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Autore: tonksnape    10/07/2007    17 recensioni
Tonks deve obbedire alle richieste dell'Ordine. Snape deve essere coerente con se stesso. E sono costretti a condividere per pochi giorni la stessa casa. Siamo in un qualche momento del settimo libro. Propongo una coppia un po' diversa dal solito. I personaggi non sono miei, ma di JKR. Buona lettura.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.     WANTED

Nella notte era difficile distinguere anche solo le sagome dei cespugli che intralciavano il cammino. L’uomo davanti a lei sembrava procedere come se avesse un radar, come se potesse conoscere in anticipo quello che la natura intendeva mettergli davanti. Neppure la costante punzecchiatura della sua bacchetta tra le scapole rappresentava un segnale di pericolo, per lui.

Tonks si scostò velocemente una ciocca di capelli dal volto, utilizzando la mano libera. Non era un problema mantenere l’andatura di Snape. Era allentata e forte. Anche se non dormiva da quasi 24 ore, la tensione che le attraversava il corpo e la mente la aiutavano a non sentire alcuna sonnolenza.

Forse, se si fossero fermati, avrebbe ceduto. Si sarebbe seduta e avrebbe chinato la testa tra le ginocchia, chiudendo gli occhi per un attimo, senza accorgersi che si stava addormentando. Ma Snape non si sarebbe fermato. La loro meta era quasi raggiunta, il paese era vicino.

Tonks continuò a fissare la schiena di Severus Snape.

Feroce assassino e libero prigioniero dell’Ordine della Fenice.

Feroce assassino e latitante per il Ministero della Magia.

 

Nessuno all’interno dell’Ordine si era opposto alla proposta fatta da Remus Lupin di tenere nascosta la cattura di Snape alle autorità del Ministero. Da quasi tre mesi operavano tutti nella completa clandestinità. Lavoravano e vivevano tra la gente, agivano nel silenzio e al buio. Neppure Minerva McGrannit era al corrente di tutte le loro azioni. Adesso avevano un unico obiettivo: proteggere Harry Potter. Il resto, tutto il resto, era in mano di quel ragazzino di 17 anni, chiuso a Godric’s Hollow con i suoi due amici.

I motivi che li avevano portati a scegliere di tenere Snape in vita e in silenzio erano tanti, ma soprattutto era stato il testamento lasciato, in mano a Lupin, dallo stesso Silente. Un testamento scritto a mano e autenticato da un sigillo impresso dalla spada di Godrick Griffondoro, spada che adesso riposava a fianco di Harry Potter.

Quel testamento conteneva solo poche indicazioni. La prima richiesta di Silente era di passare a Remus Lupin il comando dell’Ordine, se così ritenevano i suoi membri, o in alternativa a Minerva McGrannit.

“L’alternativa,” aveva sogghignato Remus leggendolo, “credo fosse la mia morte. Ma per ora sono qui e mi rendo disponibile a farlo, se siete d’accordo.” Anche Minerva sorrise, dato che aveva pensato esattamente la stessa cosa. Silente sapeva come descrivere la realtà in un modo tutto suo.

Pochi avrebbero dubitato della capacità di Remus di far fronte alle difficoltà e di usare con velocità e astuzia il suo cervello. Non c’erano sentimenti di competitività o di voglia di primeggiare nel gruppo. Avrebbe tolto il tempo e le energie che erano necessarie ad affrontare quel periodo di battaglie. Era una responsabilità enorme quella che Remus si era reso disponibile a prendere sulle sue gracili spalle e gli venne riconosciuta all’unanimità.

La seconda richiesta era quella di proteggere Harry Potter, ma nessun membro dell’Ordine avrebbe mai pensato il contrario. E Molly Weasley lo aveva ben sottolineato esclamando, “Vorrei proprio vedere se non venisse fatto!” lasciando così presagire a tutti i presenti quale sarebbe stata la loro sorte se solo avessero provato a dubitare di quella priorità.

La terza richiesta era proprio quella di scegliere la clandestinità. Questa opzione era stata proposta e votata ancor prima di leggere il testamento di Silente. Nessuno dei partecipanti sentiva di avere ancora dei legami di lealtà o di fiducia verso i responsabili del Ministero della Magia, mentre sentivano tutti una forte responsabilità e lealtà verso tutto il mondo magico. Anche Arthur Weasley aveva votato a favore, sostenuto dai figli cinque figli presenti in quel momento e dalla moglie.

C’erano poi alcune sottolineature di Silente rispetto all’uso di alcuni sistemi di sicurezza magici da lui creati e che dovevano essere modificati o eliminati. Compresa la sede di casa Black, ritenuta poco sicura.

Silente aveva anche indicato quali dovevano essere gli obiettivi dell’Ordine per stanare i Mangiamorte e aiutare Harry con Voldemort. In base alle informazioni che era riuscito a raccogliere proponeva loro anche un possibile scenario per i prossimi mesi.

L’ultima richiesta aveva sollevato invece molte perplessità, anche se nessuno aveva osato dissentire con troppa decisione.

