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Autore: genbufan    08/07/2007    0 recensioni
Introduzione della serie di racconti di Luthwigg il mercenario. Diciamo che la mia intenzione sarebbe di portare in primo i personaggi che di solito sono perdenti e fanno da carne da macello per dare maggior lustro ai personaggi principali... Ad ogni modo spero che in questa mia versione di universo fantasy si noti un tocco personale! Ogni capitolo fa storia a sè, diciamo che si tratta del modello "Le avventure di..", ma erco di dare un filo logico e delle conseguenze tra capitolo e capitolo...
Genere: Parodia, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il medaglione

ovvero

Sul potere degli oggetti antichi


Accadde un giorno che nel villaggio di Luthwigg, Dorkbaarg, arrivò un ricco mercante kyonmann. Non era certamente un fatto insolito, nè lo era la sua richiesta: egli cercava alcuni valorosi taggha, conoscitori del luogo, che trovassero per lui alcuni preziosi oggetti, che dovevano sicuramente trovarsi nelle vicine rovine di Querr’o’rahl, antichissima città un tempo abitata da una moltitudine di individui delle più varie specie, caduta durante l’Ultima Guerra di milleduecento anni prima.

<< Si tratta di un insieme di antichi manufatti e oggetti, tra cui il più importante è sicuramente il prezioso amuleto dello stregone Elixvim, in cui si dice alberghino misteriosi poteri >> , disse lo straniero, evidentemente volendo puntare sulla suggestionabilità ed interesse per i misteri innata in quella specie.

<< Ovviamente, vi pagherò bene. >> aggiunse per dare un ulteriore impulso.

Queste frasi sono solo un piccolo estratto del lungo discorso che quell’ottimo oratore fece da un soppalco usato di solito per gli annunci pubblici, quali le nuove leggi e le importanti notizie provenienti dall’esterno, che si trovava al centro della piazza cittadina, circondato dalle bancarelle del mercato, una delle poche zone situate in superficie del paesino.

La folla, che per tutto l’inizio della mattinata era stata occupata nella contrattazione e negli acquisti, si era radunata in fretta, attirata da un individuo tanto pittoresco e carismatico, nonostante non fosse abbastanza alto da arrivare nemmeno al petto di uno qualsiasi di loro, e non possedesse fauci possenti o muscoli da combattente, in quel corpo tanto sottile. La sua attrattiva veniva comunque incrementata anche grazie al sacco che stringevano tra le mani i suoi servitori, contenente dieci zaffiri Gorrlih, il compenso per l’eventuale riuscita nella missione.

Si trattava di un premio assai notevole: quelle gemme, contenenti al loro interno un particolare marchio impresso dai kyonmann attraverso un sistema complesso, che imprimeva la scrittura nella struttura stessa della gemma, venivano da loro utilizzati come valuta, ed erano ottimi per gli scambi commerciali con altre specie.

Del resto, qualunque essere senziente riconosceva il valore di gioielli e gemme, e i taggha in particolare, essendo grandi amanti, intagliatori ed esperti di tali oggetti. Tale ammontare, comunque, corrispondeva pressoché a ciò che un comune lavoratore taggha poteva guadagnare in circa due anni, vista anche la diversa entità della ricchezza media di taggha e kyonmann, ovviamente.

Poco tempo bastò perché, dalla calca che si era formata, si facessero avanti tre mercenari come tanti: Vaxxhul, valoroso combattente della tribù, Darmaat, uno tra i migliori esploratori, e il nostro Luthwigg.

Vaxxhul era un individuo grande e forte, anche per i canoni della propria specie, un guerriero tutto d’un pezzo, le braccia muscolose erano perfette per maneggiare le armi da scontro ravvicinato tipiche di quelle genti, in particolare la falce a due mani che portava sempre con sé a tracolla sulla schiena. Il viso era duro e serio, tipico di qualcuno efficiente e deciso, pronto a superare difficoltà insormontabili pur di arrivare all’obbiettivo, qualunque esso fosse.

Darmaat, dal canto suo, era invece insolitamente “magro”e snello, seppur relativamente ai suoi simili e non in senso assoluto, con una muscolatura asciutta e quasi priva dello spesso strato di grasso che solitamente adornava i taggha; più che un guerriero, si trattava di una persona che cercava, per come poteva, di utilizzare la propria intelligenza e astuzia per compiere ogni genere di lavoro, anche se solitamente il suo ruolo era per l’appunto quello di guidare le spedizioni di caccia o commerciali, e di visionare le zone circostanti in cerca di qualunque pericolo.

