Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Oscar_    22/12/2012    0 recensioni
« Potrei avere una storia da raccontarti, Ludwig. » Prese anche lui la sua tazza di caffè, bevendone un sorso, tenendola poi sollevata all’altezza del viso, impedendomi di scorgere le sue labbra. Ah, Ludwig; lo vedo dai tuoi occhi che stai sorridendo.
« Perché dunque non me la narri, Simon? » Era più sveglio del previsto. Non stava ripetendo il mio nome per caso.
« Non è certo una storia di cui si può parlare facilmente. » Mormorai, piantando gli occhi nei suoi. « Ci vogliono il tempo ed il luogo adeguato, mio caro Ludwig. » E gli sorrisi, urtando volontariamente il suo piede da sotto al tavolo.
« Se sarà alla mia portata, mi farà molto piacere assistere a questa narrazione, Simon. » E posò un dito sul dorso della mia mano, contatto che mi colse di sorpresa più di quanto non desiderassi lasciar intendere. Voltando la mano, strinsi sul palmo il suo dito, carezzandone il dorso liscio e tiepido. Un evidente rossore gli chiazzava le gote. Un adorabile rossore. Senza rendermene conto, avevo iniziato a picchiettare le dita sul tavolo. La situazione mi stava sfuggendo di mano.
[Il rating si alzerà gradualmente]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

0. Premessa e promessa,
i valori principali per uno scrittore

 





« Quanto sei bella Roma,
quand'è sera (...),
Oggi me sembra che
er tempo se sia fermato qui (...).
No nun te lasso mai!,
Roma Capoccia,
der mondo infame. »




L’incertezza è il fulcro delle occasioni mancate, quel piccolo pizzico di esitazione che si ha quando ci viene domandato o proposto qualcosa. Per quanto possa trattarsi di una misura di sicurezza primitiva, impiantata nel nostro corpo, al pari della paura, come un numero di serie, essa non fa altro che boicottare i tentativi del cuore di instaurare legami. Può presentarsi come un innocuo dubbio, come un quesito sorto spontaneamente, come un insieme di pregiudizi ed idee base su individui perlopiù sconosciuti. Ed è uno dei motivi per cui la timidezza ha il sopravvento sull’euforia come l’educazione sulla spontaneità e la modestia sull’autostima. Non bisogna attribuire meriti a chi non ne possiede, giusto? Allo stesso modo, non bisogna dare colpe ad innocenti. Sebbene l’incertezza meriti tutto l’odio di questo mondo, è pur sempre parte di noi; e c’è da dire che, in molteplici situazioni, nostro malgrado, ci è tornata utile. Che sia perché ci ha evitato di fidarci di qualche farabutto o perché ha allontanato buone intenzioni, sostituendole con movenze più caute, ad ogni modo merita pure qualche riconoscenza. Anche se, in verità, andrebbe repressa e celata in anfratti irraggiungibili; questo, certamente, se ci si volesse aprire a qualcuno. In caso contrario, deve sempre essere la benvenuta.
Mi chiamo Simon Rong, e l’incertezza è la mia migliore amica. Quando incontro persone nuove, sono persino riluttante a stringere loro la mano, da quando uno sconosciuto ha tentato di accoltellarmi trattendendomi per il polso. Forse non dovrei vivere di ricordi e misure di sicurezza personale; ma basta guardarsi attorno e tendere l’orecchio per capire che il mondo odierno non è altro che un ammasso di ignoranza e stupidità, convinto pienamente che basti possedere un coltello, una pistola o pugno rigido per governare la società. Semplicemente mi sono adattato, essendo proiettato alla vita eterna. No, non sono dio, nel caso ve lo stiate chiedendo. Sono, anzi, ciò che si potrebbe definire la sua nemesi. Ma a che serve parlarne adesso? È ancora troppo presto. Chiedo venia, mi dilungo con una facilità estrema.
La storia che ho deciso di trascrivere dalla mia memoria alla carta è la seguente, e non si distingue certo per dei dolci episodi. Avverto le persone sensibili e dal cuore tenero che non assomiglio affatto ad un “eroe”, anzi, l’unica cosa di cui sono certo è che, in fatto di carattere ed azioni passate, sono stato un gran bastardo.