Erano riuniti a casa di Remus Lupin, un tugurio perso nella periferia di Londra. Era composto da una camera e un salotto con cucina, un piccolo bagno e un ingresso con ripostiglio. Ci si muoveva a stento tutti insieme, ma per una riunione poteva anche essere sufficiente.  Tranne nel momento in cui qualcuno avesse avuto bisogno del bagno e quindi di spostarsi da un lato all’altro del salotto, costringendo i presenti a forzati contorsionismi per dargli lo spazio sufficiente per mettersi in piedi e camminare. Aprire e chiudere la porta del bagno era legato alla bontà d’animo di Malocchio che si alzava e si spostava per lasciare al malcapitato lo spazio sufficiente per entrare e uscire. In realtà ci aveva provato solo Fred Weasley, ma nessuno aveva osato imitarlo. Aspettavano la fine della riunione e la possibilità di tornarsene a casa propria.

Del resto un lupo mannaro non aveva la possibilità di aspirare a qualcosa di più accogliente, con un misero sussidio di disoccupazione. E Remus non traeva nessun piacere dall’usare la magia per arredare uno spazio che usava solo per dormire e, quando capitava, mangiare.

Erano seduti in quella claustrofobica casa da quasi due ore, quando Remus aveva letto quella parte del testamento. Per quanto avesse controllato il tono della voce era chiaro che ne era rimasto sorpreso anche lui.

Molto semplicemente e molto spietatamente, Silente descriveva quello che era successo la sera della sua morte, specificando chi avrebbe agito e in che modo.

Il testamento era stato scritto più di un mese prima della morte del Preside, chiuso e sigillato e consegnato personalmente da Silente a Fanny, con precise e rigide regole per la consegna. Fanny l’aveva lasciato nelle mani di Remus il giorno del funerale. Erano tre semplici fogli di pergamena, protetti da un incantesimo di Invisibilità che rendeva il testo leggibile solo a chi era in possesso della parola d’ordine. E Silente aveva provveduto ad inviarla a Remus quasi un anno prima, chiedendogli di imparare a memoria una stupida frase perché gli sarebbe stata necessaria in futuro. Tutti questi elementi avevano fatto comprendere al gruppo che la morte di Silente non era stata accidentale, ma un evento programmato. I motivi di questa scelta non erano stati spiegati nel testamento, mentre era stata indicata loro la strada per raggiungere anche quell’obiettivo.

Nel suo testamento Silente chiedeva loro di “prendere in consegna” Severus Snape prima che lo facesse il Ministero della Magia. Di “proteggerlo perché aveva agito per espressa sua richiesta”. Di “ascoltare il suo racconto e i motivi del suo gesto, ma anche gli elementi di conferma che avrebbe fornito”. Di “condurlo con le dovute precauzioni e la necessaria protezione” in un luogo sicuro, lontano dai Mangiamorte e dal Ministero della Magia, e di “lasciar decidere a lui il proprio destino, una volta condiviso con loro le informazioni in suo possesso.”

Ascoltare Severus Snape che spiegava cosa l’aveva portato ad uccidere Silente era doloroso, ma anche necessario. Tutti desideravano conoscere i piani di Albus Silente, i motivi della sua decisione, ma doverlo fare attraverso la voce di Severus Snape rendeva la situazione penosamente assurda.

Ne avevano discusso a lungo, lasciando a tutti lo spazio di esprimersi, commentare, proporre, anche utilizzando un linguaggio poco cortese. E descrivendo Severus in modo decisamente insultante.

Ancora una volta Remus, sostenuto da Arthur, si era dimostrato all’altezza del suo nuovo ruolo.

“Credo che nessuno di noi desideri ascoltare Severus. Nessuno di noi ha motivo di condividere quello che Severus ha fatto. Nessuno di noi approva la scelta di Silente di proteggerlo e renderlo, a quanto dice questo testamento, l’esecutore materiale della volontà dello stesso Silente. Avremmo preferito che lo stesso Albus Silente fosse stato qui a spiegarci quello che è successo. Ma non possiamo farlo. Dobbiamo affidarci alla voce di Severus per ascoltare quella di Silente.”

Remus aveva lasciato che il silenzio facesse penetrare del tutto le sue parole. Aveva guardato tutti negli occhi, comprendendo le schegge di rabbia e di delusione che vedeva in molti dei suoi compagni. Poi si era soffermato su Arthur, sollecitando il suo parere con un cenno della testa. Il signor Wealsey era molto apprezzato dal resto del gruppo per la pacatezza e la lucidità delle sue osservazioni.

“Immagino che sarà difficile ascoltare Severus e accettare che le sue parole siano quelle di Albus. Vorrei che tutti noi facessimo molta attenzione non solo alle informazioni che possiede, ma anche agli elementi di conferma che ci darà. Posso dire solo, con certezza, che a fronte di questa richiesta di Silente, adesso più che mai, desidero avere Severus qui con noi e potergli parlare direttamente.” Molti annuirono decisi.

“Inoltre,” aggiunse quasi immediatamente Arthur, “noi abbiamo le capacità per usare al meglio le informazioni che ci darà. E Severus ha tutto da guadagnare dal parlare con noi piuttosto che con il Ministero della Magia. E non credo che gli stessi Mangiamorte lo accoglierebbero a braccia aperte dopo anni di servizio a Silente.”

“Tu parti dall’ipotesi, come Remus, che Severus abbia agito per decisione di Silente e non di Tu-Sai-Chi…” sottolineò Malocchio. “Neppure un dubbio?” gli chiese ironico.

