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Autore: keska    24/12/2012    2 recensioni
Capitoli EXTRA della storia "CULLEN'S LOVE".
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE '
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Novembre 2010. Un pomeriggio a casa.

 

«E questo dove lo mettiamo tesoro?».

«-ia-a» esclamò Mark, togliendomi la formina dalle mani e incastrandola nel giochino.

Sorrisi, accarezzandogli i capelli chiari. «Bravo, nella fattoria».

Kate si avvicinò, chinandosi sui talloni, le mani a sorreggersi il mento come aveva visto fare ai grandi. Mark le sorrise di rimando, mostrando la sua boccuccia sdentata. Era molto nervoso e agitato in quel periodo, per via della dentizione, così si svegliava spesso la notte, facendo svegliare anche me. Sbadigliai, stanca. Appena un attimo perché Kate prendesse il giocattolo del fratellino e corresse via in un battibaleno.

Mark scoppiò a piangere.

«No, Kate! Riporta il gioco a tuo fratello». Mi sollevai in piedi, arrabbiata.

«Prendimi, prendimi!» esclamò Kate, lo sguardo furbo.

Sospirai, estremamente frustrata. Lo sapeva che non sarei stata in grado di raggiungerla. Odiavo che per i miei limiti umani mettesse in dubbio la mia autorità di genitore. «Katherine Elizabeth Cullen. Torna qui, all’istante, se non vuoi che ti tolga tutte le tue bambole» esclamai severa.

Mi si presentò dinanzi, lo sguardo combattivo ed orgoglioso. Sapeva che sarei stata capace di farlo. L’avevo già fatto. Sapevo che i suoi dispetti erano originati dalla gelosia che nutriva nei confronti del fratellino, e lo sapevo che in questi giorni avevo dedicato maggiormente le mie attenzioni a lui, ma solo perché non era stato bene. Li amavo, entrambi, con tutto il mio cuore, esattamente allo stesso modo.

Sospirai, prendendo il giochino dalle sue mani. Sollevai Mark dal tappeto, facendolo smettere di piangere. Si tese verso la sorella, toccandole la guancia. La adorava, letteralmente. «Che dite se facciamo un gioco tutti assieme?» proposi, sorridendo a Kate conciliante.

La bambina ricambiò uno sguardo imbronciato.

«Kate, possiamo giocare a prendere il tè con le tue bambole, che ne dici?».

«Eti, eti» gorgogliò Mark, tendendo le mani paffute verso la sorellina.

«‘Oio giocare colle fommine anch’io» protestò.

Sospirai, lasciandomi cadere ancora una volta sul tappeto. «Va bene tesoro. Vieni qui, siediti accanto a me. Mark, guarda com’è brava la sorellina a giocare con le formine, sa fare tutti i versi degli animali» feci, sorridendo al mio bambino.

Katie sembrò soddisfatta dal mio complimento. Furono venti lunghissimi minuti di gioco pacifico, e Kate diede anche un bacio soddisfatto al fratello, prima che Edward ritornasse a casa con la spesa.

«Papà! Papà!» chiamò la bambina, sollevandosi e correndo a tutta forza nella sua direzione.

Mark si contorse fra le mie braccia, insofferente. «A-ma» vagì, facendo una smorfia.

Me lo strinsi al petto, cullandolo. «Lo so amore mio, lo so, shh, shh» mormorai, sollevandomi in piedi. La testa mi girò per qualche secondo. Oh, merda. Presi un fiato. Mark piangeva. Chiusi e aprii gli occhi, e andai in cucina a prendere l’oggettino di gomma che amava masticare, un pesciolino giallo.

Edward stava mettendo a posto quello che aveva comprato con l’aiuto di Kate, che scrutava nelle buste in cerca delle caramelle. Diedi il pesciolino a Mark, calmando il suo pianto. «Hai preso tutto?» domandai.

Annuì, issando Kate su uno scaffale per farle sistemare la pasta. «Come va con Mark? Piange sempre?».

Sospirai, cancellando le lacrime appena scese sul viso di mio figlio. Era intento a mordicchiare e sbavare l’oggettino che teneva fra le mani. «Abbastanza. Adesso lo faccio mangiare così si calma, spero».

«Anch’io mangiare» esclamò rapida Kate.

Sorrisi alla bambina. «Sì tesoro. Dimmi tutto quello che vuoi e la mamma te lo cucina».

«‘Oio la pappa di Mak».

Chiusi gli occhi, cercando di allontanare l’esasperazione. Li riaprii. «Kate, la pappa di Mark non ti piace. È molle e per bambini piccolini».

Si imbronciò. «Ma io la ‘oio».

