Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Gea_Kristh    10/07/2007    1 recensioni
Già credo di vedere i pochi che leggeranno questo sfogo a immaginarsi i drammi d’amore che la povera scrittrice ha dovuto affrontare con coraggio indomito, come l’eroina di un film senza lieto fine. Ebbene, cancellate questi pensieri dalla vostra mente, perché se volete passione e sentimenti struggenti dovete proprio cambiare lettura. Se mai nominerò l’amore, in questa simil-biografia, sarà solo argomento marginale e mai protagonista della scena. [...]
Perché il senso, a volte, non è tutto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The meaning – Il senso
Capitolo unico

Eccomi. Sono davanti a un foglio vuoto, che tento di scrivere la mia vita senza sapere da dove cominciare. Forse dovrei partire dal principio, ma sento che non mi sarebbe d’aiuto e quindi lascio perdere. No. Inizio dalle lacrime che bagnano questo insulso pezzo di carta, cancellando le parole che sto scrivendo a fatica. Inizio dalla mia mente turbata, e confusa; dalle mani che mi tremano, dall’angoscia che sento dentro. Perché, nonostante non sia più sicura di chi sono io e di cosa ci faccio qui, c’è una cosa su cui non ho nessun dubbio, che è il dolore che mi porto dentro da tanto, troppo tempo.

Il mio nome è Elisa, ma questo non significa proprio niente. Shakespeare diceva che il nome in sé non conta niente, poiché non contribuisce a ciò che è il nostro essere. Io sono pienamente d’accordo. Potrei chiamarmi Maria, Giovanna o Gertrude, e la mia storia non cambierebbe. Io non cambierei. In fondo chi lo sa, se Elisa è il mio vero nome. Potrei aver detto una bugia, e non chiamarmi affatto così, ma arrovellarvi nel dubbio non servirà e dunque lasciate perdere questa futile questione.

Si avvicina sempre di più il punto in cui dovrò mettere a nudo la mia anima e i miei sentimenti, e lo ammetto, sto cercando di far passare più parole possibili prima di arrivarci. Ne sono terrorizzata. Intanto però vi informo che grazie a questo sciocco foglio di carta ho smesso di piangere, il che è positivo ed un gran miglioramento visto che non rischio di buttare alla fine un testo più simile ad un kleenex che al surrogato della mia vita.

Spogliarsi, metaforicamente parlando, non è affatto semplice. Non so se scrivere di ciò che mi è successo, di chi sono – o di chi ero o credevo di essere; non so cosa scrivere e basta.

Già credo di vedere i pochi che leggeranno questo sfogo a immaginarsi i drammi d’amore che la povera scrittrice ha dovuto affrontare con coraggio indomito, come l’eroina di un film senza lieto fine. Ebbene, cancellate questi pensieri dalla vostra mente, perché se volete passione e sentimenti struggenti dovete proprio cambiare lettura. Se mai nominerò l’amore, in questa simil-biografia, sarà solo argomento marginale e mai protagonista della scena.

I miei attori sono la paura e l’insicurezza, e una maschera di fredda indifferenza e allegria contagiosa. Recitano bene, loro, sono in perfetta armonia. Io, che dirigo la scena, sono diventata ormai brava nel mio compito e tutto fila liscio in perfetta armonia.

Chi mi conosce sa che sono una persona forte, che non mi abbatto mai e che lotto con tutta me stessa per raggiungere i miei obiettivi, perché sono ambiziosa. Chi mi conosce sa che mi piace sorridere e giocare a fare la bambina, che amo la vita prima di tutto e che vedo il mondo in positivo, a colori. Sa che su di me si può contare, perché so tacere e ascoltare quando serve e, senza modestia, a volte risolvo anche qualche problema. Sa che mi piace dormire e usare poveri malcapitati come cuscino, che comandare mi piace e che prendo le decisioni in fretta, di solito, nella mia avventatezza. Sa anche che posso essere estremamente acida e cattiva, soprattutto sotto pressione, da essere imperfetto quale sono, e che, fin troppo razionale e sovraccarica di pensieri, mi lascio spesso prendere dal nervosismo e dall’isterismo. Però sa che non mi arrabbio facilmente… o forse sì. Dipende dalla situazione, diciamo.