“Non dopo aver sentito da Silente che era stato programmato da lui stesso,” gli rispose Arthur, accennando al fogli o di pergamenato in cui c’era il testamento. “Silente ha voluto arrivare alla Torre quella sera. Chiedendo l’aiuto di Severus. L’unico disposto a farlo, sottolinerei… Questa scelta deve avere un motivo.”

Tutti accolsero quest’ultima affermazione come insindacabile.

“Bene,” sospirò Remus. “Chi si rende disponibile alla caccia a Severus Snape?”

Ancor prima che avesse terminato la frase, i cinque fratelli Weasley alzarono la mano senza indugio. Con minor velocità, ma altrettanta determinazione, si aggiunsero le mani di tutti gli altri.

Remus sorrise. “Credo di dover essere io a guidare il gruppo, per evitare spiacevoli incidenti particolarmente dolorosi per Severus… Kingsley, Charlie, Arthur ed io,” elencò lentamente. “Minerva mi sostituirai?” le chiese. Lei si limitò ad annuire.

“Fred, George e Molly vi occuperete di preparare, con Malocchio, una base sicura nella quale mandare Severus una volta che avrà parlato con noi. Non voglio nulla di mortale!” sottolineò. “Proprio per questo l’ultima parola sulle vostre decisioni l’avrà sempre Molly.” I gemelli Weasley accennarono ad una protesta, accolta con uno sguardo determinato dalla madre, sguardo che li ridusse al silenzio.

“Ginny,” le disse Remus, sorridendo, “andrai da Harry, Ron e Hermione ad avvisarli di quello che stiamo per fare e ti accerterai che Harry non si muova. Ascolta solo te, in questo periodo.” Ginny annuì, decisa come sempre.

“Tutti gli altri si riorganizzeranno per mantenere i compiti già stabiliti. Deciderà Minerva. Sarà un peso non indifferente, ma spero per poco tempo. Grazie a tutti,” concluse.

Lentamente il gruppo si disperse. Si vedevano così spesso ultimamente che non era neppure necessario fermarsi a chiacchierare per chiedere notizie gli uni degli altri.  Uscirono tutti mesti e silenziosi. Non era stato piacevole capire che la morte di Silente non aveva in realtà nessun colpevole, nessuno con il quale arrabbiarsi.

 

Ripensando a quella sera, Tonks si chiede perché aveva accettato di scortare Snape nella sua nuova dimora e di essere testimone delle sue decisioni, adesso che tutto l’Ordine della Fenice era a conoscenza di quello che Silente aveva organizzato.

Era una notte stellata, grazie ad un cielo invernale terso e privo di luci artificiali. Si trovavano in piena campagna inglese, tra colline coperte di brina e corsi d’acqua ghiacciati. Il fiato di entrambi si perdeva, bianco e vaporoso, nell’aria. Non parlavano da quando erano partiti. Nessuno dei due aveva interesse per intrecciare una conversazione e non avevano nulla da raccontare l’uno all’altro.

All’improvviso Tonks pensò che forse Snape non aveva neppure più la forza di parlare, dato che lo aveva fatto per almeno quattro ore, davanti all’Ordine.

Era stato catturato tre giorni dopo la loro riunione. Si era fatto catturare tre giorni dopo la loro riunione. Non era possibile parlare di tentativo di fuga o di nascondiglio organizzato. Snape era ritornato nella sua casa di Spinner’s End, la stessa in cui si rifugiava da anni. Quando Remus aveva bussato alla porta, aveva aperto dopo pochi secondi, come se si aspettasse il loro arrivo. Era, se possibile, ancora più magro e scavato in volto. La barba lunga, i vestiti logori e rattoppati. Non s’era traccia del professore di Hogwarts. Era un fuggiasco.

Remus si era trattenuto dal dare voce alle considerazioni che gli erano salite immediatamente alla bocca. C’era una tale somiglianza tra quel Severus Snape e Sirius Black, fuggito da Azkaban, da pensare che potessero essere fratelli. Non solo per l’aspetto dimesso, i capelli lunghi e rovinati o l’espressione diffidente, ma soprattutto per quel lampo di follia che pervadeva lo sguardo.

Snape aveva osservato Remus, Arthur e Charlie con attenzione, in silenzio, senza chiedere il motivo di quella visita. Aveva cercato il loro sguardo, sfidandoli a ricambiarlo, come se volesse misurare la loro forza, la loro tempra. Erano in grado di guardare negli occhi l’assassino di Albus Silente? Remus le aveva descritto in questo modo la scena. Durante la cena di quella stessa sera, a casa Weasley, aveva tentato di descrivere il momento in cui la porta della casa si era aperta e Severus Snape era comparso sulla soglia.

“Nero come la notte,” aveva detto Charlie. “E sicuro di sé. Pronto a seguirci, come se sapesse di poter fare solo questa scelta.”

“Folle,” aveva aggiunto Remus. “Follia per la quale non riesco a trovare una ragione, per ora. Sirius aveva lo stesso sguardo, ma la sua follia era legata al desiderio di vendicare James e uccidere Peter. Quella di Severus…” e si era limitato a scuotere la testa, perplesso.

“La follia di un uomo morto…” aveva concluso Arthur, quasi sottovoce.

