Alive
“Amico sei impazzito?”
“…”
“Sto parlando con te! Che cazzo ti è venuto in mente?”
“…”
“Aspetta..è quello che penso?”
“…”
“E’ esattamente quello che penso, sei stato al cimitero?”
“…”
“Imre non puoi fare così, almeno abbassa il volume!”
“…”
“Fanculo Imre, odio quando diventi un fottuto zombie.”
“…”
Is something wrong she said.
C’è sempre stato qualcosa di sbagliato, qualcosa di
radicalmente, profondamente, intimamente sbagliato. Quando erano in giro a
distribuire il destino, Dio e il diavolo hanno avuto la felicissima idea di tenerlo
fuori dall’unico che credeva di meritare con tutto se stesso.
“Toh è appena nato Imre, guarda quanto son
felici i suoi genitori, guarda suo padre, hanno gli stessi occhi vero? Sì che
hanno gli stessi occhi.”- Dio se la ride e
Lucifero fa spallucce. “Vediamo cosa ci è rimasto nel sacco. Oh
guarda, ipersensibilità. Deve essere divertente, vederlo rantolare a terra
sconquassato dalle sensazioni, sai che risate il giorno in cui busserà alla
porta di uno di noi con il cuore fuori dal petto e magari senza un braccio, o
una gamba; ho sempre pensato che un giorno mi sarebbe arrivata solo una gamba
davanti al cancello, o magari un dito. Il medio, Dio (..scusami non volevo
nominarti invano) immagina la scena, mi mandano talmente tante volte a fanculo
che magari una volta tanto mi prendo la mia rivincita e mi fotto un dito medio
di quegli stronzi. - Cos’altro c’è in quel sacco Luce? - Oh beh, una fottuta fortuna. Sopravvivrà
alla morte del padre. - Sei sicuro di non aver più nulla
nel sacco? Che so, un futuro come medico? O come musicista, tutti
sognano di
fare i musicisti, magari non uno di quelli che finisce su un letto
qualsiasi con la propria bile nei polmoni. Li perdo di vista ed
è una cosa che non sopporto, il paradiso mi sembra qualcosa
di assolutamente monotono
senza una dannata chitarra che suona. - Non dovresti dire dannata sai?
- Luce fottiti! - Questa è blasfemia! - Controlla
quel fottuto sacco! - E’ vuoto, non c’è più nulla."
You're still alive, she said.
Era sopravvissuto. Con il dito puntato verso il cielo e le
stelle negli occhi. Era sopravvissuto. Era anche lui su quel pick-up, c’era lui
e c’era suo padre e anche lui era andato a sbattere contro quell’albero.
Ricorda ancora la corteccia ruvida contro la schiena a un palmo dalla nuca.
C’era mancato poco. Pochissimo. Un millimetro in più e avrebbe seguito suo
padre nell’aldilà. Per un attimo si era anche chiesto se la musica arrivasse
fin lassù, con tutte quelle nuvole ad ovattare il suono.
Sapeva per certo che di giù ci arrivava, il padre non faceva
che ripetere che il diavolo era dannatamente ingordo di buona musica, ecco
perché tutti i più grandi finivano per essere ritrovati morti nelle proprie
stanze d’albergo, divorati da qualcosa più grande di loro. Lucifero, diceva,
era lui che giocava con le loro anime fino a straziarle e a prenderle con sé.
Ecco perché in paradiso erano ancora tutti fissati con arpe e strumenti da
finocchi, niente in contrario con gli strumenti da finocchi, ma il padre era
sempre stato un tipo da note prepotenti che fottono i timpani.
Ed era morto. Con il sangue che gli colava dalle orecchie.
Dicevano che l’impatto era stato così forte da squarciargli i timpani e mandargli
in pappa il cervello ma Imre lo sa, lo aveva sempre saputo. Era stato il
silenzio.
Oh, and do I deserve
to be?
No, dannato destino del cazzo. Non si era meritato di
sopravvivere, quella vita non valeva nulla se barattata in cambio di quella del
padre. Una madre ormai completamente assente ricordava di mandare un
bigliettino ogni anno, lo stesso giorno, sempre nella stessa busta, con
quell’odore ad impregnare la carta, così pungente e così dannatamente presente.
Ipocrita anche nel profumo. Ma su una cosa non sbagliava mai. Due parole, una
scrittura minuta e precisa, una firma tagliente, illeggibile(continua a
nascondere se stessa): non meritava di
morire.
Vero, verissimo. Ma non era la risposta alla domanda che lo
assillava e lei non era la persona giusta a cui fare domande. E se anche avesse
voluto, non avrebbe mai saputo dove cercarla o chi cercare. Nascosta per sempre
da una firma illeggibile e un profumo esotico.
Ogni anno davanti all’albero di ulivo aspettava che qualcosa
gli s’illuminasse nella testa. Ogni anno davanti a quell’ulivo aspettava la
risposta. Ma Dio e il Diavolo avevano scelto per lui qualcosa di fin troppo
divertente, fin troppo paradossale.