Per ultimo vi era Luthwigg, tremolante per l’emozione, avvolto nel suo rozzo cappotto grigio e pieno di aspettative.

Tali individui si conoscevano solo di vista, ma quei passi che essi avevano fatto verso il palco sembravano averli d’un tratto legati tramite una forza invisibile e potente.

Si guardavano l’un l’altro incerti - e in particolare il più incerto era il giovane Luthwigg - e aspettavano ulteriori indicazioni dal loro nuovo capo, che per i due mercenari esperti era l’ennesimo di una lunga serie, ma per Luthwigg era il primo.

Sorridendo, lo straniero dalla pelle rossastra e il naso aquilino disse queste parole: << Bravi, o coraggiosi guerrieri! Dalle mie parti abbiamo sovente notizie del coraggio e della spericolatezza, se mi passate il termine inteso nel suo migliore significato, degli abitanti di questi bei villaggi. Io avrei piacere di attendere qui, se qualcuno di voi avrà la cortesia d’ospitarmi - ovviamente dietro adeguato pagamento - il ritorno di questi baldi giovani, se riusciranno nella loro impresa. Potrete disquisire riguardo la vostra destinazione con i miei due collaboratori, e decidere la migliore strada da percorrere. >> .

Dopo che i tre ebbero annuito rapidamente verso di lui e tra di loro, il mercante se ne andò, sempre sorridendo, facendo tintinnare il sacchetto di gemme, assieme al primo locandiere così fortunato da attirare la sua attenzione.

Lo spirito di quei tre era, seppur servile verso i più ricchi e più potenti, come si è visto, in un certo qual modo intraprendente, come in tutta la loro specie. Di conseguenza bastò loro mezza giornata, dopo avere fatto attentamente controllare la validità della ricompensa da un esperto di passaggio, per preparare i bagagli e consultarsi con i due collaboratori del mercante onde ottenere ulteriori delucidazioni Una mera formalità atta a passare il tempo, allentare la tensione e prendere confidenza tra loro, poiché ovviamente essi conoscevano benissimo il luogo in questione. Meraviglia anzi come la vicinanza delle rovine di Querr’o’rahl non avesse quasi mai spinto quegli esseri all’esplorazione, ma si può ipotizzare che la forza della superstizione avesse fino ad allora prevalso sulla curiosità e voglia di viaggiare tipica di tali creature. La durata prevista del viaggio, che ovviamente i tre avrebbero effettuato a piedi, non essendo la loro specie avvezza alla creazione di macchine da trasporto nè all’allevamento ed utilizzo di animali per tale scopo, era di circa una decina di giorni.

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Tralasciando i soliti discorsi rozzi e lascivi propri di tali individui, per i primi due giorni i tre si rivolsero assai poco la parola, benché il viaggio procedesse al meglio e senza intoppo alcuno.

La foresta continuava ad apparire maestosa di fronte ai loro occhi, con i suoi giganteschi alberi dell’inverno, dalle foglie strette e verde scuro, un tronco alto cinquanta metri e largo all’incirca sei, che facevano sentire chiunque un minuscolo insetto al loro cospetto, ma anche i più piccoli, perlomeno relativamente, alberi di kachah, si susseguivano numerosi, e i loro frutti sempre presenti, nonostante l’autunno avanzato, furono più di una volta occasione per uno spuntino per gli avventurieri, così come accadeva solitamente in questo tipo di viaggi.

Luthwigg si recava per la prima volta così lontano da casa, e ascoltava con molto interesse i consigli che gli altri due gli fornivano di continuo su come camminare, cosa fare, cosa raccogliere da terra. Lo facevano ovviamente più per vantarsi della loro esperienza che per aiutarlo, ma essendo il risultato equivalente, la consulenza era ben gradita.

Inoltre trovarsi insieme a loro lo faceva sentire al sicuro, libero di imparare tutto il possibile senza rimetterci tropppo.

Ma il terzo giorno costrinse ad interrompere la piacevole calma del viaggio, poichè venne avvistato un branco di paplan bianchi, una delle incombenze più comuni di quella parte di mondo: grosse scimmie dal lungo muso di colore grigio-bluastro, dentature da predatore con canini molto lunghi, una lunga coda, ricoperti di pelo folto e completamente bianco in inverno, grigio-castano chiaro nella stagione “calda”, se così la si poteva chiamare; ovviamente la minaccia peggiore proveniva, oltre che dalla grande forza muscolare, dal fatto che le braccia muscolose si abbinavano a una certa abilità manuale, permettendo loro di maneggiare rozzi bastoni provenienti dalla rottura di tronchi e rami d’albero, e a volte anche armi più elaborate quali spade o mazze, frutto della sconfitta di incauti viaggiatori finiti loro preda, com’era il caso del capo di questo gruppo di sei individui; gli

altri erano armati chi di bastoni in legno chi semplicemente delle proprie mani, anch’esse in grado di menare colpi durissimi e letali.

