveva adottata e nel quale aveva vissuto serenamente durante gli ultimi anni. Quella ragazza così giovane aveva trovato una morte atroce per causa sua… e altri innocenti l’avrebbero presto seguita.
Il senso di colpa le stringeva il cuore come una morsa, tanto che per la prima volta dopo un tempo che le era parso infinito sentì gli occhi che le si inumidivano; un istante dopo grosse lacrime le rigavano il viso pallidissimo e non riuscì a sollevarsi da terra, mentre i singhiozzi la scuotevano come una tempesta.
Era ancora in quello stato penoso quando udì dei colpi alla porta che la fecero sobbalzare, strappandola al contempo dalle angosciose riflessioni in cui era attanagliata. Riconoscere la voce di Mac che la chiamava insistentemente, in tono preoccupato, fu un istante: Stella si levò dal pavimento e andò ad aprire, mescolati nel suo cuore la gioia profonda di rivederlo in un momento così difficile e il timore che lui forse avrebbe potuto scoprire il suo segreto.
Dio sa quanto avrebbe avuto bisogno di confidarsi con lui ora! Eppure, non poteva ignorare che Mac era proprio il tipo d’uomo che non le avrebbe mai creduto, che l’avrebbe presa per pazza e magari l’avrebbe persino costretta a lasciare il laboratorio giudicandola emotivamente instabile.      
Presso la porta esitò qualche istante, mentre l’uomo continuava a chiamarla e a bussare in modo insistente: forse sarebbe stato meglio non aprirgli, magari avrebbe potuto semplicemente fuggire da New York e sperare che il suo nemico l’avrebbe seguita, liberando la città da quell’infestante presenza.
No, Stella sapeva che non sarebbe andata così: ora che l’aveva trovata, che aveva scoperto il suo nuovo nome e dove viveva, stava certamente studiando ogni aspetto della vita che aveva tentato di costruirsi in quegli anni. Senza dubbio aveva osservato sia Mac che tutti i colleghi - i suoi amici - della Scientifica, aveva scoperto dove abitavano e per quell’essere non sarebbe stato difficile scivolare nelle loro case e sorprenderli senza che potessero in alcun modo difendersi.
Mac, Sheldon, Don, Danny e Lindsay, forse persino la piccola Lucy… tutti erano bersagli, vittime potenziali della fame insaziabile del mostro. 
Se anche fosse riuscita un’altra volta a far perdere le proprie tracce, non aveva dubbi che Lui avrebbe sfogato su di loro la sua frustrazione per essere stato di nuovo abbandonato: li avrebbe uccisi uno dopo l’altro, senza pietà.
Si morse la labbra e, asciugandosi gli occhi con la manica del pullover, aprì l’uscio solo di qualche centimetro, senza invitare il collega a entrare.
“Stella, finalmente!” esclamò l’uomo, fissandola sbalordito.
 “Ma cos’hai? Non stai bene? Ti stiamo cercando da ore, come mai non sei venuta al lavoro e non rispondi nemmeno al telefono?”.
La donna non rispose e abbassò sul pavimento gli occhi gonfi e arrossati. 
Che c’è, non mi fai nemmeno entrare?” disse lui, a questo punto insospettito dallo strano comportamento della collega e preoccupato che alle sue spalle vi fosse qualcuno che la minacciava.
Perciò spinse l’uscio con energia e quello si spalancò senza incontrare alcuna resistenza, dato che Stella non ebbe né la forza né la presenza di spirito per bloccarlo; il detective, mano sulla fondina e sensi in all’erta, entrò nell’appartamento e si guardò intorno, ma nella semioscurità della stanza non scorse nulla di insolito, né tanto meno di allarmante.
Trasse un sospiro di sollievo e si avvicinò all’amica, che era rimasta accanto alla porta e appariva confusa, come sotto shock; chiuse l’uscio e le passò una mano intorno alle spalle, stringendola poi a sé.
“Mio Dio, Stella, ma che ti è successo? Chi ti ha ridotta così?”.
