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Autore: Tomoko_chan    22/12/2012    11 recensioni
Hinata vive col fratello, Neji, con cui ha un rapporto tenebroso e violento.
Passerà tantissimi momenti di terrore e di paura, di dolore, ma quando la vita ti volta le spalle e capisci che devi fare qualcosa per rialzarti e rimanere in piedi, accadono le cose più belle e inaspettate.
Una storia autobiografica, quindi con un leggero OOC.
Dedicata alla mia migliore amica The cinu.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sakura Haruno, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Neji/TenTen, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Ino
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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When life turns its back.
I'm falling in love with you

-Credo che due persone non nascano predestinate.
Le persone si incontrano, si annusano, si piacciono.
Le persone nascono sole, perse, naufraghe nel mare
della vita. Sole.
Poi incontri qualcuno e ti ci aggrappi, hai paura
di cadere di nuovo, solo, quindi cadi innamorato.
Dedicata a theCinu, grazie cummare mia.
Dedicata a Domenico, il mio angelo, la luce
del mio buio.
Questa storia è vera.



Quando era piccola, parlava spesso con la madre. Era sana, era allegra. Poi aveva capito che figlio aveva e si era ammalata. Assuefatta dalla sua depressione.
-Mamma, me lo fai un regalo?
-Cosa vuoi piccolina?
-Un fratellino.

