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Autore: Lisa_Pan    24/12/2012    1 recensioni
Abigail racconta sensazioni mai provate attraverso impercettibili sussurri, Imre sopravvive cercando il ritmo nel silenzio, Emike raccoglie ricordi dentro delle note suonate su una chitarra color miele ed Aaron gioca al gatto e il topo con il diavolo; quattro vite, quattro anime che vagano sotto una pioggia complice alla ricerca di loro stessi.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Alive

Alive

“Amico sei impazzito?”

“…”

“Sto parlando con te! Che cazzo ti è venuto in mente?”

“…”

“Aspetta..è quello che penso?”

“…”

“E’ esattamente quello che penso, sei stato al cimitero?”

“…”

“Imre non puoi fare così, almeno abbassa il volume!”

“…”

“Fanculo Imre, odio quando diventi un fottuto zombie.”

“…”

Is something wrong she said.

C’è sempre stato qualcosa di sbagliato, qualcosa di radicalmente, profondamente, intimamente sbagliato. Quando erano in giro a distribuire il destino, Dio e il diavolo hanno avuto la felicissima idea di tenerlo fuori dall’unico che credeva di meritare con tutto se stesso.

“Toh è appena nato Imre, guarda quanto son felici i suoi genitori, guarda suo padre, hanno gli stessi occhi vero? Sì che hanno gli stessi occhi.”-  Dio se la ride e Lucifero fa spallucce. “Vediamo cosa ci è rimasto nel sacco. Oh guarda, ipersensibilità. Deve essere divertente, vederlo rantolare a terra sconquassato dalle sensazioni, sai che risate il giorno in cui busserà alla porta di uno di noi con il cuore fuori dal petto e magari senza un braccio, o una gamba; ho sempre pensato che un giorno mi sarebbe arrivata solo una gamba davanti al cancello, o magari un dito. Il medio, Dio (..scusami non volevo nominarti invano) immagina la scena, mi mandano talmente tante volte a fanculo che magari una volta tanto mi prendo la mia rivincita e mi fotto un dito medio di quegli stronzi. - Cos’altro c’è in quel sacco Luce? -  Oh beh, una fottuta fortuna.  Sopravvivrà alla morte del padre. - Sei sicuro di non aver più nulla nel sacco? Che so, un futuro come medico? O come musicista, tutti sognano di fare i musicisti, magari non uno di quelli che finisce su un letto qualsiasi con la propria bile nei polmoni. Li perdo di vista ed è una cosa che non sopporto, il paradiso mi sembra qualcosa di assolutamente monotono senza una dannata chitarra che suona. - Non dovresti dire dannata sai? - Luce fottiti! - Questa è blasfemia! - Controlla quel fottuto sacco! - E’ vuoto, non c’è più nulla." 

You're still alive, she said.

Era sopravvissuto. Con il dito puntato verso il cielo e le stelle negli occhi. Era sopravvissuto. Era anche lui su quel pick-up, c’era lui e c’era suo padre e anche lui era andato a sbattere contro quell’albero. Ricorda ancora la corteccia ruvida contro la schiena a un palmo dalla nuca. C’era mancato poco. Pochissimo. Un millimetro in più e avrebbe seguito suo padre nell’aldilà. Per un attimo si era anche chiesto se la musica arrivasse fin lassù, con tutte quelle nuvole ad ovattare il suono.

Sapeva per certo che di giù ci arrivava, il padre non faceva che ripetere che il diavolo era dannatamente ingordo di buona musica, ecco perché tutti i più grandi finivano per essere ritrovati morti nelle proprie stanze d’albergo, divorati da qualcosa più grande di loro. Lucifero, diceva, era lui che giocava con le loro anime fino a straziarle e a prenderle con sé. Ecco perché in paradiso erano ancora tutti fissati con arpe e strumenti da finocchi, niente in contrario con gli strumenti da finocchi, ma il padre era sempre stato un tipo da note prepotenti che fottono i timpani.

