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Autore: LindaWinchesterCullen    23/12/2012    6 recensioni
«Se tu non avessi snobbato la mia proposta di passare il Natale ad Aspen, adesso non staremmo qui a provare biscotti ma a sciare felici»
«Io … - sbuffai, incrociando le braccia al petto - Li ho invitati perché … perché volevo anch’io tutta la famiglia riunita in casa a Natale»
«Scherzi? Ogni anno la famiglia è riunita, sta diventando un po’ monotona la cosa»
«Hai appena definito la tua famiglia “monotona”, Edward» gli feci notare.
«E allora?»
- One shot tratta dalla fan fiction Our life together -
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Our Christmas together.






«Tu sarai buonissimo, gustoso e profumato» mormorai, abbassandomi verso il forno. Guardai la foto dell’enorme arrosto, posta sulla copertina del mio libro di cucina e fremetti, completamente terrorizzata da me stessa. Il mio non assomigliava per nulla a quello lucido della foto ma sembrava… okay. Niente ristorante o cibo d’asporto, quella sera. Stavo cucinando io e non ne ero mai stata così spaventata.
Ci avrebbe messo ancora un bel po’ a cuocersi ma aveva un aspetto decisamente commestibile.
Almeno in apparenza…
Edward mi avrebbe fatto da cavia, pensai raddrizzandomi. L’orologio appeso sulla parete alle mie spalle, segnava le quattro del pomeriggio ed io non avevo ancora fatto la metà delle cose che avevo intenzione di preparare. Chiusi gli occhi, dondolando su me stessa. «E’ soltanto una cena, smettila di essere così tesa e pensa al dolce» sussurrai, cercando di infondermi del coraggio.
Ma non funzionò per due motivi. Uno: parlare a me stessa a voce alta, non era affatto un buon segno.
Due: non era soltanto una cena, era La Cena.
Quella più importante di tutte, dove la famiglia si riuniva e stava insieme, lasciandosi alle spalle le incomprensioni e i rancori a cui andava incontro durante l’anno. La cena di Natale.
Che cosa mi era saltato in mente?! Stavo cucinando per tredici persone. Io, che non riuscivo a cucinare neanche per Edward ed Eleonore, senza bruciare qualcosa.
Stupida Isabella, dalle stupide idee, in questo stupido Natale.
Volevo, dovevo fare un ottima figura. Almeno creare un'atmosfera che si avvicinasse a quella dell’anno precedente a casa di Rose e Emmett. Lo facevo anche per mio padre, che dopo averlo pregato e supplicato fino alla pazzia, aveva deciso di partecipare e di raggiungerci per le vacanze. Volevo mostrargli, per l’ennesima volta, quanto fosse importante la sua presenza nella mia vita e in quella della nipote che non vedeva quasi mai.
 
Sfogliai con forza le pagine di un ricettario, alla ricerca del dolce che avevo deciso di preparare. Niente di speciale o eccessivamente elaborato. Una torta di noci e cioccolato, che centrava poco con quella ricorrenza ma era l’unica che sentivo di riuscire a preparare.
«Bene» sussurrai, una volta trovato. Mi sfregai le mani, un attimo prima di cominciare a leggere per sommi capi lo svolgimento della preparazione. Sciogliere il cioccolato a bagnomaria, tritare le noci, setaccia questo, incorpora quello…
Quello stupido libro prendeva alla leggera la mia situazione. Le immagini di dimostrazione non erano chiare, avevo bisogno di una spiegazione più dettagliata o una fatta passo per passo. I miei occhi vagarono per l’intera cucina, alla ricerca di un’idea veloce ed efficace. Guardai anche il retro del mio Manuale per aspiranti cuochi, alla ricerca di un dvd ma non vi trovai niente. sbuffai, una dimostrazione video, sarebbe stata l’ideale. Video, video, video. Riflettei, picchiettando le dita contro l’isola al centro della cucina.
Sospirai, afflitta e sul punto di preparare un dolce a random ma un barlume di speranza mi fece correre fuori dalla stanza.
Passai davanti al soggiorno, ignorando appositamente le risate beate di mio marito e mia figlia.
«Qualcosa non va?» urlò Edward, un attimo prima che io varcassi la soglia del suo ufficio. Come al solito era in disordine ma tra le scartoffie, riuscii comunque a trovare il mio portatile sulla sua scrivania.
«No, va tutto bene» risposi, stranamente euforica. L’idea di digitare su You Tube “preparazione torta noci e cioccolato” mi sembrava geniale. Dopotutto su quel sito si poteva trovare di tutto, perché non una torta?
Attraversai nuovamente il corridoio ma questa volta diedi un’occhiata in salotto, trovando le due persone più importanti che avessi, orgogliosamente spaparanzate sul divano.
Dalla mia posizione non riuscivo a guardarli in volto. Edward era sdraiato di schiena, riuscivo solo a vedere,  chiaramente i suoi orribili calzini verdi, che lui definiva “super natalizi” mentre Eleonore era distesa sopra di lui. Sorrisi, compiaciuta e anche leggermente invidiosa della loro beatitudine. Lì, a guardare i cartoni animati ed io a cucinare.
«Ti serve una mano?»
Edward alzò lo sguardo, avendo forse avvertito la mia presenza poco lontana da loro. Scossi la testa, mantenendo il mio computer con più fermezza. In due avremmo fatto solo più guai.