State ancora leggendo? Peggio per voi, non troverete il lieto fine che vi aspettate, dopo tutto ciò. Una piacevole lettura, dunque,

Monsignor, Simon Rong




Ogni racconto che si rispetti possiede uno scenario ingarbugliato e partecipe nella vicenda, una città storica, già di per sé ricordata appieno per azioni svanite e dalla dubbia utilità odierna. Eppure i luoghi di questa storia sono molteplici, intrecciati tra loro a creare un’unione stretta e incancellabile. Il primo centro delle mie mirabili gesta – ironia, portami via! – è Roma, il luogo storico per eccellenza. Città dagli anfratti misteriosi e dai nascondigli infiniti, la capitale italiana è uno dei miei primi amori: ho sempre ammirato il passato in ogni sfumatura, sebbene per me “passato” significhi memoria, poiché a tutto ho assistito e partecipato. E pensare che, sotto altri nomi, sono stato persino dei personaggi storici! Bastava sistemare qualche travestimento, senza nemmeno impiegare troppi dettagli, ed ecco un perfetto sconosciuto pronto a divenire parte della storia. Tuttavia non è di questo che bisogna trattare, ora.
L’inizio della mia vera storia, quella per cui sto trascorrendo notti insonni ormai da settimane, è il 19 di Aprile, una data per nulla risaltante fra i tanti numeri importanti per il popolo mondiale. Il 19 Aprile non è morto né nato nessuno di rilevante, non ci sono state catastrofi ambientali, non si è firmato nessun armistizio e non c’è stato nessun attacco nemico; eppure è avvenuto un incontro. Fra me e l’uomo più misterioso e controverso di cui avrò il piacere – o il dispiacere, dipende dai punti di vista – di scrivere.
Il mattino di quella fatidica data ero reduce da una notte insonne, agitata e movimentata più del solito, per via della fastidiosa presenza di una prostituta al piano superiore al mio, giunta per alleviare le sofferenze del mio splendido, e perfettamente sconosciuto, amico di condominio. Avevo trascorso la notte ascoltando le ovazioni e i ripetuti colpi contro il muro – o forse il pavimento – provocati dalle spinte del mio mirabile e caro compagno, domandandomi quando avrebbero deciso di perire in silenzio e lasciarmi riposare. Più volte ero stato tentato dalla mia estrema irascibilità di salire di sopra e lanciarli entrambi dal terrazzo; eppure, come detto in precedenza, l’incertezza è la mia miglior amica, in grado di bloccarmi sempre un attimo prima di compiere sciocchezze di massa. Poche volte non le ho dato ascolto, effettivamente.
Tornando al mattino: due caffè non erano bastati ad alleviare l’emicrania, sostante nella mia povera testa da un paio d’ore almeno, ero quindi propenso ad uscire in cerca di piacevoli distrazioni. Dopo aver lasciato da mangiare ai miei cani, Lucky e Black, due husky, uscii a riempirmi i polmoni del caos e dello smog cittadino, quell’aria impregnata da sempre dal vociare indistinto della gente e dal brusio dei rumori mattutini. Erano appena le nove, eppure la grande capitale già fermentava agitata e sconnessa, confondendo fra monumenti ed opere l’attenzione generale. Quella dannata arte; un giorno mi avrebbe colto impreparato e sarei perito di fronte a certe bellezze. Chissà perché col tempo si è persa quella capacità di pazientare e creare, preferendo piuttosto un’assenza di manualità nel fabbricare.
Non lavoravo in quel periodo, preferendo buttarmi nella mischia della disoccupazione e della protesta generale, come avevo sempre fatto nel tempo, tranne con qualche rara, e sicuramente necessaria, eccezione. Le passeggiate mattutine finivano sempre per condurmi a Piazza Venezia, quel grande spiazzo gremito di turisti, pendolari, autobus e baccano, un’adorabile meta per chi non aveva idea di come impiegare la propria giornata. Lì mi sorgeva sempre qualche idea su dove dirigere i miei passi, il che era quasi sempre Via del Corso, la traversa appena davanti alla suddetta piazza, una strada lunga un paio di chilometri, perfetta per disorientare le menti e stressare i piedi, soprattutto se calzanti nuove scarpe. Via del Corso è uno dei posti più frequentati e famosi di Roma, essendo una strada piena di negozi e completamente al centro della città; sebbene i prezzi di quelle svariate botteghe rasentino l’impossibile, perlopiù sono sempre i curiosi a farvi visita. Per quanto mi riguarda, persino potendo permettermi manufatti corsiani, come definisco gli oggetti provenienti da quella via, non li comprerei mai; sono un amante delle piccole cose, quelle che vengono valutate ignorantemente come economiche ma che possiedono un inestimabile valore affettivo, perduto tempo addietro, svanito con molte probabilità fra le mani del precedente proprietario. Prediligo i negozi d’antiquariato e i mercati della domenica mattina alle costosissime marche odierne. Anche perché, se devo essere sincero, i fabbricati sino a una trentina d’anni fa sono ben migliori delle cineserie attuali; non che abbia niente contro i cinesi. Però, parliamoci chiaro, sono buoni solo a copiare e svendere a minor prezzo tutti gli oggetti sul mercato. E le loro copie non sono nemmeno migliori, a dirla tutta. La maggior parte dei manufatti cinesi, dopo un paio di usi, mi si sgretola tra le dita. Ma non sono qui per trattare di economia o attualità.