Tonks aveva sentito i brividi correre lungo la schiena, il gelo penetrarle nelle braccia e nelle gambe. Si era guardata attorno e aveva visto lo sgomento anche negli altri. Molly con un piatto in mano guardava il marito, incredula che potesse aver detto qualcosa di così crudele. Remus scuoteva leggermente la testa in segno di assenso con quanto era stato detto. Charlie osservava suo padre come se avesse compreso solo in quel momento quale era la situazione. Anche i gemelli e Bill aveva la stessa identica espressione in volto.

Severus era un uomo morto, ormai. Lo era diventato la notte in cui Silente era morto. Nessuno aveva più motivo di volerlo in vita. Per i Mangiamorte aveva raggiunto il suo obiettivo. Harry Potter non era più alla sua portata, fuori Hogwarts. E quindi lui era inutile. Un uomo braccato non poteva neppure aiutare in battaglia. Per il resto del mondo della Magia era colpevole di un omicidio per il quale non era prevista alcuna scusante.

Il giorno dopo la cattura Snape era stato ascoltato dall’Ordine. Remus lo aveva ospitato a casa sua e gli aveva anche fornito il necessario per pulirsi e cambiarsi.

Quando era arrivato per l’interrogatorio, aveva i capelli puliti e raccolti con un laccio sulla nuca. La faccia appariva ancora più magra, il naso ancora più adunco. Solo gli occhi brillavano, tanto lucidi da pensare che fosse preda di febbre alta. Non si era rasato e questo gli conferiva un aspetto secco e pungente. Qualcuno gli aveva procurato un maglione blu scuro, di lana grossa, anche un po’ troppo aderente alla sua figura, facendone così risaltare l’eccessiva magrezza, come pure i jeans scoloriti e rovinati che sicuramente appartenevano a Remus. Uno dei due doveva aver fatto un incantesimo per allungarli, rendendoli adatti a Severus. Come scarpe erano stati procurati degli scarponi pesanti. Per la prima volta Tonks si accorse di quando era giovane. E riuscì a vedere l’uomo e non più solo il Professore. Un giovane uomo chiamato a spiegare i motivi delle sue azioni ad un gruppo di altri uomini e donne che avevano perso il loro punto di riferimento proprio per mano sua. Tonks si chiese cosa potesse provare Snape in quel momento. Al suo posto lei sarebbe stata terrorizzata per quello che doveva e poteva dire. Non c’era modo di giustificare la sua azione, non c’era modo di motivare la sua azione. Anche affermare, come oramai avevano accettato tutti, che era stato Silente a decidere il tutto, non avrebbe diminuito l’odio che tutti i presenti sentivano per lui.

E invece, ancora una volta, fu un Weasley a modificare le cose. Molly sbucò dalla cucina con un piatto sul quale era posato un sandwich di verdura e carne e lo posò sul tavolo nel posto accanto a quello di Remus.

“Severus…” lo chiamò con fermezza.

Lui si girò di scatto, catturando subito lo sguardo della donna. Si muoveva come una bestia braccata, pensò Tonks. Pronta ad attaccare pur di vivere.

“Te lo lascio qui, con la birra…” e appoggiò il boccale accanto al piatto.

Tonks non riuscì a vedere l’espressione di Snape, che continuò a girarle le spalle. Ma qualsiasi risposta avesse dato, ottenne un piccolo sorriso da Molly.

Persa in questi ricordi, Tonks inciampò su un radice di un albero che spuntava dal terreno. Diede un piccolo grido, ma riuscì a mantenersi in piedi. Davanti a lei Snape si girò di scatto, bloccandosi. Per non cadere a terra, Tonks allungò le mani alla ricerca di un sostegno e trovò solo lo sterno di Snape. Le mani si appoggiarono, aperte, sulla lana umida del giaccone dell’uomo. E Tonks sentì la forza di quello scheletro d’uomo. Anche se lei gli era piombata addosso senza alcuna possibilità di controllarsi, lui aveva resistito alla sua involontaria spinta ed era rimasto immobile.

“Posso suggerire,” le disse, con voce roca, “di guardare dove appoggia i piedi, Miss Tonks?”

Lei arrossì. Odiava quel tono ironico e saccente. Odiava quell’espressione di derisione e di superiorità che ancora Snape riusciva a trovare in se stesso. Accidenti! pensò Tonks, era lei a dover scortare e controllare lui, non viceversa. Che mostrasse un po’ di rispetto, vecchio gufo!

Probabilmente qualche parte del suo ragionamento trasparì dalla sua espressione perché Snape ebbe il guizzo di un sorriso. Poi le prese i polsi tra le mani e la allontanò da sé, si girò e riprese a camminare. Tonks, irritata oltre ogni limite, per quel gesto così irrispettoso del suo ruolo, si avviò dietro di lui con maggiore vigore, piazzando nuovamente la sua bacchetta tra le scapole dell’uomo.

Il resto del viaggio proseguì in silenzio e Tonks cercò di evitare ogni ricordo o fantasticheria che potessero distoglierla dal mettere i piedi al posto giusto, sul sentiero. Si vedevano già le luci del paesetto dove i gemelli e Molly avevano trovato per lui un nascondiglio.