«No, continuate pure a rilassarvi e a fare… qualunque cosa stiate facendo» mormorai tornando in cucina.
Mi fermai all’istante, quando notai l’isola della cucina completamente occupata.
Dove avrei appoggiato il portatile?!
«La tua risposta, non è un modo velato per chiedermi di aiutarti, vero?» chiese in lontananza.
«No, Edward. La mia è una risposta e basta!» urlai, infastidita dal suo patetico tentativo di farmi capire che non voleva aiutarmi. Sistemai il computer su di uno sgabello e lo avvicinai a me, premendo il tasto di accensione.
«Ma il tuo tono è decisamente acido, però…»
Evitai di rispondergli, mettendo così fine al nostro scambio di battute a distanza. Avevo altre cose a cui pensare e il tempo  correva a mio sfavore. Prima di mettermi all’opera, decisi di controllare le email. Ne trovai una decina da leggere, tutte a sfondo natalizio. Ne aprii una a caso e il video di un allegro e rumoroso Babbo Natale, si estese sullo schermo paralizzandomi e procurandomi le avvisaglie di un infarto.
Lo eliminai subito, reprimendo di l’impulso di mandare a quel paese il mittente del messaggio. Josh. Me l’avrebbe pagata, appena rientrati a lavoro.
Il suono del timer del forno mi informò della cottura dei biscotti che avevo preparato quasi un’ora prima.  Misi da parte il mio piano malefico e li tirai subito fuori, impaziente e un sorriso di soddisfazione incorniciò il mio viso. Non erano affatto bruciati e avevano mantenuto la forma a fiocco di neve che gli avevo dato con l’aiuto di una formina.
«Si, cazzo!» bisbigliai vittoriosa. Tentai di raffreddarli facendo vento con dei guanti da forno e poi ne presi un paio e corsi in salotto.
«Edward, assaggia» gli ordinai, una volta ai piedi del divano.
«Mh?» mi guardò pigramente, come se lo stessi infastidendo. Gli mostrai il biscotto, portandolo ad un centimetro del suo naso e lui sussultò, afferrandolo.
«Dimmi com’è» precisai con il cuore in gola. Nemmeno Albert Einstein era stato così ansioso, nello scoprire l’efficienza della bomba atomica.
Lo guardò per qualche secondo, rigirandoselo fra le mani. «E’ da questa mattina che non fai altro che farmi assaggiare cose. Di questo passo, sarò già sazio prima di questa sera. Forse, però, è un bene …» concluse con un ghigno.
Sbuffai. «Potres-» Eleonore sventolò la sua piccola mano verso di me, alla ricerca dell’altro biscotto che avevo tra le mani. Lo allontanai, quasi fosse realmente una bomba sul punto di esplodere.
«Anch’io ne voglio uno! Ho fame» precisò, stranita dalla mia reazione.
Scossi la testa, tentando di evitare che il  ridacchiare fastidioso di mio marito, entrasse nelle mie orecchie. Gli lanciai un’occhiata di fuoco, prima d’ingentilire la mia espressione e rivolgermi a lei. «Prima papà, aspetta» mormorai con un sorriso.
«Certo, prima papà. Se non muore in cinque minuti, allora è commestibile …» bisbigliò lui, portandoselo alla bocca. Diede un piccolissimo morso, seguito poi da uno più soddisfacente. Lo guardammo masticare, lentamente. Assaporarlo con titubanza, aggrottare la fronte, annusarlo. Troppo lentamente. 
«Papà, muoviti!» Eleonore, sbatté entrambi i pugni sul suo petto, facendolo sussultare e quasi affogare, aggiungerei.
Edward tossì rumorosamente, stringendo gli occhi. «Okay, è buono. Tieni» si affrettò a dire, porgendole il resto del biscotto. Lei si risistemò sul suo petto e allungò una mano verso di me in attesa di ricevere quello che avevo tra le mani. Mi alzai dal pavimento e glielo porsi, aspettando che anche lei lo assaggiasse.
«Non fai prima a provare tu, tutto quello che cucini?» chiese Edward.
Feci una smorfia. «No, lo sai che sono paranoica. Non mi piacerebbe niente»
Alzò gli occhi al cielo, sistemando i cuscini che aveva dietro la testa. «Se tu non avessi snobbato la mia proposta di passare il Natale ad Aspen, adesso non staremmo qui a provare biscotti ma a sciare felici»
«Io … - sbuffai, incrociando le braccia al petto - Li ho invitati perché …  perché volevo anch’io tutta la famiglia riunita in casa a Natale»
«Scherzi? Ogni anno la famiglia è riunita, sta diventando un po’ monotona la cosa»
«Hai appena definito la tua famiglia “monotona”, Edward» gli feci notare.
«E allora?»
Lo guardai attentamente, cercando di capire quanto serio fosse in quel momento. « Beh, l’anno scorso a Los Angeles da Emmett siamo stati bene, però»
Ridacchiò. «Si, certo. Tutta la famiglia in una casa grande quanto questo soggiorno. Era soffocante e siamo tornati a Manhattan completamente stravolti. Lo scopo delle vacanze dovrebbe essere un altro …»
«Chi sei, il Grinch?!»
Sospirò. «Ho soltanto espresso la mia opinione. Scusami tanto se, per un anno, volevo fare qualcosa di diverso»
«Passeremo il Capodanno da Alice a Parigi» gli ricordai.