Tornando a quel limpido mattino d’Aprile: come suddetto, mi apprestavo a dirigermi a Via del Corso, in cerca di spunti su un possibile evento a cui partecipare; a Roma non mancano mai i concerti, i raduni o le feste di gente annoiata, gente che, il 90% delle volte, ha tutto il denaro di questo mondo e non sa che farsene. I negozi stavano aprendo poco a poco, mostrando le loro merci a tutti i turisti e i frettolosi, persone d’ogni rango e tipo, una varietà scopribile solamente in strade simili a quella, patrimonio storico e al contempo sociale delle grandi metropoli, parte integrante dei giorni come lo è il clima atmosferico.
A Via del Corso ci sono sostanzialmente due lati di marciapiede, come in ogni strada che si rispetti. E si dovrebbero utilizzare in due sensi opposti, uno che avanza e uno che retrocede; ma c’è la gente come me, che ha il passo lungo e odia gli individui che si fermano in mezzo o che fanno un passo ogni minuto. E quindi, spesso, le persone scambiano i due lati, cercando di sbrigarsi a raggiungere chissà quale immaginaria meta. Sì, in effetti ho sempre fretta. Ma non è mai per un vero motivo. Sarà che sono nato con l’ansia, non saprei spiegarlo.
Durante uno dei “sorpassi” di anziani e turisti, che girano sempre e comunque a frotte, urtai un uomo, un uomo che stranamente possedeva la mia stessa cadenza di passo, e che finì per ricadere all’indietro per via dell’urto improvviso. Feci appena in tempo ad afferrarlo, evitandogli di finire sotto un autobus. A Roma la maggior parte degli autisti guida come su una pista di kart. Ma, ovviamente, quando si va di fretta e si spera di incontrarne uno così, si beccano le lumache che temono persino di posare il piede sull’accelleratore. Ah, che voglia mi assale di rubargli il volante dalle mani e insegnargli un paio di cose, in quelle occasioni!
L’uomo, spaventato dall’eventualità cui l’avevo appena sottratto, mi gettò un’occhiata mista fra il desiderio di prendermi dal colletto e lanciarmi in mezzo alla strada e quello di abbracciarmi per il terrore. Non fece nessuna delle due cose. Semplicemente mi scrutò in silenzio, riprendendo fiato, assumendo un’espressione corrucciata e piuttosto ambigua.
« Grazie, credo. » Credi?, pensai. Ti ho appena salvato la vita; o un paio di ossa. Direi che il minimo è ringraziarmi.
« Prego, credo. » Risposi, tentando d’imitare il suo tono assurdo, come di chi non è sicuro se sia consono rivolgere la parola all’interlocutore. Al che lo sconosciuto mostrò un lieve sorriso, addolcendo l’espressione, quasi avesse compreso la sciocchezza del suo precedente gesto. Quindi s’inchinò leggermente, facendo per togliersi un cappello invisibile. Questo è francese, pensai; i francesi sono così teatralmente egocentrici!
« Ludwig, lieto di conoscervi, mio salvatore. » Un francese con qualche antenato inglese o tedesco, mi corressi mentalmente.
« Il piacere è mio: Simon. » Risposi porgendogli la mano, che egli strinse con una foga estrema. Ho sempre destato un certo timore negli sconosciuti, per via della mia stazza decisamente superiore alla media: sono alto 2,15 metri. E, dato che ho gli occhi e i capelli neri, abbinati ad un’aria costantemente scocciata dal mondo circostante, non risulto di certo simpatico a tutti. Piuttosto azzarderei il contrario.