Ed era morto. Con il sangue che gli colava dalle orecchie. Dicevano che l’impatto era stato così forte da squarciargli i timpani e mandargli in pappa il cervello ma Imre lo sa, lo aveva sempre saputo. Era stato il silenzio.

Oh, and do I deserve to be?

No, dannato destino del cazzo. Non si era meritato di sopravvivere, quella vita non valeva nulla se barattata in cambio di quella del padre. Una madre ormai completamente assente ricordava di mandare un bigliettino ogni anno, lo stesso giorno, sempre nella stessa busta, con quell’odore ad impregnare la carta, così pungente e così dannatamente presente. Ipocrita anche nel profumo. Ma su una cosa non sbagliava mai. Due parole, una scrittura minuta e precisa, una firma tagliente, illeggibile(continua a nascondere se stessa): non meritava di morire.

Vero, verissimo. Ma non era la risposta alla domanda che lo assillava e lei non era la persona giusta a cui fare domande. E se anche avesse voluto, non avrebbe mai saputo dove cercarla o chi cercare. Nascosta per sempre da una firma illeggibile e un profumo esotico.

Ogni anno davanti all’albero di ulivo aspettava che qualcosa gli s’illuminasse nella testa. Ogni anno davanti a quell’ulivo aspettava la risposta. Ma Dio e il Diavolo avevano scelto per lui qualcosa di fin troppo divertente, fin troppo paradossale.

“Luce ti ho giocato un bello scherzo con quel bambino sai? Oh sì amico credo che qui qualcuno ti abbia preso per il culo. - Santo Dio (oh scusami l’ho fatto ancora), ti rendi conto che sei blasfemo? - Zitto testa di capra, e ascolta che pensata. Il sacco era vuoto ma io ci ho aggiunto un pizzico d’inventiva, sono Dio no? Avrò qualche potere sul destino di quella testina? - E vediamo cosa ti sei inventato sua altissima divinità? - La vita. - Che cazzo significa? - Significa che avrà un attaccamento quasi ossessivo alla vita, l’amerà così tanto che non la getterà via per nulla al mondo. Sei fregato Luce, avrò una dannata chitarra in paradiso! -  Vaffanculo Amico. -  Sai Luce, un giorno sarà il tuo, di dito medio, ad essere esposto in una teca di vetro davanti al mio cancello. Dio ha preso per il culo il diavolo. Sai che scena! 

Me I figure as each breath goes by.

Lo ama. Con tutto se stesso. Il suo respiro. E lo odia al tempo stesso. Sa che l’unica cosa che lo divide da suo padre è quell’attaccamento smisurato alla vita anche se non la merita, anche se sa che il suo alito non vale la morte di suo padre. Ma qualcuno gli ha concesso qualcosa. Il destino fa schifo ma qualcuno gli ha concesso di fregarlo, prenderlo a calci, appallottolarlo e centrare il cestino. Quando l’onda di sensazioni lo sommerge, c’è qualcosa che lo spinge in fondo senza mai fargli perdere lucidità, il suo ritmo è chiuso nella sua mente, protetto da barriere invisibili su cui lui ha il pieno potere, libero di lasciarsi andare quando e per quanto vuole ed è proprio in quell’istante, nell’istante in cui si rende conto di dover sganciare quelle barriere, nell’istante in cui la vita lo sta per abbandonare all’incrocio con la morte, che lui incontra suo padre. Gli occhi fissi nei suoi, un dito che punta in alto, verso le stelle, e il sangue che gli cola dalle orecchie come fiumi scarlatti. Ma sorride. Lui sorride sempre, come se non fosse successo nulla, come se la sordità lo avesse protetto dal dolore, dalla consapevolezza della non esistenza, dalla perdita di un figlio lasciato a crescere da solo. Sorride e indica il cielo e Imre, ogni volta, ogni fottuta volta, alza gli occhi al cielo e sgancia le barriere. Anche se sa di non meritarla quella vita, lui la vuole, la vuole, la vuole..

“Dovresti smetterla di sentirti in colpa”

“Aàron..”