«Si,  andiamo a Disneyland!» urlò Eleonore e Edward la prese per i fianchi, evitando che cominciasse ad agitarsi sul suo petto. Lei rise, mostrandoci i suoi piccoli denti.
Sorrisi, scuotendo la testa. «Avete un divano intero. Perché state così appiccicati?» domandai.
Entrambi mi guardarono con i loro grandi occhi chiari, un attimo prima di lanciarsi uno sguardo complice ed io mi sciolsi. Erano così dolci, senza neanche accorgersene. Ed erano miei. La mia famiglia.
«Perché ci guarda e ride?» bisbigliò Eleonore a Edward, coprendosi la bocca con le mani.
«Non lo so, sta cucinando da troppo tempo. Forse non si sente tanto bene» rispose complice.
Sbuffai e senza riuscire a smettere di sorridere, afferrai il cellulare appoggiato sul tavolino ai nostri piedi. Edward mi guardò incuriosito. «Che fai con il mio telefono?»
Alzai le spalle, azionando la fotocamera «Voglio solo farvi una foto»
«No, andiamo sono in pigiama!»
«E allora? Elly, fa un sorriso alla mamma» mormorai e lei non se lo fece ripetere una seconda volta. Sorridere era tra le cose che preferiva fare a differenza di suo padre, che continuò a guardarmi infastidito.
«Papà, ridi» esclamò pizzicandogli le guance e a lui bastò guardarla un secondo per esaudire la sua richiesta. Presi l’occasione al volo e scattai la foto, un attimo prima che lui tornasse serio.
«Quante storie per una foto. Devo ricordarti quella che mi hai scatto quattro anni fa?» sbraitai senza rendermene conto.
I suoi occhi si dilatarono. «Ancora ci pensi? Non posso crederci»
«Certo che ci penso. Tua madre l’ha incorniciata e la tiene su una mensola sopra al camino!» Okay, forse quella foto scatta in ospedale da Edward pochi minuti dopo la nascita di Eleonore, mi perseguitava.  Non riuscivo a vederne la dolcezza e poesia che vi trovavano gli altri. Vedevo solo una me stessa esausta, pallida e con i capelli appiccicati in faccia.
«Se vuoi quando arriva, questa sera, le chiediamo di bruciarla» propose serio.
Feci per ribattere e dirgli quanto idiota fosse la sua affermazione ma Eleonore me lo impedì, chiedendoci di stare zitti e lasciarle guardare la tv in silenzio. Edward rise, coprendosi il viso con le mani ed io tornai in cucina, accompagnata dalla profonda irritazione che provavo verso di lui.

**** *** ****

Fare una torta era gratificante o forse lo era mangiare gli ingredienti che avanzavano, mentre si aspettava la cottura. In quel momento non mi importava affatto. Continuai a mangiare pezzi di cioccolato come se non ci fosse un domani, mentre aspettavo che la torta si raffreddasse. Avevo perso la cognizione del tempo e perso il conto di quanta cioccolata avessi ingurgitato e stranamente non davo peso alla cosa. L’idea di aver completato il mio menù per quella sera mi alleggeriva e il cioccolato, era risaputo, rilassava.
«Toc, toc…»
Alzai lo sguardo e Edward si fermò sullo stipite della porta, alzando i palmi delle mani verso l’alto, come se gli avessi appena puntato contro un fucile. «Non volevo farti incazzare, stavo scherzando»
Alzai un sopracciglio. «Non sono affatto arrabbiata, è Natale. Come potrei?» sussurrai dondolandomi sulla sedia sulla quale ero seduta e lui si avvicinò, fermandosi ad un passo da me.
«Sei qui da due ore, credevo ce l’avessi con me»
Scossi la testa, sorridendo. «Ho sposato un deficiente, se dovessi arrabbiarmi per ogni sciocchezza che dici …» lasciai la frase in sospeso, enfatizzando il tutto con uno sbuffo.
Aprì la bocca, per ribattere ma poi la richiuse con un sospiro. «Quindi sei qui a drogarti di cioccolato»
Annuii appena, sorvolando sul verbo che aveva usato per descrivere quello che stavo facendo. «Ne è avanzato parecchio, mi sacrifico per la causa e lo mangio»
Edward sorrise e si inginocchiò, poggiando entrambe le mani sulle mie gambe. Cominciò a sfregarne i palmi su tutta la lunghezza delle mie cosce, fino ad arrivare ai miei fianchi. Sollevò il lembo del maglione che indossavo e sentii immediatamente le sue mani calde sulla mia pelle fredda. Trattenni il fiato e con una mano gli spostai le ciocche di capelli che gli ricadevano sulla fronte. Lui alzò lo sguardo e i suoi occhi furono nei miei il tempo necessario per spostare il suo peso in avanti e avvicinarsi per baciarmi. Fu un bacio dolce il nostro. Edward mi attirò a se, facendo pressione sui miei fianchi ed io aprii le gambe per permettergli di avvicinarsi.  Presi il suo viso fra le mani e le sue guance ruvide di uno strato appena accennato di barba mi conquistarono. Le sue labbra vagarono sul mio collo e poi ripresero nuovamente il loro posto sulle mie. In quel breve istante, ne sentii la mancanza.  Le nostre lingue si scontrarono per l’avvenenza di quel momento. Si sfiorarono, accarezzarono, conoscendo in anticipo la mossa dell’altra. Ogni parte del nostro corpo apparteneva all’altro, in un modo indescrivibile e completamente inspiegabile.