Tali creature erano continuamente dedite alla caccia, vista la ovvia scarsità di cibo di quelle lande desolate, e inoltre la distanza era tale perché essi avvertissero perfettamente la loro presenza attraverso il fiuto.

Di conseguenza i tre viandanti non si fecero scrupoli a difendersi attraverso l’attacco. Dopo una veloce intesa frutto di sguardi più che di parole, Darmaat decise di utilizzare la pesante balestra che portava sul dorso per sbarazzarsi del capo, elemento cardine del gruppo. Anche quello sembrava un insegnamento diretto al giovane Luthwigg. Concentratosi per una frazione di secondo, fece partire il dardo metallico, che sfrecciò precisissimo verso la testa dell’obiettivo; nessuno si aspettava, però, che il capo, dimostrando una certa intelligenza, si fosse accorto delle intenzioni della preda, e, difendendosi con il corpo di un compagno, rimanesse illeso.

“ Se proprio vuole sfoltire il proprio gruppo, aiutiamolo “ dovette pensare in quel momento Luthwigg, che finì il malcapitato esemplare con la propria balestra, più piccola, tale da essere utilizzata con una sola mano, ma comunque con una forza nello sparo più elevata che nelle corrispondenti balestre manuali utilizzate altrove, e capace di sparare due frecce di seguito.

Non appena Darmaat l’ebbe vista, sembrò chiedersi come avesse fatto quel ragazzo a fornirsi di un gioiellino del genere.

Ci vollero entrambi i colpi in carica per raggiungere il bersaglio, ma lo scopo venne raggiunto, sebbene in maniera goffa.

<< Ben fatto, ragazzo, ben fatto. >> fece Vaxxhul con sguardo attento e preparandosi.

<< Ora imbraccia un’arma più seria, però. Stanno arrivando. >>

I cinque paplan rimasti si gettarono allora sui tre viaggiatori - si gettarono per modo di dire, vista la loro proverbiale lentezza - che ebbero così l’occasione di mostrare l’un l’altro la propria bravura nello scontro ravvicinato. Un animale privo di armi si scagliò su Vaxxhul, ma quest’ultimo ne squarciò di netto il petto con la falce, tolta da tracolla con un gesto fulmineo. Alla prima uccisione seguì quella di un altro esemplare armato stavolta di bastone; un rapido scambio di colpi fece comprendere a tutti i presenti la superiorità di Vaxxhul, che tagliò in due la patetica arma avversaria, assieme a un pezzo della mano destra, e lo uccise affondando la lama nella testa.

Intanto Luthwigg, rimasto strabiliato da quella dimostrazione di potenza, voleva essere all’altezza e cercò di mostrare la propria abilità, con una maggiore difficoltà: ma il paplan che aveva di fronte gli colpì il braccio sinistro di striscio, facendogli capire quanto poco fosse bravo nella difesa. La bestia dovette tuttavia pagare il proprio contributo al progresso come gli altri, poiché si trovò ben presto a comprendere quanto fosse dura la lega con cui venivano forgiate le lame taggha, in confronto con la propria scatola cranica. Era una fortuna che la bravura di chi costruiva armi supplisse quella di chi le imbracciava.

Il capo volle dimostrare ancora una volta la propria propensione a sfruttare gli elementi più deboli, così scagliò il pesante corpo del proprio compagno contro Darmaat e Luthwigg, per potersi impegnare faccia a faccia contro il prode Vaxxhul. I manici della falce e della mazza si incontrarono una prima volta, poi la mazza cercò il fianco del guerriero con un colpo molto forte, che però venne evitato per un soffio, dopodiché la falce rispose avventandosi sul collo della bestia, ma la ricompensa fu una manciata di pelo bianco e nulla più.