Per un istante aveva temuto che potesse essersi ripetuta la storia di Frankie, che qualcuno si fosse introdotto in casa sua e l’avesse aggredita; eppure la sua collega stava apparentemente bene e non recava sul viso alcun segno di violenza. Solo, appariva sconvolta e terribilmente triste.
La abbracciò e quando appoggiò la testa sulla sua spalla sentì che il suo corpo era scosso da un tremito violento; la strinse ancora più forte e posò le labbra sui suoi capelli scomposti, respirando il tenue sentore di vaniglia che ne promanava. Nei lunghi anni in cui avevano lavorato insieme l’aveva vista spaventata, preoccupata e furiosa; l’aveva vista col volto coperto di lividi, ferita e disperata, eppure non gli era mai sembrata vulnerabile come in quel momento.
Fu preso allora da una tenerezza struggente per quella donna che tanto gli era stata vicina nel momento del bisogno, quando aveva perduto Claire nello stesso giorno in cui la città aveva perso le sue torri; sospirò e le si avvicinò ancora di più, conscio che in quegli istanti ogni cosa sarebbe potuta accadere tra loro.
Eppure Stella con un moto imprevisto si allontanò da lui bruscamente e, arretrando di un paio di passi, rimase immobile a fissarlo, con negli occhi uno sguardo impenetrabile.
Mac recuperò subito la sua consueta compostezza, come se il moto che l’aveva spinto verso di lei neppure fosse stato reale, e disse: “Insomma, perché non rispondi? In ufficio c’è una terribile confusione, siamo pieni di lavoro fin sopra ai capelli e la gente è in preda al panico perché ormai, dopo il secondo omicidio, i mass media stanno già parlando di epidemia di vampirismo o di licantropi a spasso per Central Park!”.
“Secondo omicidio?” ripeté Stella, impallidendo visibilmente.
“Già, tu non potevi saperlo: la notte scorsa è saltato fuori il cadavere di un’altra giovane donna - forse una prostituta a giudicare dall’abbigliamento - dilaniata e quasi completamente dissanguata… anzi, è strano che tu non abbia sentito le sirene, perché è stata trovata a meno di tre isolati da qui, da casa tua”.
La donna represse un sospiro: “Maledetto!” considerò mentalmente “Ha colpito di nuovo e non si fermerà fino a che non avrà ottenuto ciò che vuole. Ma io non posso, non posso: ho giurato sulla tomba di mia madre che non avrei mai più ucciso un essere umano per cibarmi del suo sangue e non posso tradire la sua memoria”.
“Ma forse, forse” sollevò a quel punto gli occhi sul collega che le stava di fronte “c’è una soluzione diversa… solo che non posso riuscirci da sola”.
Una determinata risoluzione si stava facendo strada dentro di lei: probabilmente Mac - proprio lui, con la sua ferrea volontà e tutto il suo scetticismo - era l’unica persona che avrebbe potuto aiutarla a fermare il mostro. Lui non si arrendeva mai e Stella sapeva che avrebbe dato persino la sua stessa vita per impedire nuove stragi di persone innocenti: l’aveva visto lottare in passato come un leone, fino allo stremo, e non mollare la presa se non quando aveva raggiunto il suo obiettivo.
Tuttavia,  sapeva anche che la cosa più difficile sarebbe stata convincerlo a crederle; del resto, in quel momento aveva bisogno - un bisogno disperato - di aprirgli il suo cuore, raccontando finalmente a qualcuno la verità che per troppi anni aveva custodito nel cuore.
“Ascoltami” disse, con voce improvvisamente ferma “C’è una cosa che devi sapere: io non sono chi pensi che sia. Non sono la persona che credi di conoscere”.
Stella era consapevole che un solo gesto avrebbe persuaso Mac più di mille parole, che l’uomo avrebbe tenacemente bollato come sciocche credenze popolari, impossibili da credere: per questo, lesta come un fulmine s’impossessò della pistola che il collega teneva alla cintola e prima che lui - interdetto da quel gesto inaspettato - riuscisse a muovere un muscolo puntò l’arma verso il proprio petto ed esplose un colpo.
 
(2) praticamente la versione greca del nome Stella.
 

  
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