Quando il fiato cominciò a mancarci ci staccammo, senza però smettere di baciarci a stampo. «Passerei la vita a fare questo, se potessi» sussurrò sulla mia bocca, mordendo il mio labbro inferiore.
Sorrisi, passando una mano fra i suoi capelli ramati. «Anch’io. Ogni secondo di ogni giorno» ammisi seria.
«Se sai di cioccolato, poi, ancora meglio» sussurrò e dopo un ultimo bacio, tornò in piedi.
Lo guardai dalla testa ai piedi o meglio, dalla testa ai calzini super natalizi. «Non vorrei rovinare il momento, amore e … capisco che ti stia godendo le vacanze, ma sono le sei passate e sei ancora in pigiama»
Alzò le spalle. «E’ un problema?»
«Tra meno di due ore arriveranno tutti. Si, è un problema» risposi alzandomi.
«Perché, che ore sono?» domandò sorpreso ed io alzai gli occhi al cielo. Quando non lavorava e decideva di staccare ogni comunicazione con l’esterno, perdeva la cognizione del tempo e diventava di una pigrizia preoccupante. Se i suoi clienti o i suoi dipendenti al Volterra, l’avessero visto in quel momento, Edward avrebbe perso tutto quell’alone di prestigio e potenza che lo caratterizzavano ormai da anni. Mi ritrovai a sorridere da sola a quel pensiero e lui aggrottò la fronte, confuso.
«Dobbiamo prepararci tutti e tu devi farti la barba, adesso» precisai.
Scosse la testa, allontanandosi. «Sta per iniziare Canto di Natale di Topolino, è un classico. Io ed Eleonore non possiamo perdercelo» 
Lo guardai voltare l’angolo e attesi il suo ritorno, aspettandomi qualcosa che mi facesse capire che stesse scherzando ma non tornò. «Edward!» urlai rincorrendolo.

**** *** ****

«Ti ho già detto che dopo viene anche nonno Charlie, vero?»
Eleonore mi passò l’ennesimo tovagliolo di stoffa color crema ed io lo piegai, posizionandolo all’interno del piatto davanti a me. La guardai, interrompendo l’apparecchiamento della nostra tavola da pranzo.
«Si, ho capito» rispose tranquilla, passandomi un altro tovagliolo.
Abbozzai un sorriso, afferrandolo. «Va bene» sussurrai pensierosa.
Charlie non era visto come un vero e proprio nonno da mia figlia, almeno non come Carlisle. Si vedevano molto poco ed ogni volta per lei, era come se fosse la prima. A stento riusciva a salutarlo, si limitava a fissarlo a debita distanza o nei momenti peggiori, si nascondeva dietro le mie gambe. Non era mai una bella situazione ed io odiavo vederla in qualche modo turbata dalla sua presenza. Anche con mia madre e Phil gli incontri non erano frequenti, eppure era molto più espansiva. Con la famiglia di Edward, invece era incontrollabile. Adorava tutti, ed era sempre felice di vederli.
«Vado a prendere Emmett e la sua famiglia»
Edward apparve improvvisamente facendomi sussultare. «Che hai?» domandò, poggiando una mano sulla mia spalla.
Scossi, la testa, allontanando via ogni pensiero e lo baciai a stampo. «Niente, ero sovrappensiero»
Si passò una mano fra i capelli. «Siamo ancora in tempo per annullare tutto, se non ti va più di farlo»
Feci una smorfia, spingendolo leggermente. «Non dire sciocchezze, è tutto pronto! E poi sono venuti fino a New York, perché glielo abbiamo chiesto»
Sbuffò. «Okay, però prendo la Volvo. Quel ciccione malefico, non ci sale più nella mia macchina»
Alzai gli occhi al cielo. «Vorrei tanto che Emmett e Rose ti sentissero chiamare il loro figlio in quel modo»
Jonathan aveva quasi sette anni e aveva perso tutta la delicatezza e squisitezza, che lo avevano caratterizzato da bambino. Era sospettoso, impaziente e profondamente maleducato. Da qualche anno aveva anche preso un po’ di peso, stimolando la fantasia di Edward sui nomignoli da affibbiargli.
«Non è un insulto. È realmente grasso e cattivo»
«Ha sette anni»
Agitò una mano, quasi a voler non dare peso alla cosa. «Il loro aereo atterrava dieci minuti fa, devo andare» si allontanò e stranamente Eleonore lo seguì.
«Dove credi di andare?» chiesi seguendola all’ingresso.
«Con papà» rispose ovvia.
Scossi la testa, anche se non poteva vedermi. «Sta nevicando, amore»
«Metto il cappotto allora» propose guardandomi implorante. Feci una smorfia, aspettando che Edward venisse in mio soccorso.
Alzò le spalle. «Non fa niente, la porto con me» mormorò sicuro e lei corse a prendere il suo cappotto, ignorandomi completamente.
«Grazie tante, Edward. È bello essere d’accordo certe volte» sussurrai pungente e lui sorrise, sfregandosi una guancia. Non potei fare a meno di pensare, per l’ennesima a volta, quanto fosse magnifico. Il viso finalmente ripulito dalla barba. Un semplice jeans scuro, un camicia bianca e un maglione blu. Eppure era perfetto.