Remus era stato categorico nel costringere Severus a prendere con sé un Auror come guardiano e come protezione. Era necessario che rimanesse in vita, mentre venivano controllati i particolari che aveva fornito sui motivi della scelta di Silente. Remus era partito il giorno dopo l’incontro per comunicare ad Harry quello che era emerso e aveva lasciato precise istruzioni affinché quell’incarico venisse affidato a Tonks.

Tonks aveva chiarito a Arthur quale fosse la sua opinione su Remus, sulle sue abilità intellettuali, sulle sue competenze di uomo, sul suo futuro e in generale sulla sua persona. Le aveva urlare per la precisione. Poi le aveva scarabocchiate su una pergamena e le aveva inviate al suo capo. Arthur si era limitato ad ascoltare le sue osservazioni, seduto al tavolo di casa di Remus, mentre Molly finiva di preparare la cena per coloro che sarebbero passati di là in serata. Anni di esercizio con sette figli lo rendevano immune dalla maggior parte delle invettive. Semplicemente le ascoltava, migliorando la sua abilità nel non reagire.

Tonks non si era posto il problema, allora, di quello che Snape poteva aver sentito, dato che si trovava nella camera da letto, oltre la porta alle sue spalle. Ma se lo pose adesso. Stava dormendo in quel momento? Sempre che fosse stato possibile dormire mentre lei urlava. Oppure aveva ascoltato tutto? Comprese le sue osservazioni sulla possibilità che il Professore di Pozioni non fosse un uomo, ma un discendente diretto di un’unione tra un drago e una scimmia. Oppure le sue ipotesi sulla sua capacità di procreare. Facendo attenzione a non staccare la punta della sua bacchetta dalle scapole dell’uomo, cercò di immaginare come mai Snape non aveva commentato con il suo solito ironico e malevolo sarcasmo quello che lei aveva detto.

Non appena scorsero la prima casa del paese, entrambi si fermarono.

“Adesso mi seguirete, Professore, fino al rifugio. Restate al mio fianco,” gli disse Tonks, guardando la strada davanti a sé per individuare i riferimenti che le erano stati dati e limitandosi ad un’occhiatina veloce all’uomo.

“Immagino che tu sappia dove siamo diretti, ragazzina,” osservò Snape.

“Preferisco quando mi chiamate Miss Tonks!” disse seccamente.

“Oh, mi scusi, dolce Miss. Sa dove siamo diretti?” le chiese guardandosi attorno. Aveva sussurrato il suo nome come fosse il suono di un serpente.

“Certamente!”

“Allora perché siamo fermi? Problemi di orientamento?” Le lanciò un’occhiatina.

“È stato in silenzio per tutto il viaggio. Deve proprio parlare ora?” chiese Tonks, individuando finalmente il lampione che indicava la strada per raggiungere la casa dove rinchiudere quell’uomo.

“Mi sembrava molto concentrata nel tentare di trovare dei motivi per essere qui. Non voleva disturbarla, dolce Miss.” Snape seguì il suo sguardo e vide la strada.

“La smetta di chiamarmi dolce Miss. Sono Tonks!” disse seccamente puntandogli la bacchetta contro una spalla, con sguardo inferocito.

“Oh, davvero?” le chiese, sorpreso.

Tonks chiuse per un attimo gli occhi e prese un profondo respiro. Poi, senza più degnarlo di uno sguardo, partì a passo spedito verso il lampione. Snape le si mise a fianco.

Entrarono nel paesino seguendo la strada principale, costeggiata in entrambi i lati da piccole casette di uno o due piani, costruite in mattoni. Erano apparentemente tutte uguali. Ogni tanto si notava la presenza di un negozio o di un ufficio. Camminarono per alcuni minuti, superarono una piazza, con un palazzo adornato con una bandiera e una chiesa e passata una curva, Tonks vide il secondo segnale che le era stato dato. Un portone rosso. Doveva solo contare altri tre ingressi e il quarto sarebbe stato il loro.

Mentre camminavano Tonks si rese conto che c’erano alcune donne in piedi, davanti al portone di una casa. Era dall’altro lato della strada, rispetto a dove erano diretti, quasi di fronte. Erano le uniche persone che osavano rimanere all’aperto a quell’ora della sera. Stavano chiacchierando, ma c’era qualcosa di sbagliato in quell’immagine. Qualcosa che le fece scattare un segnale di allarme. Quattro donne. Sole. In una serata gelida. Davanti ad una casa. Vestite anche pochino, secondo lei. Il suo mantello di lana le era appena sufficiente, con berretto, guanti e sciarpa, per ripararla dal freddo pungente. Quelle donne indossavano solo gonna e maglioncino. Gonne corte, inoltre. A qualcuna s’intravedeva anche il bordo della calza, e il gancio della giarrettiera.

Nel preciso istante in cui quel particolare le balzò alla vista, un unico pensiero arrivò al suo cervello.

Fred e George Weasley.

Quasi si bloccò sulla strada, proprio davanti al gruppo di donne. Respirando profondamente, tentò di distogliere lo sguardo, preparandosi mentalmente ad uccidere i due ragazzi. Doveva solo capire il ruolo di Molly in tutto quello.

“Ehi, tesoro!” chiamò una delle donne. Tonks si girò, ma non stava parlando con lei.

“Perché non lasci tua figlia per questa sera e ti dedichi a noi?” continuò la donna.

Tonks guardò in alto, verso il volto di Snape e lo vide con gli occhi socchiusi, lo sguardo rivolto al gruppetto di donne. Ma rimase in silenzio.