“Quella bambina sarebbe morta se tuo padre non avesse sterzato, Imre tuo padre lo ha fatto per istinto, ci ha visto te al posto di quella biondina ed era terrorizzato. Salvando lei ha salvato te, non direttamente ma..insomma..mi hai capito. Meriti di stare qui, e spegni quel fottuto stereo che non ti aiuta per un cazzo”

“…”

“Ti ricordi? La sera al bar? La camicia, il pick-up e i tuoi piedi sulla mia testa a casa di Emike? Eri lercio, puzzavi da fare schifo, un misto di piscio e vomito; ti avevo quasi scambiato per lo scopettone del bagno. Avevi due occhi allucinati, dico sul serio, eri solo pupilla. Il barista era sconvolto nonostante sembrasse conoscerti, mi ripeteva che eri fatto e che non parlavi. Muto come un pesce, avevi chiesto il tuo drink, lui ti aveva servito e poi non avevi più parlato. Eri zuppo, dalla testa ai piedi. Non eri fatto, eri sdraiato sul fondo di un buco nero, tutto solo ad accarezzare la piacevole sensazione di una fine alla quale non appartenevi, con il tuo sorriso sghembo e le mani gelide e le orecchie rosse. Mi guardavi ma non mi guardavi. Eri un caso clinico, disperato, senza speranza. Non potevo lasciarti lì. Io di vita me ne intendo, lo sai, dopo tutti quei vaffanculo a Luce..non potevo lasciarti lì, non in quelle condizioni. Sei riemerso, te lo ricordi no? Ti sei messo a ridere e non hai smesso più. Pensavo fossi morto e invece mi prendevi peri il culo sul sedile del passeggero, completamente lercio, il tuo alito puzzava di alcool da fare schifo. Quando ti ho aperto lo sportello della macchina, manco fossi una principessina, ti ho guardato negli occhi e ti ho detto una cosa..te la ricordi?”

“A nessuno è concesso il privilegio di decidere il giorno della propria morte.”

“Esatto, è un lusso decidere quando morire o al posto di chi, troppo facile, dare un taglio, eliminare le difficoltà, smettere di crescere e lasciare la macabra eredità a qualcun altro. Eri un fottuto egoista, steso sul bancone del bar, con la camicia tirata e mezza strappata e il boccale di birra stretto in una mano. Stavi ammirando qualcosa che non ti è concesso di ammirare. La morte è un privilegio e non ti spetta, non adesso. Il tuo vecchio era un povero diavolo mollato da una donna dal profumo di merda e con un bambino idiota da crescere. Fidati adesso è all’inferno a suonare un assolo con Luce in persona! Si diverte più di chiunque altro, e tu vorresti togliergli quel privilegio e darlo a te stesso? Fottuto egoista!”

I know I was born and i know that I'll die.

The in between is mine.

I am mine.

“Le ho dato un bacio.”

“Che cosa??”

Aàron è questo. Aàron è lucidità che torna, ritmo in mezzo al caos e caos in mezzo al silenzio. E’ il dito medio che prima o poi Luce si sarebbe appeso in quella camera di fuoco e fiamme. Sa sempre cosa dire, fregandosene di ciò che le persone possano pensare o no di lui; è uno che commette errori, ne commette innumerevoli, a volte Imre pensa che li cerchi anche, quegli errori. Eppure è più il numero di errori che riesce a riparare che quelli che si lascia sfuggire, è vita vissuta e trasmessa, come quando attacchi la spina alla presa. Per un attimo dimentichi chi sia la spina e chi la presa. Lucidità, pura lucidità. Come una scarica elettrica, o un battito, o una parola, un sussurro, una parete colorata e un numero esagerato di coperte e tappeti.

Il sorriso sghembo di Imre svanisce nel nulla e dal fondo del buco nero spunta l’indice che mira il cielo. Ed Imre apre gli occhi su un’immagine che prima sembrava solo vapore liquido lasciato a mezz’aria, sospeso e pronto per esser portato via.

Le labbra di Abigail.

“L’ho baciata. Davanti alla tomba di mio padre. Sotto la pioggia. Con il thè alla cannella tra le mani, che tra l’altro mi fa anche schifo.”