Pur amando gli scontri lunghi, l’esperto avventuriero diede un forte calcio ad una zampa posteriore dell’animale, seguita da un affondo con il manico dell’arma verso il ventre, in modo da bloccare temporaneamente l’ostinato avversario, e correre in aiuto dei compagni che, storditi dal precedente impatto, non riuscivano a rialzarsi per contrastare le artigliate del grosso paplan che li aveva colpiti. Arrivando da dietro al grosso avversario, produsse un grosso taglio sul retro del suo collo, facendolo così voltare verso di lui; bastò poi tenerlo impegnato per qualche secondo, il tempo perché Darmaat decidesse finalmente di alzarsi da terra ed utilizzare le proprie armi per lo scontro ravvicinato, due falci leggere e dal manico corto che sventrarono la belva con efficienza. Mentre essa moriva ringhiando, il capo si rialzò, ovviamente senza ritrovare la propria arma, perché Luthwigg aveva avuto il tempo di gettarla via con un calcio, compiendo finalmente unn gesto abbastanza utile. Ridendo, Darmaat e Vaxxhul si avventarono contro il capobranco, e, dopo avergli rotto gli arti con i manici delle armi, gioirono nel torturarlo per qualche minuto con tagli e colpi in punti non letali, solo per sentirlo urlare, prima di concedergli il colpo di grazia. Anche il ragazzo fu lieto di unirsi a questa parte del combattimento, seppur con poche botte dirette allo stomaco della bestia.

Ciò dimostrava come una preda, se intelligente, esperta e forte, possa facilmente ribellarsi al predatore.

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Fu insomma uno di quei - in definitiva - facili scontri, che servivano anche a rinsaldare l’intesa di un gruppo già formato da tempo, o a crearla in un gruppo nuovo. Dopo tale evento, le chiacchiere scambiate dai compagni durante il viaggio erano più familiari, più confidenziali, o meglio lo erano tra i due “adulti”, i quali, contenti di avere fatto così bella figura recitavano la parte dei fratelli maggiori con il giovane. Non si lamentavano di quanto poco egli avesse contribuito, poiché ciò faceva risaltare le gesta compiute da loro.

Darmaat gli chiese persino se era fidanzato, con la tipica malizia dei maschi che parlano tra loro, e con la sua caratteristica parlantina sciolta che conquistava chiunque.

Nonostante fosse contento di essere riuscito a stringere una sorta di amicizia, in un angolo della mente di Luthwigg era costantemente presente la convinzione che gli altri due gli nascondessero qualcosa.

Non ebbero nessun’altra sorpresa durante il resto del cammino, che proseguì in maniera tranquilla e a tratti noiosa, regalando panorami molto uniformi ma comunque grandiosi, essendo l’ambiente di tale foresta estremamente rigoglioso e ricco di vita.

La sera del quarto giorno già vennero avvistate le rovine: lo spettacolo era qualcosa che chi era abituato a viaggiare in terre non civilizzate (o non più tali) ben conosceva: mura sgretolate, palazzi fatiscenti, strade ricoperte d’erbacce, un vago sentore di mistero che spesso accompagnava i resti dei tempi turbolenti di milleduecento anni prima.

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La città era stata un tempo un luogo grandioso, perlomeno secondo i testi di storia ed archeologia al riguardo: un insieme di costruzioni che copriva uno spazio di circa cinquanta chilometri quadrati accoglieva al proprio interno circa due milioni e mezzo di abitanti, se non di più, anche grazie ad ingegnose costruzioni che sfruttavano sia lo spazio sotterraneo sia altezze elevate, frutto della collaborazione tra gli architetti appartenenti alle varie specie presenti. L’estrema quantità di edifici era organizzata meticolosamente secondo uno schema a scacchiera nel centro, più “fantasioso” e ricco di bivi e deviazioni verso i confini esterni, o forse volutamente complesso per scoraggiare eventuali invasori.

Sempre secondo i libri, però, l’invasione che gli abitanti tanto temevano non era mai avvenuta, perlomeno non in maniera tanto massiccia da rappresentare un problema, ma erano stati gli stessi abitanti a scannarsi fra loro nel folle periodo che fu la Guerra degli Antichi Reami.

I tre ebbero l’occasione di ammirare il risultato di quegli scontri, che avevano reso la città l’ombra di se stessa: quella che un tempo era la rappresentazione vivente del genio e della meticolosità allo stesso tempo, ora era un mucchio di vecchi ruderi ammucchiati l’uno sull’altro, che si confondevano facilmente in mezzo all’ambiente circostante, come sassi lungo un sentiero.

Il volto serio di Darmaat, che si faceva vedere così poco spesso, testimoniava la condanna silenziosa verso un’epoca tanto assurda. O forse era solo assorto nei suoi pensieri?

Tutto ciò rese più difficoltose le ricerche del luogo in questione, ovviamente. Tuttavia, l’esperto Darmaat notò che l’erosione delle intemperie sembrava essere stata più gentile con gli edifici più interni della città; certo questa differenza sarebbe stata impercettibile per un occhio mediocre, ma non per lui.