Se lo ricordava bene. Hinata chiedeva sempre un fratellino. Lo desiderava per diventare un esempio, per insegnargli le cose che piacevano a lei, per dispensare quei consigli che tanto amava dare. Per dimostrare alla bestia cosa fosse un rapporto sano, ferreo, d’amore. Per mostrargli cosa avrebbe dovuto essere lui per lei.
Ormai aveva preso l’abitudine di chiamarlo bestia. Nei suoi pensieri, almeno, lo poteva chiamare come voleva, senza ripercussioni, se non una forte nausea.
Hinata aveva sempre la nausea, in quel periodo. Ne conosceva bene il motivo. Era cresciuta, aveva cominciato a vivere davvero. Ed ogni volta che viveva, che faceva qualcosa, le si iniettava nel sangue un ricordo, come veleno. Qualsiasi cosa, anche il più stupido gesto, faceva riaffiorare qualche ricordo terribile, uno dei tanti. Erano ricordi offuscati, appannati, un tempo cancellati perché troppo crudi, com’era cruda lei al tempo. A volte aveva la sensazione che non fossero veri, frutto di qualche sotterfugio.
Ora però era in un fottutissimo ospedale, le lacrime agli occhi, la benda che le gira attorno alla nuca ed un orecchio fasciato. Ed era tutto fottutissimo vero.
Si rendeva conto di quanto quei pensieri fossero sbagliati, di quanto somigliasse a quelle donne di quelle fottutissime pubblicità dove la donna stava al buio, in casa, dicendo “sono caduta”. Fottutissime giustificazioni.
Fottutissimo mondo.
Fasciata in un letto bianco, le pareti bianche, l’armadietto bianco. Altri quattro letti in una stanza striminzita. Gente che cambiavano fasciature, ferite aperte, odore di sangue, persone che gridano. Persone che urlano come folli i nomi dei propri familiari.
Che nome ho, da gridare, io?
Sembra di essere nel dopo guerra. Cavolo, c’è la morte in questa stanza. La morte che le gelava le ossa. Quante volte aveva rischiato di morire?
Stanotte sono svenuta sul pavimento di camera mia, il sangue che contrastava col bianco. Tutto bianco è rosso. Come sono finita qui?
Volta lo sguardo alla ricerca di qualcosa, un segno, una traccia. Invece ci trova un viso stropicciato, le occhiaie scure a segnare il volto, il corpo stravaccato su una sedia blu. Capelli biondi. Niente sorriso.
Naruto?
Quasi non lo riconosce, così consumato dal dolore, logoro, sporco. Senza sorriso.
Pare che anche i capelli biondi abbiano perso di vivacità.
Dormi.
L’ha salvata, la sera prima. Come abbia fatto ad arrivare a casa sua non lo sa, nemmeno il motivo.
Che tempistica.
La sua immagine pare sbiadita. Un fantasma. Apre piano gli occhi, non li sgrana, non si stupisce, come se avesse a lungo studiato il suo viso. Naruto si è svegliato e ora la guarda.
-Pare che tu abbia visto la morte in faccia, Naruto.
-Non scherzare, Hinata.
La sua voce è dura, sai di essere stata fuori luogo. Il ragazzo ha gli occhi rossi. Probabilmente non ha dormito molto, probabilmente ha pianto. I pantaloni sono tutti stropicciati.
Cos’hai fatto, Naruto? Hai stretto i pugni intorno alle gambe? Ti sei fatto del male?
Le tocca piano una mano. Ha paura a toccarla, come se potesse spezzarla.
Lui mi spezza, tu mi aggiusti.
Hinata si sentiva intrappolata nel suo corpo. Una volta si leccava le ferite, si curava da sola. Poi un giorno si era scocciata e aveva smesso, di colpo.
Tanto se muoio è meglio.
Invece era arrivato lui, con la sua tempistica, e aveva preso a leccargli le ferite al posto suo. Come se gli sussurrasse “Vivi, Hinata, vivi”.
Vivi, non camminare col corpo di una morta, assente da te stessa. Vivi.
Non era una battuta, Naruto sembra aver passato davvero una notte d’inferno. A modo suo, è una vittima di questa orribile storia. Hinata non voleva tirarlo dentro al suo dolore, farlo perdere, togliergli la felicità. Gradualmente aveva cominciato ad essere più egoista e si era riempita la vita di quel colore giallo, di quello sprazzo luminoso nel buio.
-Stai bene?
Lei nemmeno ci sentiva. Tutto appariva lontano, vacuo. Sentiva solo da un orecchio. Era imperfetta, spezzata a metà. Come il visconte dimezzato.
-Oggi… oggi è un giorno pallido.
Parole a cazzo, Hinata, spari cazzate. Non sai quel che dici. Ti fai la poetessa, ti atteggi a scrittrice, a grande pensatrice. Ma spari solo cazzate. La tua vita è un inferno, ed anche in quelle che definisci passioni sei uno schifo. Come fai? Mi fai schifo.
-Non volevo coinvolgerti.
Una lacrima scende lungo il viso, solitaria. Piange sempre, la povera Hinata. È una fontana salata.
Sei acqua inquinata. L’ennesima cosa rovinata dall’uomo.
Lui ti sfiora i capelli, con una mano, ma tu stavolta non ti abbandoni contro il suo palmo. Lo guardi e aspetti.
-Mi prenderò cura di te.
No.
Te lo dici mentalmente, sai che non puoi fargli questo. Quel giorno, quando gli hai detto in parte ciò che subivi ogni giorno della tua vita, si è arrabbiato. Ora, ora che ha toccato con mano ed inspirato l’odore pungente del terrore, si è consumato. Pare logoro. Come un vecchio paio di jeans anni settanta. Belli ma logori. Non puoi fargli questo. Lo ha solo assaggiato ed è distrutto.
E’ così che sembro tutti i giorni della mia vita? Marcia dentro?
In effetti, è come se lui avesse mangiato frutta marcia. Sapore aspro in bocca, i brividi alle mani.
Ti viene da vomitare. Sputerai quel boccone amaro al posto suo.
Fottutissimo mondo.
 
 
 