«Torniamo subito, non avrà neanche il tempo di prendere freddo» sussurrò, riportandomi con i piedi per terra.
L’idea non mi rassicurò affatto. Infagottai mia figlia, fino all’inverosimile. Le si vedevano solo gli occhi e a stento riuscì a salutarmi prima di uscire. L’ultima cosa che volevo era che si ammalasse durante le vacanze.

**** *** ****

Da quando Alice si era trasferita a Parigi, il suo attaccamento alla famiglia e quadruplicato. Amava la moda e la capitale francese era il luogo ideale per lei e per la sua carriera di stilista ma nessun posto sarebbe mai stato migliore di quello di casa. La guardai, divertita mentre spiegava a mia madre le tendenze che avrebbero sicuramente spopolato durante il nuovo anno. Renèe annuiva e le sorrideva, senza però dire una parola.
«A tua madre non importa affatto quello che Alice le sta dicendo. Vero?»
Jasper si sedette sul bracciolo del divano, al mio fianco, lasciando che la sua gamba sinistra penzolasse leggermente. Ridacchiai, sorseggiando un po’ del vino che lui stesso aveva portato per l’occasione.
«Renèe non è un tipo che ascolta. È come Alice, le piace parlare a briglia sciolta. Quindi, si. Se sta zitta è perché non trova l’argomento interessante»
«Vado a salvarla?» propose serio.
Un attimo prima che io acconsentissi, Alice mostrò a mia madre l’enorme anello di fidanzamento che aveva al dito. Sorrisi. «No, lascia che si vanti ancora di quel meteorite che ha sul dito» mormorai, un attimo prima di realizzare quello che era uscito dalle mie labbra. «Oddio, scusa. Non intendevo off-»
«Tranquilla» sussurrò scuotendo la testa. «Lo so che è esagerato, ma conosciamo tutti i gusti di Alice»
Annuii con vigore, tentando di rimediare alla mia figuraccia. «Si, lei è così entusiasta. Sono felice per voi»
Jasper sorrise, guardando verso la sua futura moglie ed io mi rilassai. Quando Alice mi aveva mostrato il suo anello qualche mese prima, tramite Skype, ci avevo messo un po’ a capire cosa fosse. La connessione non era chiara e neanche la mia mente lo era, data l’ora tarda, dovuta al fuso orario. Ma quando mi aveva specificato di essere ufficialmente fidanzata, il sonno era sparito. Avevamo urlato e pianto, anche se ci trovavamo in due continenti diversi.
«Edward è andato fino a Los Angeles, a prendere Emmett?» Carlisle mi rivolse un’ occhiata perplessa.
«Magari anche a piedi, aggiungerei» disse Phil ed io alzai gli occhi al cielo.
«E’ Natale e sta nevicando, magari avranno trovata traffico» rispose Esme, al mio posto.
«Non capisco perché Emmett si partito proprio il giorno di Natale. Noi tutti siamo qui da giorni» aggiunse, ancora, suo marito.
«Carlisle, arriveranno» ribadì ancora lei, nell’attimo esatto in cui sentimmo la porta aprirsi e il vocione di Emmett annunciare il loro arrivo. Mi alzai di scatto e raggiunsi l’ingesso. Non ebbi il tempo di arrivare alla porta, che il suo faccione apparve, facendomi sussultare.
«Bells, ciao!» smisi si sentire il pavimento sotto i piedi. Ormai ero abituata a queste sue dimostrazioni d’affetto e mi lasciai stritolare per qualche secondo.
«La lasci in pace?!»
L’esatto momento in cui toccai nuovamente terra, Rosalie mi sorrise e abbracciò, scombussolandomi completamente. Erano così espansivi. Ci misi un po’ a vedere chiaramente i loro visi.
«Ciao. Perché ci avete messo così tanto?» mormorai, stringendola a me.
Edward sbuffò. «Saremmo arrivati prima ma Emmett e Jonathan hanno insistito per fermarsi da Starbucks per … non so neanche cosa diavolo abbiano divorato in macchina»
«Spero non mia figlia» scherzai ed Eleonore mi passò di fianco, salutandomi velocemente, troppo eccitata di rivedere gli altri membri della famiglia. Il non-più-tanto-piccolo Jonathan, fece lo stesso, ignorandomi completamente.
«Rilassati, fratellino. Ci siamo fermati cinque minuti, la verità è che lui ci è venuto a prendere con mezz’ora di ritardo» si difese Emmett e lui alzò le spalle, avvicinandosi a me.
«Tu mi credi vero, piccola?» sussurrò al mio orecchio, lasciandomi un bacio tra i capelli. Mi godetti semplicemente le sue labbra sulla mia nuca, senza rispondergli e ci dirigemmo tutti in soggiorno.
 
Mi piaceva pensare di essere un po’ bambina durante quel periodo dell’anno. La legna che ardeva nel caminetto, il profumo di pino e di dolci appena sfornati, il freddo pungente della neve tra le mani. Guardai la città completamente imbiancata, attraverso la grande finestra della cucina. Sorrisi, beandomi della chiara risata di Eleonore che proveniva dal salotto. Quel suono avrebbe rallegrato anche il più triste della terra. Vederla sorridere, era sempre stato l’obbiettivo mio e di Edward e sempre lo sarebbe stato. Ricordai quello che aveva sulle labbra qualche giorno prima, quando l’avevo portata a vedere l’albero più alto del mondo.