“Andiamo, tesoro!” aggiunse un’altra del gruppo. “Non lasciarti distrarre dai tuoi doveri con quella bambina…” e allungò una gamba verso di loro, lasciando che la gonna risalisse leggermente.

Tonks si sentì arrossire. E accelerò il passo.

“Vedi, tesoro,” continuò la donna, “ti lascerebbe con noi…”

Tonks si fermò e si girò a guardare Snape. Era ancora fermo a due metri da lei. Guardava il gruppetto di donne. All’improvviso, spostò lo sguardo su di lei. Sembrava proprio intento a valutare la situazione. Ma poi le si avvicinò.

“Noi siamo qui, se cambi idea dopo averla messa a letto…” gli disse la prima donna, vedendolo allontanarsi.

Tonks velocemente prese le chiavi della casa e aprì il portone d’ingresso.

“Lumus!” sussurrò. E tutte le candele di casa si accesero. Alle sue spalle sentì Snape chiudere la porta.

“Immagino che la scelta del posto abbia coinvolto i gemelli Weasley,” commentò l’uomo, pacatamente.

“Già…” assentì Tonks. Poi si avviò lungo il corridoio d’ingresso, osservando la casa.

“Siamo in zona babbana…” osservò Snape. “Come mai questa scelta?”

“Non mi hanno dato spiegazioni. Lo chieda a Molly, se vuole,” rispose brusca Tonks. In fondo al corridoio si apriva il salotto e a fianco una cucina. Erano collegati, anche se avevano due ingressi indipendenti. Uscendo dalla cucina, vide che Snape era ancora fermo vicino all’ingresso e la guardava. Dopo un breve sguardo, ricambiato, salì al piano di sopra, lasciandolo da solo. C’erano due stanze dal letto e il bagno.

“C’è un solo bagno! Spero che non ci saranno problemi nell’averlo in comune!” disse scendendo le scale e osservando il soffitto. Era stata pulita molto bene, quella casa. Percepì l’ombra di Snape in fondo alle scale solo all’ultimo momento e si fermò, assicurandosi di rimanere più in alto di lui. La fissava negli occhi con tranquillità. Per un attimo le sembrò un sogno surreale nel quale stava cercando casa con quell’uomo. Strinse leggermente gli occhi per il fastidio che le provocava quell’idea.

“Cercherò di usarlo in meno possibile…” le disse, placido.

“Preferirei che si lavasse spesso!” ribatté lei.

“Qualcosa da dire sul mio periodo da fuggiasco?” le chiese. Severus sapeva bene che non c’era stata occasione per lui di lavarsi e lavare i suoi vestiti troppo spesso in quei mesi e questo era stato chiaro a chiunque lo avesse avvicinato prima dell’arrivo a casa di Remus. Tonks era lì, intenta a guardare delle mappe su un tavolo quando lui era entrato nell’appartamento, quando Remus lo aveva portato con sé, e doveva aver colto quel lato dell’esperienza. Dal suo aspetto e dal suo odore.

Non l’aveva certamente resa partecipe del suo profondo disgusto per quella situazione di sporcizia forzata. A volte aveva preferito barattare qualche misero soldo con la possibilità di un bagno piuttosto che con un po’ di cibo. Era insopportabile doversene stare senza lavarsi per intere giornate, se non aveva l’occasione di fare qualche incantesimo e approfittare di qualche ignaro babbano. Facendo attenzione a non farsi individuare da una squadra di controllo del Ministero della Magia. Aveva sempre fatto affidamento sulla presenza di Arthur nel caso in cui qualcuno avesse segnalato un uso improprio della magia nel bagno e nella cucina di un babbano.

“Hanno già trasfigurato i bagagli?” gli chiese, facendo un cenno al corridoio.

Snape la guardò per un attimo e poi sembrò accogliere la sua richiesta. Si spostò e la lasciò scendere. Tonks gli passò accanto, sfiorandogli il petto con una spalla, camminando impettita. Davanti alla porta era comparso il suo baule e una piccola sacca di pelle usata.

“Tutto qui?” gli chiese, senza girarsi.

“Meglio viaggiare leggeri se si scappa,” si limitò a commentare Severus.

“Domani andremo a compare qualcosa,” aggiunse lei sollevando il baule con un colpo di bacchetta e facendolo volteggiare verso le scale. Snape si appoggiò alla parete del corridoio per non esserne travolto e la guardò con un sorriso ironico.

“Hai il compito di sorvegliarmi o di uccidermi, Miss Tonks?”

“Il dovere e il piacere non sempre coincidono!” gli rispose.

“Lo so. L’ho imparato a mie spese,” disse distogliendo lo sguardo da lei, con espressione dura, quasi cattiva.

Per la prima volta da quell’estate, Tonks sentì un lampo di pietà per Snape. Lei lo odiava per quello che aveva fatto e lo riteneva colpevole della sua scelta di assecondare Silente. Ma adesso si rese conto che Snape era a conoscenza da mesi delle richieste del Preside. E da mesi aveva accettato. Doveva sentirsi colpevole e odiarsi da molto tempo. E non poteva ribellarsi o rifiutare. Rifiutare non lo avrebbe portato solo alla morte, ma anche a tradire un uomo che si fidava di lui e della sua lealtà.