La stretta energica di quell’uomo m’incuriosì più del resto; non lo avevo spaventato? Veramente riusciva a vedermi come un individuo qualunque, senza far caso più di tanto al mio fisico o ai miei modi? Beh, wow.
« Avete tempo per un caffè, Simon? » Un caffè? Nemmeno mi conosci e mi inviti a prendere un caffè insieme?, mi domandai.
« A patto che mi si dia del “tu” e che la si smetta con tutta questa formalità. Mi invecchia terribilmente. » E mi schiarii la voce, gesto sempre compiuto nelle situazioni imbarazzanti o scomode.
« Certamente, mi trovo d’accordo. Dunque andiamo, conosco una piccola latteria nelle vicinanze; non dovrebbe costare troppo. »
Francese non poteva essere. Neppure un turista. Solo i romani sanno quanto esorbitanti siano i prezzi dei locali che si affacciano su Via del Corso; cifre assurde per un semplice panino o una tazza di caffè, che può venire sino a quattro euro per poi sapere di acqua o catrame. Vanno così gli affari.
Seguii l’uomo, che aveva cambiato direzione, svoltando dalla parte opposta a quella verso cui si stava dirigendo, cosa che mi sorprese alquanto. Mi conosceva appena, non sapeva nulla di me e cambiava addirittura direzione per bere un caffè assieme? Una persona veramente poco seria; quella fu la prima impressione. Sebbene, in quel momento, non avevessi idea di quanto mi stessi sbagliando.
Giunti alla latteria cui aveva accennato, sfortunatamente non trovammo nessun tavolo libero; al mattino qualsiasi luogo possedente anche solo un chicco di caffè veniva preso d’assalto.
« Fa lo stesso se beviamo in piedi, Simon? » La mia unica certezza fino a quel momento era che non mi trovavo davanti a un romano; altrimenti mi avrebbe apostrofato “Simò”, non mi avrebbe mai offerto un caffè e mi avrebbe anzi imprecato contro invece di ringraziarmi, in precedenza. Annuii, avvicinandomi al banco dietro cui un commesso dall’aria sbrigativa si muoveva avanti e indietro, succube delle ordinazioni italiane e straniere tutte assieme; i turisti sono così maleducati! Solo perché parlano un’altra lingua, si credono ‘sto caz- chiedo scusa, avendo vissuto a Roma per molti anni ho finito per assumere anch’io una cadenza piuttosto volgare. Ad ogni modo, è pur vero che gli stranieri si danno parecchie arie.
« Quando le è possibile, due caffè, buon uomo. » Ordinò Ludwig, con un largo sorriso e l’aria di chi sa perfettamente di meritare l’attenzione generale. Seppure avessi l’impressione che non possedesse radici francesi, di sicuro era molto egocentrico. Il commesso dietro il banco annuì, con la fronte imperlata di sudore, correndo da un alto all’altro, consegnando pacchetti con un rapido “buona giornata” e un tono che a tutto lasciava pensare tranne che all’augurio di una piacevole continuazione. Siamo sfruttati bellamente a volte, eh? Cosa non si farebbe per pochi soldi!
Ci avvicinammo all’uscita, tenendo gli occhi vigili in attesa della liberazione di qualche posto a sedere, accaduto molto improbabile, visto che la maggior parte della clientela era anziana o seduta molto comodamente, lasciando intendere che si sarebbe trattenuta per un bel po’. La sfrontatezza nel mostrare le nostre fortune ai meno fortunati è insopportabile.
« Dove andavi, se posso chiedere, Simon? » Il fatto che ripetesse il mio nome alla conclusione d’ogni frase era, come altre mille cose, molto curioso. Spostai lo sguardo sul suo viso, studiandolo senza dar l’impressione di starlo facendo: occhi vispi e sottili, con una scintilla giocosa nello sguardo acceso, d’un blu pallido. Labbra sottili, volto sbarbato e pulito, sorriso lieve e misterioso. I capelli, corti e disordinati, anche se col chiaro passaggio del pettine impresso, erano di un color marrone scuro, con qualche riflesso rossastro, meraviglioso da ammirare. La corporatura media e, tuttavia, slanciata, spiccava per l’abbigliamento semplice ma con tratti eleganti e curati, come di chi non è cosciente del suo fascino e, tuttavia, fa di tutto per possederne.