Così aveva definito l’enorme abete esposto al Rockefeller Center, quando l’aveva raccontato a suo padre.
Da newyorkese, almeno di adozione, potevo dire di preferire quel periodo dell’anno in città. Le luci che riempiono le strade, i negozi aperti fino a tardi, le piste di pattinaggio. Tutti sognavano un Natale a New York, era un classico.
Sussultai, nell’esatto momento in cui sentii una mano sulla mia spalla. Il viso familiare di Esme si materializzò davanti a me ed io dovetti sbattere un paio di volte le palpebre per uscire dai miei stessi pensieri «Perché sei qui tutta sola?» domandò amorevole ed io accennai un sorriso, stringendo il cellulare che avevo tra le mani.
«Charlie aveva detto che sarebbe venuto ma il suo telefono sembra staccato» mormorai piano. Gli occhi di mia suocera si addolcirono ed io scossi la testa, tentando di reprimere ogni cattivo pensiero.
«Sei preoccupata per lui? Sono sicura che sta benissimo. Arriverà»
Annuii. «Spero solo che non abbia cambiato idea» ammisi e un orribile magone si impossessò della mia gola, togliendomi il respiro.
«Arriverà, tesoro. Tuo padre ti ama» disse nuovamente e mia madre entrò in cucina, in tutta la sua allegria. Tentai di ricompormi, passandomi una mano tra i capelli.
«Sono curiosa di mangiare il resto delle cose che hai preparato. Questi biscotti sono la fine del mondo, bambina mia» asserì, venendo verso di noi. «Ne avrei mangiati più di un paio sei il figlio di Emmett non mi avesse preceduta. Quel bambino è davvero … vivace»
Le sorrisi nel modo migliore che conoscessi, ma il suo sguardo cambiò quando incrociammo gli occhi «Che cosa è successo?» sussurrò allarmata.
Tossii leggermente, lisciandomi con le mani l’abitino grigio che indossavo. «Sto bene, non preoccuparti»
«Non dirmi bugie, Isabella»
«Sono sicura che è solo stanca, guarda le cose che ha preparato tutta sola» Esme si guardò intorno e Renèe la imitò. «Vai di là dagli altri, è un giorno di festa anche per te. Ci pensiamo noi a finire le ultime cose»
Non ebbi la forza di rifiutare la sua proposta e con un cenno della testa, abbandonai la cucina e mi diressi in salotto.
 
Il vociare confuso e allegro, quasi mi investì e vedere tutti completamente a loro agio mi fece sentire un po’ meglio. Carlisle e Jasper ascoltavano Phil, parlare di alcune tecniche di baseball. Rose e Alice parlavano di matrimoni, con Jonathan che le fissava e mangiava biscotti. Emmett e Edward chiacchieravano con Elly ed io mi sedetti proprio vicino a loro. Presi la mano di Edward e la passai intorno alle mie spalle, per farmi cingere in un abbraccio. Mi guardò stranito, notando forse il mio umore, ma io sprofondai il viso nel suo petto, abbassando lo sguardo.
«Guarda mamma!» mia figlia sventolò una bambola davanti ai miei occhi ed io le sorrisi, contagiata dai suoi occhi felici.
«E’ bellissima. Sbaglio o è nuova?» chiesi e mio marito cominciò ad accarezzarmi il viso con la punta delle dita. Eleonore annuì con vigore.
«Babbo Natale ha detto allo zio Emmett di darmela, perché ieri si è dimenticato di metterla sotto il nostro albero» mi informò, rigirandosela tra le mani.
Alzai leggermente la testa e guardai l’inaspettato fattorino di Babbo Natale, ringraziandolo silenziosamente con un sorriso. Emmett mi fece un occhiolino. «Mi ha detto che era dispiaciuto ed io non me la sono sentito di non aiutarlo. Quel pover uomo ha così tante cose da fare in questo periodo dell’anno»
«Già, poi si riposa per 364 giorni. Fortunato il vecchio» mormorò Edward e tutti ridemmo fino a quando l’unica frase che nessun bambino dovrebbe mai sentire, uscì dalla bocca piena zeppa di biscotti del piccolo Jonathan.
«Babbo Natale non esiste!»
Il silenzio si cristallizzò intorno a tutti noi. Phil smise di parlare di sport con i suoi interlocutori e il matrimonio di Alice, sembrò passare in secondo piano in quel momento.
Rosalie fu la prima a parlare, rivolgendosi al piccolo sabotatore delle feste. «Jonny, smettila di dire bugie» dichiarò accarezzandogli i capelli biondissimi.
Il bambino aggrottò la fronte. «Non è una bigia! Babbo Natale non esiste, quella bambola l’abbiamo comprata da Walmart»
«Jonathan David Cullen, smettila di dire queste cose. Non è affatto carino» aggiunse ancora sua madre, con un sorriso decisamente più tirato.
Lui sbuffò, puntando un dito davanti a sé. «E’ stato papà a dirmelo. Ha detto che le renne non volano e che al Polo Nord c’è solo un sacco di ghiaccio inutile»
L’accusato si sistemò meglio sul divano e prima che potesse discolparsi, i piccoli singhiozzi di mia figlia ci fecero voltare tutti nella sua direzione. Gettò la sua nuova bambola sul pavimento e cominciò a strofinarsi gli occhi con le sue piccole mani.