Un po’ della pietà passò dai pensieri al volto di Tonks e Snape la vide. Immediatamente, prese l’espressione feroce di sempre. Quella del Professore.

“Non permetterti di provare pietà, Miss Tonks!” sputò con rabbia. “Mai. Odiami, ma non provare pietà, quando sei con me!”

Tonks rimase in silenzio, offesa per quella richiesta e gli passò davanti, seguendo il baule. Ancora una volta la spalla si appoggiò per un attimo allo sterno dell’uomo. Quella casa era sempre più piccola. E Snape sempre più presente.

Tonks salì le scale senza programmare dove stava andando. Cercava solamente di sottrarsi alla puntigliosa presenza di Snape. Si infilò nella prima camera del piano superiore, quella più lontana dal bagno. Lasciò cadere il baule in centro alla stanza e con un aria annoiata lanciò un incantesimo silenzioso, lasciando che gli indumenti si riponessero nell’armadio, i libri negli scaffali, le scarpe nel terrazzino e il necessario per il bagno… si fermò.

Non poteva permettersi di lasciare tutto quello che lei usava in bagno, alla portata delle mani e degli occhi di Snape. Non intendeva commentare con lui la scelta della crema da viso o del fondotinta. Per non parlare di altri accessori più intimi. Lo appoggiò sul comodino vicino al letto.

Attorno a lei c’era il silenzio. Cercò di ascoltare i rumori della camera accanto, ma non si sentiva muovere nulla. Poi il tintinnio di un oggetto in metallo sbattuto contro un altro, le fece capire dove si trovasse il suo prigioniero.

Scese le scale e lo raggiunse in cucina. Stava preparando dell’insalata e, in una padella, sfrigolavano delle salsicce. Tonks rimase a guardarlo con sorpresa e ammirazione. Si stava muovendo in cucina come se fosse il suo ambiente naturale. Tagliava, mescolava, controllava la cottura senza usare la magia, destreggiandosi come un babbano.

“La carriera di fuggiasco prevede anche lezioni di cucina babbana?” gli chiese, appoggiandosi con un fianco e una spalla allo stipite della porta.

“No,” le rispose Snape senza alcun segno di sorpresa al suono della sua voce, “ma mi piace farlo.”

“Chi ti ha insegnato?” gli chiese sorpresa.

“Mia madre,” le rispose facendo sfrigolare un pezzo di pane in un’altra padella per qualche secondo. Poi lo prese con una spatola e lo porse a Tonks.

Tonks lo prese e lo addentò immediatamente, gustando il sapore del burro fuso. Aveva decisamente fame. E probabilmente anche lui. La fatica si dileguò un poco.

“Ho preso la prima camera da letto,” gli annunciò.

“D’accordo…” commento laconico. “Ho messo il mio borsone nella seconda. Apparecchia la tavola, Miss Tonks,” le disse con il solito tono dittatoriale.

Troppo affamata e troppo stanca per ribattere, Tonks cercò il necessario nella cucina. Trovò piatti, bicchiere e posate, un po’ di tovaglioli bianchi, ma nessuna tovaglia, né qualcosa che potesse assomigliarvi. Allora cercò due canovacci della cucina, i più colorati e li usò come sottopiatti. Piton, terminato il suo compito di cuoco, la guardò, le mani appoggiate sul mobile vicino ai fornelli, il corpo inclinato all’indietro e rilassato, gli occhi affaticati quanto quelli di Tonks. Non sarebbe riuscito a fare un altro centinaio di metri, quella sera. Si sentiva sfinito, anche se non avrebbe mai dato la soddisfazione di scoprirlo a quella ragazzina. La prospettiva di un vero letto, con un materasso e delle lenzuola e di una doccia calda… anche mangiare gli sembrava una perdita di tempo. Riscuotendosi dal torpore della sonnolenza, afferrò la padella con le salsicce e ne mise due a testa nei piatti. Poi prese la terrina con l’insalata e, sedendosi, la porse a Tonks, che nel frattempo si era già infilata in bocca un pezzo di carne e masticava soddisfatta. Senza degnarlo di uno sguardo prese anche l’insalata e si riempì il piatto. Continuò a mangiare con tenacia, gustando ogni singolo boccone. Non sembrava particolarmente ingorda, ma apprezzava quello che aveva nel piatto. Lui invece sbocconcellò la salsiccia, arrivando a mangiarne una e qualche boccone di insalata. Era decisamente troppo stanco.

“Scusami, Miss Tonks,” le disse alzandosi, mentre lei terminava di mangiare l’insalata direttamente dalla terrina. “Se non hai nulla da obiettare, andrei a farmi una doccia e poi a dormire.”

Tonks ebbe la precisa sensazione che se anche lei avesse avuto un’opinione diversa, lui avrebbe fatto esattamente quello che le aveva detto. Nulla di diverso. Quindi si limitò a dargli le informazioni basilari.

“Mi piace trovare il bagno pulito. La casa è stata sistemata da Remus per quello che riguarda le misure di sicurezza, anche se lui mi ha detto di dirle che sa benissimo che non servono a nulla dato che il prigioniero era solito ottenere voti migliori dei suoi in Difesa Contro le Arti Oscure. Quindi mi ha raccomandato di non dirgliele per avere almeno la soddisfazione che possa scoprirle da solo.” Si fermò per riprendere fiato. Si accorse con Piton la guardava, ma non la ascoltava. “È chiaro?” gli chiese.