« Non avevo meta, Ludwig. Mi dilettavo nel passeggiare liberamente. E tu? Con quell’aria frettolosa? »
« Potrei porgerti la stessa domanda! La tua cadenza, se mi permetti un commento, è veramente rapida. »
« Beh, avrai anche considerato la mia stazza... Non posso certo muovermi lentamente: bloccherei il traffico. » Ludwig scoppiò a ridere alla constatazione, anche se non si trattava d’una perla così divertente. La sua risata limpida e rumorosa attirò l’attenzione di non pochi clienti, che, incuriositi, presero a fissarlo insistentemente. Senza saper bene perché, mi sentii alquanto geloso; insomma, stava parlando con me! Nessun altro poteva meritare la sua attenzione, in quel momento. Ripensandoci ora, mi sembra una cosa talmente stupida che sono io a ridere di me stesso.
« In effetti... Io tornavo da un’escursione per i meandri celati dei vicoli romani. A volte si trovano delle vere meraviglie, sapevi? Guarda! » E si mise a frugare in una valigetta che, in precedenza, mi era sfuggita allo sguardo. Ne tirò fuori un piccolo scrigno, della misura, sì e no, di quelle scatoline per regali usate solitamente per gli anelli o i gioielli. Sembrava possedere almeno una decina d’anni, per via della polvere e i fregi dorati sul dorso. Inoltre era chiaramente chiuso; pure se con dei solchi indicanti la presenza d’una possibile apertura, non v’era impressa serratura alcuna. Incuriosito e attirato da quella novità, gli feci cenno di porgermi il piccolo oggetto, avvicinando la mano alle sue. In tutta risposta, Ludwig mi picchiettò sul dorso.
« Non te lo lascio toccare. » Disse, arricciando poi le labbra in un’espressione offesa; perché mai dovesse offendersi, mi è tutt’ora sconosciuto.
« Non lo rovino mica. Ho le mani pulite. » Insistetti, bramoso di toccare quella minuscola meraviglia.
« È inutile: la mia risposta rimane negativa. » Ma, nel pronunciare queste parole, ridacchiò fra sé. Sembrava proprio un bambino. Annoiato dal mondo reale, cercava conforto nei giochi, ribaltando situazioni ammorbanti in enigmi da svelare.
« Signori, i vostri caffè! » Ci urlò il commesso, indicando un piccolo vassoio poco lontano. Senza farlo attendere oltre, mi diressi a prendere l’oggetto, attento a non urtare nessuno. Al contempo si alzò una coppia da un tavolo; non ci fu nemmeno bisogno d’indicarglielo: Ludwig si era già accomodato, tenendomi il posto occupato con la sua valigetta. Gli sorrisi gratificante, posando il vassoio sul piano stabile e riprendendo a fissare l’oggetto tra le sue dita sottili.
« Per favore, voglio solo vederlo un momento. » Stare al gioco era il sistema migliore per ottenere qualcosa da qualcuno. Che ci fosse il bisogno di lusingarlo o seguire un copione immaginario, in un modo o nell’altro, alla fine, si aveva sempre il desiderato.
« Cosa mi darai in cambio? » Domandò, alzando entrambe le sopracciglia. In seguito l’avrei visto assumere quell’espressione molto spesso. Ci siamo, pensai. Quando la gente se ne usciva con una frase simile, qualsiasi cosa sarebbe stata loro ceduta, alla fine avrebbero fatto ciò che gli era stato chiesto. Mi feci più vago, sviando lo sguardo al caffè, sorseggiandone un po’.
« Potrei avere qualcosa di migliore di un piccolo scrigno, Ludwig. » Pronunciare il suo nome non era stato affatto un caso, come precedentemente da lui compiuto; quando si ripete più volte, con tono dolce, il nome di una persona, soprattutto se sconosciuta, si finisce per possederne la fiducia. È una reazione inconscia che ho imparato ad innescare col tempo. Mi ritrovo tutti ai piedi, ormai.
« Ah sì? » Era un buon giocatore. Sapeva come tenermi sulle spine e farmi dubitare dei miei mezzi con una semplice occhiata. Purtroppo per lui, sapevo fare di meglio.