Non sei più una bambina, Hinata, prenditi le tue responsabilità.
Ma come ti permetti?
Era questo che voleva gridare ogni volta contro il padre. Lui sapeva tutto, ma dava la colpa a lei. È colpa tua. Lo meriti. Questo pensava lui, l’altro.
Ora la bestia era in carcere. Il carissimo e onorato padre le attribuiva la colpa. Hinata non diceva niente. Gliela leggevi negli occhi la sua natura, tutta la sua paura. E stare calma non era più nel suo ruolo.
Sono passati anni.
La mamma è morta. Forse si era stancata anche di essere depressa, o semplicemente non aveva più voglia di vedere lo schifo che faceva il figlio. Si era spenta, lentamente. Aveva atteso il ritorno della sua bambina a casa e poi aveva ceduto al sonno eterno di Morfeo. Spenta.
Hinata invece dava fuoco ad ogni cosa.
Alle sigarette, alle vecchie foto, alle medicine.
Alle tre del pomeriggio però, mollava tutto e andava da lui. Si dimenticava dello schifo in cui a poco a poco stava cadendo anche lei e fuggiva dai suoi pensieri.
Ogni volta, si fermava ad annusare l’odore del disinfettate. Osservava le pareti bianche, linde, lucide. Gli armadietti puliti, le lenzuola bianche. Il volto bianco di Naruto steso in quel letto.
Almeno hai avuto la fortuna di avere una stanza tutta per te, amore.
Si avvicinava, come sempre, e gli sfiorava con una mano i capelli. Poi si sedeva. Ogni volta che faceva qualche gesto in più, quando si soffermava ad accarezzargli le labbra o le lunghe ciglia… buttava via altra acqua salata.
Andava avanti da anni in quel modo, cercando di non ferirsi più del dovuto.
Hinata lavorava. Tanto. Osservava giovani, adolescenti, bambini, fare la sua stessa fine, recitare nella sua stessa tragedia. Col ruolo di protagonista. Era diventata un’assistente sociale. Le piaceva, il suo lavoro. Non era molto, ma le permetteva di pagare quella clinica privata per Naruto. Aiutava i bambini, li consigliava, li raccoglieva e li portava via con se da tutta quella merda. Li salvava, come aveva fatto Naruto con lei.
Lui l’aveva aiutata ad aprirsi, ad ammettere quanto avesse sofferto, a rendersene conto a pieno. Naruto l’aveva aiutata a denunciare la bestia.
La bestia l’aveva scoperto quasi subito. Hinata era in ospedale, inattaccabile. E allora se l’era presa con lui.
L’aveva portato via da una strada affollata e l’aveva fatto fuori. Hinata aveva letto la confessione di Neji.
Diceva che non ci vedeva più dalla rabbia e che doveva sfogarsi. Ne parlava come un’arte. Lo aveva cominciato a pestare, nonostante lui si difendesse bene. Alla fine la bestia lo aveva surclassato con la sua stazza, lo aveva riempito di pugni e calci.
“Solo una bestia, questo sei.”. Naruto aveva avuto più forza di lei e glielo aveva detto. Lui, di rimando, si era messo a piangere, cercando di impietosire i poliziotti.
Bestia, vergognati.
Ora lo odiava con tutta se stessa. Aveva ferito ciò che aveva di più caro. Il suo salvatore. Il suo angelo caduto dal cielo. La sua unica ragione di vita.
Naruto? Dove sei?
Se lo chiedeva spesso. Glielo chiedeva ad alta voce, a volte. Lo chiamava. Lui era ancora da qualche parte in quel corpo. Un coma non ti toglie la vita. La toglie lentamente ai tuoi cari.
Ora Hinata sapeva che, se fosse diventata matta come l’anziana di quell’ospedale, avrebbe invocato il suo, di nome. A volte si svegliava la notte urlandolo. Proprio come una matta. Psichedelica anzi.
Naruto si era battuto per lei e aveva subito un forte trauma, era andato in coma. Se non fosse riuscito a difendersi, sarebbe andata peggio.
Fottutissimo mondo.
Hinata guardava con disinteresse tutto ciò che aveva intorno.
Alla fine sopravviveva a tutti e a tutto, ma sembrava comunque un morto che cammina. Vuota. Completamente. Aveva provato a riempirsi con ogni cosa –e quante sostanze aveva ingurgitato- ma il suo corpo rifiutava ogni cosa. Vomitava. O non mangiava.
Quel mondo la faceva vomitare.
Non era felice della sua vita. Non era più viva. L’ultima volta che si era sentita viva era stata… l’ultima volta che aveva baciato Naruto. Le sue calde labbra le mancavano, quelle due rose capaci di accendere una miccia infondo allo stomaco. Lui aveva combattuto per lei e non sapeva nemmeno tutta la verità.
Non sapeva che era stata anche violentata e che quindi, quando a volte piangeva mentre facevano l’amore, non era colpa sua. Non era colpa di nessuno. Era solo successo.
Ma ora se ne pentiva, avrebbe tanto voluto non fosse mai accaduto niente. Avrebbe tanto voluto non dargli dispiaceri.
Non coinvolgerlo.
Naruto? Dove sei?             
Le mancava tutto di lui. Eppure non lo sfiorava. Basta farsi del male.
Si alzò dalla sedia blu ed andò alla finestra.
Cosa cazzo guardi? Lo schifo che ti circonda? Prendi fra le mani la tua vita Hinata, dagli un senso. Sembri una di quelle vecchie maestre dei film. Tanta roba buona sprecata.
-Dove sei?- stavolta lo disse, senza avere il coraggio di guardarlo –Naruto.
Il suono di qualche boccheggio le arrivò alle orecchie. L’avevano curata, la sordità era passata. A volte però sentiva male, perdeva colpi. Si inceppava. Come una macchina che singhiozza.
Un altro strano rumore la fece girare terrorizzata. Aveva imparato a difendersi, con i pugni e con i denti. Aveva anche frequentato un corso di autodifesa. Guardò il macchinario a cui il biondo era attaccato. Era diverso, bippava diversamente.
Che succede?           Naruto?                       Dove sei?
Le lenzuola si mossero velocemente.
Hinata gli era arrivata addosso in un attimo. Con le mani gelate era entrata nel suo letto e gli aveva sollevato la maglia. Si era intrufolata. Il contatto con la sua pelle la fece vibrare. Si alzò un poco anche lei la maglia. Si adagiò lentamente sul corpo inerte del ragazzo. E’ caldo. Bollente. Tremi.
-Naruto.- lo chiami, flebile.
La speranza che ti aveva inondato scompare e se ne va via piano, come quando stappi il lavabo e l’acqua fatica a scendere. Altra acqua salata inonda il tuo viso, stavolta a fiotti.
Da quanto tempo è che non piangi? Da quanto tempo è che non provi emozioni?
Avevi imparato a non fidarti, a farti scivolare ogni desiderio, ogni speranza, addosso. Senza accorgerti di niente, eri diventata un Buddha. Ma Negativo. E depresso. Come tua madre.
Sei ancora in quella posizione stramba e qualcosa di pizzica il fianco. Dita.
Sgrani gli occhi. Naruto è sveglio, il volto pallido e le occhiaie, ancora una volta la vittima.
Naruto.
Non ti sei abbandonata a sentimenti umani per niente.
Hinata… Vivi.
 