“Che quadro deprimente!”

“Era tutto sbagliato!”

“Ma..”

“…”

“Oh forza, hai baciato la ragazza dei sussurri ci deve essere per forza un ma”.

“Non sono morto.”

“E che vorrebbe dire?”

“Che non sono morto, che ho solo desiderato quelle labbra, senza rischiare di lasciarci la pelle. Era come se non ce l’avessi, il cuore, se n’è stato zitto tutto il tempo, ma proprio zitto, nemmeno un battito e lei nemmeno un sussurro. C’eravamo solo noi, mi sono sentito per la prima volta vulnerabile, completamente vulnerabile. Quando ti trovi lei davanti non sai che fare, non sai come prenderla, ti legge dentro..”

“E ti spalma la marmellata in faccia, si me lo ricordo..e poi?”

“E poi nulla, la cannella!”

“Che c’entra la cannella?”

“Lo ha sussurrato sulle mie labbra e io ho portato il ritmo di quella dannata parola sui pantaloni.”

“Aveva smesso di piovere”.

Non era una domanda, era un’affermazione.

“Aveva smesso di piovere.”

Non era una risposta, era una consapevolezza.

“E adesso?”

“C’è la manifestazione, c’è il casino e ci sono le foto.”

“E il sole. Per tutta la settimana”.

Sei stato tu a fare quella cosa? - Di che diavolo stai parlando? - Ehi non tirarmi in causa, io non c’entro niente, il diavolo non c’entra con quella roba lì. Deve essere stata per forza un’altra delle tue idee. -  Non c’entro niente io, credi che lo lascerei avvicinare così tanto alla morte e dartela vinta? - La finiremo prima o poi di discutere?  - Mai. - Quindi chi è stato? - A fare cosa? - Il ragazzo, il padre! - Non ne ho idea. E’ importante?  - Farci prendere per il culo da un perfetto sconosciuto? -  Beh si effettivamente è strano. Quindi che facciamo? - Boh, che tempo c’è la prossima settimana? - Pioggia, su tutti i fronti! - Assolutamente no, ne ho le palle piene della pioggia, chiama qualcuno da lassù, che so di ad Apollo di tirare giù il sole e siamo tutti contenti. - Dannato di un diavolo stai bestemmiando il tuo Dio! - Un Dio blasfemo! -  Io faccio quello che diavolo mi pare. -  E io quel che dio mi pare. - Santo Dio che umorismo del cazzo che ti ritrovi. - Ma ti senti? Ti nomini invano e dici parolacce. - Sto cominciando a pensare che la tua vicinanza mi stia influenzando.  E quello che cos’è? - Boh, credo sia un dito medio. - Chi te lo manda? - Non ne ho idea, è bianco, sulla cinquantina e suona la chitarra. - Eh no, non è possibile! - Che vuoi, i privilegi di Lucifero!”

In fondo al buco nero qualcuno continua a sorridere con l’indice puntato verso l’alto e con le tre dita rimanenti chiuse sul palmo. Il dito medio spedito con pacco celere nel cuore caldo degli inferi.

 

 

 ***

Saaaaaaaalve mondo di anime meravigliose, oggi sono radiosa, stanca ma radiosa. Non è per il Natale, cioè il merito va a lui per le conseguenze che ha creato: una famiglia più idiota dall'ultima volta che l'ho vista; un regalo sotto l'albero che sfiora la perfezione; e i mercatini di Natale che mi hanno regalato i Pearl Jam, i Sex Pistols, G'nR, The Strokes e la lista è troppo lunga ma vi prego amatela con me.

Un giorno se non mi ucciderà la curiosità sarà la musica a farlo.

Perciò nulla, nonostante questo sia uno dei capitoli a cui tengo di più ma di cui sono meno soddisfatta sono felice di pubblicarlo, perchè se ci stavo ancora su uscivo matta o, peggio ancora, lo cancellavo del tutto.

Quindi..Buona pappa a tutti e buon annegamento tra carte rosse e fiocchi blu.
Lis

 

   
 
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