Snape annuì, lentamente. “Abbiamo una sveglia, domani?”

“Io mi sveglio comunque verso le sette,” gli rispose. “La chiamo verso le sette e mezzo, così il bagno è già libero.”

“Mi piace trovare il bagno pulito…” si limitò a ribattere lui, scimmiottandola. E senza dirle altro se ne uscì dalla cucina, diretto alla camera da letto.

Tonks scosse la testa, sconsolata. Una settimana con un uomo così loquace poteva farti dimenticare ogni lato positivo del genere maschile. Terminò di mangiare tutta l’insalata e poi lavò i piatti e sistemò le stoviglie.

Dopo poco più di 30 minuti anche Tonks era pronta per andare a letto. Si avviò sulle scale che conducevano al piano superiore, cercando di capire dai rumori della casa, dove si potesse trovare Snape. Sentì aprire e chiedere lo sportello di un’anta del bagno e poi il rumore dell’acqua.  Si fermò quasi in cima alla scala per osservare meglio la situazione. L’unica luce del corridoio arrivava dal bagno, anche se la porta era socchiusa. Il rumore dello spazzolino che si muove sui denti.

Poi si aprì la porta. Snape ne uscì con un asciugamano stretto ai fianchi e lungo quasi fino a terra, arrossato dal calore dell’acqua. Si era lasciato la barba, fu il primo pensiero. E dovrebbe decisamente tenere i capelli legati dietro il collo. Appariva vulnerabile. Ancora più giovane.  Snape si fermò, sorpreso di vederla lì.

“Ho sistemato il bagno, Miss Tonks. Puoi controllare, se vuoi.” E nel dirlo si avviò alla sua camera, chiudendosi la porta alle spalle prima che Tonks potesse anche solo formulare un pensiero.

Lentamente Tonks raggiunse la propria camera. Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Snape che aveva appena visto. Non era certamente l’uomo più bello o sensuale o anche solo attraente che avesse visto a petto nudo. Le era sembrato ancora più magro e debilitato, in verità. Prese il necessario per andare a farsi la doccia. Vedere un Professore seminudo non era mai stato un suo desiderio. Camminando, ancora soprapensiero, ritornò verso il bagno e appena entrata capì che quando Snape parlava di sistemare qualcosa sapeva bene di cosa parlava. Il bagno era perfettamente lucido e profumava di qualche fiore, anche se Tonks non riusciva a riconoscere di quale fiore, in particolare, si trattasse. Tutto era perfettamente allineato, perfettamente asciutto e perfettamente impersonale. Tonks si chiese perché una persona trovava importante perdere il suo tempo per ripulire così a fondo un bagno. Certo anche a lei piaceva trovarsi in un ambiente pulito per fare la doccia, ma non così asettico. Sistemò il beauty con quello che le serviva vicino alla doccia e si tolse i vestiti. Li appoggiò disordinatamente sul lavandino, certa che non vi fosse neppure una goccia d’acqua e si lasciò coprire dal getto dell’acqua che aveva già aperto per poterla scaldare. Si concesse una lunga doccia bollente, si asciugò e si lavò i denti. Poi si avvolse nell’asciugamano, raccolse le sue cose e uscì dal bagno, rifugiandosi in  camera. Doveva ricordarsi di ringraziare Molly per averle fatto trovare tutto il necessario.

Qualche minuto dopo, coperta da un rassicurante pigiama, decise di controllare che la casa fosse chiusa e tutti gli allarmi in funzione. Ritornò al pianoterra e controllò porte e imposte. Dalla finestra del salotto si vedeva ancora la luce accesa in strada e si sentivano le voci attutite delle donne che chiacchieravano lì davanti. Una volta rientrata a Londra avrebbe trasformato i capelli dei gemelli in viscide bisce verdi, possibilmente davanti a qualche ragazza.  Salendo di nuovo verso la camera, si ricordò di non aver parlato per l’intera serata con Snape delle regole di quella prigionia. Rimase incerta sul pianerottolo, chiedendosi se poteva o meno entrare nella camera del Professore, oppure se aspettare il mattino successivo.

Snape non aveva nessun motivo per allontanarsi da lì. Era ricercato dal Ministero e dai Mangiamorte. Solo l’Ordine lo cercava per collaborare e non per accusarlo di essere il braccio destro di Voldemort o di Silente. Dai brevi accenni fatti da Snape, Tonks aveva capito che la prospettiva di una doccia, di un letto e di un pasto caldo, era la catena più solida per tenerlo ancorato ad un luogo. Snape doveva aver patito parecchia fame e parecchio freddo in quei mesi. Paura e incertezza. Decise di lasciarlo riposare e di definire il giorno successivo le regole di sicurezza.

Se ne andò in camera, a riflettere a letto. Il mandato dell’Ordine era di custodire quell’uomo in attesa che decidesse come aiutarli, quale missione compiere a loro vantaggio. Remus era andato da Harry per raccontargli quello che Snape aveva raccontato loro. Si girò su un fianco e si sistemò ben bene sotto le coperte. Avrebbe fatto tutto domani. Gli elementi di rischio erano minimi. E si addormentò.

 

  
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