 

-Sembra che tu abbia visto la morte in faccia, Hinata.
-Non scherzare, Naruto.        Ti amo.



 

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Meriterei di entrare nelle storie scelte solo perchè sono stata capace di aprirmi. Scrivendo questa storia, ho pianto, tanto, per ore. Sono 2005 parole, poche ma buone. Credo che in questo capitolo mi capisca solo io.
In questa storia io sono Hinata. Le frasi in corsivo sono i suoi pensieri, i miei pensieri di allora.
Fino ad adesso  ho solo raccontato la storia, stavolta la narratrice ha parlato, ha giudicato. Mi sono giudicata.
L'altra volta ho fatto i ringraziamenti e nessuno ha recensito, ma è il capitolo finale, quindi sono d'obbligo.
Ringrazio i 20 che mi seguono e gli 11 che mi preferiscono. Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito (Thecinu e fabiana96, a voi due grazie davvero, di cuore, vi adoro, poi arcx, farshid, the breath wind, _violetgir_, Linduz94, AlexRae00, DarkAngel998, stezietta w, Sophie95, Dado chan, Hikari93). Grazie ha tutti di cuori, spero mi facciate sapere anche stavolta cosa pensiate di questo capitolo.
Ora metto completa alla storia. Mi mancherete. Se mancherò anche a voi, ho altre tre long in corso. Una appena iniziata. Si chiama 
Filosofia di vita. Spero di risentirvi presto, grazie di tutto. Un bacione.
Cla.

   
 
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