Ci volle un giorno intero per orientarsi in mezzo a quello spettacolo: la strada portava ad osservare talvolta caseggiati tutti uguali tra loro, talvolta costruzioni dalle forme stranissime, tra cui una piccola bottega di forma conica, ma il cui tetto andava a ramificarsi in più filamenti metallici sottilissimi, simili a rami d’albero, e un tempio (perlomeno tale pareva potesse essere la sua funzione) formato da una base a forma di tronco di cono, che sosteneva una parte a cilindro che a sua volta era sormontata da cinque pilastri, che sostenevano null’altro che il cielo.

Tanto peregrinare portò i tre, al crepuscolo, ad ammirare un gigantesco ziggurat a quattro piani, composto apparentemente di grossi blocchi di granito incastrati tra loro, la cui altezza sembrava perlomeno di cinquanta metri, divisi equamente per ogni piano, mentre il lato della base quadrata era di circa duecento metri, e diminuiva di circa cinquanta metri ad ogni parte; qualcosa che poteva contenere un piccolo villaggio, insomma.

<< Eccoci arrivati. >> disse Darmaat con un tono leggermente ironico nella voce. Gli altri fecero un cenno di risposta, più seriamente.

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In seguito montarono un piccolo accampamento, composto di una sola tenda e di un piccolo fuocherello, appena alcuni metri al di fuori dell’entrata, e si concessero una buona dose di sonno, ben contenti di avere un intervallo in mezzo a quelle continue ricerche che sembravano non avere mai fine.

Al mattino entrarono nello ziggurat, la cui forma sembrava essere rimasta quasi del tutto illesa, al contrario del resto delle rovine; percorrendo cautamente l’atrio, che era una stanza relativamente piccola rispetto al complesso, un altro particolare balzò subito all’attenzione: la temperatura era decisamente maggiore che al di fuori, tanto che i viaggiatori dovettero spogliarsi dei pesanti cappotti da viaggio in pelliccia, che infilarono nelle bisacce.

Ma le sorprese non erano finite: superato l’atrio, ecco il primo indizio che forse gli antichi abitanti del luogo non simpatizzassero molto con chi voleva introdursi nei loro luoghi più sacri: la base era priva di decorazioni - le mura erano spoglie, si vedevano a malapena le piccole finestrelle, larghe non più di dieci centimetri e poste tutt’intorno al soffitto - e conteneva solamente una gigantesca scalinata, che saliva e scendeva di continuo, si ergeva sul vuoto e a volte portava a punti morti, senza dare alcuna possibilità di scorgere il punto in cui si accedeva ai piani successivi.

<< Questa è proprio bella. >> si udì dalla voce rimbombante di Vaxxhul, che osservava l’insieme con occhi stupiti.

Si trattava, evidentemente, oltre che di una beffa di quegli antichi sapienti, anche di un sistema per tenere impegnati eventuali invasori, dando agli abitanti tutto il tempo di preparare uno squadrone per catturarli, eliminarli o forse peggio.

Al contrario degli invasori del passato, i nostri avevano la possibilità di svolgere in tutta comodità il tedioso compito di trovare l’unica via giusta, e grazie all’ingegnosa divisione dei compiti, ma soprattutto all’esperienza di Darmaat nello scovare i sentieri e nell’esplorare qualunque genere di luogo ameno, nel tempo relativamente breve di tre ore seppero giungere alla botola (ovviamente non evidente alla vista, ma rintracciabile al tatto) che portava al piano superiore.

Quand’ ecco che la seconda “prova” si rese evidente ai loro occhi: dal soffitto dell’unico salone pendevano molteplici spuntoni metallici, ben affilati e lunghi all’incirca un metro e mezzo, che sembravano non attendere altro che cadere su un malcapitato visitatore e trafiggerlo a morte.

Anche qui la situazione paradossale di quest’impresa dava tutto il tempo di pensare ad una soluzione: difatti persino Luthwigg ebbe il tempo per rendersi conto prima degli altri che l’apertura per il piano successivo si trovava verso l’angolo a nordest del soffitto, che indicò ai compagni, i quali si complimentarono con lui sbalorditi, ridacchiando.

Gli spuntoni arrivavano appena al di sopra delle loro teste, essendo quel piano ben lontano dalle altezze spropositate del precedente, per cui la soluzione consisteva nell’utilizzarli come base per appoggiare mani e piedi e risalire in cima. Un’operazione che per altri sarebbe risultata decisamente ardua, ma che fu uno scherzo per campioni di tale risma, persino per il più giovane di loro, che nonostante la scarsa agilità riuscì nell’operazione.