Mi alzai velocemente, ma Edward fu più veloce di me e la prese subito fra le sue braccia. Rose mi rivolse un occhiata rammaricata ed Emmett si alzò, incapace di dire una sola parola. Li guardai entrambi, senza nessun genere di rancore. Edward avrebbe risolto quella situazione nel giro di cinque minuti. Eleonore credeva a suo padre più di quanto immaginassero.
«Hey coniglietto, non crederai mica alle parole di quel brutto ciccione malefico?»
E fu così, che con una semplice frase, Edward Cullen rovinò il Natale.
Tutto il rammarico che Emmett aveva sul volto, scomparve, lasciando spazio a sentimenti più sprezzanti «Come hai chiamato mio figlio, scusa?»
«Mi hai sentito benissimo» Edward rincarò la dose, senza smettere di asciugare le lacrime dal volto di nostra figlia.
«Come ti permetti?» Emmett fece un passo avanti ed io mi fiondai subito tra lui e mio marito.
Gli misi una mano sulla spalla. «Per favore, non cominciate neanche a discutere per una stupidaggine come questa» mormorai supplichevole e lui mi guardò per qualche secondo.
«Soltanto perché ti piace distruggere i sogni infantili di tuo figlio, questo non ti dà il diritto di fare lo stesso con la mia bambina» aggiunse ancora mio marito ed io strinsi i pugni, reprimendo l’istinto di picchiarlo.
«Edward, smettila» quasi urlai.
Suo fratello aprì la bocca, con l’intento di difendersi, ma poi la richiuse. Sospirò pesantemente, prima di voltarsi verso Rose e suo figlio «Prendete i vostri cappotti. Ce ne andiamo» disse, flebile e stranamente cupo in volto. Carlisle, che era rimasto zitto fino al quel momento, si alzò.
«Adesso state esagerando. Sedetevi entrambi e smettetela di dare spettacolo»
Rosalie lo ignorò completamente, prese la mano di suo figlio e si diresse verso l’ingresso, dove tenevamo la cabina armadio con le loro giacche. Sospirai, completamente frustata. Non era questo il Natale speciale che sognavo.
«Rose, che fai?»
Esme e mia madre uscirono dalla cucina, con alcuni vassoi ricchi di cibo. Ci guardarono stranite, chiedendosi cosa fosse cambiato dalla loro entrata in cucina. Alice si alzò, ma prima che potesse raggiungere il fratello fuggiasco, la bloccai. Edward continuava a parlottare con Eleonore, incurante di quello che stava capitando attorno a noi. Nostra figlia aveva gli occhi arrossati e decisamente più verdi del solito, per via delle lacrime. Mi avvicinai a loro e senza dire una parola, gliela presi dalle braccia e la passai a sua sorella.
Alice mi guardò, sorpresa ma pronta a prendere sua nipote. Quest’ultima cominciò a piagnucolare per ritornare tra le braccia di suo padre ma prima che lui facesse anche solo un passò verso di lei, lo trascinai dalla parte opposta.
«Chiedi scusa a Emmett. Adesso» mormorai arrabbiata. Non protestò né sembrò d’accordo con la mia proposta. Il tragitto verso l’ingresso fu velocissimo, anche perché il rumore dell’apertura della porta d’ingresso mi fece corre e quasi cadere sui miei tacchi. Li oltrepassai tutti e la richiusi, posizionandomi davanti ad essa. Nessuno sarebbe uscito da quella casa.
«Em, non fare l’offeso. Stavo scherzando, io adoro Jonny ma odio vedere mia figlia piangere»
Edward parlò lentamente, a voce bassa eppure riuscimmo a sentirlo tutti. «Non intendevo dire quello che ho detto, Rose. Vi chiedo scusa» concluse, portando entrambe le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans.  I miei occhi vagarono sui volti dei due interessati. Rosalie sembrava decisa a rimanere o forse, l’idea di andarsene non l’aveva neanche sfiorata.
«L’offeso, dici? Beh, non lo sono. Sei davvero convinto che a me piaccia “distruggere i sogni infantili di mio figlio”?» Emmett lo guardò, sdegnato. Non l’avevo mai visto così arrabbiato, anzi, non l’avevo mai visto realmente arrabbiato. «Non sono ricco come te, Edward e la storia di Babbo Natale, non faceva al caso nostro. Ho detto a mio figlio come stavano le cose, così che non ci rimanesse male nel non ricevere quello che chiedeva»
Per qualche secondo nessuno fiatò. Mi raddrizzai, lasciando la mia postazione da guardiana della porta. Rose abbassò lo sguardo, nell’attimo esatto in cui mi avvicinai a lei. Poggiai un mano sulla sua spalla e lei accennò un sorriso. «Edward è istintivo. Questo, ormai, lo abbiamo capito tutti, no? Non possiamo metterci a litigare a Natale, è scorretto» sussurrai. Tutti mi fissarono ed io liberai nuovamente Jonathan dal suo capotto e gli dissi di ritornare dagli altri.
«Edward ti dà il permesso di raccontare a tutti, vecchi aneddoti imbarazzanti riguardanti la sua infanzia e adolescenza, questa sera» proposi ad Emmett e lui sospirò, guardando sua moglie.
«Che cosa?! Ma ho già chiesto scusa. Quello non è abbastanza?»
«Sta zitto» sussurrai, dandogli una gomitata.
«Beh, se insisti, ce ne sono alcuni che potrebbero far morire te dal ridere e lui dalla vergogna»
Emmett prese la mano di Rose, sparendo nuovamente in soggiorno ed io espirai profondamente sollevata.