Ma allora perché piango e non c’è nessuno qui accanto a me a dirmi che posso farlo quanto voglio?

Perché anche chi mi conosce, chi mi apprezza veramente, chi si farebbe in quattro per me, in realtà non mi conosce affatto. Perché io sono insicura, timida, nostalgica, triste e debole. E ho voglia di urlare, a volte, ma non posso farlo, e non posso piangere quando voglio, o ricordare il passato quando voglio, o scappare da tutto e da tutti quando voglio. Perché ho paura, e sono come bloccata in questo limbo in cui si sta trasformando la mia vita.

Ho paura, capite? Paura del mondo, di me stessa, della vita che non ho e di quella che vorrei avere. Ho paura degli altri e di ciò che mi lega a loro. Ho paura di essere me stessa, perché non c’è spazio per me nel mio mondo. Ho paura dell’ombra della solitudine più di ogni altra cosa, perché odio essere sola e più lo odio, e lo temo, e più non riesco a reagire. Ho paura delle mie mani, che scrivono ciò che mi detta la mente, e non si preoccupano di nascondere ciò che ho dentro, e ciò che nemmeno sapevo di avere dentro.

Sì, ho paura. Una paura folle e cieca, e tuttavia non riesco a superarla. Eccole di nuovo, le mie amiche lacrime, che tornano a farmi compagnia e a idratarmi la pelle. Mi piace la parola lacrima, ha un bel suono. Quando la sento penso a una goccia solitaria, sospesa a mezz’aria senza poter cadere. Ed è strano, ma non so perché. Forse ci rivedo la mia vita in questa libera interpretazione, in perenne bilico, o forse è solo il frutto di una mente annegata nell’amarezza e nella nostalgia.

Scrivere mi viene facile ora. Sento che non devo andare con ordine, che non devo essere precisa. Queste parole servono più a me che a voi, ed ora sono quasi convinta del tutto che non le leggerà nessuno, perché in realtà non voglio che vengano lette.

Eccola, la mia debolezza. Vedete come ritorna? E’ sempre lei, che anzi non se ne va mai, che resta in agguato dietro gli angoli nascosti della mia mente, in attesa che si presenti un momento adatto per farmi sentire ancora peggio di come già non stia. Perché scrivo se nessuno lo leggerà mai? Mi rendo conto che in fondo non è importante, che scrivo perché ho voglia di farlo, perché dopo tanto tempo sto per scoppiare.

E c’è sicuramente chi sta peggio di me, ma sono egoista e non voglio pensarci. Se io mi sento uno schifo così, figuriamoci quegli altri poveracci. No, molto meglio cercare di capire cosa mi affligge; cos’è quella morsa allo stomaco che non se ne va, e perché gli occhi ce li ho rossi di pianto? La verità è che non lo so nemmeno io perché sto male. Io non mi conosco affatto e questo mi spiazza, perché avevo sempre creduto di poter contare almeno su me stessa, perché la mia adorata mente non mi avrebbe mai tradito e perché credevo di conoscere ogni sfaccettatura di me stessa. E invece non è così. Non è più così.

Non avevo mai scritto nulla che riguardasse me in prima persona. Mi piace scrivere perché libera la mente e aiuta a chiarirsi le idee quando si è in confusione. Lo faccio da sempre, dacché ho memoria di me stessa. I diari no, quelli non sono mai riuscita a tenerli. Ci avevo riprovato, qualche giorno fa, ma ho smesso subito. Non fa per me. Però datemi una penna e un foglio, e in poco tempo tiro fuori la nuova favoletta della buona-notte per qualche bambino poco assonnato. Loro sì che mi piacciono. I bambini, intendo. Sono imprevedibili, così pieni di vita e di tenerissima ingenuità.