Mi accomodai meglio sulla sedia, adagiando una mano sotto al mento, assumendo un’espressione interessata e, tuttavia, assorta da altri pensieri; per forgiare un aspetto simile ci vogliono decine di esperienze. Perlopiù, coloro che tentano di avvicinarvisi, finiscono per apparire come una specie di clown, incapaci di controllare il viso e i segnali facciali per più di un certo tempo. L’impressione che inneschiamo nel prossimo è pressocché fondamentale per ottenerne l’approvazione, il ricordo, una telefonata. Passo la maggior parte delle mie giornate ad allenarmi davanti allo specchio; dona una certa autostima, in effetti.
« Potrei avere una storia da raccontarti, Ludwig. » Prese anche lui la sua tazza di caffè, bevendone un sorso, tenendola poi sollevata all’altezza del viso, impedendomi di scorgere le sue labbra. Ah, Ludwig; lo vedo dai tuoi occhi che stai sorridendo.
« Perché dunque non me la narri, Simon? » Era più sveglio del previsto. Non stava ripetendo il mio nome per caso. Avrei dovuto accorgermene prima. Tentai di non sbilanciarmi troppo, accavallando lentamente le gambe per paura di rovesciare il tavolo; non è un’eventualità esagerata. Qualche volta è successo.
« Non è certo una storia di cui si può parlare facilmente. » Mormorai, piantando gli occhi nei suoi. Sono cosciente del fascino che possiedono; chi altro, sulla faccia della terra, ha gli occhi veramente neri? Pochi o nessuno. « Ci vogliono il tempo ed il luogo adeguato, mio caro Ludwig. » E gli sorrisi, urtando volontariamente il suo piede da sotto al tavolo. Il contatto fisico è molto utile in situazioni simili. Lui, infatti, sussultò, mutando posizione all’istante; doveva essere parecchio teso.
« Se sarà alla mia portata, mi farà molto piacere assistere a questa narrazione, Simon. » E posò un dito sul dorso della mia mano, contatto che mi colse di sorpresa più di quanto non desiderassi lasciar intendere. Dannato sconosciuto. Ci sapeva proprio fare.
« Sei quindi ufficialmente invitato nella mia modesta residenza stasera, Ludwig. Escludendo eventuali impegni, certo. » E, voltando la mano, strinsi sul palmo il suo dito, carezzandone il dorso liscio e tiepido. Sebbene non si fosse sbilanciato, un evidente rossore gli chiazzava le gote. Un adorabile rossore. Senza rendermene conto avevo iniziato, con le dita dell’altra mano, a picchiettare sul tavolo in preda ad una crescente agitazione; agitazione per cosa? La situazione mi stava sfuggendo di mano.
« Per tua fortuna, Simon, sono completamente libero, stasera. » Il tono non lasciò trapelare nulla, ma la giugulare palpitante sul collo scoperto mi diede a intendere molto più di qualsiasi altro gesto. Lasciai di colpo il suo dito, finendo in un sorso la bevanda nella tazzina, per poi alzarmi di scatto, movenza che lo inquietò alquanto, visto che sussultò nuovamente. Gli rivolsi un sorriso divertito seppure controllato, chinandomi appena.
« Grazie per il caffè e la bella chiacchierata. Mi permetto di pagare a nome di entrambi la consumazione, cosicché, stasera, sarai libero di ricambiare il favore. Questo è il mio indirizzo, Ludwig. Il cognome è Rong. Una piacevole giornata! » Dopo avergli ceduto un piccolo biglietto con su scribacchiata la via ed il civico della mia abitazione, l’occhiolino fu il tocco finale. In realtà non è che vada in giro con biglietti da visita; ma, come detto in precedenza, non sono completamente umano.
Nemmeno gli diedi tempo di rispondere, avviandomi a passo lesto fuori dal piccolo locale. Anch’essa era una tattica, una tattica per invogliarlo a rivedermi il prima possibile; scommisi un paio di soldi che, quella sera, avrei avuto un ospite un po’ in anticipo rispetto all’invito.




***



Spero tanto di poterla continuare. Simon è un personaggio cui tengo molto, mi farebbe piacere avere qualche lettore. La citazione sotto la foto è della canzone "Roma Capoccia" di Antonello Venditti, per gli interessati.
Al prossimo capitolo!, se volete lasciare un commento, sarò felice di leggerlo. ~

O.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Oscar_