«Ehi Kate» intervenne Edward «cos’è questa storia? A te non piace quella pappa. Perché non vuoi mangiare la stessa della mamma, invece? Cosa ne dici?».

Lo guardò insoddisfatta.

«E se te la cucina papà?».

La bambina sorrise. «Insieme!».

Edward rise, stringendosela addosso. «Insieme, allora. Dimmi, qual è la ricetta? Cuciniamo una bella cenetta per te e la mamma, ci stai?».

Sollevai gli occhi al cielo, deponendo Mark nel seggiolone. «Non incasinatemi la cucina» borbottai, aprendo l’anta dell’armadietto per prendere un po’ di omogeneizzato per Mark. Appena lo misi nel piattino una forte nausea mi costrinse a bloccarmi, stringendo una mano contro il naso per non vomitare. Merda, merda, merda. Non già. Non adesso.

«Bella, va tutto-».

Scattai in alto con la testa. «Edward, ti dispiace se esco un attimo? Mi sono ricordata che devo fare una cosa urgente».

Mi fissò, perplesso. «No, certo. Ma cosa-».

«Prendo la tuo Volvo, okay? L’hai lasciata nel vialetto?».

Annuì.

Sospirai. «Perfetto» mormorai, avvicinandomi a lasciargli un bacio sulle labbra. Recuperai in fretta cappotto e chiavi, e uscii di tutta fretta in direzione farmacia.

 

«Papà?» chiamai, bussando alla sua porta.

Venne ad aprirmi, sorpreso di trovarmi lì. «Bella. Che ci fai da queste parti? E come mai non mi hai portato almeno uno dei miei nipotini?».

Mi infilai in casa, sfilandomi velocemente il cappotto. «Scusami, ho avuto un piccolo contrattempo. Ti dispiace se uso il bagno?» feci, muovendomi da un piede all’altro, impaziente.

Sempre più perplesso si richiuse la porta alle spalle. «No Bells, certo che no».

«Grazie» mormorai velocemente, sgattaiolando su per le scale.

 

Trentasette. Trentotto. Trentanove. Quaranta.

Con la gamba che si muoveva freneticamente su e giù feci un gran respiro. Afferrai il test. Due linee positivo. Una linea negativo. Due positivo. Una negativo.

«Merda, merda, merda!».

Due.

«Bella, tesoro, stai bene?» domandò la voce stranita e imbarazzata di mio padre, dall’altro lato della porta. «C’è tuo marito al telefono, cosa gli devo dire?».

Digli che sono incinta, cazzo!

 

Febbraio 2011. Tre mesi dopo.

 

«Non mi guardare così!».

«Così come?» chiesi con aria di sufficienza.

«Come se fosse colpa mia. Se non sbaglio anche tu eri consenziente quella notte. Anzi, più che consenziente».

Sollevai gli occhi al cielo, accarezzando la pancia con le mani. Avevamo deciso che avremmo provato ad avere un altro figlio, ma non credevo davvero che sarei potuta rimanere incinta nel giro di soli tre mesi. «Credo proprio di averlo superato Edward. E comunque, se ogni tanto ti guardo così è perché tu sei quello che ha insistito per fare un altro bambino, e io quella che deve fare la pipì nei bicchierini».

Sorrise ampiamente. Come faceva ad essere così felice? «Starei sempre così, con i nostri bimbi dentro di te. Peccato tu non mi abbia lasciato frequentare ginecologia».

Lo fissai in cagnesco. «Non potrei mai essere sposata a un ginecologo. Diventeresti o infedele o frigido. No, mai».

Rise dalle mia teoria. «Ma io farei nascere solo i nostri bambini».

«No!» protestai «quante volte te lo devo dire? Credimi, non ti piacerebbe vedere la mia vagina in quelle occasioni. Edward, basta. Pensiamo alla bambina piuttosto» sospirai, facendo emergere tutto il mio nervosismo.

Edward mi accarezzò la guancia. «Sta bene, vedrai».

Abbassai il capo, agitata. Carlisle sentiva come un’eco nell’auscultazione del suo battito. Aveva minimizzato, detto che dovevamo controllare, informandomi di quella strana anomalia solo un paio di settimane fa, eppure… Sapevo che aveva paura che fosse affetta da una malformazione cardiaca. Io, personalmente, ero terrorizzata. Mio suocero mi aveva rassicurata dicendomi che la composizione disomogenea della placenta aveva potuto alterare il suono, ma oggi avremmo fatto un’avanzata ecografia per riuscire a capire qualcosa.

«Mrs Cullen» chiamò l’infermiera.

Annuì, sollevandomi velocemente.

Ad accogliermi nello studio mio suocero, con un sorriso confortante. «Rilassati Bella. Adesso controlliamo subito tutto».