Peccato che probabilmente non avrò mai figli miei. E qui torniamo alla mia viscerale paura dei legami con le persone. Me ne sono resa conto da poco in realtà, ma è stata una vera botta di vita, ironicamente parlando. Già ero sconsolata di mio, che viene a rallegrarmi questa nuova consapevolezza, questa nuova fobia. Ce l’ho sempre avuta, in realtà. La paura di legarmi a qualcuno. Di mostrare il mio vero io. Sempre che ci sia, un vero io, ma questo è un altro discorso. Ce li ho degli amici, non crediate di no. Anche amici a cui non mentirei mai, amici che mi vogliono bene e a cui io donerei volentieri un rene. Però mai oltre a questo. Ci vuole tanto per guadagnarsi la mia fiducia. Sono cordiale con più o meno tutti, ma non credo proprio che andrei da un compagno di scuola (sì, vado ancora a scuola) a raccontargli le mie pare mentali. Forse con qualcuno potrei farlo, ma conosco sì e no due o tre persone sulla faccia della terra con cui sarei sincera fino alla fine. Una di queste mi ha quasi sicuramente dimenticata, sepolta nel passato come una fetta della sua vita, come qualcosa di poco importante, che non ha lasciato il segno abbastanza da essere ricordata fino in fondo.

Mai oltre una semplice amicizia. No. Non sono capace di uscire con i ragazzi, di dire quel maledetto sì alla semplice domanda “Usciamo insieme?”. E’ una sillaba, in fondo. Sì. Cosa c’è di straordinariamente complicato? Niente. Ma se non mi facevo le pare che diamine stavo a fare qui? Una volta un ragazzo mi ha detto di amarmi. Io di certo non provavo niente per lui, tanto che era per me un semplice amico e nemmeno immaginavo cosa gli frullasse per la mente (questa è una bugia; lo sapevo ma speravo che non fosse così). Avrei potuto renderlo felice, vedere se riusciva a scongelarmi, e invece no, sono stata sincera. Ma in fondo non ho rimpianti. So di aver fatto la cosa giusta quella volta, perché dire cavolate alle persone a cui voglio bene, anche se sono diventata brava a farlo, non mi piace.

Mi rendo conto che sono calma. Sì, è come se tutto intorno a me tendesse le orecchie e ascoltasse cose che non riesco a percepire. C’è un silenzio irreale, che è quasi fastidioso, insopportabile. La penna indugia un attimo su queste parole, che fanno fatica a uscire. Non è facile, no. Descrivere ciò che c’è intorno a me quando sono tanto concentrata su me stessa.

Ho riempito poche pagine, e già mi sembra di aver detto tanto. Non ricordo cosa ho scritto, ma non ha importanza. L’ordine non è tutto. Il senso c’è, anche se a voi può sfuggire. Io lo sento. C’è senso. E c’è la paura. Ma il peso sullo stomaco sembra aver allentato la presa, almeno per ora. So che presto tornerà, e allora continuerò a scrivere, perché mi sono resa conto che mi aiuta davvero a fare luce sulle mie ombre.

Una mia amica, una di quelle vere, dice che io sono rimasta scottata in passato, e che ho paura di ferirmi ancora. E questo è vero. C’è stato più di un addio nel mio passato, e tanta, tanta sofferenza. Ma ho sempre avuto la forza di rialzarmi di fronte agli altri, anche se dentro di me ho sentito le poche certezze andare in frantumi e il mio cuore che piangeva al posto dei miei occhi, che si rifiutavano di farlo. Che poi, perché si dice cuore? Il cuore è un organo, che per quanto vitale serve solo a pompare sangue. Ma penso che il senso l’abbiate afferrato comunque.

Comunque non credo che sia solo il mio passato a tormentarmi. Troppo facile. E’ tutta la mia vita, sono io. Io che non riesco a farmi battere il cuore di fronte a qualcuno, che non sento mai nessuno sfarfallio allo stomaco, che mi sento un mostro…

Non mi sono mai innamorata. Non conosco nemmeno una persona che non abbia mai avuto nemmeno una cotta, me esclusa. E questa mia diversità mi da in realtà parecchie grane. Perché mi sento terribilmente sola, e temo che ci rimarrò per tutta la vita. Mi spaventa questa prospettiva. Tanto.