«Ma la pagherai, ma questo già lo sai. Vero?»
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso Edward, trovandolo con uno strano ghigno sulla faccia. Allungai entrambe le mani sul suo viso e gli tirai le guance, facendogli fare delle strane smorfie. «Stavi per rovinare il nostro primo Natale in casa, signor Cullen. Dovevo per forza arrivare ad un compromesso» precisai e lui si liberò della mia presa, bloccandomi per i polsi.
«Intanto il Natale di Eleonore è andato a farsi fottere. A lei non pensi?» asserì scuro in volto. Il suono metallico del campanello della nostra porta, ci distolse dalla nostra conversazione. Ci guardammo per un breve attimo, prima che io mi allontanassi per aprirla.
Dopo un attimo di sorpresa, sorrisi davanti al viso imbarazzato e quasi spaventato di Charlie. «Wow, non ci hai messo niente ad aprirmi»
Lo abbracciai immediatamente. «Ciao, papà. Perché ci hai messo così tanto? Il tuo telefono era staccato»
Stringerlo, mi fece sentire finalmente completa. Mio padre era tutto quello di cui avevo realmente bisogno quella sera e sentire il suo profumo familiare mi fece sentire finalmente l’atmosfera natalizia che mi mancava. Natale era un sinonimo di famiglia e adesso la mia era completa.
Lo lasciai andare e mi spostai di lato per farlo entrare ma lui non si mosse. Lo guardai stranita e mio marito, alle mie spalle, tossì leggermente
«Mmm, Bella …» mi voltai verso di lui, prima che una voce sconosciuta attirasse la mia attenzione.
«Salve»
Feci un passo indietro, nell’esatto momento in cui notai un tizio travestito da Babbo Natale, vicino agli ascensori. Alzai un sopracciglio, perplessa e un tantino terrorizzata.
«Phil mi ha mandato uno strano messaggio, chiedendomi di portare con me il primo Babbo Natale che avessi trovato, perché ne avevate bisogno. A cosa vi serve?» precisò mio padre, facendomi ridacchiare.
Edward si fece avanti e andò verso lo sconosciuto travestito. « Non sei un serial killer, vero?»
L’uomo rise sonoramente. «No. Distribuisco volantini per il negozio di giocattoli sulla trentaduesima»
Edward gli diede una pacca sulla spalla. «Perfetto! Ti do cento dollari, se convinci nuovamente mia figlia della tua esistenza» propose.
«Con piacere»  mormorò il tizio velocemente. Si sistemò meglio la folta barba finta e Charlie sembrò ancora più perplesso.
Rientrammo in casa e gli occhi di mia figlia si illuminarono alla vista del Babbo Natale meno riuscito che avessi mai visto. Troppo alto, magro e un codino di capelli castano scuro che gli usciva dal capello. La sua interpretazione fu ancora meno convincente del suo costume ma mia figlia, nella sua ingenuità, credette ad ogni parola. Gli promise che si sarebbe comportata bene durante il nuovo anno, che non avrebbe mai fatto arrabbiare i suoi genitori e che sarebbe sempre andata a letto presto. Alice a mia madre, ripresero tutto con i loro cellulari, intenerite fino al midollo. Nel giro di dieci anni, quelle registrazioni sarebbero state la cosa più imbarazzante per lei. Edward strinse la mia mano ed io guardai, di sottecchi, mio padre che non aveva distolto neanche un attimo, gli occhi da sua nipote. Eleonore era al settimo cielo e quando chiese allo strano tizio travestito, se fosse arrivato fino a casa nostra con la sua slitta, lui le disse di essere arrivato in taxi con suo nonno. Mio padre sorrise, imbarazzato, quando gli occhi di tutti furono su di lui.
«Beh, io …» balbettò ma non ebbe il tempo di dire niente, perché Elly si precipitò tra le sue braccia.
Mi immobilizzai immediatamente e i miei occhi si riempirono di lacrime. Eleonore non si era mai lasciata andare con Charlie e questo mi aveva sempre un po’ rattristata. Si strinsero forte, impacciati ed io cominciai a piangere, senza nessuna vergogna. Al diavolo tutto il resto! Il mio Natale personale era proprio lì, in quell’abbraccio.
 


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Buonasera bella gente :D
Avrei dovuto postare questa OS qualche giorno fa, ma una volta il sito non funzionava un’altra io non potevo e alla fine mi sono ritrovata a farlo solo ora. Che dire …
Non credo di essere in grado di scrivere una OS, perché racchiudere tutte le idee in un unico capitolo è estremamente difficile, almeno per me.
Inizialmente era mooolto più lunga, ho dovuto eliminare parecchio ma credo che il risultato non sia tremendo. xD
E’ stato bello riprendere i miei vecchi personaggi di Our life together e molto di più, metterli nei casini anche a Natale ahahaha.
Vabbè, poi si  risolto tutto dai u.u  (grazie Charlie)
Ci risentiamo, spero, a gennaio. Sto scrivendo delle nuove storie e spero di postare quella che mi sta prendendo di più, in quel mese. Esami universitari permettendo, naturalmente.
Niente. vi auguro un buonissimo Natale e felice anno nuovo. Siate felici e nutritevi dell’amore della famiglia, quello la crisi non può togliercelo! xD
Un bacio <3
   
 
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