Nell’intuire dentro di sé che in passato ci dovesse essere una scaletta che veniva calata dal di sopra dell’apertura, Luthwigg si trovò anche ad osservare, suo malgrado, come l’atteggiamento di Vaxxhul, ma soprattutto di Darmaat, denotasse una certa ansia bramosa, che cresceva lentamente ma in modo costante man mano che ci si avvicinava all’obiettivo.

Sembrava al nostro di osservare i primi sintomi di una grave malattia che stesse assalendo i compagni.

Ad ogni modo, il penultimo piano si parò dinanzi alla vista dei tre in tutta la sua austerità: di nuovo un’unica stanza, questa volta completamente vuota, persino priva di pitture sui muri, ad eccezione di un’enorme statua che rappresentava un gigante con indosso un’armatura di quelle utilizzate nei tempi antichi, in vero acciaio con tanto di elmo e visiera. Le braccia erano poste in atteggiamento quasi di resa, aperte verso lo spettatore, mani aperte e prive di armi.

Un breve ragionamento portò Luthwigg, che oramai sembrava l’unico totalmente lucido del gruppo, a comprendere quale fosse la funzione della statua: una leva posteriore, ben nascosta, ma che egli fu in grado di rilevare dopo un’accurata ispezione, faceva muovere il braccio destro della statua in modo che, con il palmo aperto e rivolto verso l’alto, si alzasse avvicinandosi all’apertura del soffitto, permettendo così, a chi vi fosse salito sopra, di raggiungere l’uscita.

Questa semplice procedura permise di giungere finalmente all’ultimo piano, ma a questo punto la sorpresa si accompagnò alla delusione: la piccola stanza era completamente spoglia. Al centro vi era un sostegno, evidentemente servito in passato da supporto ad un qualche oggetto prezioso, ma che al momento era vuoto.

La ricchezza della sala si conservava però nelle numerose pitture e sculture su tutte le pareti, tra cui la più evidente era un bassorilievo, presente sul soffitto, raffigurante due felini alati messi di profilo e in posizione speculare, con gli arti sovrapposti; l’occhio dell’essere avente la schiena rivolta verso est era di un colore azzurro brillante, mentre l’occhio dell’altro era tinto di un grigio spento.

Inutile dire che i due compagni di Luthwigg si lasciarono andare alla disperazione e alla rabbia, nel constatare l’inutilità dei loro sforzi; tuttavia le loro lamentele, seppur legittime, sembravano eccessive, tenendo conto che le delusioni in questo genere di avventure sono sempre molte, e loro dovevano averne sperimentate di diverse e peggiori, pensò il giovane.

Il gruppo aveva trascorso già due ore a constatare l’evidenza della situazione, così la rabbia ebbe modo di crescere, trasformandosi ben presto in futili e vuote accuse rivolte l’un l’altro tra i due avventurieri più maturi, e presto le accuse portarono alla rissa.

Sarebbe stato difficile fermare la zuffa iniziata con la forza dei muscoli o delle parole per il terzo elemento del gruppo, se non avesse potuto aggiungere alle proprie argomentazioni un’improvvisa intuizione: ecco il significato della pittura sul soffitto, ecco svelato il segreto perduto del tempio: la struttura non era formata solamente dallo ziggurat che affiorava in superficie, ma una parte esattamente simmetrica era presente nel sottosuolo: del resto anche alcuni componenti dei taggha, grandi esperti di costruzioni sotterranee, facevano parte degli abitanti della città. Tutti si guardarono stupiti: per quanto assurda, quell’ipotesi giustificava ricerche ulteriori, ed eventualmente proficue.

Ripercorso il tragitto all’inverso, setacciarono il pavimento della stanza delle scalinate alla ricerca di un’apertura, una leva, qualunque cosa. Luthwigg era ormai contagiato dall’ansia degli amici, e si impegnò con tutto se stesso.

Giunta la sera, ecco finalmente che Vaxxhul trovò, quasi per caso, verso il centro del salone, una mattonella leggermente differente dalle altre per colore e per posizione. Premendola, un passaggio segreto si aprì, svelando una comoda scalinata discendente.

<< Siate pronti ad ulteriori prove, compagni. >> disse Luthwigg, che nonostante tutto rimaneva il più calmo, e aveva assunto inaspettatamente il ruolo di guida, a causa dell’improvvisa perdita dell’abituale freddezza e scaltrezza da parte degli altri due << mi aspetto di trovare qualcosa di simile a ciò che abbiamo sperimentato finora. >>. Gli altri annuirono, recuperando un po’ della loro serietà e concentrazione.