“Luce ti ho giocato un bello scherzo con quel bambino sai?
Oh sì amico credo che qui qualcuno ti abbia preso per il culo. - Santo Dio (oh
scusami l’ho fatto ancora), ti rendi conto che sei blasfemo? - Zitto testa di
capra, e ascolta che pensata. Il sacco era vuoto ma io ci ho aggiunto un
pizzico d’inventiva, sono Dio no? Avrò qualche potere sul destino di quella
testina? - E vediamo cosa ti sei inventato sua altissima divinità? - La vita. -
Che cazzo significa? - Significa che avrà un attaccamento quasi ossessivo alla
vita, l’amerà così tanto che non la getterà via per nulla al mondo. Sei fregato
Luce, avrò una dannata chitarra in paradiso! - Vaffanculo Amico. - Sai Luce, un giorno sarà il tuo, di dito
medio, ad essere esposto in una teca di vetro davanti al mio cancello. Dio ha
preso per il culo il diavolo. Sai che scena! ”
Me I figure as each breath goes by.
Lo ama. Con
tutto se stesso. Il suo respiro. E lo odia al tempo stesso. Sa che l’unica cosa
che lo divide da suo padre è quell’attaccamento smisurato alla vita anche se
non la merita, anche se sa che il suo alito non vale la morte di suo padre. Ma
qualcuno gli ha concesso qualcosa. Il destino fa schifo ma qualcuno gli ha
concesso di fregarlo, prenderlo a calci, appallottolarlo e centrare il cestino.
Quando l’onda di sensazioni lo sommerge, c’è qualcosa che lo spinge in fondo
senza mai fargli perdere lucidità, il suo ritmo è chiuso nella sua mente,
protetto da barriere invisibili su cui lui ha il pieno potere, libero di
lasciarsi andare quando e per quanto vuole ed è proprio in quell’istante,
nell’istante in cui si rende conto di dover sganciare quelle barriere,
nell’istante in cui la vita lo sta per abbandonare all’incrocio con la morte,
che lui incontra suo padre. Gli occhi fissi nei suoi, un dito che punta in
alto, verso le stelle, e il sangue che gli cola dalle orecchie come fiumi
scarlatti. Ma sorride. Lui sorride sempre, come se non fosse successo nulla,
come se la sordità lo avesse protetto dal dolore, dalla consapevolezza della
non esistenza, dalla perdita di un figlio lasciato a crescere da solo. Sorride
e indica il cielo e Imre, ogni volta, ogni fottuta volta, alza gli occhi al
cielo e sgancia le barriere. Anche se sa di non meritarla quella vita, lui la
vuole, la vuole, la vuole..
“Dovresti smetterla di sentirti in colpa”
“Aàron..”
“Quella bambina sarebbe morta se tuo padre non avesse
sterzato, Imre tuo padre lo ha fatto per istinto, ci ha visto te al posto di
quella biondina ed era terrorizzato. Salvando lei ha salvato te, non
direttamente ma..insomma..mi hai capito. Meriti di stare qui, e spegni quel
fottuto stereo che non ti aiuta per un cazzo”
“…”
“Ti ricordi? La sera al bar? La camicia, il pick-up e i tuoi
piedi sulla mia testa a casa di Emike? Eri lercio, puzzavi da fare schifo, un
misto di piscio e vomito; ti avevo quasi scambiato per lo scopettone del bagno.
Avevi due occhi allucinati, dico sul serio, eri solo pupilla. Il barista era
sconvolto nonostante sembrasse conoscerti, mi ripeteva che eri fatto e che non
parlavi. Muto come un pesce, avevi chiesto il tuo drink, lui ti aveva servito e
poi non avevi più parlato. Eri zuppo, dalla testa ai piedi. Non eri fatto, eri
sdraiato sul fondo di un buco nero, tutto solo ad accarezzare la piacevole
sensazione di una fine alla quale non appartenevi, con il tuo sorriso sghembo e
le mani gelide e le orecchie rosse. Mi guardavi ma non mi guardavi. Eri un caso
clinico, disperato, senza speranza. Non potevo lasciarti lì. Io di vita me ne
intendo, lo sai, dopo tutti quei vaffanculo a Luce..non potevo lasciarti lì,
non in quelle condizioni. Sei riemerso, te lo ricordi no? Ti sei messo a ridere
e non hai smesso più. Pensavo fossi morto e invece mi prendevi peri il culo sul
sedile del passeggero, completamente lercio, il tuo alito puzzava di alcool da
fare schifo. Quando ti ho aperto lo sportello della macchina, manco fossi una
principessina, ti ho guardato negli occhi e ti ho detto una cosa..te la
ricordi?”
“A nessuno è concesso il privilegio di decidere il giorno
della propria morte.”