Sospirai, chiudendo gli occhi. Edward mi teneva la mano, al mio fianco. Temevo che quella potesse essere la prima volta che, durante l’ecografia di un mio bambino, piangessi di dolore. Non volevo vedere.

«L’immagine si distingue a stento. È ancora un po’ presto per un ecografia nel tuo caso» fece, oscillando con la sonda sul mio ventre «vediamo se trovo il cuore».

Tremai, spaventata. E se non fossi stata pronta per una cosa simile? Cosa avrei fatto?

«Ecco. Eccolo, sì. Vediamo… non vorrei parlare troppo presto, ma a me sembra sano».

Aprii gli occhi, pieni di lacrime. Stavo impazzendo. «Carlisle» gemetti, singhiozzando.

Edward si affrettò ad asciugarmi le lacrime, facendomi sfogare contro il suo petto. «Shh, andrà tutto bene. Shh. Sembra sano, hai visto? Stai tranquilla» mi consolò, accarezzandomi i capelli.

«In questi casi normalmente mi affiderei ad un’amniocentesi, ma per te è ancora troppo presto. Tuttavia ho un dubbio. Vorrei fare una TVS per essere sicuri, va bene? Il cuore sembra stare bene».

Annuii, sollevandomi e cancellandomi le lacrime dal viso. Sfilai i pantaloni e l’intimo, sistemando le gambe sulle staffe.

«Guardami tesoro» mi richiamò Edward «pensa a Kate e Mark che ci aspettano a casa. Pensa a cose belle».

M’irrigidì, serrando gli occhi. «Solo un po’ di fastidio. Ho quasi fatto» si scusò Carlisle. Dopo qualche secondo una nuova immagine comparve sul monitor. Sorrise. Un largo sorriso soddisfatto. «Proprio come immaginavo».

Sollevai la testa, guardando verso mio suocero. «Cosa? Perché sorridi Carlisle? Dimmi perché sorridi, ti prego».

Si voltò nella nostra direzione, allegro. «Congratulazioni. Aspettate due magnifiche gemelline».

Sgranai gli occhi, sconcertata, lasciando cadere la bocca aperta. Stava bene. Stava davvero bene. La mia bambina stava bene, ma era… due.

Erano due. Oh mio Dio. Oh. Mio. Dio.

«Edward!» strillai, voltandomi nella sua direzione, «che accidenti hai combinato? Confessa!».

Mi fissò sorpreso. «Io? Niente».

Gli tirai un colpo sulla spalla. «Non dirmi niente. Lo so che morivi dalla voglia di avere un altro bambino. E mi sembra assurdo che ci siamo riusciti di nuovo così presto. Quindi ne sono certa, è colpa tua. Cosa mi hai messo nel caffè?».

«Guarda, Bella, che io-».

«Ahh, non ti voglio ascoltare» feci, mettendo entrambe le mani sulle orecchie, «sei un bugiardo. Hai idea di quanto sia difficile crescere due gemelli? Avremo… oh, Cielo. Avremo quattro bambini!» esclamai isterica.

«Bella» mi richiamò mio suocero, sorridendomi «capisco il tuo disorientamento. Ma le gemelline non sono dizigoti. Non si può spiegare con motivi genetici o con l’assunzione di farmaci. Sono identiche, frutto di un evento puramente casuale. Un evento davvero raro!».

Gemetti, lasciandomi cadere sul lettino. Edward, al mio fianco, gongolava con un ampio ghigno. Due gemelle… sarei impazzita. Ma, almeno… non potei fare a meno di accennare un sorriso. Stavano bene.

«Sono due» mormorò emozionato «questa furbetta si era nascosta dietro la sorellina».

Sospirai, voltandomi verso mio marito. «Almeno, questo vuol dire una gravidanza in meno» borbottai, provando ad essere ottimista - non potevo pensare al fatto che avrei avuto quattro bambini. Quattro. Quattro. Quat-tro.

Edward mi strinse la mano, sorridendo felice. «Stanno bene».

«Già, bene». Sorrisi appena. «Carlisle, dimmi che non fa male il doppio» frignai, causandogli una lunga risata.

 

 

 

 

Un brevissimo messaggio:

siamo tutte impegnate ultimamente! È la Vigilia di Natale, quindi TANTI AUGURI!

Spero che l’extra vi piaccia. Ho ancora tante pagine scritte da farvi leggere…

Grazie mille a chi ha commentato la scorsa volta, siete state carinissime. ^^

Un bacione e buone feste!

 

PS. Se voleste dare un’occhiatina all’altra mia storia (in realtà una quattro mani scritta con Cami), “The Woodmore Sisters”, ne sarei tanto contenta.

   
 
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