I fatti diedero ragione al nostro protagonista: la prima stanza sotterranea presentava una serie di scalinate esattamente simmetriche rispetto alla superiore, tanto che fu immediato trovarne l’uscita. A seguire una stanza che, invece degli acuminati pali appesi al soffitto, presentava degli altrettanto acuminati pali che partivano dal pavimento, pronti a infilzare chi fosse stato troppo ansioso di saltare dalla piattaforma superiore.

Non si trattò di prove di difficile soluzione, e i taggha pensarono che non solo la situazione sarebbe stata diversa in presenza di guardie pronte ad arrivare dall’esterno mentre gli invasori venivano rallentati, ma gli ostacoli volevano essere un puro sfoggio di intelligenza fine a se stessa, di bellezza artistica, non solo qualcosa di meramente funzionale.

Il terzo piano sotterraneo era spoglio come il terzo piano sopraelevato, con una statua identica, eccezion fatta per la posizione delle braccia, che questa volta erano strette al petto. Darmaat, sempre più sudato e pieno d’aspettativa, chiese a Luthwigg se intuisse il significato di ciò,visto che si era dimostrato tanto abile (lo disse non senza un certo mal velato sarcasmo), e questi, dopo alcune riflessioni, rispose che probabilmente, se la statua dei piani superiori era lì per aiutare, questa doveva invece sbarrare il passo. I mercenari non ebbero bisogno di esprimere ad alta voce la loro opinione su come potesse essere d’ostacolo il costrutto, poiché anch’essi sapevano che la tecnologia che nel loro periodo si cominciava ad utilizzare per costruire automi era frutto anche delle ricerche compiute su lavori simili del passato,vale a dire i golem. Evidentemente la statua avrebbe preso vita una volta che qualcuno avesse tentato di forzare la botola per il piano inferiore.

Questa volta nessuno seppe trovare soluzioni alternative, per cui i tre si rassegnarono ad un ultimo combattimento prima della conquista del tesoro; del resto si trattava di una specie avvezza a scontri continui.

I due compagni più maturi pianificarono alla perfezione l’operazione. << Mi raccomando a te, ragazzino. Se farai come ti abbiamo detto, ce la caveremo senza troppi danni. >> disse Darmaat a Luthwigg, il quale si diceva pronto nonostante il sudore freddo che gli colava sul collo.

Una volta che gli altri due si furono posti in angoli opposti della stanza, armi alle mani, Vaxxhul tirò via il coperchio della botola sul pavimento utilizzando la punta della falce.

Con movimenti fin troppo teatrali, gli occhi della statua si illuminarono di una luce verde, ed essa si alzò. Ovviamente prima di effettuare questo gesto apparentemente avventato, i mercenari avevano compreso che l’unico modo per distruggere il costrutto era cominciare con lo staccare le gambe, collegate al busto per mezzo di ingranaggi più complessi, e quindi più deboli delle altre parti del corpo, che ovviamente sarebbero venuti allo scoperto solo quando la statua si fosse messa in movimento. Ancora una volta la conoscenza dei moderni si dimostrò superiore al sapere arcaico. Fu incredibile come, mentre Vaxxhul teneva a bada i movimenti lenti ma potentissimi degli arti superiori (svolgendo in realtà il grosso del lavoro), gli altri due riuscirono, pur con molte difficoltà da parte del giovane, ad attaccare i meccanismi in questione, e provocare la caduta del golem. Tutto ciò fu ovviamente possibile grazie alle grandiose proprietà della lega che componeva le lame delle loro armi, la “solida toriis”, avveniristico materiale che riusciva ad essere infinitamente più duro di qualunque altro, ovviamente anche della pietra e del legno misto a ferro che formavano il golem. Una volta staccate le gambe, la lunghezza delle armi di Luthwigg e Vaxxhul permise loro di staccare anche, con relativa sicurezza, le braccia della statua, ed infine la testa che ne comandava i movimenti.

Grondanti di sudore, ansimanti, i tre si sorrisero a vicenda e discesero di corsa al piano inferiore, che conteneva alcune statuette di oro e acciaio dalle forme particolari, e al centro un piedistallo con appeso un medaglione, composto da una catena d’oro che sorreggeva un rubino, il quale emanava uno sfavillio continuo: il tutto era sicuramente di valore inestimabile.

All’improvviso, con occhi spiritati, Darmaat diede un pugno in pieno viso a Luthwigg, poi, una volta che fu crollato al suolo, lo riempì di calci finché non svenne. Le ultime parole che Luthwiggg sentì prima di perdere i sensi da parte di Darmaat furono: << E adesso a noi >>.