Se penso al matrimonio mi sento soffocare. No, non chiedetemi il perché. Io non lo so. Matrimonio. Io non voglio sposarmi. Pensare di avere delle catene mi fa sentire in gabbia, ancor più stretta di quella che mi sono creata da sola.

Quello che mi manca è il contatto umano. Me ne rendo conto, e so che non posso farci nulla, che nessuno può. Che nessuno si avvicinerà mai tanto a me da colmare il bisogno d’affetto che sento, che va oltre ciò che possono regalarmi i miei pochi cari amici. A volte credo di essere sola. Ci penso sul serio, mi dico che nessuno vorrebbe mai starmi accanto, perché sono una persona veramente insopportabile. Ma mi piaccio come sono, fobie a parte. Se solo non avessi questo rifiuto nei confronti degli altri forse potrei anche trovare la forza di sorridere con tutta me stessa, perché sì, ridere mi piace veramente tanto. Tutto sembra più bello quando ridi. Il mondo pare più luminoso, e se poi stai sorridendo per qualcuno ti alludi di poter trasmettere un po’ di buoni sentimenti anche a quella persona. Io lo so. Mi fa sentire viva, e per questo lo faccio spesso. E in quei momenti dimentico tutti i miei problemi, e torno spensierata per parecchio tempo. Solo che poi inevitabilmente ripiombo nello sconforto, e la solitudine mi fa sentire freddo d’Agosto, e la paura mi chiude in me stessa, e non esco da casa mia, e non vedo nessuno, nemmeno il mio riflesso, perché non lo sopporterei. Scappare da qualcosa di astratto è semplicemente assurdo. Ma così io soffro di meno. E’ l’unica strada che conosco per vivere, capite?

Tutti pensano che indossare una maschera sia duro, e difficile. Io che di maschere ne ho centocinquanta, posso con certezza affermare che è in realtà la via più facile che esista, che è un riflesso incondizionato, che finisce per essere più vera la maschera di te stesso. Non è difficile, è semplicemente una scelta. Qualcosa come un muro, progettato e costruito per tenere gli altri fuori, e chiudere te dentro.

Tra poco deporrò la penna, e le parole cesseranno, e io andrò a dormire e forse piangerò ancora tra le coperte. Deporrò la penna senza avere la certezza che qualcuno leggerà il mio lavoro, il mio sfogo, la mia storia, mai narrata e mai udita. Potete immaginarla però? Sono stata brava?

Sono direttore della mia vita, la gestisco e la distruggo da sola, inerte come una marionetta, eppure sono io a decidere. I miei attori sono la nostalgia e l’amarezza, le lacrime vanno in scena coi sorrisi, e mille maschere si alternano per confondere un pubblico che non capisce quando la finzione tocca la realtà.

Applaudirete alla fine di questo spettacolo?

Il senso, alla fine, non è tutto.

 

************************************************************************************

Questa roba l’ho scritta ieri notte. Anzi, questa mattina dovrei dire, considerato che la mezzanotte era passata da un pezzo! Il che spiega anche la schifezza in questione… Ma che ci posso fare io se mi sono ritrovata davanti a un foglio di Word col morale sotto all’Inferno?

Non dovete recensire per forza, ma se arrivate alla fine, o anche se non ci arrivate, sarebbe carino lasciarmi un commentino… Mi serve per migliorarmi, quindi mi fareste veramente un grande favore. La mia principale preoccupazione è che il testo sia troppo pesante, che ci si annoi mortalmente prima di raggiungere l’ultima frase. Da scrittrice di questo surrogato di storia non posso valutare la cosa oggettivamente, e quindi qualsiasi recensione, sia negativa sia positiva, sarà ben accetta.

Grazie mille anche solo per essere passati di qui!

Gea Kristh
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Gea_Kristh