“Esatto, è un lusso decidere quando morire o al posto di
chi, troppo facile, dare un taglio, eliminare le difficoltà, smettere di
crescere e lasciare la macabra eredità a qualcun altro. Eri un fottuto egoista,
steso sul bancone del bar, con la camicia tirata e mezza strappata e il boccale
di birra stretto in una mano. Stavi ammirando qualcosa che non ti è concesso di
ammirare. La morte è un privilegio e non ti spetta, non adesso. Il tuo vecchio
era un povero diavolo mollato da una donna dal profumo di merda e con un
bambino idiota da crescere. Fidati adesso è all’inferno a suonare un assolo con
Luce in persona! Si diverte più di chiunque altro, e tu vorresti togliergli
quel privilegio e darlo a te stesso? Fottuto egoista!”
I know I was born and i know that I'll die.
The in between is mine.
I am mine.
“Le ho dato un bacio.”
“Che cosa??”
Aàron è questo. Aàron è lucidità che torna, ritmo in mezzo
al caos e caos in mezzo al silenzio. E’ il dito medio che prima o poi Luce si
sarebbe appeso in quella camera di fuoco e fiamme. Sa sempre cosa dire,
fregandosene di ciò che le persone possano pensare o no di lui; è uno che
commette errori, ne commette innumerevoli, a volte Imre pensa che li cerchi
anche, quegli errori. Eppure è più il numero di errori che riesce a riparare
che quelli che si lascia sfuggire, è vita vissuta e trasmessa, come quando
attacchi la spina alla presa. Per un attimo dimentichi chi sia la spina e chi
la presa. Lucidità, pura lucidità. Come una scarica elettrica, o un battito, o
una parola, un sussurro, una parete colorata e un numero esagerato di coperte e
tappeti.
Il sorriso sghembo di Imre svanisce nel nulla e dal fondo
del buco nero spunta l’indice che mira il cielo. Ed Imre apre gli occhi su
un’immagine che prima sembrava solo vapore liquido lasciato a mezz’aria,
sospeso e pronto per esser portato via.
Le labbra di Abigail.
“L’ho baciata. Davanti alla tomba di mio padre. Sotto la
pioggia. Con il thè alla cannella tra le mani, che tra l’altro mi fa anche
schifo.”
“Che quadro deprimente!”
“Era tutto sbagliato!”
“Ma..”
“…”
“Oh forza, hai baciato la ragazza dei sussurri ci deve
essere per forza un ma”.
“Non sono morto.”
“E che vorrebbe dire?”
“Che non sono morto, che ho solo desiderato quelle labbra,
senza rischiare di lasciarci la pelle. Era come se non ce l’avessi, il cuore,
se n’è stato zitto tutto il tempo, ma proprio zitto, nemmeno un battito e lei
nemmeno un sussurro. C’eravamo solo noi, mi sono sentito per la prima volta
vulnerabile, completamente vulnerabile. Quando ti trovi lei davanti non sai che
fare, non sai come prenderla, ti legge dentro..”
“E ti spalma la marmellata in faccia, si me lo ricordo..e
poi?”
“E poi nulla, la cannella!”
“Che c’entra la cannella?”
“Lo ha sussurrato sulle mie labbra e io ho portato il ritmo
di quella dannata parola sui pantaloni.”
“Aveva smesso di piovere”.
Non era una domanda, era un’affermazione.
“Aveva smesso di piovere.”
Non era una risposta, era una consapevolezza.
“E adesso?”
“C’è la manifestazione, c’è il casino e ci sono le foto.”
“E il sole. Per tutta la settimana”.
“Sei stato tu a fare quella cosa? - Di che diavolo stai
parlando? - Ehi non tirarmi in causa, io non c’entro niente, il diavolo non
c’entra con quella roba lì. Deve essere stata per forza un’altra delle tue
idee. - Non c’entro niente io, credi che
lo lascerei avvicinare così tanto alla morte e dartela vinta? - La finiremo
prima o poi di discutere? - Mai. -
Quindi chi è stato? - A fare cosa? - Il ragazzo, il padre! - Non ne ho idea. E’
importante? - Farci prendere per il culo
da un perfetto sconosciuto? - Beh si
effettivamente è strano. Quindi che facciamo? - Boh, che tempo c’è la prossima
settimana? - Pioggia, su tutti i fronti! - Assolutamente no, ne ho le palle
piene della pioggia, chiama qualcuno da lassù, che so di ad Apollo di tirare
giù il sole e siamo tutti contenti. - Dannato di un diavolo stai bestemmiando
il tuo Dio! - Un Dio blasfemo! - Io
faccio quello che diavolo mi pare. - E
io quel che dio mi pare. - Santo Dio che umorismo del cazzo che ti ritrovi. -
Ma ti senti? Ti nomini invano e dici parolacce. - Sto cominciando a pensare che
la tua vicinanza mi stia influenzando. E
quello che cos’è? - Boh, credo sia un dito medio. - Chi te lo manda? - Non ne
ho idea, è bianco, sulla cinquantina e suona la chitarra. - Eh no, non è
possibile! - Che vuoi, i privilegi di Lucifero!”
In fondo al buco nero qualcuno continua a sorridere con
l’indice puntato verso l’alto e con le tre dita rimanenti chiuse sul palmo. Il
dito medio spedito con pacco celere nel cuore caldo degli inferi.
Lis