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Al suo risveglio, Luthwigg vide una scena orribile: i cadaveri dei suoi compagni giacevano a terra, i due si erano uccisi fra loro, utilizzando la stessa brutale e spietata efficienza che tali creature utilizzavano solitamente su mostri, predatori e malvagi nemici. Due tra i migliori guerrieri del villaggio erano morti in quella maniera assurda.

Decise comunque di concludere la missione, e portare lui stesso tutto il bottino al villaggio, dopo aver seppellito i corpi all’esterno dell’edificio. La tradizione dei taggha permetteva difatti, solitamente, la sepoltura vicino al luogo della morte.

Per tutto il tempo il ragazzo non fece che chiedersi quale oscuro maleficio avesse potuto causare tale disastro, e se non avesse potuto o dovuto fare qualcosa per impedirlo, dopo tutti i segni che aveva avuto l’occasione di rilevare.

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Il viaggio di ritorno fu insolitamente privo di sorprese per il nostro Luthwigg, ormai ridotto ad un viaggiatore solitario e perciò estremamente vulnerabile ad eventuali attacchi.

Non fu faticoso trasportare quella grossa quantità di bottino, poichè anche i taggha conoscevano da tempo la tecnologia per creare contenitori nello speciale materiale ultraelastico il cui interno si apriva su microdimensioni parallelele, rendendo così il bagaglio capace di contenere ben più del proprio volume, estendendosi in larghezza e aumentando in peso solamente per un decimo del carico.

Una volta giunto al proprio villaggio (questa volta ci erano voluti circa sei giorni di cammino), Luthwigg non si fermò neppure per riposare o salutare i numerosi parenti che lo videro all’entrata del complesso, e si diresse spedito verso la locanda poco distante dove sapeva che stava soggiornando lo straniero. Trascinando il bottino al seguito, entrò nella locanda, sbattendo la porta con violenza: il committente era proprio nella sala principale, sedeva di spalle al bancone.

Ricolmo di ira, buttò i bagagli a terra, urlando: << Ecco ciò che cercavi, straniero! Ma sappi che l’incantesimo contenuto in questi oggetti è valso la vita dei miei compagni, che sono stati spinti a uccidersi a vicenda! >>. Gli avventori della locanda, superstiziosi come tutti i taggha, si guardarono a vicenda, certi della verità delle affermazioni di Luthwigg.

Senza dire una parola, il mercante si girò, si alzò dal bancone e andò a controllare i bagagli, ispezionò il contenuto per alcuni minuti, accertandosi dela validità dei pezzi e borbottando qualcosa tra sé.

<< Ben fatto, mio coraggioso amico. >> Disse poi con un leggero ghigno beffardo << E quanto alle tue affermazioni, sappi che esiste sì un incantesimo in questo amuleto che ora stringo tra le mani: pensa, esso è in grado di mantenere memoria visiva di molti fatti, secondo un sistema che anticipa le “sfere di pensieri” costruite da noi kyonmann in collaborazione con i Nomadi Tricorni. Conosco alcuni studiosi che pagheranno moltissimo per ottenerli. Quanto alle statuette, esse hanno un altissimo valore culturale per molti intenditori d’arte. >>

Di fronte all’espressione ancora irosa, ma più confusa, dell’interlocutore, aggiunse:

<< Sembri deluso! Non è certo un incantesimo che ha fatto scannare tra loro i tuoi amici, bensì la consapevolezza dell’inestimabile valore di ciò che avete ritrovato! Erano arrivati a conoscerla grazie alla corruzione di un mio collaboratore troppo chiacchierone. Se vuoi, possiamo provare a utilizzare questo gioiello, e vedrai com’è andata la scena. Oh, ma ti ho già convinto, non ce ne sarà bisogno. >>

A quel punto, rise di gusto, e gettò il sacchetto con gli zaffiri sul pavimento di fronte a Luthwigg, dicendo: << Questi te li sei proprio guadagnati, mio onesto amico, visto che non ti sei comportato come quei due, che sembravano somigliare molto più ad alcuni miei meschini simili che alle figure eroiche delle vostre leggende! Ora la ricompensa va a te solo, non dovrai condividerla con nessuno! Sei ricco! >>

Mentre lo straniero continuava a ridere a crepapelle, Luthwigg, senza più dire una parola, si chinò a raccogliere il sacchetto, mentre tutti gli avventori lo osservavano con sguardi compassionevoli oppure di scherno, e con cipiglio irato uscì dalla locanda sbattendo nuovamente la porta, benché più delicatamente rispetto a quando era entrato.

  
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